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Santo Berlinguer
Berlinguer da
Allende all’assassinio di Moro: il Grande Disegno del titolo è portare il Pci al governo con la Dc. Un improbabile Pci-Dc uniti nella lotta. Fatto bene ma un santino - il quarto o quinto
docufilm su Berlinguer in due anni, in chiave celebrativa. Anche nella
promozione, da “compagni di merende”: questo di S egre effettivamente è andato nei
cinema, con 4 milioni d’incasso, ma dopo il lancio alla Festa del Cinema, con recensioni
entusiaste copia e incolla, e il rilancio col premio miglior attore a Elio Germano-Berlinguer
- a scapito di altri personaggi maschili l’anno scorso sulo schermo, più drammatici,
più convincenti.
Nella melensaggine
alcuni incisi di cinema-verità da levare il fiato. Gianni Agnelli, vantato capitalista
progressista, apprezzatore dell’eurocomunismo, che alla tv americana dice
esplicito: “Un Paese a governo Pci non è il mio Paese”. La “folla oceanica” a
un comizio, forse creata digitalmente ma ricordo vero: c’erano, ieri, e si sono
squagliate. La lite col bulgaro Živkov. Lo sbrigativo Ponomariov, addetto ai
contatti Pcus (Partito comunista sovietico)-Pci, che a Mosca dà ordini a
Berlinguer. Il quale ancora nel 1975 andava a Mosca ai congressi del Pcus, a
sorbirsi lo spento, ciancicante, Breznev. E si trattava – questo lo spettatore
non lo sa, ma il fatto è memorabile – del XXVmo congresso, fine febbraio, dove “mercoledì,
per venti minuti”, secondo l’ingiunzione di Ponomariov, a un anno e mezzo dal
varo del “compromesso storico” con la Democrazia Cristiana, difeso tra mille
polemiche, Berlinguer ribadì la primazia “etica” dei regimi sovietici. Per l’esattezza:
“Un clima morale superiore. Mentre le società capitalistiche sono sempre più colpite
dal decadimento di idealità e valori etici”. Un clima morale con Breznev, con la Nomenklatura.
Un ritratto tutto
lieve di Berlinguer, senza le durezze che lo caratterizzavano. Specie il
settarismo: contro i socialisti (di De Martino come di Nenni-Craxi), i radicali,
i “gruppuscoli” indistintamente – unica apertura ai repubblico-comunisti, i massoni.
Berlinguer in politica non c’è, grigio, rude, c’è solo in famiglia, attento, affabile,
e coi funzionari di partito, giovane tra i vecchi. In politica parla solo con Andreotti
e con Moro. Affabile solo con Moro. Che non era affabile. Qui, imbellito, Moro è ciarliero,
esplicito, diretto, mentre non guardava negli occhi, si guardava dentro mentre parlava
– a volte assente visibilmente, come tirasse le tendine sugli occhi. Di Andreotti
la solita macchietta – Sorrentino docet, mentre, se non altro per il
cinismo, sarebbe ottimo figurante al cinema.
Andrea Segre, Berlinguer
– La grande ambizione, Sky Cinema
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