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L’America scopre Malaparte
Lo scrittore italiano, un tempo
propagandista prediletto di Mussolini e in seguito eroe letterario di culto, fu
un cronista ineguagliabile. Ben fascista a suo tempo, seppure confinato come
antifascista. Il direttore di “Granta” lo propone con un ritratto dal vero al
pubblico americano.
“Sei un fascista nato, uno di quelli autentici”, aveva scritto
Piero Gobetti al’amico Curzio nel 1925, tre anni dopo l’inizio della dittatura
di Mussolini. Gobetti, ventiquattrenne e acclamato come il più brillante
scrittore liberale della sua generazione, sperava di impedire a Malaparte,
allora ventisettenne, di dedicare tutto il suo talento alla causa fascista. “Non
capisci che stai perdendo tempo, che i fascisti ti stanno prendendo in giro,
che nel partito sei un uomo di quinta classe, che i tuoi scritti dell’ultimo anno
non valgono un fico secco?”, gli scriveva.
Gobetti morì l’anno successivo, per le ferite inflitte dalle
Camicie Nere. Malaparte, a quel punto, si stava facendo un nome come uno degli
scagnozzi intellettuali di Mussolini. Che poi lo mandò anche al confino, a
Lipari – come in vacanza (non amato da Mssolini ma nemmneo osteggiato).
Durante la Seconda Guerra Mondiale Malaparte divenne il cronista
embedded da Mussolini su tutti i
fronti caldi, dalla Finlandia al ghetto di Varsavia. Tutti fronti di cui lascerà
memorie memorabili. E tutti estremamente veritieri, oltre che efficaci. Della
sua vastissima opera Meany soprattutto apprezza e segnala i racconti di guerra,
“Il Volga nasce in Europa”, 1943, “Kaputt”, 1944, e subito dopo i racconti di
“La pelle”.
Thomas Meany, Curzio Malaparte’s Shock Tactics, “The New Yorker” (leggibile anche in traduzione)
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