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mercoledì 2 gennaio 2008

Il mondo com'è (4)

astolfo

Antiamericanismo – Eredita curiosamente le componenti dell’antisemitismo, sia in Germania che in Francia, in Italia e nella chiesa: il materialismo avido, l’indifferenza etica, la violenza segreta, l’ipocrisia. E come l’antisemitismo si compiace di caricature: il divorzio e l’aborto facili, l’egoismo sociale, la violenza. La differenza è che l’America ha spalle solide.
Non c’è antiamericanismo altrove, mondo islamico incluso malgrado Al Qaeda: solo in Europa e nei domini della chiesa.

Calciopoli - È un caso dell’effetto che diventa causa, della degenerazione che diventa sistema. Il teorema di Cordova – un pizzico di concussione, corruzione, mafia, voto di scambio – e di Mani Pulite ha portato alla supplenza dei giudici sulla politica. E ora ogni realtà italiana è leguleia. Anche lo sport: l’Italia è da un quindicennio un Paese – l’unico fra quelli dove si pratica il calcio – che fa determinare le partite dagli arbitri, e perfino dai segnalinee. Tutte le televisioni e tre quarti dei giornali sono costruiti su interminabili discussioni delle decisioni degli arbitri. La Juventus, che si è rifiutata di partecipare a questo gioco, è stata punita con disonore. L’Inter, che questo gioco continua a praticare anche in assenza della Juventus, è premiata con onore – contesta pure le rimesse laterali.
È anche l’effetto del pagliettismo. Un diritto di pura impronta napoletana che ha preso il sopravvento su ogni velleità di adeguamento alla common law, alla giustizia come base dell’uguaglianza e della libertà. E di fondamento costituzionale del vivere sociale.

Iran – Fa trent’anni di khomeinismo, che l’ha isolato nel mondo islamico e coi vicini arabi, ma è una dittatura blanda. Molto politicizzata, in città e anche in periferia, ancorata a canoni dichiarati, condensabili in sei o sette punti. Ma resa tollerabile, o minata, dalla corruzione: tutto si compra a Teheran come prima, e questo è un altro canone.
1. È un Paese stratificato e complesso, contro cui nessuna guerra è possibile, a meno dell’annientamento. Impensabile è una guerra nel mezzo del petrolio (il Golfo Persico e Hormuz) e dell’islam. È impensabile però anche l’atomica all’Iran, che ha intrapreso il nucleare solo per costruirsela, e non rinuncerà mai all'uranio arricchito, solo l'Europa non lo sa. Nell’ideologia dell’antimperialismo, il nucleare è l’arma dei poveri, la garanzia della sovranità, il presidio della libertà – il mondo essendo governato dalla Finanza Mondiale. Ma la Bomba era il piano dello scià, uno dei motivi per cui fu abbandonato dall’America di Carter: diventare la sesta, o quinta, o quarta potenza militare mondiale. Come fonte di energia l’Iran ha riserve sterminate di gas nel Golfo, che evita di mettere in produzione.
2.È un potere confessionale, caso unico al mondo, governato cioè dagli ayatollah. Ahmadinejad è un frontman, dopo che con gli ayatollah, Rafsanjani, mercante di pistacchi, e Khatami, intellettuale, il clero ha rischiato di spaccarsi. Il khomeinismo a trent'anni è politicamente debole, se non morto. Sotto i trent’anni è la metà della popolazione iraniana, che dunque ha vissuto solo il khomeinismo. Che tuttavia respinge. Il regime teocratico si è allentato dopo che dieci anni fa, nel 1999, fu contestato a lungo e in piazza dai ventenni – tra i quali era presente il non più giovane Mussavì Khoinià, l’ex capo degli studenti "della linea dell’imam", che nel 1980 occuparono l’ambasciata Usa, tennero per sei mesi in ostaggio gli americani, e radicalizzarono il khomeinismo. Ma è un clero che ha letto Marx e studiato Machiavelli e Lenin. E non fa politica confessionale: gli sciiti non sono un popolo, una nazione, una chiesa, sono una credenza e un rito.
3.Dal terrorismo islamico sono cospicuamente assenti gli iraniani, come uomini, come dottrina, e come mezzi logistici. Per l'aloofness dell'islam iraniano nella marmaglia araba e asiatica che l'attornia. Per la statemanship di una cultura e una tradizione polica molto antiche, e insieme rinnovate con gli strumenti più aggiornati della critica. Per una valutazione realistica dei rapporti di forza: il regime degli ayatollah può crollare solo per una guerra, loro lo sanno, e se ne guardano. 4.Gli ayatollah perseguono la politica nazionale iraniana dello scià - se non per l’antioccidentalismo, che però è politico e strumentale. Con cautela. L'Iran non è fuori dalla rete sotterranea (armi, spie, provocatori, attentati) che agita il Medio Oriente, dall'Irangate a Hezbollah, ma per un dovere di presenza, di potenza. Da sempre l’Iran fa una politica di potenza regionale: contro gli arabi, la cui indigenza politica non richiede molti strumenti, e contro i disprezzati afghani, pashtuni, turkmeni, della frontiera Nord, di buon vicinato con la Russia e la Turchia. Il controllo per ingerenza del mondo arabo si riscontra scoperto nelle aree di crisi: in Libano, in Palestina e in Iraq gli ayatollah fomentano le divisioni in ogni modo, con la propaganda e con le armi. Con la penisola arabica il rapporto è di buon vicinato, residuo dei tempi del comune nemico Saddam Hussein, ma di altezzoso disprezzo.
5.L’antioccidentalismo è radicale nella cultura, scomparsi sono Alessandro Magno, Aristotele, Avicenna e Averroè cui l’Iran dell’Otto-Novecento si appellava, con l'insieme del mondo arabo-ottomano della regione. Ma è più antieuropeo che antiamericano: l’inglese degli ayatollah è americano, dell’America l’Iran riconosce la potenza, con l'America ha sempre mantenuto dei canali.
6.E’ un regime sanguinario, poiché giustizia ogni anno 5-600 persone, anche oppositori politici, donne e bambini, e le esecuzioni esibisce in tv. Ma è il meno totalitario del Medio Oriente, il meno controllato cioè con la violenza. E resta il più suscettibile al cambiamento, la dialettica politica vi rimane forte. La forza degli ayatollah è che non ci sono migliori politici di loro – al loro confronto anzi non ci sono in Iran personalità politiche, non ci sono mai state.
7.E' un regime oscurantista?Non è certo, la condizione della donna non è dirimente: le donne sono state e sono, in massa e in dettaglio, il pilastro vincente del regime. Trent'anni fa contro lo scià che le aveva laicizzate, una riforma sentita come una violenza. Nelle ultime elezioni a sostegno della parte retriva del regime. Sul ruolo in generale delle donne in politica mancano analisi accurate: nel 1850, quando il governo di Massimo D’Azeglio laicizzò le scuole e la vita civile a Torino con le leggi Siccardi, le donne furono tutte contro, anche con violenza. Il regime onora in Iran la donna in famiglia e nell'amore, e le protegge nei giudizi di divorzio con formule perfino fantasiose: un marito ha dovuto comprare alla moglie 124 mila rose rosse, un altro ottomila libri, tutti di poesia (ottomila libri di poesia?). La donna è protetta anche nella prostituzione, col sigheh, il contratto a tempo.
8. è un regime solido. La minaccia bonapartista, l'unica possibile benché solo in via d'ipotesi, è stata indeboloita indirizzando il braccio armato del khomeinismo, i pasdaran, una sorta di Stato nello stato, verso gli affari. E quindi verso la corruzione, sul modello già sperimentato dall'Fln algerino, e la Pc cinese.
9.L'Iran ha mancato la modernizzazione, e questa è la debolezza degli ayatollah. Vive al modo dei paesi arabi, trasformando la rendita petrolifera in rendita urbana (edilizia, immobiliare), e questo è tutto. Al cambiamento è presto subentrata la corruzione, in affari e nella stessa politica, nel solco di una tradizione evidentemente imbattibile. E questo per opera dei laici, seppure devoti islamici: il passaggio della gestione del potere ai pasdaran e ai basiji, le milizie della rivoluzione, con la presidenza Ahmadinejad, ha portato la corruzione anche in primo piano, a Teheran e ovunque nel paese, nei grandi affari e nei piccoli. Le città hanno l'illusione della prosperità, come del resto nei paesi arabi del petrolio, ma non c'è un'economia autoportante, come si soleva dire (capitali, lavoro, mercato), manca l'integrazione internazionale, e l'economia di rendita, che può andare bene per paesi desertici, non basta a un'economia da sessanta o ottanta milioni di persone.

Transpacifismo - La foto del “Sole 24 Ore" di fine anno, col premier cinese in perfetto assetto da lanciatore di baseball, completo di visierina e sneakers, è la foto della globalizzazione. Partner di Wen, nella partitina del gioco eminentemente a stelle e strisce, è il premier giapponese Fukuda: la pacificazione tra i due grandi paesi, attesa oltre sessant’anni e ancora difficile, si fa all’insegna del game americano. Il finale d’anno ha visto un accavallarsi di segnali della nuova egemonia, con gli acquisti cinesi di gruppi americani e l’intervento dei fondi sovrani cinesi a salvataggio delle banche Usa dei mutui insolventi.
La globalizzazione è sempre più transpacifica. Non bastasse lo scarso interesse delle due ultime presidenze Usa verso l’Europa, è ora l’altra ala “regionale”, quella cino-giapponese,che dichiaratamente subentra alla leadership. L’Europa, Italia compresa, è ancora competitiva e capace di esportare, ma in ambiti sempre più ristretti, cresce cioè di meno di tutta la globalizzazione. Ed è già esclusa dalle grandi decisioni, sulla moneta, la finanza, le regole commerciali.

astolfo@gmail.com

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