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lunedì 13 ottobre 2025

Le mani del governo sul risparmio

Su una cosa che ancora non esiste, una procedura Ue contro il governo italiano per la gestione politica, contro le regole, del golden power (contro Unicredit per l’acquisizione di Bpm, e a favore di Crédit Agricole, n.d.r.), due europeisti convinti come Osvaldo De Paolini e sul “Giornale” e Angelo Di Mattia sul “Foglio” si scagliano contro. Con virulenza. Con violenza.
“Che a Bruxelles si continui a mettere in discussione la sovranità nazionale in tema di sicurezza economica è ormai diventata una pericolosa abitudine”, è l’esordio di De Paolini. Il motivo? “Di nuovo nel mirino della Commissione è finito il decreto Golden Power applicato all’Ops Unicredit-Bpm”. Dove invece il governo ha solo difeso l’italianità di Bpm. Perbacco, contro il “lurco” Unicredit? E che diritto ha Bruxelles di intromettersi in una questione di sovranità? “Il ministro Giancarlo Giorgetti è stato molto chiaro: la sicurezza, anche economica e finanziaria, non è materia comunitaria, ma competenza esclusiva dello Stato nazionale. E l’Italia la difenderà «a ogni costo»”. Cioè, sottraendo Bpm a Unicredit, per affidarlo al Crédit Agricole.
Non è giornalismo (non c’è logica), e nemmeno politica. Non varrebbe soffermarvisi se fosse una bizzarra concezione del mercato. Del giornalista come di De Mattia – che pure da ex collaboratore di Fazio alla Banca d’Italia, dovrebbe ben sapere cosa succede quando la politica “si occupa” del risparmio (delle prepotenze disastrose della politica si ricorda solo quella contro Baffi e Sarcinelli, ma la persecuzione di Fazio, sempre alla Banca d’Italia, è stata ben peggiore). De Mattia riconosce che non sa di che lettera si tratti, ma ritiene necessario, non richiesto (la sua è una lettera al giornale), di schierarsi: la non-lettera Ue è “una conferma del modo inaccettabile del funzionamento di alcune strutture della Commissione”. Tale che “è da attendere una doverosa replica da parte del governo, essendo in ballo la tutela della sicurezza nazionale nei diversi aspetti, e, se necessario, il ricorso alla Corte di giustizia europea”. Diversi da che, dalle regole?
Malumori dell’età? Il giornalista e l’ex direttore centrale della Banca d’Italia sanno di che parlano – e non sono anti-europeisti. Sanno anche che in queste materie la Ue non si pronuncia per la prima volta – proprio Mario Monti nel decennio in cui fu a Bruxelles responsabile della concorrenza e dei servizi finanziari (“mercato interno, integrazione finanziaria, fiscalità, unione doganale”) ebbe più occasioni di intervenire per riavviare la “banca universale” e nelle ristrutturazioni bancarie, allora così radicali (l’opus magnum del governatore Fazio). Si schierano - De Mattia non invoca il santo Giorgetti (non è Unicredit una banca straniera, controllata dai diabolici fondi?), ma è come se. Non sul fronte del risparmio, evidentemente.
 
Il governo deve proteggere il risparmio. Come, con la mazza? Con le barricate? Il risparmio si protegge da sé, con le regole. Non con le manomissioni – al netto delle turbolenze interne a Forza Italia, e tra Salvini e i meloniani.  

Se il covid non c’è stato

Una riflessione sui (non) effetti del covid, se non “gli adesivi sbiaditi”, e “qualche reparto di terapia intensiva potenziato” – oltre “a inedite definizioni di paure e fragilità”. Ovvero sull’effetto semplificazione, se non rimozione: della pandemia come una parentesi - un’influenza un po’ pestifera, come si voleva agli inizi. Mentre “aveva aperto questioni gigantesche e più generali, avendo imposto un corpo a corpo con il collasso di alcuni diritti fondamentali, con le epifaniche e amarissime disuguaglianze di quella che era per tutti la stessa «tempesta» ma non la stessa «barca»”.
Una riflessione propiziata dalla mostra “Venezia e le epidemie”. Che invece testimonia di una storia, una realtà politica, che si intendeva di epidemie, trafficando per i porti di tutto il Mediterraneo, e sapeva prevenirle e trattarle. Un’esperienza di secoli, che Gissi sintetizza come efficace. Intanto perché anticipa un concetto contemporaneo, “la comprensione della relazione reciproca tra salute ed economia, il valore della governance coordinata, l’esigenza di un’intelligence sanitaria sovranazionale” – che Venezia non trascurava, uno dei suoi tanti plus. Ma, soprattutto, si organizzava di conseguenza: “L’esperienza veneziana dimostra come l’eccellenza nel governo delle emergenze sanitarie non scaturisca soltanto da saperi scientifici avanzati – all’epoca certamente fragili – ma dalla facoltà di edificare istituzioni adattive, capaci di trarre insegnamento dalle emergenze e di trasformarsi”. Il contrario della realtà odierna, da Paese pure  “avanzato”, di una “sanità collettiva” che si affronta con “tagli e logiche di mercato”.
Con un interrogativo anche sulla funzione della storia, della storiografia. Che a volte è lì per rimuovere invece che per scoprire – rivelare, spiegare: “Rimozione e oblio sono evidentemente tentazioni potenti e già sperimentate nel caso della ‘spagnola’ d’inizio Novecento, nascosta a lungo nelle pieghe dei manuali di storia”.
Alessandra Gissi, Venezia e le epidemie, un viaggio nella storia e nell’ambiente, minima&moralia, online

domenica 12 ottobre 2025

Ombre - 795

La Francia non ha solo un problema di debito pubblico, è troppo alto anche il debito delle imprese, rileva “Il Sole 24 Ore”: “Ha raggiunto i 4.550 miliardi, il 155 per cento del pil”, un record – in Germania è all’89 per cento, negli Usa al 73,7, in Italia al 57.
La globalizzazione, il “mercato”, si è fatto a debito. Il Fondo Monetario Internazionale calcola l’indebitamento pubblico “globale” (mondiale) alla pari quest’anno col pil, con la produzione.


Si scopre, con lo scambio di prigionieri Israele-Hamas, che “migliaia” di palestinesi sono detenuti in Israele senza processo, e senza assistenza legale. Anzi in segregazione. E non se ne sapeva niente. Democrazia? Informazione?

Si modifica il Tuf, testo unico della finanza, per consentire alla francese Agricole il controllo di Bpm arrivando a un centesimo sotto il 30 per cento - elevando dal 25 al 30 per cento l’obbligo dell’offerta pubblica di acquisto dell’intero pacchetto. Dopo avere modificato le regole di gestione, per cui si controlla un’azienda col poco meno del 30 per cento. Da parte di un governo “sovranista”, che ha fatto guerra a Generali per l’accordo con Natixis, francese, e a Unicredit per l’ops su Bpm – dichiarando Unicredit banca straniera, che mette a rischio il “risparmio degli italiani”.
Sotto il sovranismo la vecchia manovra “bieca” di potere. A danno del risparmio – lo è sempre stata. Ma questo non si dice. C’è un perché?

Si litiga su una decisione di Bruxelles in materia di “golden power” che non è stata presa. Litigano Meloni e Giorgetti, e i loro fan nei media. Curioso. Anche perché non c’è mai stata tanta intromettenza politica, sull’informazione e sul risparmio - le banche, bene o male, ci tengono i conti. Neanche quando le banche erano pubbliche. Le Casse di risparmio rispondevano ai potentati locali di turno, ma con discrezione – anche perché le Procure all’epoca vigilavano. Dei grandi banchieri pubblici era soprattutto nota, e non contestata, l’indipendenza, di Mattioli, per dire, Cingano, Siglienti, anche Braggiotti, lo stesso Nesi, Sarcinelli – anche nelle contese, tra Cingano e Braggiotti, o tra Fausti e Arcari.


Meloni giuliva dei viaggi all’estero - unica peraltro viva (che se non ha qualcosa da dire sa però come dirla) nel cimitero europeo – non sa che Renzi arcipotente perse tutto imponendo le sue banche toscane. Dopo che qualche centinaio di migliaia di famiglie ci rimisero molto e moltissimo.
Sembra strano oggi, ma in confronto al potere di Renzi dieci anni, Meloni non è niente al confronto, appena qualche nomina, da poco, di passaggio, Sangiuliano, Giuli, Lollobrigida, la sorella.  

Di una dozzina di frequentazioni abituali la metà hanno o hanno già avuto l’influenza. La Regione però ha prenotato il vaccino per novembre. Poi dice che la sanità pubblica non funziona perché troppo cara, troppo lenta, disertata dalle competenze, etc. Perché manca la testa, un minimo di giudizio.

Lo screzio fra Angela Merkel e la Polonia – il governo in carica e l’opposizione – sul mancato dialogo con Mosca tra il 2018 e il 2022  è intanto verosimile: Merkel dice che la Ue non parlò con Mosca per l’opposizione della Polonia. Ma è comunque uno dei tanti segnali che l’Est europeo – che determina purtroppo l’agenda della Ue da un quinquennio – è un verminaio. Il tono della contesa, se non la sua verità, parla chiaro.

Roma scopre di avere 1.859.221 autoveicoli immatricolati, per 1.600.000 patentati. Nonché essere anche “capitale dello sharing”, di auto, moto, bici e monopattini. Di questi soprattutto. Siamo in transizione, verso dove?
Roma ha anche 330 km di piste ciclabili, e prevede di costruirne altri 700 km. Al costo di 350 mila euro al km - un “investimento” da 350 milioni. Per piste che nessuno usa. Un investimento per restringere la carreggiate ed eliminare qualche centinaio di migliaia di posti macchine al parcheggio.
 
Ferrari dimezza gli investimenti sull’auto elettrica. Mentre per il decimo, o ventesimo, anno non fa più una macchina competitiva alle corse. Dopo Fiat, Jeep, Alfa Romeo e Lancia, Elkann affonda anche la corazzata delle vendite e dei profitti?
 
Continuano le ruminazioni sul voto alla Regione Calabria, dopo quello alla Regione Marche. Sapendo che domani il risultato sarà invertito in Toscana – e fra un mese in Campania e Puglia.
Giornali e tg fanno un subisso di politica, senza dire nemmeno l’ovvio – fare di tutto eccezione, anche dell’alba e il tramonto, è come abbaiare, senza senso.

Fine ingloriosa del candidato Pd-5 Stelle in Calabria, Tridico, dopo una serie di gaffes inimmaginabili. E non si dice che un quarto dei voti che ha raccattato, il 10 per cento del totale del voto, era di due liste socialiste, sotto mentite spoglie, Democratici Progressisti e Casa Riformista – questa con una spruzzata di Renzi, “Italia Viva”. Una delle due ha anche preso un consigliere, l’altra è andata poco sotto.  

Meloni da Vespa fa l’elenco delle accuse avventate che Conte, Schlein e Avs muovono al suo governo. Compresa una denuncia alla Corte Penale Internazionale per “complicità in genocidio” – per le forniture militari a Israele. Il “Corriere della sera” titola: “La premier in tv: presentata una denuncia alla Cpi. Un portavoce della Cpi: nessun atto formale”. Su un testo in cui il portavoce spiega: “Solo le decisioni hanno valore, e non esiste alcuna decisione”. Analfabetismo non è - per fare il caposervizio (quello che fa i titoli) bisogna sapere un po’più che leggere. Ma è sempre vero che la stupidità esiste, per quanto “impegnata”.

Si critica Trump per una serie innumerevole di motivi, compresa naturalmente l’economia Usa, ma non si dice che l’economia in A erica è solida, la più solida, cresce quasi al livello della Cina, gli investimenti in dollari al massimo, e l’euro, malgrado questa corsa al dollaro, pure ai massimi, nel cambio col dollaro. È opposizione? A chi, a se stessi?

Si critica Trump e poi si riporta un conto delle spese Nato che vede gli Stati Uniti finanziare l’alleanza per i due terzi, 997 miliardi di dollari su 1.506, il 3,4 per cento del pil – più di ogni altro (secondi solo alla Polonia, che si arma da tempo contro tutti, per ora contro la Russia).

Negli accordi mediati dalla Croce Rossa e dalla Turchia, la Russia ha restituito all’Ucraina nei tre anni e mezzo di guerra 13 mila corpi di soldati morti, l’Ucraina alla Russia “un migliaio”. Sono la verità della guerra, dietro le “notizie di guerra”, la propaganda, di cui siamo vittime - anche la restituzione dei prigionieri è stata salutata come un segno che la Russia sta perdendo la guerra, “troppi morti”.

Su Epstein, il ricco newyorchese che forniva ragazze, anche minorenni, agli amici, sono chiamati a dare contro alla commissione d’indagine del Congresso i Clinton, lui e ei. Ma i media parlano solo di Trump, se e quanto era amico di Epstein, e se ne aveva “approfittato”. C’è uno scollamento, una voragine, tra l’“opinione pubbica” mediata dai media, e l’opinione comune, sensata, democratica. I media classici si sarebbero detti del salotto buono. Ora sono del tinello, piccolo borghese.  

Il Napoli calcio indovina sempre tutti gli acquisti, pagando poco, la Juventus li sbaglia, li sbaglia tutti, spedendo molto. Una costante da troppi anni. C’è una ragione? Stupidità non è – quello che si è “sbagliato” di più alla Juventus, roba di un paio di centinaia di milioni, è un dirigente che se ne intendeva del Napoli.
Il problema del calcio è che non si conoscono i domicili fiscali dei mediatori – agenti, etc.. Cioè si conoscono, ma sono coperti dai paradisi fiscali.
 
 

La commedia del teatro

Uno smontaggio del teatro, della finzione teatrale. Del “Gabbiano” di Cechov e del “Santa Govanna” al cinema di Dreyer. Delle tante incongruenze e anche scemenze implicite nelle figurazioni, nei dialoghi, nelle situazioni canoniche dei personaggi. Legato dal filo medianico di una nonna defunta che tutta la vita volle essere attrice di teatro, benché star della radio, e morì con qualche particina nelle filodrammatiche. Come a dire che teatro siamo tutti noi, anche fuori della scena.
Una performance tenuta assieme, senza i sussidi teatrali, scene, luci, costumi, trucchi, macchine, da due attori giovani, Olga Mouak, franco-francese, e Arne De Tremerie, fiammingo. Lui più invadente, agitato. Lei più padrona, sottotono, con monologhi da applauso. E più nel ruolo, volendosi l’esperimento coinvolgente anche degli spettatori: al pubblico romano offrendo appigli svelta, in una battuta –“si chiude tutto” (i centri sociali? i teatri? non importa), “speriamo in CasaPound”, etc.. A loro sarebbe dovuta la scelta del “Gabbiano” e di Giovanna d’Arco: la nonna di De Tremerie è morta quando lui entrava alla scuola di teatro con un “pezzo” del “Gabbiano, Mouak è cresciuta a Orléans, il luogo della Pulzella, e ha avuto una nonna in Camerun che sentiva anche lei le voci, ed è morta bruciata. Ma questi pecedenti sono ininfluenti.
Un esperimento semplice, una “decostruzione” derridiana, a suo modo memorabile. Se non che il pubblico, impreparato (o troppo preparato, di addetti ai lavori, attenti ai meccanismi?), ha mostrato di seguire con apprensione. In attesa dell’esito, di un esito, che invece era nella forma – decostruzione non significa oggi più nulla, benché tardo novecentesca: il millennio non ha memoria. E quindi ha fatto mancare la sponda necessaria all’esperimento, la reattività, il ghigno, la risata, la protesta, il buu, l’applauso. Sordo anche alle tante “arie”, pezzi di bravura, dei due artefici – specie a quelle, gestite con piglio da primadonna benché sottovoce, sottotono, soave, di Olga Mouak.
Questa prima uscita dell’esperimento ha in Italia (la pièce è stata ordinata per il festival di Avignone) lo svantaggio di rimandare alle traduzioni in didascalia, su un pubblico franco-fiammingo potrebbe fare un ottimo spettacolo comico.
Milo Rau, La lettre, Romaeuropa Festival, Teatro Vascello