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martedì 2 settembre 2008

Secondi pensieri (17)

zeulig

Coscienza – Si cambia, ma sempre per aggiunte al già noto, se non c’è il vizio di scaricarsi la coscienza. La quale, dice Freud, è “angoscia sociale”, e secondo Hamsun “fu inventata da quel vecchio maestro di ballo, Shakespeare”. S’impara anche a trent’anni, superata cioè l’età scolare. Anche ciò che è volatile. “La cosa al mondo più difficile da conservare è la coscienza”, Camus annota nel diario: “Di solito le circostanze vi si oppongono, che spingono alla dispersione”. Di solito la dispersione s’intende dell’io, con o senza la rima in Dio.

Coscienza di che? Anzitutto la coscienza si deve definire. Psiche fu a lungo vittima di Amore. O meglio, perseguitata da Venere e protetta da Amore. Per Venere intendendosi la materialità dell’atto, sesso era la femmina, sentimento il maschio. E Psiche chi è?

Locke forgiò e diffuse consciousness, per distinguere tra inconscio e consapevolezza, la misura della coscienza con la realtà. Sono catabasi, ecco cosa avveniva e ora non avviene più, se ne facevano sempre in antico, per trovare l’amore e ogni altra.

Per i ladri è la morte, nel Dictionnaire di Vidocq. Se non è lo Stato. Sempre Hegel afferma che “lo Stato è lo spirito che risiede nel mondo, e si realizza nel mondo attraverso la coscienza”. La coscienza anima della repressione. Per la tecnica, perché no, del flusso di coscienza, la letteratura del Novecento.
Del racconto senza interruzioni è maestra Vernon Lee, frasi di una pagina, modellate, senza ripetizioni né anacoluti, o soffi al cuore, un gioco d’incastri senza fatica. Il flusso di coscienza invece si vuole debordante. E dunque è la coscienza uno sciacquone?

Non è nel Vangelo, non c’è pentimento richiesto nel Vangelo, con la malinconia dell’esame di coscienza. Si facevano l’esame pitagorici, stoici ed epicurei. La chiesa lo imbarcò pare con la confessione obbligatoria del Concilio Lateranense II, quindi nel secolo dodicesimo – è con l’anno Mille che si forgia la chiesa (e l’Occidente) sessuofobica, colpevolista, autoritaria.

La compassione non è una virtù, dirà Kant. Né la compiacenza. Già Erasmo se lo diceva con Lutero. Ma, aggiungevano, l’esame di coscienza largamente restringe, o almeno modera, la na-turale turpitudine. Fare tesoro dei propri errori, dicono i maestri di scuola. Ma questa è la maniera d’essere, per tentativi ed errori, e non la lezione della storia. La storia dice che bisogna guardarsi poco indietro, una volta preso il passo, e senza supponenza, con semplicità, procedere.

Laicismo – Era la filiera “Mondo-Espresso-Repubblica”, dalla quale è stato dichiarato morto trenta’anni fa, in favore di Berlinguer e De Mita (le “subculture” comunista e confessionale). Dopo essere stato a lungo le leggi eversive per l’appropriazione della manomorta, con un po’ di teismo massonico, che s'intende sulfureo. Non è il radicalismo di Pannella: il laicismo non è eversivo, totalitario.
È l’approccio non prevenuto e curioso all’esistenza e agli altri. I primi e soli laici nell’Italia unita sono stati a lungo, fino ai popolari di Sturzo, i cattolici. Che il laicismo fangoso dei Savoia, ex clericali, lasciava ai margini.

Leggere - È viaggiare, si dice. Ma è operazione attiva e non passiva quale il viaggiare, leggere si può solo da fermi. È il panorama che cambia.

Marx - Sarà stato l’ultimo cappello europeo posto sul mondo. Più radicale a volte, sicuramente più esteso, della stessa rivoluzione francese, dei diritti dell’uomo e dell’individuo. Non tanto per i diritti della classe – ma l’invidia sociale conta – quanto per quello della giustizia, che è fortissimo. Ma si è lasciato manipolare dai russi. E l’Europa avrà trascinato all’ultima rovina.

Morale – La questione morale è l’arma decisiva per depotenziare la politica e sottrarla alla democrazia. In tutte le epoche - il controllo democratico è attivo in tutta la storia: da Cicerone-Catilina in poi, e evidentemente anche da prima. La questione morale è il paravento e l’arma del segreto.
A lungo è stata agitata dai liberali (“laici”) che non riconoscevano la democrazia. Ceti caratteristicamente arricchitisi non con l’impresa ma con la manomorta – l’esproprio e le soppressioni napoleoniche e risorgimentali – elevata a diritto: gli assertori e difensori del diritto di proprietà si sono imposti con l’appropriazione indebita.

Natura – In buona misura è umana.

Ottimismo - È energia nel malessere. È la ragione.

Pentimento – Statisticamente, i criminali sentono il bisogno di confessare. A chiunque, pare, qualsiasi cosa. Non di pentirsi dunque, o di punirsi, ma di raccontarla. Il pentimento è narrazione.

Come fatto attivo – denunciare, quindi giudicare – è in realtà non pentirsi. Il vero pentimento è autoannullamento – è la metafora della prigione.

Scritture – Sono sceneggiature. Non si leggono altrimenti, come una saga, per esempio, né sono libri profetici, o teologici, e nemmeno filosofici, e la storia che c’è vi è mascherata. Sono una serie di immagini, scene e persone in movimento: Giobbe, Abramo, Salomone, Noè, lo stesso Gesù e Maria nei Vangeli, non sono “comprensibili”, ma sono visibili, visibilissimi, e vivi, compagni di viaggio che abbiamo sempre avuto, di quella realtà complessa o umanità che il cinema sa riprodurre. Sono narrazioni, a scena scontornata, che si susseguono e si sovrappongono.
Non diversamente è nei sogni, a saperli, e volerli, ricostruire.

Scrivere – È esplorare. Più spesso con le fattezze malaticce di un Livingstone, o con l’avidità di un Colombo, di uno Stanley, ma con curiosità inesauribile. Magari sull’uscio di casa, se non dentro, ma con fantasia. Ogni esplorazione è una creazione dell’esplorato.

Il fatto è che, per non essere immortali, ci siamo abituati a storie con un fine, a cui tutto corre, e questo fa il disadattamento dell’occidentale. Si dice che sia per il razionalismo, ma è per una narrativa distorta, costruita. Come quella di Gide, che ha scritto la sua Resistenza, nel “Diario”, dopo i fatti, tacendo che il “Diario” era stato già pubblicato nella rivista di Drieu La Rochelle – e nessuno glielo rimprovera: Gide può non essere onesto. Le virgole sono essenziali alla storia, sia alla scrittura che al senso. È spostando le virgole al libro di “Daniele”, spiegò famosamente Lutero, che i rabbini escludono e irridono il Cristo. Virgole e citazioni sono insidiose non solo nei testi sacri, necessariamente vaghi. Lo stesso l’uso della congiunzione. In certe traduzioni della Bibbia, o dal tedesco, non si sa se una persona è vissuta due volte, cinque anni e cento anni, oppure centocinque anni. Lo scrittore dev’essere incompleto.
Dickens voleva creare una nuova forma narrativa, il superromanzo, che sarebbe consistito di diversi romanzi intrecciati. Ma un romanzo è già un intreccio, più o meno forzato. Bisogna adottare la calligrafia cinese, della storia come viene, meglio rispondente al suo carattere fluviale, i caratteri si modulano dopo, con le vicende. E pur non possedendo i linguaggi, quello della musica per esempio, si può avere l’orecchio assoluto, per esempio per la musica delle idee. Non per gli echi, i ritmi, le assonanze, le consonanze, ancorché melodiche, della retorica, ma per la capacità evocativa che alcuni scrittori hanno, anche dissonante. Montaigne per esempio, che, ragionando, è filosofo di trivialità, fa musica interminabile, per fughe, contrappunti, danze popolari, apre valli e colline. Shakespeare è un altro, rispetto all’eccessivismo elisabettiano, che mette in versi l’incredulità barocca, per le idee che ingenera a ogni immagine. Anche Dante a una dizione: senza le note erudite è pieno di risonanze.
C’è in inglese una funzione e una parola che non c’è o non usa in italiano, il dimmer. Che, venendo da dim, dovrebbe evocare l’idea di pallido, indistinto, oscuro per luce insufficiente o percezione insufficiente, ma è in realtà uno strumento che adatta la luce, dal faro solare all’ombra, giusto quel grado che è necessario, per un’esigenza di risparmio e di uso ottimale dell’energia, evitando gli sprechi della luce costante, e l’intromettenza. Un narrante che non sia io e non sia terzo – i quali, si sa, sono falsi – e non sia sempre uguale, impostato come un cantante d’opera, oppure umile ma ripetitivo, costante in qualsiasi evento o piega della narrazione. Che sia invece modulabile, umile se si vuole ma per esigenza e non per ruolo, o stentoreo.

zeulig@gmail.com

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