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martedì 3 luglio 2012

Letture - 101

letterautore

Gattopardo – È un romanzo comico, il piglio a volte è da Cervantes, caustico. La sua cifra è l’irrisione, un’ironia anche pesante. Fin dalla prima riga, “la recita quotidiana del rosario era finita”. È un altro “Pasticciaccio”, che invece di un qualsiasi Ingravallo molisano ha a protagonista un principe Salina, altrettanto robusto e confuso. Con lo stesso uso sprezzante del dialetto, gaddiano e meridionale, come estraniamento corrosivo (del re napoletano e altri minori) e luogo del ridicolo (rodomontesco, teatrale) – o deprecatorio in versione plebea.
Anche il Risorgimento, più che una lettura storica è un aneddoto: l’incapacità di un pusillanime di non pensare che per frasi fatte.
Al formidabile esito del romanzo come coscienza di un mondo, la Sicilia, e di una nazione, l’Italia, bisogna fare capo per programma al completamento della rilettura. Tanto essa si svolge lieve tra svagate pennellature: bons mots, manierismi, freddure. Memorabili a volte, ma più per essere costanti, nel senso dell’autodiminuzione, il più sicuro riparo del dandysmo. Si vuole l’Italia smargiassa (stupida) o dandy?

Lampedusa come Gadda, il miglior Novecento italiano, sono letterati e dandy, non altro. Non sono politici, arditi, filosofi, innamorati.
Dandy per essere letterati: la letteratura è possibile in Italia disprezzandola, apparentemente.

Intellettuale – “Rousseau mentiva e credeva alla sua menzogna”, nota Tolstòj: l’intellettuale è fangoso.
Tolstòj critica Rousseau per aver cresciuto i figli al brefotrofio, dopo aver fatto gran numero della propria infanzia nelle “Confessioni”. Ma di lui Turguenev spiega così il terribile segreto che lo opprimeva: di non riuscire ad amare altri che se stesso.
“L’anarchica onnipotenza della personalità è un lapsus”, dice ancora Tolstòj, “bisognerebbe dire monarchica”.

Il popolo è non a Marx ma all’intellettuale che piace, creatura del romanticismo fumoso, che pensa di farsene guida – la volontà del popolo. Gramsci lo sapeva: “In Italia il marxismo è stato studiato più dagli intellettuali borghesi, per snaturarlo e rivolgerlo ad uso della politica borghese, che dai rivoluzionari”. Gentile o Pareto, l’Italia è “Machiavelli dopo Marx”, direbbe Noventa, liberale e socialista pentito.
“L’appello ai principi immateriali è il rifugio della filosofia pigra”, questo lo dice Kant visionario. Che però ammonisce: “Il materialismo, se ben si considera, uccide tutto”.

Kerouac – Il maledettismo serve a ritmare l’esperienza, cioè l’esistenza. Fino al virtuosismo della frase corta, che prima di Hemingway è della Bibbia di re Giacomo, e i parroci praticano – solo parroci veri potevano mandare Ginsberg in carcere a Spoleto, perché “Who to be Kind to” è osceno, per concorrenza. La narrazione fratta era tecnica all’epoca che da mezzo secolo gli italiani sperimentavano, al cinema. Capaci di entrare nella storia in qualsiasi punto e ricomporla, bucando la coltre di fumo davanti allo schermo. Resta una tecnica a finalità didattica: non la storia interessa ma come si costruisce. E rimanda allo psicologismo che il taglio brusco doveva bandire.

Kerouac, l’inimitabile Ti-Jean, fu scrittore assonnato a Milano quando venne per “Big Sur”, che lasciava la moglie a casa dalla mamma. Ma sapeva ridare vita a Luisa Casati, la marchesa che a Parigi volle impersonare il secolo. Gli americani sono capaci di sapere il buddismo, se non di praticarlo, e la scansione del greco antico, con tutte le loro biografie manuali. Oppure, avendo in mente Dean, Presley e Chet Baker, le vite bruciate, si può dire così: l’esperienza di corsa è l’odierno patto col diavolo, una grazia infinita, in corpi anche torpidi, a fine rapida.

Occidente - L’identità prende consistenza nell’arte. È nell’arte che ogni cosa prende durezza, quindi identità. Non solo la pietra si anima, ma si definisce, dopo che è stata cavata dall’informe.. A lungo l’Occidente ha reso la vita difficile allo scrittore. Solo i pittori, gli scultori e gli architetti potevano mettere i potenti l’uno contro l’altro. Ai poeti, e ai musici, l’Occidente ha dato da mangiare, ma da servi. Il menestrello doveva, ancora nel Quattrocento, “inventar rime, giocare di scherma, suonare cimbali, tamburi e la ghironda, la cetra, il mandolino, il clavicembalo e la chitarra, lanciar mele e riprenderle sulla punta di un coltello, imitare il canto degli uccelli, eseguire trucchi con le carte e saltare attraverso i cerchi”. Può salvarsi un menestrello? si chiedeva Honoris de Autun, teologo, e rispondeva: “No”.
Oggi di nuovo. L’America onora i poeti: siamo la nuova Gerusalemme, dice Melville, la quarta, se la terza è finita a Mosca - la seconda fu data dai cristiani, d’Occidente e Oriente, ai turchi. Ma ha perduto il senso dell’arte nella vita, estetico e manifatturiero. Sotto il dilagare del bisogno, posticcio, la privazione di beni accessori, che mai saranno bastanti, per la nota procedura di Sisifo: la civiltà dei consumi statuisce l’indigenza.

Oriente - L’Oriente è, per l’Occidente beat, la speranza della sopravvivenza, che Budda considera una sventura: “Lo stesso Budda della Luce Infinita ha scelto il paradiso d’Occidente, che il sanscrito chiama Terra Pura, per condurci man mano tutte le creature”, ha lascato scritto Massimo Scaligero, esperto adepto. Con un barbaglio si spera d’ironia, avendo appena letto tre romanzi asiatici in cui il protagonista sta in un pozzo. Di tempi e mondi diversi, giapponese, turco, indiano, ma è capitato di leggerli di seguito. È l’aneddoto di Talete stiracchiato e intristito, da romanzi pure molto amati: favole lunghe che si vorrebbero lette per giorni col soffio sospeso dell’haikù, senza rime, senza ritmo, senza grazia. Sono ideologie: l’Oriente non è fantasioso, è realista e duro. Anche dov’è aggraziato. Fanno di Budda l’apostolo del nulla. E quindi buono a tutto, la carta della fortuna.

In altre letterature i beat sarebbero una nota a pie’ di pagina, e più per l’ingenuità, il vitalismo di scrittori che sono stati o si vorrebbero ladri, pugili, lavapiatti. Dell’America che si specchia nelle squadre muscolose di hockey, basket, foot-ball, sport veloci di gruppo, di forza, avendo un cuore che è una macchina possente. Insipida ma per igiene. Copia dell’America di Campanile, dove non si può essere miliardari se non si è stati lustrascarpe e strilloni, per un dovere della selezione naturale che pervicace rifiuta. Ma restano parrocchiali i suoi maledetti, nel mondo d’idioti, bestie da soma incolte che fu l’umanità della frontiera, se si montavano a dieci, dodici anni, benché anch’essi figli di mamma. Non si ride con loro, se scoreggiano è con intensità. Buoni cronisti sono, epigoni del neo realismo, di tele di fondo e quadri di genere. Proprio come Loti, precursore pure in questo, che per fumare s’inventò l’Oriente, e all’amata Aziyad assicurava‚ che si porterà dietro da morta: “Ti giuro, Aziyad‚ che lascerei tutto senza rimorso: posizione, nome, paese, amici. Ma vedi, ho una vecchia madre”.

La chitarra di Hendrix era blasfema per il sitar, l’orecchio indiano, e Ravi Shankar. Che al Madison Square Garden non poté non dire la verità: “Grazie per gli applausi ma stavo accordando lo strumento”. È infantile il grafismo degli informali a fronte dei calligrammi mandarini - nell’Ottocento lo erano i quadri orientali di genere e le croste Qajar a imitazione della pittura europea.

Traduzione – Borges, che come narratore si vuole trapiantatore, sia pure di testi inventati, definisce la buona traduzione, trattando “I traduttori delle «Mille e una notte»”, come quella che radica il testo in una cultura. Nella traduzione francese di Galland il lettore del Novecento ritroverà con gusto “il sapore dolciastro del diciottesimo secolo francese” e in più “l’aroma orientale” che aveva sparso la traduzione all’uscita. Quella inglese di Burton era intesa a divertire il lettore del diciannovesimo secolo con “romanzi a fogliettone del tredicesimo secolo”. La traduzione tedesca di Enno Littmann, giudicata la più aderente all’originale dalla “Enciclopedia Britannica”, rigettava come insipida: “In Littmann, incapace, come Washington, di mentire, non si trova nient’altro che probità tedesca. È poco, troppo poco”. La traduzione è letteratura, vuole sapore.

letterautore@antiit.eu

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