Cerca nel blog

lunedì 30 marzo 2020

Il virus colpisce la Cina e il mercato globale

“In ogni caso il coronavirus altera il disegno dell’ingegneria sociale finora applicato al mondo globale”.  Per la riedizione del suo saggio critico sulla globalizzazione di appena un anno fa l’ex ministro del Tesoro cambia gli “Appunti per il futuro” del sottotitolo. In un’edizione aggiornata da una nuova prefazione: “Questa pandemia è il tipico «incidente della Storia». Un precedente, per capirci, è stata Serajevo”. Il virus imporrà “un cambio radicale nel paradigma finora positivo e progressivo della globalizzazione”. Che era, o si mostrava, tutta benefici, e ora non più. A partire dalla Cina, che ne è il pivot e anche il nucleo centrale e condizionante.
Tutto Tremonti rimette in discussione. La marcia gloriosa della Cina come superpotenza mondiale, basata sul commercio invece che sulla guerra: “È facile prevedere che almeno per un po’ di tempo si fermerà l’ascesa della Cina nella costellazione del potere globale”. E la divisione internazionale del lavoro, nella quale ora tutte le “catene di valore” (produzione) mondiali fanno capo alla Cina: i popoli, e quindi gli Stati, impareranno dal virus, più o meno consciamente, che bisogna stare in guardia. E, forse, che il business non è tutto. O meglio: che il business migliore e più redditizio è quello che non abbandona la guardia. 
L’economista Tremonti scrive rotondo, quasi oracolare. Ma sa e ci vede giusto. Per un moto irriflesso, si dava per scontato che nella globalizzazione tutto andasse per il meglio nel migliore dei mondi possibili. Il virus forse non romperà quella realtà, quel mercato, ma l’incantesimo sì: ora si sa che “niente è sicuro, niente può essere escluso”. E quindi bisogna stare in guardia.
Nel saggio, appena un anno fa, Tremonti vedeva la globalizzazione come una utopia, e la realtà tornata agli anni 1920 della repubblica tedesca di Weimar, reputata per il disordine economico e sociale. Che incubava virus politici estremi. Ora dopo il virus propriamente patogeno, ipotizza un mutamento di psicologia e anche di prospettiva, di fronte al cosmopolitismo degli affari.
Una delle tre profezie del titolo era l’inevitabile crisi di una civiltà che si voglia cosmopolita, una riflessione di Leopardi. Le altre due sono derivate una da Marx: la deriva del capitalismo globale. E una dal “Faust” di Goethe, la cui minaccia, del potere mefistofelico del denaro, Tremonti aggiornava ai poteri digitali.
Giulio Tremonti, Le tre profezie, Corriere della sera, pp. 173, ril. € 16

domenica 29 marzo 2020

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (420)


Giuseppe Leuzzi
Alessia Candito è inviata nella Piana di Gioia Tauro dal “Venerdì di Repubblica” a trovare gli africani morti di virus. Non ce li trova, ma fa lo stesso il richiesto articolo di colore sulle bidonville. Eroico perché, nonché i morti, non c'è neanche il razzismo, nel posto probabilmente più accogliente, e comunque umanamente più civile, verso gli immigrati africani, in tutta Italia.
E forse nemmeno più le bidonville, se non si riesce a fotografarle.

“Il mio vicino ha votato contro di me”, confida a “Io Donna” un volenteroso expat italiano a Londra, desolato dal Brexit. Partono sempre i bastimenti, per terre assai lontane. Ma senza bisogno e per andare al peggio non si era ancora mai visto.
L’interpellato di “Io Donna” è di famiglia leghista, e i leghisti guardano a Nord?

E la mafia?
A quaranta giorni dall’inizio riconosciuto e dichiarato del contagio si osa dire - “la Repubblica” osa, per l’autorevolezza del suo direttore - che, forse, perché no, bisognerebbe chiudere la Lombardia: “I numeri di contagi e morti mostrano che la regione è un caso a parte. Serve il coraggio di isolarla per due settimane”. Ma con calma.
Il pericolo in questa fase dell’epidemia è la Rivoluzione Nazionale a Palermo, della spesa gratis. Con gli analoghi gruppi militanti di facebook – sempre a Palermo, ovviamente con la mafia.
Anche Giovanni Veronesi  è del parere, su “La Lettura”: che starà facendo la mafia? Le mascherine.
Ma sulle mascherine il Sud non è solo: la concorrenza è forte. Si vede dai tanti articoli di giornale in cui i fabbricanti di mascherine denunciano i concorrenti – non li denunciano direttamente, li fanno denunciare dai giornalisti, tramite i vispi uffici milanesi di pr.
Questa non è mafia naturalmente – almeno ancora no, non è morto nessuno. Ma la rapacità non è da meno.     

Il Sud non fa notizia
Le uniche notizie dal Sud in tempo di virus sono le intemperanze del De Luca di Napoli e di Emiliano a Bari, la spesa gratis dei Gruppi Rivoluzionari di Palermo (sperando che si ripetano, sono singolarmente inattivi), i bambini della scuola materna della stessa Palermo di cui la direttrice lamenta che non  hanno il laptop a casa, nemmeno un tablet (il computer a cinque anni?), e il De Luca di Messina, col sindaco di Bari Decaro, in piazza per il distanziamento. Per le terre incognite il giornalismo ha bisogno di “colore”. Al Sud di eccentricità (follia), e di mafia. Altrimenti il Sud “non fa notizia”.
Molti anni fa, non molti ma si direbbero secoli, l’Iran “non faceva notizia”. Se non per la moglie dello scià, Farah Diba. I movimenti politici contrari al regime imperiale erano numerosi e attivi, dentro e fuori, e i prigionieri politici migliaia, ma non facevano notizia. Poi la Francia (la Francia di Giscard d’Estaing: la massoneria buona?) s’inventò Khomeini, o il primo passo verso l’islamismo al potere, e all’improvviso il regime più stabile e noioso del Medio oriente crollò, con conseguenze che ancora paghiamo, noi e gli iraniani – e gli stessi islamici.
Il Sud ha bisogno di un Khomeini per fare notizia? Di un’interruzione – una sollevazione, un contagio velenoso (i terremoti non bastano più)? Ha bisogno di una scossa, fuori dall’inerzia ebete. E, certo, di una “massoneria” che la imponga, di collegamenti, di uscire dall’isolamento. Che però continua a cercare in Italia, cioè al Nord.
 
La peste a Milano
Non si sa se piangere o ridere di questa peste del 2020 con cui la Lombardia ha infettato l’Italia e mezza Europa. Poiché è così, si comincia ad ammetterlo. Garattini onesto, dall’alto dei suoi novanta anni, il fondatore e presidente tuttora attivo dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” a Milano, pur con un linguaggio prudente e anzi contorto lo spiega a Paolo Berizzi, “la Repubblica”, venerdì:
Estratti:
“Il senso della vita viene prima del senso degli affari. Ma qualcuno, forse, ha invertito le priorità”.
“Se nella nostra Regione i numeri sono così alti è anche perché non hai fermato prima le aziende. E comunque, anche se avevi deciso di tenerle aperte, non hai protetto i lavoratori, che continuavano a spostarsi per andare in fabbrica. Così si sono moltiplicati i contagi”. Non si sono chiuse le fabbriche, spiega l’eminente farmacologo, non si sono protetti i lavoratori, in fabbrica, e nei pendolarismi. 
“Non abbiamo nemmeno protetto chi lavora negli ospedali e nei luoghi di cura, nelle case di riposo, negli studi medici”.
“La mancata attuazione della zona rossa in valle Seriana”, sopra Bergamo, “nonostante l’allarme lanciato dall’Istituto superiore di s anità, fa molto pensare”.
“Alla tutela della salute si è anteposta l’economia, il lavoro, la produzione a tutti i costi”.
Di Bergamo, la sua città: “Il combinato disposto di più fattori l’ha trasformata in un terreno di guerra”. Questi i fattori: “Mancata chiusura del focolaio Alzano-Nembro, e dunque circolazione degli uomini e delle merci. Ospedali e personale non attrezzati… Eventi di massa come la partita Atalanta-Vaencia”. La mancata “mappatura dei lavoratori delle fabbriche” - “Fare i tamponi a tutti i lombardi in questo momento è impossibile, ma bisognava farli a chi, sul posto di lavoro, poteva essere contagioso”.  
Bisogna naturalmente piangere. Ora che ci sono i morti, tanti morti, e anche dopo. Ma la lezione da trarre è inevitabile, e anzi d’obbligo: l’approccio leghista alla cosa pubblica - “ho ragione io, io so e sono più e meglio di tutti, e non rompete” - è sciocco, è perdente,  e nel caso assassino. Per gli stessi leghisti, certo, ma con danni enormi per chi riescono a contagiare, o controllare, senza difese o anticorpi possibili, che sono gli italiani.
Si dice: Milano ha sbagliato per voler lavorare, non per andarsene in Costa Azzurra o ai Caraibi. Non è vero nemmeno questo, poiché se ne sono andati nelle seconde case in Liguria, in Lunigiana e nelle Marche – oltre che in Puglia, Calabria e Sicilia. 
Ma, poi, anche la fuga non è “sistema”. Milano ha sbagliato e sbaglia per il vizio bauscia, del faccio tutto io sbruffone. Che funziona bene per vendere. Meno bene per produrre – bisogna avere antenne, ascoltare, conoscere il mondo. Per nulla in politica: i governi milanesi, da Berlusconi a Monti, sono stati deleteri, per il Sud ma non solo – specie il professore Monti, che ha disseminato patrimoniali su ogni canto della vita quotidiana, anche minimo, dalla bolletta della luce (come farne a meno?), al conto corrente, per continuare a spendere a favore di chi già aveva, deprimendo ogni tipo di spesa e la stessa vita economica.
Non c’è una lezione per il Sud da questo disastro. Se non di capire dove Milano è utile, o può esserlo (saper vendere) e scrollarsi di dosso lo stigma leghista, che tanta parte ha nei suoi disastri. Suoi del Sud. Dalle saghe mafiose dei media alle banche.    

Il contagio venuto dalla ricchezza
Il coronavirus si è diffuso tra- e da- le regioni ricche: Hubei in Cina, Lombardia, Catalogna, New York, ora Londra.
Dalle metropoli o aree a maggiore densità demografica? Non necessariamente: Seul, Shangai, Hong Kong, Singapore se ne sono tenute fuori.
Anche queste megalopoli, per la verità, sono ricche – anche se meno, forse, di quelle più colpite dal virus. Ma sono ben governate. Democraticamente, non col pugno di ferro, eccetto Shangai.
Dov’è la differenza, allora, che fa una regione più contagiosa? Nella ricchezza, si direbbe, col malgoverno. Che non è solo corruzione, è anche superficialità e supponenza.
Il primato vuole sfrontatezza, e presuppone (concede) superficialità? Perché no.


leuzzi@antiit.eu

Perché c’è qualcosa invece di niente

Un tema allettante: il “giallo” dell’esistenza. Non c’è risposta al quesito, benché l’indagine sia laboriosa, con molti testimoni, anche molto intelligenti. Ma bisogna saperlo. La “detective story filosofica” del sottotitolo si legge per questo, pur subodorando che il dénouement non ci sia, con soddisfazione – indigesto, impensabile, un giallo senza svolta finale, ma qui vale il criterio opposto: vediamo come tutti vanno a sbattere.
Il proposito è semplice: “Veloce dimostrazione del perché esiste qualcosa piuttosto che il nulla, per gente moderna e parecchio impegnata”. Veloce no, Holt interroga numerosi “esperti” o comunque cultori della materia. Per pagine molto lunghe a corpo minuto. Partendo da Leibinz, quello del “migliore dei mondi possibile” che tanto Voltaire si occupò di irridere, in “Candido” e non solo.
E dal presupposto: assurdo io, assurdo un universo senza spiegazioni. Scartando le “cause finali”, che portano sempre “a pessimi esiti” – quelle che facevano ridere Voltaire, del tipo “perché piove?” “per far crescere le piante”, ma questo in primavera, e in autunno? Interpellando “filosofi,  teologi, fisici delle particelle, cosmologi, mistici, e perfino un grandissimo scrittore americano”, che è John Updike, ma anche fisici teorici, matematici, e moralisti, nonché le Scritture.
Il problema è recente. Prima, nella Bibbia, c’era il caso, non il nulla. Sono i primi padri della Chiesa che trovano più conveniente all’onnipotenza di Dio la creazione ex nihilo. Poi imitati dalla teologia islamica. E dal pensiero ebraico medievale - Maimonide. E resta un problema cristiano, da filosofi cristiani, Holt si fa spiegare da un arguto ateista, Adolf Grünbaum, “il più grande filosofo della scienza vivente” – ora morto, due anni fa: nonché la Bibbia, i greci e gli indiani non se lo pongono.
Heidegger lo ripropone, spiega Holt arguto, nel 1935, al corso accademico da rettore nazista di Friburgo, “sostenendo che «Perché vi è l’essente e non il nulla» è «la più vasta», «la più profonda» e «la più originaria» delle domande”. In realtà il corso estivo del 1935, che sarà poi pubblicato come “Introduzione alla metafisica”, è di oltre un anno dopo la “dimissione” di Heidegger da rettore.
Il libro riepiloga e spiega tutte le ipotesi storiche: “l’argomento cosmologico”, “l’argomento ontologico”, il “multiverso”, il “principio di fecondità”, etc. una casistica énaurme direbbe padre Ubu. Di passaggio Holt, saggista, esperto divulgatore di filosofia, per un periodo “Archilochus Jones” sul web, esplora e ripropone eventi e concetti sorprendenti o trascurati. L’avventura dello zero. Il gesuita di Lovanio che “inventò” il Big Bang nel 1927, Georges Lemaître. L’“insieme vuoto” -  l’insieme delle presidentesse americane. Ma non insegna nulla, la sua è piuttosto una passeggiata tra i divertimenti, seri, di fisici, filosofi, ontologi, teologi, eccetera, tutti quelli che sanno, e non  sanno perché. Però, forse è come dice Max Scheler, “il diplomatico e filosofo tedesco”: “Chi non abbia mai, per così dire, gettato lo sguardo nell’abisso del Nulla assoluto, finisce fatalmente col perdere di vista il carattere eminentemente positivo  della consapevolezza che esiste qualcosa, anziché il nulla”.
Con qualche pointe, qua e là, per alleggerire il mattone. Sartre è “Hegel al café Flore”. Oltre Reno, horresco referens”, c’è solo “il “farraginoso Heidegger” – si cita, di sfuggita. Contro il multiverso, in tutti i versi - anche quello che Woody Allen (sic!) confessa a una rivista cattolica. Stringhe comprese. Divertito con i “platonici”, Gödel (Escher), Thom, Feynman, Penrose, e per essi Leslie, con cui Holt dialoga a lungo. Gradevolissimo si manifesta da ultimo Updike, filosofo della domenica, studioso di Karl Barth, in un paio di romanzi (“La versione di Roger” è uno) e al telefono, e (forse) il più vicino alla cosa. Prescelto tra i luminari  per la formula della poesia “Midpoint”, 1969: COSCE = 1 / ANGOSCE, ma scelta non anomala, tanto per ingolosire il lettore fra tanto filosofame - lo scrittore è di sicuro il più chiaro, leggere per credere, quello che meglio ha presente e presenta il problema.
Uno degli autorevoli, simpatici, testimoni, Richard Swinburne da Oxford, anche lui epistemologo di rango, semplifica il problema: “Resta il fatto che un universo c’è, mentre potrebbe non esserci stato”. Holt non prende posizione. L’ultima sua parola è “all’apatia cosmica”.
La traduzione, di Luca Fusari, è un gran lavoro dinvenzione. 

Jim Holt, Perché il mondo esiste?, Utet, pp. 365 € 16

sabato 28 marzo 2020

Ombre - 506

Inghilterra in ansia per Carrie Symonds, la fidanzata del capo del governo Johnson, positivo al coronavirus. Carrie è in attesa di un figlio, “il sesto figlio ufficiale” di Johnson. I “figli ufficiali” sono dunque sei, di cui solo quattro con la ex moglie, ma quelli effettivi si stimano il doppio.  L’Inghilterra sarà proprio un mondo a parte, se non c’è arrivato nemmeno il femminismo.

Formidabile Crosetti su “la Repubblica”, che il virus racconta con i morti. L’atleta. Il portuale gigante. La principessa di Borbone Spagna, una vita contro il franchismo. Il medico senza protezioni a Foggia. Il pneumologo esperto del virus. L’architetto che ha lasciato Harvard per Wuhan….

Si continua a fingere, ma è sotto gli occhi di tutti che l’epidemia si poteva e doveva affrontare  come in Cina. Nella Cina continentale, comunista. E fuori, a Taiwan, Hong Kong, Singapore, ottime democrazie. Non c’è bisogno di essere comunisti, basta non essere avidi.

La Lombardia è il luogo più infetto dal virus, e quello che ha contagiato i vicini, soprattutto in Emilia. “Se si guarda la distribuzione dei casi in Emilia, si vede che (il contagio) dipende dalla vicinanza a Lodi”. Questo lo potevano vedere tutti dall’inizio, ora lo vedono anche le Autorità.  
Non si può dire che non ci sia un miglioramento.

Non si sa se è la ministra Lamorgese uscita dalla sacrestia o il capo della polizia Gabrielli, ma quel modulo di autocertificazione cambiato ogni tre giorni, l’ultimo con rinvii a dpr e codicilli, e con terribili minacce, è insopportabile. O è per ridere, una imitazione degli spagnoli di Manzoni al tempo della peste?

Proprio il  ministero dell’Interno, il cuore del paese, non riesce a funzionare, al di là della burocrazia – dello sbirrismo. Con la tragicommedia della Protezione Civile che assegna a destra e a manca milioni di mascherine, tute, respiratori e quant’altro è necessario per evitare il contagio, ma nei magazzini regionali non si trova nulla – nei suoi magazzini, della Protezione Civile.

Non si sa se tra gli immigrati in Italia, asiatici e africani, ci siano contagi da virus – le statistiche non rilevano i luoghi di nascita. Ma l’ipotesi che il virus ammorbi i caucasici è fantastica.
Pur non essendo peregrina: le enormi superaffollate metropoli cinesi lo han evitato, Hong Kong, Singapore, Shangai, o cortocircuitato in fretta, Wuhan.

È guerra tra virologi su cause, modalità, effetti del virus. Propriamente guerra no, non si sparano, ma lotta continua. Però, quanti sono i virologi in Italia? E non si potevano svegliare prima?

Stanno per arrivare, arrivano, sono arrivati i colonnelli dalla Russia in veste di medici e infermieri  contro il coronavirus? I servizi segreti italiani sono all’erta – on rimasti al 1989.

I russi opereranno nell’ospedale da campo degli Alpini a Bergamo. “Colonnelli” forse no, ma un aiuto politico sì: dalla Russia come dalla Cina e da Cuba. La guerra fredda continua in corsia?

A Christine  Lagarde, alla Banca centrale europea, “non frega niente” dello spread, del rincaro del debito dei paesi europei indebitati. Ma per le banche apre un ombrello da centinaia, anche un migliaio, di miliardi. Le banche si chiamano Deutsche Bank e Commerzbank, come dire la Germania. E Société Générale e Bnp Paribas, come dire la Francia cara al suo cuore, di lei Christine. La Banca centrale di chi?

Jonhson e Trump alle corde

Business as usual alla City e a Wall Street, il coronavirus ha solo cambiato i modi di fare affari – la speculazione al ribasso può essere estremamente lucrativa. Ma non per i rispettivi governi, di Johnson e di Trump.
Johnson e Trump sono partiti in linea col partito degli affari. Con l’“immunità di gregge”: muoia chi deve morire, gli affari proseguono come prima. Ma quasi subito hanno dovuto cambiare approccio, e passare alla serrata.
Johnson si parla già di sostituirlo, sarà stato il Nuovo Churchill di un paio di mesi. Trump ha tutti gli indici contro, anche quelli di popolarità, e rischia di affrontare la campagna per la rielezione, fra tre mesi, con l’epidemia ancora in corso.
L’economia va comunque a rotoli, è l’opinione anche nel mondo degli affari non finanziari. Anche, di colpo, per Trump e Johnson. E chiudere la parentesi non sarà agevole.L’economia crolla perché si assottiglia o svanisce il consumo: non si compra e non si comprerà più nulla per un semestre buono. Si produce ancora ma per le scorte, cioè per un costo. Mentre cresce la spesa pubblica, per la salute e la sopravvivenza di chi non ha, che i governi e la mentalità di Johnson e Trump sono i meno adatti a gestire. 

La fine del laissez-faire

La globalizzazione viene in crisi negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, che sono i paesi che l’hanno teorizzata, voluta e imposta - fin nel linguaggio: non ci sono media immuni. E ne sono i centri nevralgici: Wall Street delle banche d’affari e i fondi speculativi (hedge) che tessono le fila, la City degli avvocati d’affari che le regolamentano – cioè non le regolamentano: le estendono, coprono, adattano. Ma ora l’opinone è che gli interessi costituiti strangolano l’economia, i fondi pensione come quelli speculativi. La pandemia non potrà avere una riposta e un rimedio di “mercato”.
Si disse lo stesso nella crisi del 1007-2008, dopo la quale invece nulla cambiò. Ma quella era un crisi in circolo ristretto, tra banche e banchieri centrali. Che se la sono risolta addossandone i costi agli Stati, senza per nulla sanzionarsi, né mutare le regole. Ora questo non è possibile.
Per una reazione popolare - Trump, outsider della politica, lo è per molti aspetti anche degli affari (banche e fondi). Per una reazione istituzionale, guidata ancora dagli interessi costituiti, ma non puramente finanziari (speculativi). Una reazione si prospetta necessaria da troppi pulpiti: il Congresso, i Comuni, i centri studi, i gruppi d’interesse. E con la recessione globale indotta dal coronavirus diventa probabilmente necessaria, e forse possibile.
Il laissez-faire è britannico (classista), cioè inglese e americano. E negli Usa e in Gran Bretagna uscirà dalla crisi con le ossa rotte, essendo già indebolito. Anche perché sprovvisto delle salvaguardie pubbliche che gli altri paesi occidentali, in qualche modo, si sono preservati.
Nel 2007-2008 il raddrizzamento non fu fatto perché i soggetti interessati erano gli stessi che avevano imposto la crisi. Oggi non sono gli affari i primi attori, ma l’opinione: dopo il blocco produttiva, che sicuramente sarà lungo, le macerie saranno tante che procedere come prima sarà impossibile.

Si apre il fronte cinese

La colpa sarà della Cina, anche se del coronavirus è stata la culla ma non certamente la propagatrice. C’è ora manifesta - c’era già prima, per le denunce di Trump ma non solo - una divergenza d’interessi fra la Cina e il Resto del mondo, essenzialmente l’Europa e gli Stati Uniti. Prima, tutto quello che andava bene alla Cina andava bene al mondo, ora non è l’inverso ma comincia a esserlo.
I sistemi produttivi si sono adattati negli ultimi quarant’anni a fare capo alla Cina e a misurarsi su canoni cinesi. Un mercato enorme, più grande di tutto il Resto del mondo messo insieme, su tutti i segmenti di mercato, dal povero al ricco e ricchissimo. E il metro con cui misurare e contenere i costi. Ora la Cina è solo un concorrente.
Il “virus cinese” è un falso scopo: le batterie sono indirizzate contro la Cina in affari, dopo essere state per anni in linea con essa. Si vuole una quota maggiore del valore aggiunto della globalizzazione – delle “catene di valore” che ora sono cinesi, controllate e determinate dalla Cina.
Si riproduce, in grande, la confrontation con il Giappone degli anni 1980.   
Dal punto di vista del potere, è un’inversione dei ruoli che la crisi della globalizzazione ora comporta: richiedente è l’Occidente, anche se solo per interessi corporate, d’affari. Il mondo aveva assuto un altro equilibrio, e non ce n’eravamo accorti.

Mito e mistificazione

“Cos’è lo specifico dell’Uomo? Il linguaggio”. Un testo – lunghe conversazioni col giornalista Georges Charbonnier – post Sessantotto. Poco regolamentare cioè: franco, allegro. A partire dall’etnologo che è un disadattato: “La difficoltà di adattamento all’ambiente sociale nel quale si è nati è il motivo che spinge a diventare etnologi”. E dal concetto già allora abbondantemente criticato di primitivo. La storia esiste anche per chi non la scrive, per i primitivi, ma per loro non ha alcun  senso, perché qualsiasi cosa che non sia sempre esistita viene giudicata illegittima – una lezione di fisica e di filosofia. Mentre noi facciamo esattamente il contrario.
Il progresso ha una falla-faglia alla radice: “L’uomo, per stabilire il suo impero sulla natura, ha dovuto asservire un altro uomo, e trattare quindi come un oggetto una parte dell’umanità”. E ancora: “Il mito è l’inautenticità radicale”. “Il mito è la cosa più astratta che ci sia. Il mito mette in atto delle proposizioni simboliche che per essere analizzate esigono un ricorso alla logica simbolica. D’altronde mito e mistificazione sono parole molto simili….”. 
Altri lampi sono ormai saggezza comune.  Nel neolitico, le conquiste (innovazioni) sono “apparse indipendentemente in diverse regioni del mondo”. La scrittura invece, comparsa in un luogo preciso, serviva “per esercitare il potere: per fare inventari, cataloghi, censimenti, leggi e ingiunzioni”.
Claude Lévi-Strauss, Primitivi e civilizzati

venerdì 27 marzo 2020

Problemi di base del nulla - 550

spock

Se non ci fosse il nulla, non ci sarebbe nulla da spiegare?

Il nulla è il male, K.Barth?

“Più piccolo è qualcosa, meno lo conosciamo”, J. Donne: quindi non conosceremo mai il nulla?

“Il nulla inerisce necessariamente all’essere”, J.P.Sartre?

“L’ansia rivela il nulla”, Heidegger?

“Il nulla nulleggia”, id. – oppure annienta?

Ma del nulla non si può parlare, Parmenide ?

spock@aniit.eu

Cronache virali

La tendenza è che Milano diventi il focolaio dell’infezione, dopo Lodi, Bergamo, Brescia.
Si registrano in Lombardia due quinti dei contagi, 37 mila 300 su 86.500.  Mentre i decessi in Lombardia sono tre quinti abbondanti del totale, 5.402 su 9.134.
Con l’aggiunta dei soli dati nuovi della Lombardia, l’Italia sorpassa la Cina per numero di contagi e di morti.
51 i medici morti, 6.402 gli operatori sanitari contagiati.
I medici morti di virus sono quasi tutti in Lombardia, tra Lodi, Bergamo e Brescia, e nelle province contigue.
Silvio Garattini spiega infine, su “la Repubblica” oggi, cosa è stata la causa dell’ecatombe italiana: privilegiare gli affari sulla salute - “Bisognava chiudere prima. E ora a pagare sono medici e operai”.  
Si rinnova il formulario di autocertificazione per chi deve spostarsi, il terzo o quarto in due settimane. Questo pieno di codicilli.
La Protezione  Civile assicura l’invio di milioni di mascherine alle Regioni secondo la popolazione e il rischio di contagi. Ma i magazzini delle Protezioni Civili regionali restano vuoti.

Petrolio vs. sanzioni

La Russia ha rotto il cartello degli esportatori di petrolio, facendone crollare il prezzo. Pur essendo in bisogno di valuta, in estremo bisogno.
La mossa, caduta alla vigilia della catastrofe di Borsa per effetto del virus, ha perso il suo scopo. Per ora. Ma in parte ne è anche rafforzata. 
Lo scopo era colpire l’industria petrolifera americana, che ha costi molto elevati, per le produzioni a grande profondità, off-shore, e da scisti bituminosi.  Per un trade-off con le sanzioni. Che l’America applica, stancamente, a difesa dell’Ucraina dopo l’annessione russa della Crimea – e l’Europa altrettanto.
Il crollo dei prezzi del greggio per effetto del crollo delle attività produttive ha disinnescato la mossa russa. Ma nel quadro di una crisi da bancarotta per l’industria petrolifera americana. Alla quale il sostegno russo a un cartello produttivo che tagli radicalmente le esportazioni diventa ora più che mai indispensabile.
La crisi si è acutizzata da un lato e dall’altro. Anche la Russia è alle strette, ha urgente bisogno di valuta, e quindi di vendere idrocarburi.  
È un braccio di ferro tra Mosca e Washington. Ma la Russia ha un regime monocratico monolitico, può ancora stringere la cinghia. Mentre il petrolio americano rischia il fallimento, malgrado la forte iniezione di liquidità pubblica, se il barile non risale sopra i 60 dollari.

Quando Sartre si voleva il nulla

Sartre esordisce, tardi, come narratore. Questo primo romanzo filosofico, del 1932, rifà un paio di volte sulla scia Céline, che ammira e vuole imitare, e lo pubblica infine nel 1938. Mentre diventava professore. Come Céline creandosi un alter ego narrativo, Roquentin. Più stanco, benché giovane, che disperato, o combattivo – seppure non rinunciando a diventare professore alla Sorbona, invece che filosofo di strada, o qualcosa di analogo al medico dei poveri quale ha scelto di essere Céline.
La prima opera di Sartre è questo romanzo. Per modo di dire: una serie di riflessione su una traccia esile. A metà tra Cartesio e Luigi XIV, malgrado gli studi in Germania, sulla fenomenologia di Husserl, e del suo discepolo Heidegger. Tra verosimile e inverosimile. Tra corpo e anima: “Il corpo vive da solo, una volta che ha cominciato. Ma il pensiero sono io che lo continuo, che lo svolgo… Il pensiero sono io”. Tra fare e non fare: “Non ho nemmeno ragioni per non farlo”. E da ultimo: “Mai un esistente può giustificare l’esistenza di un altro esistente. Bisognerebbe arrivare all’essenza, ma…” – che sembra Heidegger ma non lo è.
Al fondo c’è un (primo) rifiuto della cultura di massa. Che negli anni 1930 non era identificata ma si poneva. Almeno per il personaggio del racconto. Roquentin, seduto all’ombra di un castagno, nel villaggio di Bouville, il tema se lo pone già con durezza: che ci faccio io qui, si dice, sentendosi “soffocare di rabbia”, per le “masse mostruose” da cui si sente assediato, di “spesso  essere assurdo”. Le sue proprie “avventure”, donne, traffici, eccetera, non hanno senso per lui, e nemmeno per il lettore - la “nausea” è di tutto ciò che incontra, l’esistente: “Che porcheria! Che porcheria!” si va dicendo mentre si aggira per la città di fango (Bouville).
“O si vive o si racconta”, dice Sartre-Roquentin. Ma a volte non va né l’uno né l’altro. Sartre vorrebbe raccontare il nulla. “Quando si vive, non succede nula. Cambia la scena, la gente entra ed esce, ed è tutto. Non c’è mai un inizio… E poi tutto si somiglia: Shangai, Mosca, Algeri”. In più accordi, su più strumenti, one man’s band: “Sono io, sono io che mi estraggo dal niente al quale aspiro: l’odio, il disgusto di esistere  sono altrettanti modi di farmi esistere, d’ìnfognarmi nell’esistenza”. E alla fine: “Se fossi sicuro di avere talento”.
Wikipedia celebra “La nausea” come “il più celebre romanzo esistenzialista”. Bisogna pensare male dell’esistenzialismo?
Jean-Paul Sartre, La nausea, Einaudi, pp. 242 € 12

giovedì 26 marzo 2020

Cravattari a Bruxelles

Il G 20 lancia un’iniezione ricostituente da cinquemila miliardi di dollari, gli Stati Uniti da duemila miliardi, l’Unione Europea discute: tutti vogliono bene all’Italia, ma non vogliono che si salvi. Dicono: si salvi da sola, ma poi non glielo consentono – “prima paghi i debiti”.
Si direbbe una politica da cravattari e lo è, ma non si può dire - l’Europa è un simulacro. Ma la morte del debitore non estingue il debito, quale usuraio lavora per la morte del debitore?
E poi, se muore l’Italia, a chi le vendono le macchine tedesche?

Cronache virali

41 medici morti, 6.200 operatori sanitari contagiati. Si contagiano il capo della Protezione Civile, e il superconsulente della regione Lombardia. La sepsi non è stata ancora inventata?
 “Sarebbero ventimila i contagiati sommersi della Lombardia”. Tanto per incoraggiare?
“In Italia le vittime sono il 10 per cento dei contagiati, all’estero il 4”. L’Italia fa da sé?
Il virus fa più morti in Italia per il diverso modo di calcolare i decessi, escludendo le altre patologie. È un buon metodo? Uno dei tanti improvvisati.
E non basta: “I decessi possono essere quattro volte quelli dei numeri ufficiali”. Una voce dal sen fuggita, per seminare il panico? La delizia di essere untori.
I cassonetti sono vuoti a Roma, dall’improvviso, dopo anni d’immondizia dappertutto. Produciamo meno spazzatura stato tutti rinchiusi in casa? I rifiuti vengono raccolti? Sembrerebbe impossibile poiché un terzo degli operatori è “in malattia”. Ma forse bastava raccogliere i rifiuti ogni tanto. 

La peste pneumonica del dottor Céline, epidemiologo

C’è la “peste pneumonica” già nei primi anni 1920. L’epidemiologo dottor Bardamu futuro Céline, esperto di batteri, non ancora di virus, lo ha accertato. Insieme con un collega americano che ne muore. Ma la cosa non interessa a nessuno. È il filo, esile, che lega i cinque atti di questa commedia. Su cui una brillante prefazione all’edizione italiana prospetta il futuro Céline: sia lo scrittore gargantuesco che il furioso pamphlettista anticomunista e antisemita - antibellico.
La “peste pneumonica” dei libelli sarà l’occultamento della verità, della catastrofe che si minaccia. Qui è propriamente tale. Una satira del 1928 o 1930, quando Céline si chiamava ancor dottor Destousches. La sua prima opera - pubblicata poi, in parte riscritta, nel 1933, un anno dopo il “Viaggio al termine della notte”, per sfruttarne il successo. Una farsa più che una commedia, molto svelta, con nomi che vorrebbero essere un programma invece dei personaggi. A partire dal dottor Bardamu: non c’è Céline, ma c’è il Bardamu che farà testo dal “Viaggio” in poi, per assonanza col poilu delle trincee, il soldatino senza difese, nella Grande interminabile Guerra - l’esperienza della morte che segnerà per sempre il giovane patriottardo volontario sergente di cavalleria Destouches. Niente più si salverà, già in questa “Chiesa”, che è la Società delle Nazioni. Se non il corpo delle donne – l’impulso sessuale, detto “la bellezza - e anche quello incostante, una va, l’altra viene.
Lega l’azione, per così dire, il dottor Bardamu. Al primo atto il dottore, epidemiologo in Bragamance (in Africa) per conto della Società delle Nazioni, l’Onu di allora, della sezione che poi si chiamerà Oms, insieme con un epidemiologo della fondazione Barrell (Rockefeller), filosofeggia sull’inutilità della cooperazione allo sviluppo. In Bragamance si muore infatti di “peste pneumonica”, che però le autorità sanitarie non ammettono: “Qui non abbiamo la peste pneumonica. Ce l’hanno in Manciuria la peste pneumonica!”.
Al secondo atto si rappresenta la futilità delle fondazioni – oggi si direbbe del terzo settore. Che servono ai viaggi, e alle avventure delle vergini. Fondazioni e missioni Sdn servono anche a contrabbandare liquori, fumo, e morfina. Qui c’è pure il futuro medico dei poveri: “Mi farò una piccola clientela a Bois-Colombes”, così Bardamu lusinga la ballerina newyorchese dalla forti gambe.  
Al centro della commedia, all’atto terzo, è la Società delle Nazioni a Ginevra. Dove si dibatte l’unificazione dei sistemi e delle terminologie di registrazione dei casi di morte – tale e quale oggi, che di coronavirus si muore a decine di migliaia, oppure solo a decine. Prospettando la costituzione di un comitato di esperti. E si lavora alla cresta sulle spese di missione. Col balcanico profittatore, l’Idealista Scandinavo, il Ventrenord Sassone. Nell’ufficio del direttore del Servizio Compromessi, di nome Yudenzweck. Con un direttore degli Affari Transitori, di nome Mosaic. E un direttore del Servizio Indiscrezioni, di nome Mosè.
Ma non c’è l’antisemitismo, non ancora. Yudenzweck è “un omino vestito da ebreo polacco: lungo spolverino nero, lungo copricapo, occhiali spessi, naso estremamente adunco, ombrello, ghette”. E licenzierà Bardamu, che “non ha spirito amministrativo”. Ma non c’è livore antisemita. Qualche elemento c’è: all’obiezione di Mosaic, “non ci staremo esponendo troppo, come i gesuiti?”, Yudenzweck risponde: “I gesuiti non erano abbastanza ricchi”. Ma ha sempre protetto l’incompetenza burocratica del dottor Bardamu. E lo licenzia con queste credenziali: “Intelligente, temperamento artistico, scientificamente mediocre, amministrativamente incapace, individualista, poco governabile” – che è una colpa, perché alla Società vige “il collettivo”. Dicendo fra sé e sé di Bardamu quello che il futuro Céline penserà di sé: “È un ragazzo che non ha nessuna importanza collettiva, è solo un individuo”. Soprattutto gli pone, dopo lunghe esitazioni, “era tanto che volevo chiederglielo”, la domanda ferale: “Ma lei, perché ha studiato medicina?”   
Una satira delle buone intenzioni.  “Una rivista aristofanesca”, la annuncia Céline scrivendo a un amico. Ma è anche un esame di coscienza a metà vita, quando Céline rifiuta la vita comoda, il posto alla Sdn e la moglie ricca e innamorata, per le forti ballerine americane, che vanno e vengono, l’ambulatorio di periferia, e la scrittura, furiosa, in solitario. Yudenzweck è il vero capo di Céline a quella che oggi è la Oms, l’organizzazione delle Nazioni Unite per la sanità, il dottor Rajchman, che lo ha sempre protetto. Da lui Bardamu si fa anche dire l’essenziale, quello che sarà il suo vangelo di scrittore: “Chiunque conosce l’alfabeto è un autore che non va trascurato, Bardamu”. Il potere delle lettere non è nella scrittura ma nel conformarsi. “Lei non dominerà mai niente, mai nessuno”, trascurando i documenti, insiste: “I documenti sono un ottimo mezzo per dominare. Quando un barbaro impara a scrivere acquisisce una nuova specie di vanità che noi possiamo lusingare. Possiamo perciò farlo diventare un amico, cioè un debole. La maggior parte di queste persone sono illeggibili tanto sono vuote, e io le leggo”.
Un’ottima introduzione ne ricava fondati elementi di quello che sarà Céline. Il nichilismo – acquisito, nella sporca guerra. Il “rendu émotif” poi tanto avocato, “per caratterizzare la sua scrittura aconcettuale e acontenutistica”. L’incumbent di una vita dottor Semmelweiss, da Céline incontrato per la tesi a Medicina, il benemerito della sepsi o disinfezione batterica, già col semplice lavarsi le mani, licenziato per questo dall’ospedale a Vienna - morirà lui stesso di setticemia quasi procurata, un’infezione durante un intervento chirurgico, subito dopo che Pasteur ne ebbe validato la teoria.

L’introduzione ottima è di Maurizio Gracceva. Che sarà poi condannato per molestie alle allieve del liceo romano Tasso, dove insegnava storia e filosofia. Un anno fa, un giorno prima che la peste pneumonica si dichiarasse in Italia, il 20 febbraio. Una diciottenne aveva depositato in Procura i 2.600 sms ricevuti dal prof., “al ritmo anche di 200 al giorno”: la peste al tempo della normalità.

Louis-Ferdinand Céline, La chiesa, Irradiazioni, remainders, pp. 166 € 6,20




mercoledì 25 marzo 2020

Problemi di base ecovirali - 549

spock
Muoiono gli italiani di corona virus, i tedeschi no: sono immortali?

Più dei lombardi?

I cassonetti sono sempre vuoti, tutti, anche quelli della carta: l’epidemia produce meno rifiuti?

Si respira anche meglio, malgrado il contagio: meno fiati in strada o meno fumi?

Si dirà che il virus poté dove Greta no?

Bisogna pagare penitenza per pulire l’aria, come per pulirsi l’anima?

Il papa s’impegna ma Dio resta assente, nessuno bestemmia: sarà questa la prima peste senza Dio?

spock@antiit.eu

Il mondo com'è (399)

astolfo


Decoupling – Disaccoppiamento: si intende della concezione oggi mondialistica (globale) della produzione in un particolare aspetto, la connessione stretta fra l’Occidente (Europa e Stati Uniti) e la Cina.
L’interconnessione è stata multitudinale e molteplice negli ultimi quarat’anni, applicata a tutte le produzioni. In quadro multilaterale universale. Con poche eccezioni, determinate da sanzioni  specifiche, a carico della Russia, dell’Iran, della Birmania e di Cuba, ma non coattive, e non senza eccezioni – la Cina non è obbligata dalle sanzioni occidentali contro la Russia, eccetera. Ci sono investimenti di tutto il mondo in Cina, in India e ovunque, in Asia, in America Latina, eccetera, e investimenti cinesi, indiani, latino americani e di ogni provenienza, negli Stati Uniti e in Europa.
La Cina, in particolare, cui fanno capo le cosiddette “catene del valore” o intrecci produttivi di tutto il mondo in tutti i settori, meccanico, chimico, informatico, è protagonista e fulcro dell’interconnessione, della globalizzazione. Assurta a questa posizione quale fornitrice di un Occidente mandatario, di un committente-partner europeo o americano:  un gigantesco laboratorio di lavorazioni per conto. Ora i ruoli si soro erosi, e in molti punti rovesciati, anche sensibili. Soprattutto nei tre punti di massimo sviluppo produttivo e di servizio al centro della decade 2020:  mobilità elettrica, elettronica e comunicazione (Ict), intelligenza artificiale. E l’Occidente comincia a rifarsi i conti. L’America di sicuro. L’America di Trump, ma anche senza Trump.

Si è cominciato a parlare di “decoupling” negli Stati Uniti durante la seconda presidenza Obama.
In Europa invece no. Almeno nell’ottica di Angela Merkel – che è anche l’unico leader europeo che si pone il problema. Nell’intervista-manifesto al “Financial Times” il 15 gennaio, prima del coronavirus, la cancelliera tedesca è stata tassativa: “Consiglierei di non guardare alla Cina come a una minaccia semplicemente perché è un successo economico. Come in Germania, la crescita in Cina è largamente basata sul duro lavoro, la creatività e l’abilità tecnica. Bisogna solo assicurare relazioni commerciali leali”. La Cina è ora un concorrente, ma “vogliamo noi, in Germania e in Europa, smantellare tutte le interconnesse catene di valore globali per questa concorrenza? L’isolamento completo dalla Cina non può essere la risposta”.”  
Due mesi dopo Ursula von der Leyen, che Merkel ha nominato alla presidenza della Commissione europea a Bruxelles, pur senza citare il “decoupling”, ne ha posto però le basi. Individuando come prospettiva per l’Europa, durante i quattro anni della sua gestione del governo europeo, la sfida alla Cina in materia di circolazione elettrica e Ict.
La questione non è stata sollevata da altri governi europei. Quello francese di Macron e i due governi Conte puntano al contrario ancora molto su una comune piattaforma produttiva con la Cina. La Cina, dal canto suo, continua a prospettare il mercato unificato come d’interesse di tutte le parti, anche degli Stati Uniti, con i quali continua a collaborare. Pretendendo di eliminare dalla collaborazione ampliata ogni connotazione politica, o di potere mondiale, benché sia a regime comunista, teoricamente antitetico al capitalismo.

Eugenetica 1 – Una disciplina scientifica innocua, e anzi benefica, proponendosi il miglioramento della razza mana, in realtà base del razzismo biologico, della diversità razziale. Teorizzata da Francis Galton, lo psicologo inglese che è un po’ il padre della psicologia contemporanea. Che ne aveva post le basi in vari lavori, e il termine propone nel 1883. Sulla base dell’evoluzionismo di specie di Darwin (i due erano cugini) e del parallelo evoluzionismo etnoantropologico di Comte in Francia.
In questo quadro progettò la misurazione dell’intelligenza - i quozienti intellettivi - elaborando i primi test. Nel tentativo di dimostrare l’ereditarietà dell’intelligenza, che correlava alle capacità sensoriali di ciascun individuo. Molti metodi e strumenti elaborò - oltre che in fatto di psicometria, per misurare l’intelligenza - per misurare l’udito, la qualità della percezione visiva, dei colori, delle forme, la capacità di reazione alle luci e ai suoni, la classificazione delle impronte digitali. Avviò anche gli studi sulla formazione delle immagini mentali, e inventò i test delle associazioni verbali, che saranno poi adattati all’insegnamento nelle scuole infantili ed elementari.
La sua attività di ricerca Galton inquadrava in un disegno eugenetico, di miglioramento della specie umana. Che fu presto assunta, da lui stesso per primo, a criterio gerarchico e selettivo, dal più al meno, e dal meglio al cattivo. All’interno della specie. A fini migliorativi ma selettivi.
Specialmente impressionato fu Galton, alla pubblicazione dell’“Origine della specie”, 1859, dal capitolo sull’allevamento degli animali domestici, che lo indurrà a specializzarsi nello studio delle variazioni delle capacità umane – “Il problema allora mi si pose: non potrebbe la razza umana essere allo stesso modo migliorata? Non si potrebbe liberarsi degli indesiderabili e moltiplicare i desiderabili?” Si convinse presto che le capacità mentali e fisiche, come quelle delle piante e degli animali descritte da Darwin, erano in gran parte ereditarie. Dieci anni dopo produceva un “Hereditary Genius”, su questo principio: “Facciamo quanto possiamo per incoraggiare la moltiplicazione delle razze meglio adatte a inventare, e a conformarvisi, una civiltà elevata e generosa, e non, per l’istinto sbagliato di sostenere il debole, di ostacolare l’avvento di forti e coraggiosi individui”. Si preoccupava dei matrimoni tardivi, con pochi bambini, dei “britannici eminenti”. Spiegava che bisognava incoraggiare con incentivi finanziari i matrimoni precoci tra giovani in buona salute e mentalmente forti, e scoraggiare la riproduzione dei “deboli di mente”. Per il bene dei soggetti interessati ma anche della società.
Galton scrisse pure un romanzo dell’eugenetica, “Kantsywhere”, che non riuscì a pubblicare, morendo nel 1911. Gli eredi ne distrussero i manoscritti, ma non del tutto. In esso, dai frammenti pubblicati, arguiva contro la sensibilità e l’emozione. Un futuro prospettando di una umanità rigenerata non su criteri morali, di lealtà, compassione, condivisione, ma di capacità tecniche e intellettive, su basi individuali. Galton fu molto apprezzato, in vita e in morte, se non per l’eugenetica, per gli studi sulla ereditarietà intellettiva. mori molto apprezzato.   

Furono inglesi un secolo fa le basi del razzismo biologico, il razzismo che ha imperversato in Occidente fra le due guerre mondiali. Furono poste nel secondo Ottocento in Gran Bretagna da Galton per quanto attiene lo “sviluppo” intellettuale. Col conforto indiretto dello stesso Darwin, che nel 1871, nel trattato “La discendenza dell’uomo”, scriveva: “Noi civilizzati… facciamo del nostro meglio per controllare il processo di eliminazione: costruiamo ricoveri per gli imbecilli, gi storpi e gli ammalati… In questo modo i membri deboli della società si propagano”.

Queste idee furono poi propagandate in Germania da Houston Stewart Chamberlain, uno scrittore inglese che vi fu popolarissimo. Al punto da meritarsi un matrimonio in casa Wagner, con Eva von Bülow, figlia di Richard e Cosima – quando questa risultava ancora moglie di Hans von Bülow: supremo privilegio, benché Eva fosse una zitella ultraquarantenne.
Ma, sulle basi poste da Galton, l’eugenetica fu disciplina e pratica soprattutto americana. Hitler mediò il razzismo del “Mein Kampf” e la teoria della razza pura (prodroma della Aktion 4, l’eliminazione dei down) dalle cronache americane.
(continua)

Matrimonio dei preti - I cristiani nei primi tempi eleggevano alle cariche solo gli am­mogliati. Sull’esempio di molti santi, primo san Pietro, che avevano scelto il matrimonio come condizione più onesta.


astolfo@antiit.eu

Sordi giovane già in gran forma

Uno dei pochi, se non il solo, biopic, biografia per immagini, dei tanti in programmazione, che regga con l’originale. Con Alberto Sordi come ci ha accompagnati dal 1950 in poi – qui fino ai “Vitelloni” di Fellini, al successo. Per i cento anni della nascita.
Disinvolto, scanzonato, come era il personaggio,  unicamente legato alla madre. Non un sentimentale, e anzi distaccato, se non cinico, di suo prima che dei suoi personaggi – come glielo diceva Andreina Pagnani, un amore che pure è durato nove anni: “Non crescerai mai”. In una Roma viva, vivace: semplice e creativa. Di Sordi con Gallone, con De Sica, con Steno, e soprattutto con Fellini. Un terzo aspetto, questo, di fascino del film: il rapporto quasi simbiotico tra i due coetanei, dalla gavetta al successo.
Luca Manfredi, figlio di Nino, replica il biopicture sul padre. Di fatto non propriamente un film su Sordi ma sul cinema, a Roma, negli anni 1940-1950. Lasciando che Sordi persona rimanesse segreto, come lui voleva. Nella vita quotidiana e familiare, a parte il rapporto morboso con la madre. E in quella sentimentale – solo il rapporto con Andreina Pagnani, altra romana disincantata come lui, è sceneggiato, essendo pubblico. Un incredibile Edoardo Pesce rifà il Sordi di tutti: svelto, simpaticone, piacevole, se ne sente perfino l’odore. Senza esporsi del tutto – Sordi non si esponeva, non si toglieva mai la maschera: dà l’idea di essere in un film di Sordi con Sordi.
Incredibilmente sordiano pure il contorno: la demolizione radicale del film a opera di Igor Righetti, “un nipote” che sembra un personaggio in commedia, preso dalla strada. Lontano cugino di Sordi per via delle rispettive madri, entrambe di Sgurgola in Ciociaria, vulcanico multitasking, giornalista, scrittore, opinionista, programmatore e conduttore radiofonico e televisivo, figurante di molte produzioni, cinema e tv, addetto stampa, professore in numerosissime università, dirigente d’azienda, ideatore e organizzatore di eventi, testimonial, cantautore, ha scritto già qualche libro da erede designato, e un altro ha in uscita a ridosso del film, depositario unico della verità dello “zio”. Quando, ai suoi anni, il coriaceo Alberto riusciva appena a bucare lo schermo, dopo quindici anni di delusioni e fallimenti, grazie a Fellini. Nel 2015 Righetti ha promosso anche una cordata di 37 “cugini” per invalidare i lasciti i Aurelia, la sorella erede di Alberto, alla Fondazione Sordi: ha perso la causa, ma leredita resta abbondante.
Luca Manfredi, Permette? Alberto Sordi

martedì 24 marzo 2020

Cronache virali

“Cecità”, il romanzo di Saramago su un’epidemia di cecità, “è in vetta alle classifiche di vendita”, dice Di Stefano sul “Corriere della sera”: Dove, con le librerie chiuse da tre settimane? 
Col corona virus l’ennesimo “Harry Potter”, rivisto per l’ennesima volta, fa in tv in prima serata il top della  audience – battendo perfino il Camilleri dei record, “La concessione del telefono”, grande film. C’è bisogno di magia, bianca.
Medici in aiuto dalla Cina, da Cuba, e dalla Russia. Tre paesi comunisti, ex.
Si sa infine che “Wuhan è un grande snodo ferroviario e aereo della Cina”, e “una metropoli da 11 milioni di abitanti”. Che molti milioni di cinesi vi hanno transitato, “per le grandi vacanze del Capodanno lunare e nelle tre settimane prima del 23 gennaio”, data di dichiarazione del cordone sanitario. Si legge questo infine nel “Corriere della sera”, ma Santevecchi ne può scrivere dentro un pezzo contro gli intrighi cinesi, di Xi Jinping. Se lo Hubei, di cui Wuhan è la capitale, è l’analogo della Lombardia, fatte tutte le proporzioni (regione e capitale sono cinque volte la Lombardia e Milano), non avrebbe aiutato a circoscrivere prima il contagio, con la radicalità usata in Cina per impedirne la diffusione? Certo, l’informazione non  fa il governo. Ma che altro fa?
Seimila decessi per coronavirus su 50 mila contagiati in Italia, 114 in Germania su 27.500 contagiati. Dove è la verità?
È più utile dare la misura della gravità del contagio, oppure minimizzarla – si può morire di cento altre patologie?