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venerdì 27 aprile 2018

Un Belzebù molto noioso

Un apologo sul male prepotente. Prolisso. Bambini sopravvissuti a un incidente aereo su un’isola deserta dapprima si sollazzano all’avventura, poi si fanno cattivi – si uccidono anche, a bastonate e con vari trucchi. Una favola del genere horror, con poca avventura e molta violenza.
Libro d’esordio di Golding, 1954, che trent’anni dopo, 1983, gli procurerà il Nobel. E libro di culto – contemporaneamente si edita per le scuole, con la vecchia traduzione di Filippo Donini, aggiornata da S. Brogli. Molto ben sostenuto dalla redazione Oscar, fin dalla prima edizione nel 1966. In un primo tempo con agganci a una guerra tra grandi catastrofica, di cui però non c’è traccia. In questa riedizione, con una nuova traduzione affidata a Laura De Palma, e con agganci a serial tv di grande ascolto, “South Park” e “Lost”, che ne fanno quindi un capolavoro. Assortita da riflessioni non concludenti di Golding su storia, favole e mito, in originale “Fable”, nel volume “The Hot Gates”: “È compito ingrato raccontare favole” e “L’uomo produce il male come le api il miele”. Ma sempre ostico alla lettura. Si gusta per il paratesto, costruito col tempo in volute avvolgenti.
La biografia intanto è eccitante, di Golding. Figlio di socialisti, cresciuto di suo molto pio, fino ad aderire alla teosofia di Steiner, sposo di una militante comunista, insegnante elementare per molti anni. Dopo essere stato in gioventù in guerra teorico inconcludente di esplosivi, sulla base delle chiacchiere scambiate col nonno minatore, arruolato nella Marina militare, di cui infine comanderà una unità nello sbarco in Normandia.
Farà nel dopoguerra il maestro elementare, fino al 1962. “Il signore delle mosche” è la sua opera prima,  a 42 anni. Inviata in lettura alla casa editrice Faber col titolo “Strangers from within”, stranieri dentro, il paratesto vuole che “Il signore delle mosche” sia stato trovato e imposto da T.S.Eliot, in riferimento al biblico Belzebù, che significherebbe appunto “signore delle mosche” – così tradotto nella versione greca dei Settanta, e ricorrente nella letteratura inglese Fine Secolo (per esempio in Chesterston, “Cosa c’è di sbagliato nel mondo”), nella Bibbia in realtà ricorre come trascrizione del dio fenicio Baal “il principe”.
Non il libro dunque, l’autore. Uno scrittore eversivo. Radicale malgrado le parentele socialiste: “Marx, Darwin e Freud, i tre più distruttivi scocciatori del mondo occidentale” dirà nel saggio “Belief and Creativity” del 1980, una conferenza tenuta in Amburgo (ripreso nella raccolta “The Moving Target”, un libro di riflessioni, non tradotto, del 1982), bestemmia allora più di ora: “La popolarizzazione semplicistica delle loro idee ha infilato il nostro mondo in una camicia di forza  mentale dalla quale possiamo sfuggire solo con la più anarchica violenza”. Ma questo viene dopo, qui il ritorno allo stato selvaggio nuoce molto agli avventurati lettori.
Fa parte del racconto sul racconto che Golding abbia riversato nel “Signore delle mosche” la sua esperienza di maestro. Di una classe, o di varie classi nel corso degli anni, divise in fazioni, che finiscono per dimenticare le ragioni originarie della divisione e si imbarcano nella violenza, mera violenza. Ma il racconto Golding svolge deliberatamente, prima che il racconto prendesse spessore “filosofico”, come una parodia di “L’isola di corallo”, 1858. Un libro famoso in Inghilterra: l’avventura di un gruppo di ragazzi in un’isola del Pacifico. Oera di Robert Michael Ballantyne, il predecessore di Verne e Salgari – nonché ispiratore del migliore Stevensono. Uno scrittore di avventure che però non si inventava le isole dei mari del Sud, le conosceva: si documentava, viaggiava, ha lasciato una vasta documentazione topografica.  L’ufficale di Marina che alla fine salverà i ragazzi superstiti lo dice, “proprio una bella storia, come “The coral island”. I tre personaggi principali sono caricature dei protagonisti di Ballantyne.
Di meraviglia in meraviglia, questo di Golding è ora classificato fra i cento migliori racconti dell’ultimo secolo nelle graduatorie angloamericane. Ma quanto più apprezzabili, anche filosoficamente, altrettanto interminabili ma godibili, i racconti fantastici coevi di Michael Ende, “Momo” e “La storia infinita”. Che però, è vero, non è inglese, e neanche americano.
William Golding, Il signore delle mosche, Oscar, pp. XIV + 263 € 13

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