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sabato 6 dicembre 2025

Trump impone all’Europa la difesa comune

La vera novità della National Security Strategy americana che indigna l’Europa è che gli Stati Uniti vogliono che l’Europa impari a difendersi. Detto brutalmente, nello stile di Trump (ma forse nemmeno: nei media americani, pure attenti a ogni detto o fatto di Trump, non se ne parla), che però è anche l’unico linguaggio che l’Europa capisce.
A ottanta anni dalla fine della guerra l’Europa non ha una difesa: una organizzazione militare, armata adeguatamente, con piani strategici aggiornati. La difesa è anzi la cosa da cui finora più ha rifuggito.
Era stata la primissima idea di Europa, insieme con la Ceca (carbone e acciaio in comune). René Pleven, ministro della Difesa e poi presidente del consiglio a Parigi nel 1950, discutendosi della  riammissione della Germania alla spesa militare, propose di imbrigliarla in una Comunità europea di difesa (Ced): la Ced fu firmata, dai futuri fondatori della Comunità europea, ma la stessa Francia la bocciò nel 1954 con referendum. Poi se ne è molto parlato, ma per non farla.
La Ue che grida “al lupo, al lupo” contro Putin, che afferma che la Russia sta per invaderla, che si svena con ondate inutili di sanzioni, ne è il segno: l’Europa è imbelle. Spende molto in armi, ma a nessun effetto: armi da parata. Spende per cinque (o sono sei?) caccia diversi, otto (o dieci?) carri armati diversi, missili di ogni tipo e provenienza, e nessun piano strategico comune, o coordinamento, a parte le chiacchiere, e le scartoffie.

Cronache dell’altro mondo - migratorie (371)

“Il clero di San Diego offre sollievo agli immigrati – e uno scudo contro l’Ice (Immigration and Customs Enforcement – la polizia di frontiera, n.d.r.). In nessun’altra città la comunità religiosa si è mobilitata su così larga scala per difendere gli immigrati dal governo federale”.
Nel caso che si segnala si tratta della comunità cattolica. A iniziativa del primo vescovo nominato in America da Leone XIV, a maggio, Michael Pham, un vietnamita arrivato negli anni 1980 come rifugiato. Con l’ausilio del parroco di Nostra Signora di Guadalupe, nel Barrio Logan, Scott Santarosa. Che s’incrocia in abito talare, ma “è la versione statunitense di un teologo della liberazione”.
“All’inizio della guerra agli immigrati del Trump 2, il vescovo di San Diego, Michael Pham, scoprì che l’Ice era meno propenso ad arrestare in massa gli immigrati in presenza di membri del clero. Così decise che il clero si sarebbe recato in tribunale ogni giorno di sessione, e affidò a Santarosa la gestione del progetto – noto come Faith, “faithful accompaniment in trust and hoe”.
Santarosa ha creato un San Diego Organizing Project, al quale collaborano un centinaio di volontari. Che presidiano gli uffici dell’Ice e i tribunali.
(“The Nation”)

Toccherà rifare il “Viaggio” di Céline

L’amministratore delegato e direttore editoriale di Adelphi analizza “Londra”, il corposo inedito ricomparso “un po’ misteriosamente una sessantina di anni dopo la morte dell’autore”. Per cercare di datarne la scrittura. “Il coro degli studiosi, con rare eccezioni, è unanime: Guerra  e Londra”, due degli inediti fatti ritrovare tre anni fa e già pubblicati, “sono stati scritti tra il ’34 e il ‘35”. Tra i due grandi romanzi di Céline, dopo il “Viaggio al termine della notte” e prima di “Morte a credito”. Colajanni non ne è convinto. Basandosi sulla corrispondenza, e sulla mole del lavoro, spiega persuasivamente che i due testi dovevano fare parte del “Viaggio”, ma poi sono rimasti fuori. Per motivi che non sappiamo. Anche se con probabili rilavorazioni successive.
Un riesame che Colajanni basa sulla corrispondenza. Ci sarebbero altri elementi, si può aggiungere, stilistici e (orto)grafici, per una diversa, più probabile, datazione. Resta il fatto che  “Céline a quei manoscritti teneva moltissimo, e ha continuato a rimpiangerli per tutta la vita”.
Un saggio alla fine più complesso e ambizioso che la datazione degli inediti. L’intervento su “Londra” porta a un riesame del “Viaggio”, del progetto e della scrittura del “Viaggio”, l’opera prima (in realtà no, ma è questione complessa) e più importante di Céline. Colajanni ne avvia la rilettura. E individua, attorno al “Viaggio”, una sorta di “ciclo di Bardamu”, il nome diminutivo, ironicamente spregiativo, che lo scrittore si dà nel primo ciclo di narrazioni, nei primi anni 1930.
Roberto Colajanni, I castelli in aria di Céline, “La Lettura”  16 novembre 2025

venerdì 5 dicembre 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (616)

Giuseppe Leuzzi


Si legge su Instagram una tabellina degli “espatriati” per regione, costruita all’inverso, dal meno al più:
10.Calabria 290.00
9. Puglia 300.000
8. Toscana 320.000
7. Emilia-Romagna 420.000  
6. Piemonte 470.000
5. Lazio 510.000
4. Campania 530.000
3. Veneto  614.000
2. Lombardia 690.000
1. Sicilia 844.000
Uno scherzo? Non è detto il periodo, né la fonte, né i motivi. Ma la migrazione dice una costante “normale”, un modo di essere e di vivere come un altro.
 
Parla sul “Corriere della sera” Allegra Gucci, che a 14 anni ha perso il padre Maurizio, fatto assassinare dalla madre Reggiani, e per i sucessivi trenta si è occupata della mare assassina, in carcere e fuori. Sempre insolentita, da bambina e dopo, dalla stessa. E dalla madre di lei – “una dona malvagia”. Entrambe di Vignola, il cuore dell’Emilia tutta cuore. Che eprò non si dice: la malvagità non fa parte del “racconto” Emiliano.
 
“Data Center, 14 nuovi progetti, per un investimento da 2,5miliardi”. Tutti attorno a Milano. Ricchezza chiama ricchezza. Magari saranno serviti da tecnici meridionali, magari formati al Sud, ma il “processo di sviluppo” no si raddrizza, al meglio va per accumulo – chi più ha più ha.
 
Il “Sole 24 Ore” compila la graduatoria della “qualità della vita” in cu le ultime 25 posizioni sono di città meridionali. E nelle prime 40 c’è una sola, Cagliari - peraltro 39ma. Senza ironia. È una classifica dura, ma per Miano, per chi l’ha compilata.
 
La giustzia settentrionale
Dialogo sul “Corriere della sera” tra Giuseppe Guastella, corrispondente a Bruxelles, e Alessandra Moretti, eurodeputata del Pd, inquisita dall’apparato repressivo belga:
“Lei è sospettata di associazione criminale finalizzata alla corruzione”.
“Non mi viene imputato nessun passaggio di denaro. Non ho mai ricevuto benefici, regali e vantaggi da nessuno e tanto meno dal Marocco o dal Qatar”. 
“Le contestano viaggi in questi due Paesi”. 
“Smentiti documenti alla mano. Mi è stato contestato di aver viaggiato più volte in Marocco, dove non ho mai messo piede in vita mia, come ho dimostrato producendo i miei passaporti dai quali emerge chiaramente. Mi è stato contestato che sarei andata ad assistere a una partita di calcio durante i Mondiali in Qatar, e anche questo ho smentito. Mi è stato contestato di aver fatto dichiarazioni in favore del Qatar, che poi sarebbe un mio diritto, ma ho prodotto in commissione un video dal quale emerge che non è vero. Contestazioni tutte smaccatamente false”. 
Questo il giorno in cui il Belgio arrestava l’ex ministro degli Esteri Federica Mogherini, in qualità di rettrice del Collegio d’Europa, l’ambasciatore Stefano Sannino, direttore generale della Commissione per l’area Mena (Medio Oriente e Nord Africa), e un ex direttore del Collegio, Cesare Zegretti. Con sei imputazioni, tutte gravi: turbativa d’asta, frode in appalti pubblici, conflitto d’interessi, violazione del segreto professionale, violazione delle norme sulle gare d’appalto, e naturalmente corruzione. Poi i tre sono stati rilasciati senza nessuna restrizione. Ma dopo che la carcerazione aveva fatto la cronaca di tutto il mondo per tre o quattro giorni, che Mogherini si era dimessa, che Sannino se n’era andato in pensione. Un processo mediatico, di grande impatto. A carico di tutti italiani.
È il secondo. Il primo è quello detto “Qatargate” nel qale ha impattato Moretti. Anche qui arresti, tre anni fa. Di tutti ialiani – con la vice-presidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, greca, perché moglie di un italiano. Il giudice di quel caso finì lui per primo malamente, e il processo dopo tre anni ancora non è stato istruito. Il Belgio non era il posto giusto per un’Europa che avesse avuto ambizioni. È razzista – lo è stato feroce con gli italiani quando aveva le miniere – ed è tribale. Non per nulla inviso ai franecsi, quando era francofono – anche ai francesi esuli, Victor Hugo, Baudelaire. Insomma, un Nord con molti limiti, conclamati. Ma si prende sul serio – viene preso sul serio dai media italiani. Il Nord ha sempre ragione - Nord, basta la parola.
Il “trattameto inumano” che Eva Kaili, la vicepresidente greca sposata con un italiano, subì a Natale del 2022 in carcere – sedici ore in camera di sicurezza, senza cappotto e senza coperta, con la luce accesa, con perdite copiose per il ciclo, senza potersi lavare – “è”, secondo i suoi avvocati, “estremamente rara, la si usa nei crimini di mafia”. Questa invece, se non fosse stata una tortura, si direbbe una vendetta: italiani tutti mafiosi, nel tutto è mafia – nel Qatargate e nel Collegiogate sono tutti settentrionali.   
 
Il Sud indigesto a Pasolini
Nelle molteplici celebrazioni di Pasolini si trascura la trascuratezza per il Meridione – quando non insorge per l’urgenza sessuale. Non c’è traccia nella sua straripante opera. Nemmeno quando per ragioni di location e di budget dovette lavorarvi, come nel “Vangelo secondo Matteo”. Ha vari accenni, specie nelle prose giornalistiche, a giovani napoletani, calabresi, africani, ma giusto per il bisogno sessuale, vissuto come vergogna e quindi rifiutato con tutti i comprimari – nulla al confronto con l’esasperato sentimentalismo di analoghe esperienze della prima mitizzata giovinezza, nel Friuli di pianura. Il rapporto speciale, “paterno”, che aveva instaurato con Ninetto Davoli, calabrese, ruppe quando Ninetto decise di sposarsi.
Qualche apprezzamento, ma locale, e sempre legato al sesso, giusto in “La lunga strada di sabbia”, il reportage delle coste d’Italia che fece nel tra il giugno e l’agosto del 1959, commissionato dal mensile “Successo”. Sembrerebbe di no, arrivato al Circeo annuncia: “Il cuore mi batte di gioia, di impazienza, di orgasmo. Solo, con la mia millecento e tutto il Sud davanti a me. L’avventura comincia”. Ma non sa che dirne, eccetto qualche luogo comune – come il viso scuro dei mafiosi… Giusto a Portopalo si emoziona: “La gente è tutta fuori, ed è la più bella gente d’Italia, razza purissima, elegante, forte e dolce”.
Nel poemetto “L’umile Italia”, della raccolta “Le ceneri di Gramsci”, 1957 (ma già pubblicato nel 1954, sulla rivista “Paragone-Letteratura”), mette a fronte il Meridione, nella fattispecie dell’Agro romano, di cupa tristezza, e la limpida luminosità del Settentrione. Il Nord, connotato dal volo delle rondini, è puro e umile, il Sud è “sporco e splendido” – l’antinomia del peccato. “È necessità il capire / e il fare: il credersi volti / al meglio”, cercando di lottare, pur soffrendo, senza lasciarsi andare alla “rassegnazione-furente marchio/ della servitù e del sesso -/ che il greco meridione fa/ decrepito e increato, sporco/ e splendido".
 
Reggio Calabria, o del sottosviluppo
Per il secondo o terzo anno consecutivo “Il Sole 24 Ore” mette Reggio Calabria all’ultimo posto per qualità della vita. Scandalo, proteste, il lungomare, lo Stretto, il museo, l’aria, l’università, i licei, l’ospedale etc. - e poi, non è la città cn il clima migliore a dicembre, 
“Mens Health” dixit? In buona fede, chi abita a Reggio fatica ad accettare la degradazione. Per chi vive nel reggino no, compresa la cintura di paesini che fanno la conurbazione di Reggio, da San Roberto e gli altri santi viciniori, a Fiumara, Villa San Giuseppe, e giù, per gli stessi ex paesi ora rioni periferici della città, Spirito Santo, Consolazione, Ravagnese, eccetera: lo stato di abbandono è visibile, fisico, nella viabilità, nella segnaletica, nel disordine edilizio, nel disordine. Come una putrefazione.

Dello stesso tipo è la percezione nelle tre grandi aree della provincia, di cui Reggio è la “città metropolitana”, che perciò dipendono da Reggio: la Piana di Gioia Tauro sul Tirreno, la Jonica che ora si vuole Locride sull’altro versante, e nel mezzo le pendici dell’Aspromonte. Di povertà in froma di degrado – in mezzo a consumi privati in stile lombardo, voyant.
Nonché lo sviluppo, al Sud, comunque a Reggio e dintorni, sarebbe più utile studiare il sottosviluppo, come si sperpera il capitale invece di metterlo a frutto. Bisognerebbe studiare il sottosviluppo perché delle tre province calabresi Reggio era in partenza, ancora nel secondo dopoguerra e per tutti gli anni 1960, la più ricca e la meglio organizzata. Poi, all’incirca con la rivolta “Reggio capitale”, si è abbandonata. La città non si è amministrata, se non per un breve periodo in coincidenza con l’interramento della ferrovia per magnificare il lungomare. Che portò all’assassinio di Ludovico Ligato, il presidente di Ferrovie dello Stato che aveva propiziato l’opera. Abbandonandosi a piccole mafie – che agivano alla luce del sole. E all’inerzia. Mentre le province di Cosenza e Catanzaro, e le neonate province di Vibo Valentia e Crotone marciavano spedite sulle regolarità della vita politica (sanità, istruzione, comunicazioni, regolamenti edilizi, etc.). Con università, ospedali, centri urbani regolati e curati.
Il passaggio di molti poteri alle ex province, specie le strade, ha ridotto il reggino a una realtà impraticabile. Anche fisicamente, visibilmente - oltre che politicamente, amministrativamente. Per frane, abusi, cattiva manutenzione. E niente ospedali: la Regione non riesce a venire a capo dell’inerzia reggina. Reggio ha avuto l’aeroporto da tempo immemorabile, ma i nuovi aeroporti di Catanzaro (Lamezia) e Crotone lo surclassano – ogni anno di Reggio si discute la chiusura.
 
Cronache della differenza: Puglia
Bari festeggia san Nicola, insieme a mezza Europa, da Rowaniemi a Venezia, di cui è compatrono con san Marco, e alla Turchia – dove a Myra (Demre) ancora lo celebrano, benché in ambito islamico. E di fama ora mondiale come Santa Klaus, il Babbo Natale. Era di culto nell’odierna Turchia - Costantinopoli contava 26 chiese a lui dedicate. Le spoglie furono rubate a Myra dai pugliesi, non dai veneziani: era il 1087 e Venezia era di là da venire, mentre Bari e la Puglia erano molto “levantini” – ancora nel dopoguerra avevano legami commerciali fino all’area del mar Nero.
Il trafugamento delle reliquie da Myra la città celebra il 7-9 maggio, con un corteo storico che è un festa anche per gli ortodossi, specie i russi.
 
Sentendo parlare i genitori di Tatiana, la giovane di Nardò, vedette di Instagram, si capisce perché ha voluto isolarsi per una settimana – non osando abbandonare la famiglia: due mondi antitetici. Uno passivamente tradizionale, seppure di buonissime intenzioni (i genitori hanno adottato Tatiana e il fratello, ucraini) e un modo di essere e vivere totalmente diverso – Nardò è una cittadina, ma pur sempre di provincia.

Tatiana non ne poteva più? Tra due mondi, due generazioni, un salto, nn un moto progressivo, un adattamento. Tale è il balzo che ha fatto la Puglia in pochi anni. Tutta la Puglia, non solo Bari, dalla Capitanata a Santa Maria di Leuca. 
 
L’ex presidente del consiglio e capo dei 5 Stelle Conte si può dire l’ultimo “uomo forte” della Puglia, di cui è originario, dopo Aldo Moro e Massimo D’Alema. Ma al voto regionale ha preso meno voti della Lega di Salvini. La Puglia si libera dall’assistenzialismo? Votando Lega?
 
All’impovviso è Foggia l’epicentro nazionale della malavita. Caporalato, pizzo, rapine, evasion fiscal, e pure la violenza giovanile. L’Italia ha bisogno - l’abitudine - di un centro del male. Su cui scaricare tutte le sue infamie. Era Palermo – non senza ragione – poi l’improbabile ‘ndrangheta, proclamata tale dai servizi segreti, ora Foggia. Senza una causa o congiuntura che vi porti. L’antimeridionalismo non sa più che inventare?
 
Si vota in Puglia per la Regione e molti capoccioni della politica restano fuori. Il più illustre è Vendola, ma anche altri, specie del Pd: il capogruppo al consiglio regionale uscente Paolo Campo, gli assessori Pd uscenti Stea, Amato e Lopane, Licia Parchitelli, candidate di Elly Schlein, e il potente direttore 5 Stelle della Cultura, Patruno. Mentre non si è potuto ricandidare il president uscente Emiliano, uno di quelli che brigavano per il terzo mandato. Un voto contro il padrinaggio?

leuzzi@antiiti.eu

Scuola (di sesso) per generazione

Alla terza serie il format catalano Merlì vira sul generazionale. In sala professori amicizie all’antica e sesso eterosessuale. In classe turbe e pratiche di monosesso. Con un senso di innaturalezza - di schematico. Che per lo spettatore è stanchezza – ma anche Gassmann ha perduto lo sprint.
Audience in calo, lo vedono tre milioni – pochi per Rai 1. Curiosa la differenza culturale: il format risponderà allo spirito catalano, dei “primi sempre, in tutto”, l’Italia gradisce poco, va ancora col passo lento.
AA.vv., Un professore, Rai 1, Raiplay

 

giovedì 4 dicembre 2025

Cronache dell’altro mondo – giudiziarie quinquies (370)

“George Soros ha cambiato la giustizia penale in America. Il finanziatore liberal ha speso decine di milioni di dollari per influenzare decine di elezioni a procuratore distrettuale.
“Quando le pubblicità che denigravano il procuratore distrettuale Jonathan Sahrbeck iniziarono a diffondersi nelle cassette postali e in televisione circa tre settimane prima delle primarie democratiche del 2022, sia lui che il suo avversario rimasero ugualmente sbalorditi.
“Come molti attacchi alle campagne elettorali moderne, gli annunci provenivano da un comitato politico indipendente finanziato da un miliardario, in questo caso l’ex gestore di hedge fund e filantropo liberal George Soros, che dieci anni fa si era proposto di eleggere procuratori distrettuali che avrebbero indirizzato i criminali della droga e i minorenni verso la riabilitazione anziché verso il carcere, si sarebbero opposti alla cauzione in denaro per i reati minori e avrebbero represso la cattiva condotta della polizia”.
(“The Washignton Post”)
“Billionaire Nation” - la nazione dei miliardari -  è una serie del “Washington Post” che esamina come i più ricchi abbiano accumulato un potere politico senza precedenti.

L’effetto Di Pietro a Bruxelles – o l’Europa abbandonata

Eva è Eva Kaili, greca, socialista, giovane, bella, vice-presidente del Parlamento europeo. Rovinata a Bruxelles, nella carriera politica e nella vita, da un emulo di Di Pietro, un avvocato che si era fatto giudice istruttore per entrare poi da salvatore in politica, un certo Michel Claise (lo fece, un anno dopo avere imbastito il caso, ma ebbe solo 5 o 6 mila voti – peggio del giudice Ingroia). Carcerata e umiliata in vari modi, lei, suo padre, suo marito, la figlia, di due anni. Il suo avvocato ne fece subito denuncia, senza essere contraddetto: “Per sedici ore è stata in una cella di polizia, non in prigione, e al freddo. Le hanno tolto il cappotto e le è stata negata una seconda coperta. Aveva il ciclo con perdite di sangue abbondanti e non si è potuta lavare. La luce della cella è sempre rimasta accesa e lei non poteva dormire”.
La difesa-denuncia di Eva Kaili è d’ufficio. Ma Guastella è il decano dei giornalisti a Bruxelles, sa come si fanno le cose attorno al Berlaymont – e non aveva fatto un eroe in un primo tempo dell’avventuroso Claise, “il coriaceo giudice”, “celebrato in patria come integerrimo paladino dell’anticorruzione” (di Eva Kaili scrivendo tranquillo “arrestata in flagranza per corruzione”)?
Una storia di varia umanità. E di malagiustizia – lo scandalo per il quale Kaili è stata arrestata e torturata, il “Qatargate” dei cronisti giudiziari, nessun successore di Claise si è sentito di portare in tribunale, a fronte di prove false. In una capitale che si dimostra ogni giorno di più un handicap per l’Unione Europea, per razzismo, più o meno velato (fa scandalo solo di italiani), divisioni etniche, riserve sulla stessa Europa, burocrazia spaventosa. E ora pure i processi “mediatici”. I belgi non si scoprono ora. Ora il Qatargate si farà in tribunale, forse, contro gli inquirenti, per aver diffuso in anticipo sugli avvisi di reato e gli arresti, tra un gruppo di giornalisti, tutti i particolari della futura operazione.
Un po’ di autocritica sulla politica fatta dai cronisti giudiziari non sarebbe stata male.
Lodovica Bulian-Giuseppe Guastella, Il peccato di Eva, Fuoriscena, pp. 240 € 17,50

 

mercoledì 3 dicembre 2025

Se la “pastetta” Mps-Caltagirone è del Tesoro

Ma allora, se è vera la testimonianza di Orcel in aprile alla Procura di Milano, che Unicredit aveva offerto un premio del 10 per l’acquisto di Mps - l’aveva offerto alla dirigenza del Tesoro dopo averne parlato col ministro Giorgetti. E che la dirigenza ha rifiutato. Allora l’indagine milanese sul “concerto” non è politica, c’è aria di concussione e di corruzione. E qui si mette male per Mps, per i suoi nuovi padroni, e per la burocrazia del Tesoro. Perché non c’è neanche bisogno di dimostrare la concussione\corruzione, basta il “concerto”, che in questo caso è nei fatti.
“Su Mps una battaglia con due perdenti”, questo sito poteva titolare quattro anni fa, il 31 ottobre 2021
http://www.antiit.com/2021/10/su-mps-una-battaglia-con-due-perdenti.html
Quindi il gioco del Tesoro era partito prima del governo Meloni – col governo Draghi. Ministro del Tesoro Daniele Franco, altro grand commis della grande burocrazia pubblica (Banca d’Italia).
Il Tesoro è sempre stato il dicastero più professionale e considerato, vestale come nessun altro dell’interesse dello Stato – non si fa la “pastetta” Mps per incapacità. Ma è anche vero che Roma è “prensile”.

La sindrome del tribunale

Si ragiona sui media italiani (solo su quelli italiani) come se la Russia fosse davanti a un tribunale di Norimberga. Trascurando il fatto che ha vinto la guerra e non la perde. Che la Cina, e ora anche gli Stati Uniti, sono con la Russia. Che il tribunale che si vorrebbe, la Corte penale dell’Aja, non eisiste per Cina e Stati Uniti, oltre che per la Russia. Che a Norimberga si fece un processo politico, per quanto giusto, che comunque ora è impossibile fare. Che a Ue non solo non ha vinto la, guerra, ma è poca cosa negli assetti politici mondiali, che sono cosa diversa dal pil, rispetto alla Russia.
Stupidità non è, i dati di fatto sono evidenti – la stupidità vorrebbe compassione. C’è un moralismo d’accatto, vittimista, che dovrebbe lavare l’inconsistenza e\o l’incapacità. Se la guerra in Ucraina è la nostra guerra, ha ragione Putin: facciamola. Il problema è che gli Stati Uniti hanno voluto punzecchiare la Russia, e l’Europa ne paga le conseguenze.
Ma neanche questo si dice, neanche ora che gli Stai Uniti (non gli Stati Uniti dell’aborrito Trump, quelli di Clinton, di Bush jr., di Biden e di Trump) tengono l’Europa di scorta.

“Montalbano” al lavoro in Toscana

Sotto un titolo improbabile storie vere. Di incidenti sul lavoro, mortali. Che sono numerosi, quasi quotidiani, e sempre per colpe, gravi. Alessio Vassallo lascia i panni grevi dello “scannatore” del “Giovane Montalbano” per quelli barbuti e tristi dell’ispettore, vedovo inconsolabile, che torna a Lucca, all’ufficio provinciale del Lavoro, da Reggio (Calabria) dove ha vissuto a lungo. Con una bambina vivace da accudire. E una metodologia e una capacità di analisi in grado di fargli risolvere ogni caso – due per puntata. Un “Montalbano” meno teatrale, ma altrettanto simpatico, e più vero - la materia lo è, nuova. Con ambientazioni e tempi convincenti e misurati - come nei Montalbano . Il buco nero della morte del padre tiene le fila della miniserie.

Un vecchio amico del padre, Cesare Bocci, lo ospiterà provvisoriamente, accudendo con intelligenza e brio la bambina, mentre si spende tutto nel “sociale” – ma con qualche segreto inconfessabile, del tipo racket. Mentre due ex compagne di liceo, che al tempo “non lo vedevano”, al ritorno lo scoprono attraente e anzi irresistibile, Francesca Inaudi e Silvia Mazzieri.
È come dice la regista, “un ispettore senza pistola, che per risolvere i suoi casi non usa la violenza, ma la gentilezza, la competenza, lo studio, l’intelligenza, l’empatia”. Per storie ricavate dalla cronaca. Con metodologie, psicologie, maniere ricalcate sui libri di Pasquale Sgrò - lui stesso ispettore del Lavoro a Lucca per lungo tempo, proveniente da “Reggio” (Motta San Giovanni). Ma senza “regionalismi”.
La Rai non ha promosso la miniserie, che quindi ha debuttato senza le grandi file. I casi e la qualità della sceneggiatura meritavano di più.
Paola Randi, L’altro ispettore, Rai 1

martedì 2 dicembre 2025

Letture - 598

letterautore


Giorgio Caproni  - La scuola Primaria Statale ex Crispi - poi Gianicolo, ora Ic Largo Oriani, in ossequio alla “riforma” Gelmini – si doveva intitolare a Giorgio Caproni. Che vi aveva insegnato, e ha abitato una vita in una casa dietro la scuola. Ma il consiglio d’istituto, cioè la dirigente del “plesso” e i rappresentanti di docenti, personale ATA e genitori, ha detto di no, meglio l’indirizzo postale.
 
Casanova – “Figlio di attori e principe degli avventurieri, chierico a Venezia e in Calabria, segretario del cardinale Acquaviva a Roma, soldato della Serenissima in Oriente, violinista nel teatro San Samuele a Venezia”, Armando Torno, recensendo “Casanova” di Stefan Zweig sul “Sole 24 Ore Domenica”: “Condusse vita randagia tra Dresda, Praga e Vienna, Svizzera, Olanda, Russia e Polonia; particolarmente in Francia, dove introdusse il gioco del lotto dopo essere fuggito dalla prigione dei Piombi. Con il nome di cavaliere di Seingalt seduceva donne, duellava, praticò la magia; riuscì financo a diventare confidente degli inquisitori. Morì bibliotecario del conte di Waldstein a Dux, in Boemia”. E scrisse, in francese per farsi capire da tutti, una “Storia della mia vita”, in quattromila pagine, tradusse l’“Iliade” in veneziano in ottava rima, galoppante, e in toscano, scrisse racconti e commedie, un romanzo di fantascienza, “Icosameron”, nonché saggi di storia e di politica, e risolse problemi matematici.
 
Fellini – Riviveva Kafka. Milo Manara, che ebbe un lungo rapporto con Fellini per un progetto che poi restò sulla carta, “Viaggio a Thulum”, ricorda il primo incontro nel suo studio in Corso d’Italia a Roma: “Mi colpì che il nome sul campanello fosse «Il disperso». Capii in seguito che era un’allusione a Kafka”. Al romanzo “America”, “il cui titolo in origine era appunto «Il disperso»”.
Ma era legato a una cultura popolare, dell’immagine. Sempre Manara: “Fellini amava i fumetti e i fotoromanzi. Li considerava gli strumenti culturali con cui la gente si avvicinava alle immagini e alla scrittura” - come nel Medioevo, arguisce poi: “Gli affreschi nelle chiese erano come fumetti, che scatenavano la fantasia degli umili fedeli più delle prediche”.
 
Italia – Fra le tante beatitudini di Stendhal in Italia, questa del saggio “Dei pericoli della lingua italiana” (“Memoria per un amico incerto nelle sue idee sula lingua” – l’amico sarebbe Silvio Pellico) è fuori concorso: “Questo giardino dell’universo, questa bela Italia che ai tempi dei Romani assoggettò tutti gli altri popoli, che sotto Leone X li civilizzò, che sotto Gregorio VII, senz’armi, fu la seconda volta la padrona del mondo allora tutto armato, e che oggi tagliata a pezzi dalla forbice delle parche regna ancora sugli altri popoli con l’impero dei più dolci piaceri. Da quando i barbari, stanchi delle loro sanguinose contese, vollero dimenticare le ferite e cicatrizzare le piaghe dei loro cuori, noi li vediamo accorrere nella nostra bella patria. Essi vengono a consolarsi dei dolori della vita con gli accenti incantevoli di Rossini, davanti alla ‘Ebe’ di Canova o contemplando i furori di Otello e le grazie seducenti di Desdemona”.
Con un solo problema: “La causa che ferma il cammino dello spirito di un popolo così interessante per tutto l’universo, del primo popolo del mondo, non può che essere curiosa da indagare…” – la causa è la lingua, lo scollamento fra la lingua d’uso e la lingua letteraria, artificiosa, trecentista.
 
Henry James – Fu “europeo” per ragioni familiari? John Banville, analizzando il saggio “Hawthorne” di H. James sulla “New York Review of Books”, ricorda che “fin dall’inizio”, dell’attività di scrittore, “James ebbe diverse ragioni per abbandonare la sua «cara terra natale», che è quella di Hawthorne” - salvo professarsi da ultimo “americano”. Fra le tante una pesò di più sull’esilio – “un esilio felice, va detto”, un autoesilio: “La presenza costante e spesso rumorosa del suo amorevole ma rivale fratello maggiore, il filosofo William James”.
Il padre, eccentrico, ricco e spendaccione, da cui lo scrittore prese il nome, Henry James sr., aveva investito gran parte della ricchezza ereditata in viaggi familiari in Europa, con la moglie, i quattro maschi e la figlia Alice. William non ne subì l’influsso: “Era tanto un vero yankee quanto un bramino del New England, ed era contento di essere l’«americano» che Henry, negli ultimi anni, aveva devotamente ma in modo poco convincente affermato di essere, se avesse rivissuto la sua vita. Il fatto è che Henry aveva una sensibilità europea quanto un non europeo potesse coltivare”.
Tornò in America due volte nel 1882: a gennaio per la morte della madre, a dicembre per quella del padre. E poi nel 1910, per rivedere William, malato terminale.
 
Machiavelli – “Una finissima stratega. Potrebbe aver letto Machiavelli?” “Ne sono quasi certa. Suo padre, Lord Morley, ha tradotto parte dell’opera di Machiavelli, e l’ha regalata a Thomas Morley, protettore di Jane” - spiega la scrittrice Philippa Gregory, che di Jane ha ricostituito le vicende nel romanzo storico “La traditrice”. Jane è Jane Parker, Lady Rochford, moglie di George, il fratello di Anna Bolena. Che quando Anna e il fratello vengono decapitati alla Torre di Londra dal volubile Enrico VIII, riesce a rimanere a corte, nel sul ruolo, cioè “a sopravvivere a cinque regine”, di cui era la prima dama di compagnia, finite male. Ci voleva un solido metodo, era difficile sopravvivere agli umori di Enrico VIII – che continuò a praticare il cattolicesimo malgrado lo scisma, spiega Gregory, e si volle “seppellito con rito cattolico”.
 
Pietroburgo – “La città più astratta e più premeditata di tutto il globo terrestre (ci sono città premeditate e non premeditate)”, F. Dostoevskij, “Memorie del sottosuolo”.
 
Scrivere – Un caso - una forma? - di ipocondria? Dostoevskij lo fa dire al memorialista di “Memorie del sottosuolo”, a inizio del racconto: “Tutti quanti si vantano delle proprie malattie e io, forse, più di qualunque altro”.
 
Umberto Saba – Soffrì molto le leggi razziali perché, “pur essendo di razza mista”, annotava all’epoca Leonetta Cecchi Pieraccini nelle “Agendine” che ora si pubblicano, “per solidarietà con la madre abbandonò fin da giovinetto la casa paterna e ha sempre vissuto con la madre, e si iscritto all’associazione ebraica e ha sposato un’ebrea e ha una figlia ebrea”. Pur volendosi italiano: “Ora si trova rinnegato come poeta italiano mentre egli era ambizioso di essere forse il primo. È avvilito e scorato fino a rasentare il pensiero del suicidio”.
 
Stati Uniti – Un’America non romanzabile, a metà Ottocento, secondo Nathaniel Hawthorne, perché non ha – non aveva – un passato? In un s aggio su Hawthorne pubblicato nel 1879, Henry James gli imputa questo problema: come ambientare un “romanzo” in America, la sua “cara terra natale”, giacché non ha “nessuna ombra, nessuna antichità, nessun mistero, nessun tono pittoresco e cupo, né altro che una prosperità comune, alla luce del sole”.
Un saggio autoreferenziale?
Rileggendolo, John Banville così ne sintetizza sulla “New York Review of Books” l’argomentazione, in difesa dell’indifendibile Hawthorne – una lunga lista di “elementi di alta civiltà”, essenziali per un artista, di cui l’America era carente: “Nessun sovrano, nessuna corte, nessuna lealtà personale, nessuna aristocrazia, nessuna chiesa, nessun clero, nessun esercito, nessun servizio diplomatico, nessun gentiluomo di campagna, nessun palazzo, nessun castello, nessuna tenuta, nessuna vecchia casa di campagna, nessuna canonica, nessuna casa con il tetto di paglia, nessuna rovina ricoperte d'edera; nessuna cattedrale, nessuna abbazia, nessuna piccola chiesa normanna; nessuna grande università, nessuna scuola pubblica, niente Oxford, né Eton, né Harrow; nessuna letteratura, nessun romanzo, nessun museo, nessun quadro, nessuna società politica, nessuna classe sportiva, niente Epsom o Ascot!” Salvo poi pentirsene, di “questa tremenda salva”. Per concludere: “Il lato negativo dello spettacolo a cui Hawthorne assisteva
potrebbe, in effetti, con un po’ d’ingegno, essere reso quasi ridicolo”; sebbene molto possa mancare negli Stati Uniti ancora giovani, “molto c’è”. E di questo “molto” il “dono nazionale” fa “quell’«umorismo americano» di cui negli ultimi anni abbiamo sentito tanto parlare». Di Mark Twain?

letterautore@antiit.eu

Tutti da Goffredo

L’arcipelago è nazionale, di fatto – “Voci e luoghi della cultura italiana” è il sottotitolo. Non è un libro sul Sud, né si può dire visto dal Sud, se non per l’esperienza di Fofi con Danilo Dolci negli anni giovanili, formativa probabilmente ma limitata. Né c’è una prospettiva meridionale o meridionalistica in Fofi.
Una antologia di scritti di Fofi e delle “vite” da lui raccontate in varie trasmissioni radio (il titolo è di una rubrica di Radio 3), organizzata e rivista dallo stesso autore, fino al 16 giugno 2025, alla vigilia della morte – quel 16 rivide l’ultimo, Sciascia. Impaginata in ordine alfabetico.
“Vite” anche di una pagina, Di Vittorio, Giuseppe De Santis, Jolanda Insana, più spesso di due, il dimenticato Marotta, Modugno, De Rita, Ernesto De Martino. Molti sconosciuti. 
Una rivisitazione – curiosamente, tema agonico. Di persone più che di personaggi. Come di una grande, estesa, compagnia, di amici e di conoscenti, che Fofi ha voluto rivivere, fra i tanti suoi scritti. Attorno a sè, come per un saluto.
 
Goffredo Fofi,
Arcipelago Sud, Feltrinelli, pp. 344 € 22

lunedì 1 dicembre 2025

La bolla intelligente

Gita Gopinah, prima Vice Direttore del Fondo Monetario Internazionale, calcola che una “correzione del mercato” analoga a quella che a fine anni 1990 fu provocata dalle dot.com, le nuove entranti nei mercati finanziari che avevano portato i listini ai massimi, cancellerebbe una “ricchezza” pari al 70 per cento del pil americano, 20 trilioni di dollari – venti miliardi di miliardi. Negli Usa. E al di fuori degli Usa poco meno, 15 trilioni.
La “correzione” oggi è vista come improbable, per le mutate condizioni del mercato. I listini sono ai massimi, indipendentemente dalle guerre, militari e commerciali. Ma i titoli tecnologici oggi sono i più solidi, oltre che più ricchi, del mercato.
Secondo il Fondo Monetario i mercati sono oggi meno sopravvalutati che a fine Novecento. E il capitale coinvolto è molto più concentrato, e quindi gestibile – il 33 per cento del totale è delle “magnifiche sette” dell’alta tecnologia, e tutte fanno capitalizzazioni trilionarie. Le stesse che contano sempre per un terzo e più, il 35 per cento, della capitalizzazione delle prime 500 società quotate. E anche la natura della “bolla” è diversa: quella di oggi sarebbe “industriale”. Sorretta cioè dagli investimenti enormi attorno all’Intelligenza Artificiale.
I titoli tecnologici hanno assicurato il boom di Borsa, del 100 e anche (Oracle) del 200 per cento nell’anno. Ma a novembre sono quelli che hanno appesantito il listino, con perdite consistenti, dal 6,2 di Amazon e Microsoft al 22 di Oracle, e qualche scricchiolio di OpenAI – il listino è stato tenuto su, a nuovi massimi, dai titoli old economy, Walmart, Johnsn&Johnson, Eli Lilly, e perfino Coca  Cola.

Indagine francese su Mps-Mediobanca-Generali

Non c’è armonia fra gli eredi Del Vecchio sull’affare Mps-Mediobanca-Generali. Non c’è armonia tra i fratelli, ma in questo caso per fatti specifici, e con effetti probabili su Milleri, il manager scelto per gestire la successione, e sull’indirizzo da lui dato a Delfin, la finanziaria di famiglia. In particolare dopo gli avvisi di garanzia della Procura di Milano, ma già da prima. Per la decisione a suo tempo della Procura di Milano di aprire l’indagine Modello 21, a differenza di Roma, che la derubricava a Modello 22: cioè un’indagine su presunzione di reato invece che su elementi giudicati probanti. E dopo le critiche dell’ex ministro francese delle Finanze, Éric Lombard, in carica fino a metà settembre, ex dirigente di Generali France – nonché ad a lungo della Cdc, la Cassa depositi e prestiti (Cdp) francese.
Delfin è azionista di maggioranza di EssilorLuxottica, società parigina, che rientra nella vigilanza della Consob francese – Ami, Autorité des Marchés Financiers. La quale si è mossa per analizzare il procedimento milanese contro Delfin e Milleri.
L’inchiesta milanese ha indebolito la posizione di Milleri in Francia, e potrebbe portare a una sua decadenza d’autorità, o a una sospensione cautelativa.

Un carosello del buon amore

La storia ventennale di “Carosello”, la pubblicità serale sceneggiata alla Rai a partire dal 1957, camuffata da storia d’amore. Anch’essa brillante - il giusto - come “Carosello”, e lieta. Fra la ragazza neo assunta, “mi porti il caffè”, e il regista giovane di grandi ambizioni.
Un film semplicissimo: una rievocazione storica, con materiali di archivio, che la scelta felice dei due protagonisti, Ludovica Martino, la ragazza “mi porti il caffè”, lei specialmente, e Giacomo Giorgio, il regista vicino di casa e di quartiere, rendono gradevole e perfino viva. Altrettanto semplice e ispirato il contorno d’epoca, linguaggi, ambienti, valori.
Jacopo Bonvicini, Carosello in love, Rai 1, Raiplay

domenica 30 novembre 2025

Ombre - 801

Niente Filosofia per i militari all’università: Bologna “alma mater” filo-Soros sulle piste del “Che” Guevara – che però i militari li ha voluti all’università? Da qualche tempo. Era al centro della politica moderata a inizio millennio, con Prodi, Casini, Fini, Nomisma, i circoli. Poi è passata alla goliardia con le “sardine”. E subito poi alla guerriglia urbana, col sindaco che dà le chiavi della città alla temibile Albanese, e non vuole israeliani a Bologna nemmeno se giocano a basket – anzi vorrebbe puniti gli agenti che li hanno protetti. I bolognesi sono diventati troppo grassi, si annoiano?
 
Dieci righe e una fotina al corteo romano di Greta – poco di più in cronaca romana: “la Repubblica”, il gruppo Elkann, serra i ranghi dopo l’assalto alla “Stampa” a Torino. I terribili anni Settanta sono ineguagliabili, e poi non ci sono più i furbi incitatori, né Ottone né Scalfari, ma l’albero dell’odio è sempre vivo. E sempre, farà pure vendere qualche copia, ma ha un solo frutto, velenoso.

Il consigliere Yermak sostituito dal consigliere Umerov può fare avanzare il negoziato con la Russia, ma nel senso che l’Ucraina dovrà accettare le condizioni di Putin. Una debolezza si aggiunge a una debolezza. E c’è anche Mindich, il socio in affari di Zelensky, in fuga da un anno. E c’è il tentativo di Zelensky qualche mese fa di indebolire l’autorità anti-corruzione. Soprattutto riemerge quello che si sapeva prima dell’attacco russo, che l’Europa si è assunto con l’Ucraina un compito gravoso, molto.

Settimana di passione per l’oro: resta alla Banca d’Italia, se lo prende Meloni? Pagine su pagine, sdottoramenti di esperti, scenari apocalittici, mentre era solo un’esca del governo per distogliere l’attenzione dai punti controversi della Finanziaria. Se le cose non si dichiarano, i media non le capiscono.

 
Demografia, produttività, pil, “Italia in coda tra i paesi dell’Eurozona”: Trovati implacabile sul “Sole 24 Ore” documenta ritardi inoppugnabili dell’Italia negli ultimi dieci anni. E potrebbe aggiungerci la diffusione della “povertà percepita”. Se non che l’Italia è un Paese invidiato, per il suo tenore di vita – invidiato in Europa e fuori, anche in America. E uno non se lo spiega. Il pil stagnante sì, perché la produzione italiana è legata alla (ex) Fiat-automotive e alla Germania, che sono da anni in crisi. Ma riesce ancora a risparmiare – troppo, secondo le banche. E il risparmio, non statisticizzato, spiega il “miracolo”.
 
Isolato ma eloquente (dirimente), sempre sul “Sole”, il lamento di Confindustria: “Per gli alti costi dell’energia stiamo perdendo pezzi d’industria”. E questo è vero. Da cinquant’anni, dalla crisi del petrolio del 1973. L’Italia, paese probabilmente unico in Europa, non si è mai data una politica dell’energia – a parte il “risparmio” (alti costi? meno consumi! – non una grande politica).
 
Però, i manovratori dell’operazione Mps-Mediobanca-Generali erano intercettati da tempo, Lovaglio e Caltagirone. E i gestori di Akros. E i dirigenti del Tesoro. E su che basi? Si pensava su un esposto Unicredit, alla Consob o/e in Procura, per l’esclusione un anno fa dall’asta Mps che ha avviato la caccia a Mediobanca-Generali. Ma l’esposto non c’è. Ora si dice l’indagine avviata su una denuncia per diffamazione, di Mediobanca, cioè dell’ex amministratore Nagel. Ma allora siamo alla primavera. Mentre Tesoro e Akros erano intercettati un anno fa, e anche prima.
 
“Anonima Nigeria”, i vescovi italiani scoprono su “Avvenire” che in Nigeria si fanno rapimenti a raffica, specie di ragazzini, specie nelle scuole cattoliche. Che si fanno da anni, se non da decenni. Hanno i riflessi ritardati? Pensano che il vangelo sia il dialogo delle fedi? Con i mussulmani? Che sono quelli che rapiscono. In Nigeria, in Sudan, ovunque ci siano scuole e chiese cristiane. 
 
All’assalto alla scuola cattolica, 300 ostaggi fra bambini e insegnanti, giustamente cinque colonne, si affianca un colonnino del papa, che rimuove il vescovo di Cadice – non ha sanzionato bene la pedofilia. Non aveva altro cui pensare. È il ritratto della chiesa, che non capisce in che mondo si trova. Forse per l’anestetico del dialogo delle fedi. Al quale però crede – se ci crede – sol lei. Tanta barbarie nelle altre fedi monoteiste è senza precedenti – come ogni barbarie.
 
Perfino “il Foglio”, il giornale intelligente della destra, si lascia irretire dalle modelle rivestite di tuta mimetica, come quelle che “hanno spezzato un tabù nell’esercito di Kiev”. Come quelle di Gheddafi. Che le agenzie di pubblicità vendevano a Gheddafi, che le smerciava gratis ai media occidentali.
 
“il Foglio” si cautela titolando “le droniste ucraine”, assonanza molto dismissiva, quasi porno. Ma non se ne può più della pubblicità professionale che dal primo giorno di guerra ha esibito l’Ucraina – degli altri non sappiamo, perché ci facciamo un pregio di non sapere nulla di Mosca e viciniori. Una “notizia” al giorno, roba di agenzie britanniche o di Madison Avenue, che in questa guerra hanno trovato una miniera.
  
Fra tutti gli “obiettivi” che si potevano trovare i kollettivi giovanili torinesi puntano “La  Stampa”, il giornale forse che più equamente ha coperto la guerra in Palestina. Questa è una vera rivoluzione. C’è una ritualità persistente dopo il Sessantotto: okkupazioni, manif, kollettivi. Che dovrebbero essere un rito di passaggio all’età adulta e alla politica, e invece sono una deriva, di stupidità oltre che di danni. Una componente, i danni, che nell’età del mercato pesa. Finora soprattutto per le scuole, non per i giornali, che ci guazzavano. Ora non più?
 
Per la prima visita fuori d’Italia il papa Leone ha scelto un dittatore. Anche integralista islamico, seppure per finta. La chiesa si vuole proprio perdere, un martirio al rovescio?
 
Poi, a Istanbul, il papa Leone deve visitare la Moschea Blu. Per celebrare la grandezza dell’islam. Non Santa Sofia, che fu un grande tempio cristiano, poi museo, e Erdogan ha convertito in moschea. Anche il papa americano, come già quello argentino, onora le massonerie (il mondo sunnita, da Erdogan a Bin Salman, è il pilastro del libero pensiero)?
 

Kafka sulle orme di Dostoevskij

Una riedizione, con nuove traduzioni, di Daria Biagi – la memorialista apprezzata di Berto, Fusco, Erich Linder, nonché traduttrice di Anna Seghers. Che si impone per avere cambiato il titolo classico del più classico della raccolta, “Die Verwandlung”, da “La metamorfosi” e “La trasformazione”. Senz’altro più assonante il vecchio titolo - nelle lingue neolatine ma anche in inglese. Ma si cambia col nuovo, perché?
Si parte con Hannah Arendt: “Le cosiddette profezie di Kafka sono soltanto una sobria analisi delle strutture nascoste che oggi sono venute alla luce”. Ma non c’è niente di esoterico in Kafka, il signor K. del Processo e del Castello - almeno per un lettore immune alle credenze esoteriche, per quanto “rivelate”. Si finisce con Cacciari, “Sulla soglia”, sull’essere al limite delfico, del “conosci te stesso”. 
Una “edizione Biagi”, si può dire. Ma la sua lunga introduzione, “Kafka narratore diabolico”, è più difensiva che persuasiva – molte ragioni sono possibili per rieditare testi anche molto noti.
Altre curiosità solleva la riproposta, la rilettura. Di Kafka manierista, peer esempio – nei racconti e anche nei romanzi. Una ipotesi di metamorfosi fra le tante è proposta dal memorialista del sottosuolo dostevskjano, ed è proprio in un insetto - è una delle prime “riflessioni”\provocazioni del narratore di “Memorie del sottosuolo”: “Ora mi viene voglia di raccontarvi… come mai io non sia risucito nemmeno a diventare un insetto…. Più e più volte volli diventare un insetto”, etc. etc., “ma neanche questo mi è riuscito”.
E c’è anche poco più in là, poche righe, sempre in Dostoevskij, sempre nelle “Memorie del sottosuolo”, “il colpevole senza colpa” – “e, potremmo dire, per legge di natura”. Che non è possibile. Ma “colpevole, in primo luogo, perché tu sei il più intelligente fra quanti ti circondano”.
O anche di Kafka che pratica lo “straniamento”, quale poi sarà teorizzato da Brecht – ma come già un Ariosto, per dire, o negli stesi “veristi”?
Franz Kafka, I racconti, Einaudi, pp. LXIV + 584 € 28