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Kitsch sul Kitsch – Arbasino in viaggio
Arbasino
al suo meglio e al suo peggio. La solita “vertigine della lista”. Con la
solita storia sociale, anche politica, in filigrana, ma robusta (duratura) e
netta. Sui toni per lo più - benché scopritore impenitente, per forma mentis - del “non c’è più
religione”, rassegnato e anzi divertito: un viaggiatore conservatore. Globetrotter di formazione e vocazione, qui si
applica ai luoghi, per lui remoti. Sempre col “gusto del Kitsch sul Kitsch”, ma
qui molto spesso anche diretto, specie se ammirato. E con qualche
attenzione per le persone, oltre che per
le cose – il solito occhio antiquario, alla Praz. Molte “liste” sarebbero utili
al viaggiatore anche oggi, a trenta e più anni di distanza, in Sicilia, in
Myanmar, se fosse accessibile, in Iran, e anche nel Chiapas.
Scopre
la Sicilia nel 1995, quindi ai settant’anni o poco meno, e giusto per aver
letto il libriccino invogliante che Berenson ne aveva ricavato tornando
nell’isola cinquant’anni dopo la prima volta, ai suoi vent’anni. Non di
malagrazia, seppure non di buona voglia. E tutto trova perfetto –ben guidato,
si è portati a opinare, ma lui non dice da chi. A parte i soliti cerimoniali politici
buffi, all’epoca il vezzo di ritenersi al centro del mondo (erano gli anni -
Arbasino non lo dice, guarda tutto con occhio conservatore ma evita la politica
- di Leoluca Orlando, che si proiettava a Roma, a Berlino, a Bruxelles, a Washington
e ovunque).
Altra
scoperta è la Birmania o Myanmar. Dove c’è “la leader democratica Aung San Suu Kyi,
figlia di un eroe nazionale, premiata col Nobel e il Sakharov e il Bolivar per
la pace , agli arresti domiciliari”, e il paese è poverissimo, ma la dignità è
ovunque e l’arte vi è eccelsa, in ogni reperto, minuto e grandioso, religioso e
profano, artistico e artiginale, tenuta in pregio e ben custodita, con
naturalezza. Ma la Regina di Saba viene cercata nello Yemen. Dove invece si
tratta di plastica ovunque, e delle parti basse dei giovani locali, e
giovanissimi, su raccondazione di Pasolini, Genet e Bruce Chatwin. Che sarà
anche l’argomento trabordante dell’ultimo viaggio, a Bueons Aires – con una
delegazione del premio Grinzane Cavour nel 1997: le maialate gay più inverosimili.
Accanto a un elogio di Borges quale forse l’aedo della pampa non ha mai avuto
prima, dal gusto critico alle tecniche di autore e ai modi personali.
“Sotto
due o tre vulcani”, il saggio che apre la raccolta, in Messico nel 1997, tra
Chiapas e Yucatàn, è il più sorpreso e sorprendente - ispirato e ispirante. Un
mondo agreste montuoso che è una sorpresa inebriante per il viaggiatore urbano. Il quale si industria di afferrare e dominare la complessa eterogenietà dei luoghi. Sempre sotto lo sguardo scettico-conservatore, ma con aculei ferrei, lampi,
fendenti. Il “rivoluzionarismo” che fa la storia del Messico, all’epoca del famoso
“sub-comandante Marcos”, nel Chiapas, quello che nessuno ha visto. E la tranquilla
vita di ogni giorno, semmai funestata dal turismo. La grande ricchezza, antropologica,
artistica, paesaggistica, delle due regioni. L’incombenza dello “sviluppo”
turistico – dormitori e comitive, e plastiche.
Una
tarda scoperta d’autore. Con i suoi elenchi e le costanti digressioni, anche due-tre per pagina. Di altri mondi. Tutto
sommato ancora interessante. Anche sotto il profilo politico, per un colpo
d’occhio liberalconservatore, poco o nulla praticato, all’epoca – 1994-1997 – e
ancora oggi. Con lampi eccezionalmente illuminanti sul senso e il peso della storia,
della tradizione, dei personaggi eroici, e non. Anche dove il viaggiatore non
si sente in sintonia.
La
critica può essere feroce. Ma sempe avveduta, informata, dal di dentro.
Specialmente contro il bla-bla persistente, anche in quegli anni post-1989, di
“riflusso”, su Progresso, Sviluppo, Democrazia e perfino Rivoluzione – dove solo
affarismo c’è, e sporcizia, seppure “di sinistra”. Ma normalmente lo
sfarfallante autore sa entrare nelle situazioni locali, per le antenne
prensili: vi si ritrova, con vari accorgimenti. Per es. nell’Iran degli
ayatollah, dove riprende, accanto alla grande storia politica e poetica, polimorfa anche in regime islamico, il ruolo dei
religiosi di alto profilo, gli ayatollah appunto, gente di saggezza e di
pensiero, prima e sotto il khomeinismo – il radicalismo politico, tra sharia e jihad.
Un
caso peraltro eccezionale di letteratura di viaggio, che in Italia non è genere
praticato. Seppure d’impianto modesto, in “giacca e cravatta”, rispetto ai
modelli inglesi – viaggi brevi, organizzati, e si deduce accompagnati: niente
cavalli, niente deserti, niente fumo, mai nemmeno la sete, e montagne addomesticate.
Molti
i ricordi, anomali nelle scorribande di Arbasino, personali. In forma di
aneddoti gustosi. Dei familiari, nonni, madre, padre, perfino le sorelle. Gli amici
cari Manuel Puig e Rodolfo Wilcock – è con loro che ha elaborato “il gusto del
Kitsch sul Kitsch”. Il terribilista Fortini professore nel Sud Africa dell’apartheid. La madre di Feltrinelli che lo
rimprovera: i templi Maya inaccessibili doveva visitarli facendosi calare da un
elicottero – e il rientro? con l’elicottero, all’ora fissata. Moravia che a
Palermo e in mezza Sicilia tampina il Gruppo 63, temendo ne abbattessero con
qualche mozione irrispettosa l’autorevolezza. Saul Steinberg a Milano. Il
mausoleo di Khomeiny – ripetutamente, questo senza mai una virgola d’irrisione,
niente Kitsch sul Kitsch: il radicalismo lo intimoriva se religioso?
Alberto
Arbasino, Passeggiando tra i draghi
addormentati, Adelphi, pp. 271 € 12
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