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Vita agra e allegra di Lucia
“«È dura, questa vita in paradiso», disse Buzz”, uno
degli uomini di “Maya”, l’autrice - quello col quale vive più spesso in Messico,
il solo non spiantato, amorevole e giocoso, ma dominato dalla droga, al secolo
Buddy Berlin. Questa la vita nella “Barca dell’illusione”, a Yelapa, in
Messico, dove Lucia ha passato molte stagiomi, anche dopo la separazione.
Racconto, questo e gli altri, di vita vissuta, con leggerezza, e una venatura
di umorismo, ancorché malinconico, che è la cifra della narratrice.
Prima di Yelapa la felicità abitava Puerto Vallarta,
il luogo del racconto del titolo, l’invasione della modesta località da parte
dei grandi nomi del film “La notte dell’iguana”, prima che il film la
gentrificasse. Con John Houston gran signore, Ava Gardner matura quarantenne ubriaca,
per lo più, due matrone americane in cerca di ragazzi facili a eccitare, Elizabeth
Taylor e Richard Burton invece adorabili, giovani, tanquilli, beneducati,
simpatici. Il comico è qui del ballerino che Ava Gardner ha rimorchiato per la
notte ma che, quando lei gli si presenta nuda, resta inesorabilmente moscio.
Racconti singolarmente curati. Con un vocabolario estremanente
vasto. Ricercato, ma senza essere pretestuoso. Preciso – grande lavoro di
bulino per Manuela Faimali, che li ha tradotti. Accolti trionfalmente all’uscita,
postuma (in raccolta), e dimenticati, a torto.
Le scatole Musical Vanities Boxes sono della vita infantile
di frontiera, Juarez, El Paso. Scatole vendute di soppiatto con l’amica Hope,
una serie di straodinarie avventure in città – anche andare di soppiatto al
cinema. L’atolforno a El Paso, presso il quale Lucia bambina vive coi nonni, è
però “una bomba atomica”, tanto è pauroso e ammorbante. E tutti gli uomini,
giovani, hanno due vite, mentre le ragazze, giovani di giorno, anche loro, sono
di medio pelo la notte, esagerate, su di giri.
“Andado” è il racconto del week-end memorabile in una
villa in campagna fuori Santiago del Cile, dove la giovanissima Lucia subirà il suo primo
amplesso, col padrone di casa amico del padre che l’ha invitata, padre a sua
volta di molti coetanei, evento che le biografie registrano come stupro, ma qui
raccontato come una féerie, di fiori, farfalle, zeffiri, una sorta di idillio.
In una campagna “illuminata” dagli aromi. Nel racconto Laura\Lucia non è
abusata, è consenziente e il primo rapporto vive estremamente romantico, sepure
con un padre padrone – in rapporto con i suoi propri figli: tutto si svolge fra
letture, specie di Turgenev, “Primo amore”.
“Andado” è anche il racconto dei siti minerari dove Lucia
ha vissuto da bambina, in alloggi spesso primitivi, in posti remoti e desertici,
freddi. Un mondo non suo, quello dei genitori, compreso l’amato padre. La prima
grande miniera a cielo aperto, che le fa, anche questa, l’effetto di una bomba
atomca, la vede in Cile. Il padre vi aveva trasferito la famiglia da dirigente
dell’Anaconda – una multinazionale che poi si segnalerà nella caduta di Allende
- e forse lavorava, Lucia si compiace di pensare, per la Cia. In “Itinerarrio”
c’è pure, di sguincio, la madre: assente, ubriacona, cattiva.
Racconti di vita vissuta. I matrimoni, quattro, le
case, qualche dozzina, gli amici. E le amiche del padre, presso cui è indirizzata
quando si avventura sola, negli Stati Uniti, città per città, dove deve fare
scalo. Con una straordinaria zia Martha, che il padre avrebbe in qualche modo mantenuto,
che viene a darle il bentornato negli Stati Uniti all’aeroporto di Miami, “grottescamente
grassa, con un gozzo, un immenso gozzo”, e “con tutta la snobberia di una adolescente
vanesia”: la grottesca zia le spiega che il padre è stato un ragazzo orfano, che
a dodici anni il pomeriggio lavorava alle raccolte nei campi, studiava la notte
e la mattina andava a scuola – in contrappunto con la vita brillante di Santiago
del Cile.
I due racconti di Albuquerque,
“La casa di adobe col tetto di lamiera” e “Lead Street”, sono della vita di Maya-Lucia,
moglie ventenne di uno scultore, con cui fa anche dei figli, che la dice “asimmetrica” la prima volta che la vede nuda,
e la fa dormire a pancia in giù, per raddirazzare il nasino che guarda all’insù
- lo scultore Paul Suttman, che alla nascita del secondo figlio se la squaglia
in Italia (vi vivrà per otto o nove anni con varie borse dell’Accademia Americana
di Roma, qualcosa di suo è rimasto a
Pietrasanta). Un racconto fatto – meglio? – anche nel memoir “Welcome home”. “La mia
vita è un libro aperto” è della sua propria relazione, quando viveva sotto
alcol, con un ragazzotto, coetaneo amico dei figli, un poco di buono.
Cose viste e vissute, in racconti
dettagliati, con taglio sempre unoristico, lieve. Intervallate da frammenti,
della stessa natura, di persona e cose, eventi tagliati (inscenati) in un particolare
momento, flash della memoria, aneddoti. Materiali che non hanno trovato posto
nelle precedenti raccolte, ma non per la qualità della scrittura – forse per
problemi di privacy, dell’autrice, delle persone rappresentate. Non
manca il giallo – chi ha ucciso Sara? – anch’esso umoristico: quanti colpevoli!
Una narratrice, si conferma, dettaglista – minimal in
questo senso. La varietà floreale è sempre precisa, i luoghi pure, e le (tante)
abitazioni, in genere molto precarie. Ma tutto sempre vivo, anche se irrilevante,
e ricordato con humour – anche quando i topi la passano addosso, come
nella prima casa, quella di “adobe” col tetto di lamiera, e senza scarichi, allo
sprofondo di Albuquerque. E della giusta misura, mai profusa. Di cose e di persone.
Lucia Berlin, Sera in paradiso, Bollati Boringhieri, pp. 280 € 18
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