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Contro Netanyahu, e Israele colonialista
Il
sionismo – il “ritorno” in Palestina – è “un progetto coloniale cristiano prima
che ebraico”, di qualche presidente americano evangelico, e di Lord
Shaftesbury, che lo avviò concretamente negli anni 1830 a Londra. Proprio
quello che sarebbe sbocciato nel 1917 nella Dichiarazione Balfour. Col sostegno
molto attivo del suocero di Shaftesbury, Lord Palmerston, ministro degli Esteri e Primo
ministro. Un’invenzione, quella del “popolo ebraico”, della Riforma cristiana,
millenarista, che la fine dei tempi legava alla conversione degli ebrei e al
loro ritorno in Palestina. E poi con Napoleone – in una con Chateaubriand,
anche se i due non si amavano.
Una
“invenzione”, si può aggiungere, costola dell’orientalismo – che modernamente
appare con Napoleone, come colonialismo. E più in generale del romanticismo,
dell’“invenzione” del nazionalismo. Del popolo, la nazione, la patria.
Non
è il solo revisionismo che lo storico argomenta. Israele è un regime coloniale
di occupazione. Israele è uno Stato razzista, ai termini della sua costituzione,
dell’aggiornamento l’estate del 2008, con la legge della nazionalità israeliana,
ristretta ai soli ebrei. La radicalizzazione è stata resa possibile dall’“accordo
del secolo” del Trump 1, nel 2017. Che ha culminato “l’era Netanyahu” (“iniziata quando è stato eletto per
la seconda volta nel 2009”): Gerusalemme capitale, Golan israeliano,
Cisgiordania pure - e ora anche Gaza (con un po’ di Libano, fino al Litani).
Due
constatazioni, “accordo del secolo” e “era Netanyahu”, che successivamente
culminano sempre più in alto, con la distruzione di Gaza, e lo sterminio che non si può dire.
I
dieci “miti” sono: la Palestina è vuota, gli ebrei un popolo senza terra,
essere ebreo è essere sionista, il sionismo non è colonialismo, i palestinesi
se ne sono andati volontariamente nel 1948 (Israele ha reso inaccessibili gli archivi
sulla “Nabka”, l’esodo palestinese), la guerra dei Sei Giorni nel 1967
(occupazione di Golan e Cisgiordania era obbligata, Israele è una
democrazia, l’unica del M. Oriente, la “pace di Oslo”, l’ “indipendenza” di
Gaza.
Molto
Pappé si basa sulla ricostruzione di Shlomo Sand, “L’invenzione del popolo
ebraico”. Ma con riferimenti anche all’evidenza: non era spopolato un luogo
sacro, oggi come ieri e l’altro ieri, dell’islam. E dettaglia la normativa e la
prassi israeliane a Gerusalemme Est e in Cisgiordania.
Un
saggio alla terza ristampa, ma nessuno se ne è accorto.
Uno
storico rispettato, israeliano docente in Inghilterra, all’università di
Exeter, direttore di un European Center for Palestinian Studies, confinato in Italia
al “Manifesto”, per le cure di Federica Stagni, che l’ha tradotto dall’inglese,
e di Chiara Cruciani.
Oggi la ministra della Scienza e della Tecnica di Netanyahu posta un messaggio
IA in cui, fra le tante tracotanze, parla dei palestinesi come “nativi”
(celebra “la migrazione volontaria dei nativi” – volontaria sotto le bombe,
sotto i fucili del 700 mila coloni). Ma questo è un errore: non ci sono nativi
nella vulgata coloniale.
Ilan
Pappé, 10 miti su Israele, Tamu, pp.
285 € 16
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