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mercoledì 23 luglio 2025

Fenomeno Trump

Trump non è naturalmente il buffone che finge  di essere. Finge, anzi, in una strategia di comunicazione precisa, si direbbe studiata alle virgole, evidente nella profluvie di ex tweet che lancia ogni giorno, e nei dialoghi quotidiani con i giornalisti, a ogni uscita dalla Casa Bianca e al “caminetto”. Per “fare notizia”, ogni giorno, con linguaggio diretto. Modellato, si dice con disprezzo, sui Maga, i coatti celoduristi, che invece non lo capiscono – lo seguono ma non lo capiscono (non capiscono nulla). Noiì, sui social.
Una strategia complessa, frutto evidentemente di un’organizzazione anch’essa complessa, a partire dalla finta ingenua che gli fa da portavoce. Che comprende il finto pagliaccio: esagerazioni, minacce, ingenuità, buffonerie. Evidente nel format: subito il radicalismo, la botta. E sempre con uscite studiate: frasi fintamente dal sen fuggite e invece calibrate, negli aggettivi, i toni, le pause, e il significato dietro il colore.
Non una novità, fu la strategia di Reagan – altro parvenu, che i media mainstream dovevano irridere. Reagan non aveva (costose) guerre aperte, ma sull’economia fece presto e bene quello che Trump prova, chiudendo la sua offensiva in pochi mesi alle sue condizioni con l’Accordo del Plaza, dazi e contingenti, e svalutazione del dollaro – allora il “nemico” era il Giappone e non la Cina, con l’Europa sempre nel mezzo.
Del tutto nuovo è la strategia di comunicazione. Il berrettino sul vestito sempre perfetto, di sartoria, con una grande varietà di cravatte tinta unita – serie ma colorate. E la disponibilità a ogni domanda in ogni occasione. Con risposte sintetiche, se possibile trasgressive.

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