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Quando Roma era la capitale
Richiesto
di una “auto-cronologia” -
commissionata “per un uso editoriale postumo” – Arbasino scrisse venti anni fa
un ricordo milanese, romano e fortemarmimo degli anni 1950 e 1960, con un
excursus da Einaudi - da Calvino che lo tenne a battesimo, con consigli
editoriali preziosi, per il suo primo libro, “Le piccole vacanze”, e anche per
il secondo, l’“Anonimo lombardo”. Ribollente. Di nomi, occasioni, incontri, pubblicazioni,
che scorrono con una forte dose di rimpianto.
Anche il teatro è un must continuo, e la Scala. Stagioni artistiche
anche memorabili. Compresa la grande musica a Roma. Basta “Cesaretto”, la table d’hôte in via della Croce a fare
gruppo e differenza, semplice e raffinata, di conversazioni e di servizio.
A Roma dove Arbasino lavorava alla Sioi, da studioso di
diritto internazionale, col “professor Ago, cognato di Bobbio”, “uscendo dal
Palazzetto di Venezia e dalle note e schede per ‘La Comunità internazionale’ e
il Diritto del Mare, verso le sette, passavo al ’Mondo’, sulla piazza Montecitorio,
dove sui divani redazionali e davanti agli scaffali dei periodici stranieri si
conversava con Sandro De Feo, Nicola Chiaromonte, Nina Ruffini, Gabriele Baldini,
Vittorio Gorresio, Vittorlo De Caprariis”,
e un’altra dozzina, o ventina, di nomi. “Inventando il Kitsch e il Camp”…
Roma
soprattutto è incredibile, per la immensa platea di possibili incontri, in vari
luoghi e a tutte le ore, di nomi belli-e-buoni: una compagnia “di formazione” per
un giovane curioso che a scorrerla oggi ha dell’incredibile.
Alberto
Arbasino, Memorie quasi indiscrete,
Feltrinelli, free online
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