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giovedì 17 luglio 2025

Letture - 584

letterautore


Aids
– Se ne vergognavano, quando ci fu l’epidemia quarant’anni fa, soprattutto gli intellettuali - Goffredo Fofi, ricordato su “Il Sole 24 Ore Domenica”.

 
Determinismo
– “Non credo che la letteratura sarebbe possibile in un mondo predeterminato. Potremmo seguirne le leggi, ma il cuore ne rimarrebbe escluso… Basterebbero i due romanzi che ho scritto per capirlo. Sono convinta che più si scrive, meno i è inclini ad affidarsi a teorie come il determinismo. Il mistero non è qualcosa che evapora progressivamente, al contrario, cresce insieme con la conoscenza” – Frances O’Connor, “La breve vita felice”.
 
Dio
– “Non devo suggerire che la scienza è inaffidabile”, scriveva Frances O’Connor a un’amica (dalla raccolta epistolare “La breve vita felice”), ma solo che non possiamo giudicare Dio a partire dai limiti della nostra conoscenza degli elementi naturali… Io lo vedo come l’apoteosi della perfezione, della completezza, della potenza. Dio è Amore, e non crederò mai che nell’Amore vi siano degli stadi negativi o delle imperfezioni”.
 
Fede e scrittura –“Sento che se non fossi cattolica non avrei nessun motivo per scrivere, nessun motivo per vedere, nessun motivo per provare orrore e\o piacere di fronte a qualcosa. Sono cattolica dalla nascita…. - sempre Frances O’Connor,  nell’epistolario citato – “non ho ma avuto la sensazione che essere cattolica fosse un limite alla libertà dello scrittore, anzi il contrario”. 
 
Franco Fortini – Arbasino lo ricorda (denuncia), senza nominarlo, “il più severo dei nostri poeti moralisti”, professore in Sud Africa, “una lucrosa cattedra a Città del Capo… col conveniente pretesto di studiare personalmente la situazione”, salvo “passare alla cassa”. Fortini fu all’università di Witwatersrand nella primavera del 1984, e vi tenne lezioni su Dante, Leopardi e Lukàks.
 
G
raecia capta – Mai una rivolta in Grecia, nei tanti secoli di dominazione romana, è la constatazione di Teòdoros Papakostas, “Omero in ascensore: “regnavano la pace e il benessere economico”, mentre “l’arte e lo stile di vita greci erano amati ovunque”. E il greco era “una lingua internazionale, almeno nella parte orientale dell’impero romano” – è così che Luciano, un  siriano, scrisse in greco.
 
Greco – È il fenicio con le vocali – come poi sarà, senza vocali, l’arabo. Lo ricorda il divulgatore di archeologia greca Papakostas, “Omero in ascensore”: dai tre-quattro “secoli bui” che succedono alla civiltà micenea, raffinata, celebrata nel Mediterraneo (sulla base di reperti archeologici sparsi). Scomparsa la civiltà micenea, dai tre-quattro “secoli bui” che succedettero la Grecia emerse senza una scrittura, avendo “dimenticato la precedente – che per di più era riservata a pochi, e non molto funzionale”, spiega l’archeologo greco: “Finché un girono un viaggiatore più spigliato degli altri notò che al di là del mare, nel civilizzato Oriente, dalle parti della Fenicia, si usava un tipo di scrittura diverso, fatto di pochi simboli. Se ne appropriò, ci aggiunse le vocali, modificò un po’ i suoni, per adattarli alla lingua greca”, alla conformazione palatale, e inventò la prima scrittura al mondo in cui ogni lettera simboleggiava un suono della voce umana.
 
Immigrazione – “Si discuterà dottamente di ‘revirement’ o ‘rebound’ del già biasimato colonialismo europeo? Quando mezza Asia e tutta l’Africa fanno cose da pazzi per stabilirsi in casa dei biasimati ex colonizzatori? Chi, pochi anni fa avrebbe immaginato… le nostalgie per la ‘cultura’ dell’imperialismo di ieri?”, si chiedeva l’ultimo Arbasino, in “Passeggiando tra i draghi addormentati”.
 
Mahler vs. Puccini – Si detestavano, Cioè, Mahler detestava Puccini: “Al giorno d’oggi qualsiasi scalzacane sa orchestrare in modo eccellente”, così si esprimeva su Puccini in una lettera. E per dieci anni gli impedì l’accesso al teatro Imperiale di Vienna, di cui era direttore. Non ricambiato da Puccini, che è come se non sapesse di un Mahler compositore, il suo vero e unico concorrente considerando Richard Strauss (ma si sa che le malignità fra confratelli in arte sono correnti: Debussy trovò l’ora celeberrima Seconda Sinfonia di Mahler “buona per la réclame dell’omino Michelin”). Però poi i due, Mahler e Puccini, non sino molto distanti, trova su “La Lettura” (“Mahler, quanto somigli a Puccini”) il maestro Filidei (“Il nome della rosa”): “Mi sono sempre chiesti il motivo per cui” i due “mi abbiano provocato, dopo un iniziale rifiuto, un uguale e completo collasso emotivo durato anni”. E si risponde: “L’impressione è che, nonostante Puccini sia musicalmente più parigino e Mahler più tedesco, entrambi abbiano cercato di risolvere lo stesso conflitto vittima\carnefice che li attanagliava nela vita”. Entrambi fanno giovani la bohème, entrambi perdono il primo concorso importante, Puccini scrive dieci opere lasciando l’ultima incompiuta, Mahler scrive dieci sinfonie lasciando l’ultima incompiuta. Entrambi decidono di abitare e comporre vicino a un lago, entrambi dopo la loro morte saranno fra i più saccheggiati compositori dell’industria cinematografica”. E poi, a specchio invertito, “”Mahler è un operista felicemente mancato…. Puccini è un felicemente mancato sinfonista”, e “nella vita Mahler è stato un carnefice sul lavoro vittima in amore, almeno quanto Puccini è stato vittima sul alvoro (dei direttori) e carnefice nella caccia (non solo di folaghe)”.
 
Scrivere – “Lo scrittore non deve capire , bensì produrre. E ciò che lo porta a produrre non è vivere un’esperienza, ma contemplarla. Il che non significa capirla, ma semmai capire che non la capirà mai fino in fondo” – Frances O’Connor, “La breve vita felice”.
“Il significato di un’opera mi interessa decisamente poco… Sono senza dubbio convinta che ogni storia abbia un significato, ma il significato di una storia non può essere parafrasato, e quando è presente lo è in senso quasi fisico, più che intellettuale”, id., ib. – “chi insegna scrittura non è molto più che una levatrice”.

Selfie – “Nessuno scrittore ha sognato di essere un proprio contemporaneo” Alberto Arbasino, “Baires dopo Borges”, in Passeggiando tra i draghi addormentati”, p. 258: “Forse questo inizia nel secolo scorso”, dell’Ottocento, “prima si parlava sempre di altri tempi e di altri paesi, ed era del tutto naturale”. Fuori dalla dimensione fantastica, “l’altra letteratura è piuttosto giornalismo, storia, sociologia, non è vera letteratura, anche se si rifà alle esperienze di Faulkner… Il realismo, vediamo che è un episodio, solo un momento della nostra storia letteraria.  La grande letteratura non è mai stata realista. Del resto non sappiamo nemmeno se l’universo sia realistico oppure onirico… Anche in un libro che si crede realista, il ‘Don Chisciotte’, … ci sono sempre i due elementi, realistico e fantastico, ma quello che domina è l’elemento fantastico, perché Cervantes è dalla parte di Don Chisciotte e non dalla parte dei contadini e degli altri”.
E (p. 257): ”La letteratura fantastica è molto più naturale, perché i sogni sono reali come lo stato di veglia. Le fantasticherie sono reali, il mio passato è reale, come la memoria e la storia, che è un sogno e un incubo, «da cui cerco di svegliarmi», come diceva Joyce. E la grande letteratura è sempre stata fantastica. È incominciata con la cosmogonia, con la mitologia, i racconti di dei e di mostri. Nessuno scrittore ha sognato di essere un proprio contemporaneo”.

Tondelli –Non piacque in qualcosa a Umberto Eco, suo professore al Dams a Bologna. “Sul finire degli anni ’70 il giovane PVT”, così ricorda l’autore di “Altri libertini” Enrico Brizzi in un “cicloviaggio” commemorativo sulla “Nazione”, “macina esami. Nel profluvio di «trenta», con e senza lode, un «ventinove» di Umberto Eco lo lascia indispettito”.
 
Vittorini – “A lui (a Bobi Bazlen, n.d.r.) non interessava particolarmente «Il Gattopardo», veniva da un altro mondo culturale, eppure dichiarò, testualmente, che la sua pagina più brutta  valeva tutti i «Gettoni» di Vittorini” – Salvatore Silvano Nigro sul “Corriere della sera”, a celebrazione della versione filmica, di Visconti, del “Gattopardo”.


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