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Modesta, tra Candido e il Commendatore
La
protagonista Modesta, che un po’ si racconta un po’ viene raccontata, per
movimentare la lunghissima dettagliata sua narrazione, alla prima pagina si
tocca, alla seconda beneficia di un cunnilingus
del suo giovane amico Tuzzu, alla
terza viene “squarciata” dal presunto suo padre, improvvisamente presente e
subito scomparso. Segue poi la scoperta di non essere stata “sola a disubbidire
a Dio”, anche la nobile amabile amata madre superiora che l’ha salvata dal
carcere e l'ha presa a dormire ñel suo letto “si tocca” – finirà per questo male.
Nata col secolo, il primo gennaio del Novecento, un
Candido al rovescio, e non perché donna: fattivo e non incantato, guidato dai precetti di un giardiniere che le fu padre e di un intellettuale voltairiano sulle cui glosse impara a leggere, vuole e si prende tutto, anche quando
riflette o sta in surplace, ingordo
più che curioso, di sesso, di ricchezza, di potere, e avventuroso, tra mille
pieghe, astuzie, situazioni, manovre – incessanti, come nei vecchi romanzi che
leggeva Cervantes. Su tutto “l’ombra
della Certa”, della morte - da dare, non da subire: le situazioni narrative non
si estenuano, si troncano, come i tanti personaggi che le popolano. E questo
rende la lettura agevole, page turner, da Grande Narrazione, fluida, autorevole, tanto quanto avventurosa, sorprendente.
Ma
c’è di più: il Male si racconta, vanaglorioso, in forma di liberazione. Questo
è il senso delle letture che accompagnano la riedizione – il senso o progetto
che attribuiscono all’autrice, che ci ha
lavorato per decenni. Il che non meraviglia, il personaggio si è costruito
senza contorni, mobilissimo e pieghevolissimo, in tutti i registri, anche il
lacrimevole. Che di più per il suo autore? Ma non nel senso di un progetto, non
politico, tanto meno femminista – avrebbe valenza tutta al contrario, come forma
di dannazione: in termini di genere non ricorrono personaggi femminili se non autocentrati (egoisti), e per lo più duri, arcigni, imperiosi. Sui modelli classici si direbbe - ricorrono tutti, eccetto Medea - ma senza Fato o ineluttabilita. No, questa di Modesta è una corse folle ostentata, minuziosa nei
suoi raggiri – successi, piaceri, crudeltà. Da Commendatore senza gli
attributi, l’anima persa per eccessi don Giovanni, quello che non sapeva
fermarsi. Sempre in fregola e sempre cinica, E insoddisfatta.
Volendo
classicheggiare, Modesta è il serpente dell’Eden, sinuoso e furbo,
inafferrabile. Bello e crudele. La preghiera di Modesta è: “Io odio”. Come
dire: sono tutto, la monade egoista, dis-soluta, senza limiti - si capisce che Goliarda se ne sia nutrita per decenni.
Con
due saggi molto circostanziati, sull’opera e sull’autrice, in postfazione. Di
Domenico Scarpa: “libro memorabìbile”, epocale, come “Il Gattopardo”, anch’esso
siciliano – di autore siciliano, come Sapienza. Angelo Pellegrino,
autore in seconda del romanzo (ha tanto faticato per farlo pubblicare), fa un
diffuso “Ritratto di Goliarda”, e del libro, che ha una storia editoriale –
molto postuma - lunga e tortuosa, avventurosa, per sbocciare infine come manifesto di
“liberazione “ in Germania prima e in Francia, in Italia con molto ritardo e
ancora con riserve.
Goliarda
Sapienza, L’arte della gioia,
Einaudi, pp. 264 € 16
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