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lunedì 14 luglio 2025

Modesta, tra Candido e il Commendatore

La protagonista Modesta, che un po’ si racconta un po’ viene raccontata, per movimentare la lunghissima dettagliata sua narrazione, alla prima pagina si tocca, alla seconda beneficia di un cunnilingus  del suo giovane amico Tuzzu, alla terza viene “squarciata” dal presunto suo padre, improvvisamente presente e subito scomparso. Segue poi la scoperta di non essere stata “sola a disubbidire a Dio”, anche la nobile amabile amata madre superiora che l’ha salvata dal carcere e l'ha presa a dormire ñel suo letto “si tocca” – finirà per questo male.
Nata col secolo, il primo gennaio del Novecento, un Candido al rovescio, e non perché donna: fattivo e non incantato, guidato dai precetti di un giardiniere che le fu padre e di un intellettuale voltairiano sulle cui glosse impara a leggere, vuole e si prende tutto, anche quando riflette o sta in surplace, ingordo più che curioso, di sesso, di ricchezza, di potere, e avventuroso, tra mille pieghe, astuzie,  situazioni, manovre  – incessanti, come nei vecchi romanzi che leggeva Cervantes. Su tutto “l’ombra della Certa”, della morte - da dare, non da subire: le situazioni narrative non si estenuano, si troncano, come i tanti personaggi che le popolano. E questo rende la lettura agevole, page turner, da Grande Narrazione, fluida, autorevole, tanto quanto avventurosa, sorprendente.
Ma c’è di più: il Male si racconta, vanaglorioso, in forma di liberazione. Questo è il senso delle letture che accompagnano la riedizione – il senso o progetto che attribuiscono  all’autrice, che ci ha lavorato per decenni. Il che non meraviglia, il personaggio si è costruito senza contorni, mobilissimo e pieghevolissimo, in tutti i registri, anche il lacrimevole. Che di più per il suo autore? Ma non nel senso di un progetto, non politico, tanto meno femminista – avrebbe valenza tutta al contrario, come forma di dannazione: in termini di genere non ricorrono personaggi femminili se non autocentrati (egoisti), e per lo più duri, arcigni, imperiosi. Sui modelli classici si direbbe - ricorrono tutti, eccetto Medea - ma senza Fato o ineluttabilita. No, questa di Modesta è una corse folle ostentata, minuziosa nei suoi raggiri – successi, piaceri, crudeltà. Da Commendatore senza gli attributi, l’anima persa per eccessi don Giovanni, quello che non sapeva fermarsi. Sempre in fregola e sempre cinica, E insoddisfatta. 
Volendo classicheggiare, Modesta è il serpente dell’Eden, sinuoso e furbo, inafferrabile. Bello e crudele. La preghiera di Modesta è: “Io odio”. Come dire: sono tutto, la monade egoista, dis-soluta, senza limiti - si capisce che Goliarda se ne sia nutrita per decenni.
Con due saggi molto circostanziati, sull’opera e sull’autrice, in postfazione. Di Domenico Scarpa: “libro memorabìbile”, epocale, come “Il Gattopardo”, anch’esso siciliano – di autore siciliano, come Sapienza. Angelo Pellegrino, autore in seconda del romanzo (ha tanto faticato per farlo pubblicare), fa un diffuso “Ritratto di Goliarda”, e del libro, che ha una storia editoriale – molto postuma - lunga e tortuosa, avventurosa, per sbocciare infine come manifesto di “liberazione “ in Germania prima e in Francia, in Italia con molto ritardo e ancora con riserve.
Goliarda Sapienza, L’arte della gioia, Einaudi, pp. 264 € 16

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