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lunedì 31 agosto 2009

Ombre - 26

Ludibrio sul “Corriere” oggi di Boffo, dell’“Avvenire”, dei vescovi, con la scusa di provare che c’era un dossier sugli stessi, che circolava da tempo. Che “Repubblica” risparmia ai suoi lettori, pur avendo le stesse carte, come dovrebbe essere ovvio se circolavano da tempo. L’informazione scandalistica è come la mafia, che sempre s’incarta – c’è sempre uno più mafioso degli altri. Dopo avere fatto molte vittime e anche stragi.

Ritorna sui giornali il racconto. La domenica, su alcuni giornali. Domenica Andrea Vitali sul “Sole 24 Ore” e Giancarlo Perna sul “Giornale” hanno più o meno lo stesso racconto: qualcuno che dall’Argentina arriva in Europa, in Italia quello di Vitali, a Bruxelles quello di Perna. Lavorano in pool, per non sbagliarsi, anche le redazioni culturali?

Grande risalto su “Repubblica” al “Wall Street Journal” che scrive di Berlusconi e la chiesa. Un articolo che accortamente presenta il “Wsj” come un giornale di destra, quindi la critica a Berlusconi doppiamente sapida.
Un articolo più lungo dell’originale. Che evita di dire che si tratta di un giornale di Murdoch, che contro Berlusconi ha in corso una battaglia stratosferica, per la sfida di Mediaset-Sky alla sua Rai.

I giornali di Berlusconi dicono sempre di cosa è accusato il padrone. Su “Repubblica” non c’è una parola sul mega appartamento dei Parioli acquistato dal direttore Mauro con un miliardo in nero. E forse a sconto – comunque da un personaggio in lite in tribunale col giornale.
Forse per facilitare il compito a Berlusconi? Che così può dire che il giornale fa la morale con editore in Svizzera, seppure solo per sfuggire al fisco, e un direttore ai Parioli, e pure evasore fiscale.

Riecco, immancabili, i dossier di destra. È anche più naturale, che i dossier siano di destra.
“Come mai i dossier colpiscono e abbattono sempre e soltanto le persone invise a (una certa) sinistra?”, spock si chiedeva il 23 giugno su questo sito in uno dei suoi Problemi di base: “I dossier che magistrati felloni compilano – una volta erano i «servizi deviati»”. E: “La corruzione è a destra? Ma si penserebbero i dossier roba di destra”. E la risposta, lenta, è arrivata.
È l’inizio della liberazione della sinistra? Dai cronisti giudiziari?

Il direttore di “Avvenire” Boffo può dire che non è vero, che non ha molestato una giovane perché lasciasse “libero” il marito, o fidanzato che fosse, suo amante. Che sono due delitti agli occhi della chiesa: un divorzio, un’unione omosessuale. Invece fa la predica, insinuando la vendetta di un redattore respinto da “Avvenire”. Giovane?
Boffo è stato processato e condannato, dice, per un aspetto marginale della vicenda, le troppe telefonate alla giovane partite dal suo cellulare. La querela, dice, è stata ritirata. Per pressioni di che tipo sulla giovane, morali, finanziarie?
Strafottenza? Con una Procura e un Tribunale, a Terni, famosi come mangiapreti? No, è il vizio dei preti, che sempre si assolvono.

D’Avanzo fa un’analisi semantica su “Repubblica” domenica per dimostrare che la “nota riservata” di Feltri su Boffo molestatore è opera di un maresciallo. Ma non dice che lui lo sa anche senza la semantica. Né ha mai detto da quali note riservate lui ha saputo di Noemi, o la Sarzanini di D’Addario. Né dice quello che tutti sanno, che i marescialli sempre compilano “libere” note di servizio, preferibilmente a discapito dei belli-e-buoni della Repubblica.
Il giornalismo in mano ai cronisti giudiziari decisamente è poco semantico, i corridoi delle questure non lo sono. Anche il gossip in mano a loro puzza, che è invece accattivante e magari arrapante trattato dai fotografi, e dalle redattrici specializzate.

In cinque pagine sul “caso Boffo”, quattro più l’inutile Sofri, “Repubblica” limite il fatto a due righe. Annegate in una delle otto articolesse. Senza dire l’essenziale. Informazione?

È curioso (è doloroso avendoci lavorato, credendoci, credendo in una cultura laica) leggere ogni giorno su “Repubblica” dieci domande inquisitoriali a Berlusconi. Domande cioè che hanno risposte obbligate, l’essenza dell’Inquisizione.
A opera di un fascista. Nel quale però il giornale si riconosce, più che in ogni altro, e lo stesso Scalfari.
È curioso anche leggere questi scherzi inquisitoriali amplificati nei giornali stranieri, ma meno: il Kulturkampf non è mai morto, anche se i socialisti spagnoli e i liberali inglesi, per quanto altezzosi, non lo sanno.

Il ridicolo vero di questa vicenda è che Berlusconi non si sia fatto Noemi: l’ha patrocinata senza scoparsela, questo ormai è chiaro. Ha perso un’occasione, lui che ama fare il bambino de “il re è nudo”. Avrebbe rotto l’ipocrisia per cui una quattordicenne può abortire ma una diciottenne non può scopare. E il perbenismo non ipocrita di sua moglie, quella che la dà per assicurare il patrimonio, poi basta.

È violento Fini nella riconversione a sinistra, intimando ai deputati di fare “più laica” la legge sulla bioetica. È a sinistra quello che era a destra. Avrà sorriso il presidente Napolitano, che a sinistra c’è stato una vita, e ha saputo presiedere la Camera efficacemente e pulitamente come nessun altro, non d’autorità nelle pause fra un’immersione e l’altra.
È perentorio sempre, Fini, anche sugli immigrati. Non solo per la statura e il collo alto della camicia: è sempre il vecchio capo dell’oleografia, certo vestito da civile. Non è politico, non convince, asserisce – più spesso quello che tutti sanno. È uno dei pilastri della seconda Repubblica, e questo è già una buona spiegazione del deficit dell’Italia.

Muoiono a centinaia nel canale di Sicilia, ma non c’è emozione. Un po’ di politichicchia e basta. Compreso il giornale dei vescovi, che dice che è in atto una Shoah: si dice per non dire.
C’è indifferenza anche ai bagni di mare, esercizio indispensabile e irrinviabile, come si sa, quando sulla spiaggia c’è il morto sotto il lenzuolo. È la crisi italiana? È la condizione urbana, la disattenzione. Dove si è presi incessantemente dal niente, i consumi antropofagi. E dal tempo obbligato: pendolarismo, doppio lavoro, tempo libero. Una modernità che è solo divorante.

L’1 per cento di share perso dalla Rai (che poi non è vero) si merita la prima e una pagina intiera di “Repubblica”. Che nel titolo, nell’occhiello e nella finestra di prima ne dà la colpa al divorzio da Sky. Tutta la notizia è qui: perché “Repubblica” è paladina di Murdoch.

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