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venerdì 8 agosto 2014

Dio era greco

Per un Rinascimento che, a differenza di quello storico, non cada nell’errore di mettere lo spirito greco in antitesi col cristianesimo. Un’ubbia? Oggi sì: con la chiesa allineata al puritanesimo, non c’è altro cristianesimo se non negatore di ogni tradizione (si fa un revival delle radici ellenistiche del cristianesimo, curiosamente, proprio mentre la chiesa di Roma si spoglia di ogni concezione del sacro – rito, mito, intermediazione). Ma ancora oggi, rileggendola, Simone Weil è convincente. È anzi, di tutta la sua riflessione, il punto più solido. Con tanto parlare che si va facendo sul recupero del paganesimo in antitesi alla religione, alle religioni del Dio unico, Simone Weil sa argomentare il contrario, l’unità di Cristo e di Grecia – e per essa di Platone. Era un’idea del resto anteriore allo stesso Rinascimento, chiaramente formulata da Meister Eckhart, non uno sconosciuto anche se da qualche tempo trascurato: i pagani conobbero la verità prima dei cristiani, i sapienti greci, cioè la stessa verità, dell’anima del mondo. Al di sotto delle cose, dei fenomeni.
“La storia greca ha inizio con un crimine atroce, la distruzione di Troia. Lungi dal gloriarsene, come fanno di solito le nazioni, i Greci sono stati assillati dal ricordo di quel crimine come da un rimorso”. Questo non si trova ne “L’«Iliade» e il problema della forza”, lo studio forse più famoso di Simone Weil che apre la silloge, ma è l’attacco del successivo “Dio in Platone”: “Vi hanno attinto il sentimento della miseria umana. Nessun popolo ha espresso al pari di quello greco l’amarezza della miseria umana”. È in queste due proposizioni il senso dell’“Iliade” come il poema della forza: per la “subordinazione” che il poema rappresenta “dell’anima umana alla forza, vale a dire, in fin dei conti, alla materia”.
Col commento all’“Iliade”, e gran parte dei frammenti di Eraclito ritradotti, la silloge si compone di diversi approcci di trattazione di Platone. Ambiziosi questi, per una sorta di procedimento mimetico, volto a ricostituire Platone su Platone, anche stile argomentativo, quasi un calco, per una sorta di immedesimazione medianica. “La volontà di assumere e comprendere come un tutt’uno l’universo greco”, così Giancarlo Gaeta condensa l’impresa: “culti misterici, pitagorismo, i Presocratici, i tragici, Platone; e quello cristiano: i Vangeli, Paolo, l’«Apocalisse»”. O “la sostanziale comunanza tra le due forme di religione per quanto concerne non solo l’antropologia ma la teologia stessa, e di conseguenza la concezione salvifica”. Una missione impervia ma gratificante, e non meno vera, storicamente di altre. Simone Weil rompe il nesso giudaismo-cristianesimo, di questo affondando le radici nell’“insuperato” mondo greco. Opinabile, ma perché no. La sua rilettura di Platone, trascurata nei tanti revival,  specie dal “pensiero debole”, è la più feconda. Le confuse riproposte del paganesimo, in questo 2014, vi si rischiarano.
Con un apparato notevolissimo di Maria Concetta Sala e Giancarlo Gaeta. E la rilettura giusta, rispetto a quella di Mario Attilio Levi, della “forza” che Simone Weil celebra nell’“Iliade”. Che invece dice il poema, unico, dei vincitori e insieme dei vinti. E quindi di Dio in terra: “È impossibile”, annota nei “Quaderni”, IV, p. 186 dell’edizione Adelphi, “comprendere e amare insieme i vincitori e i vinti, come fa l’«Iliade», se non dal luogo, situato fuori dal mondo, in cui risiede la Saggezza di Dio”. È la scoperta delle comune sottomissione umana, dell’irregolare Achille compreso, alla necessità. Da cui la virtù per eccellenza, dice Simone Weil,  l’umiltà – che è anch’essa di Meister Eckhart: umiltà non come modestia o devozione, ma come scienza, atto del sapere. Dell’“Iliade” come – è quello che accomuna il saggio alle letture di Platone - del cristianesimo: il dolore comune nella disgrazia, l’eguaglianza si potrebbe dire nel bisogno, sarà dei Vangeli.
Opportunamente titolata, questa riproposizione di scritti ormai quasi centenari, nel millennio che si muove come un burattino senza fili, in superficie, è un tributo commovente. Commovente perché funebre. È come il canto di una prefica, sia pure nobile e ispirato, a un catafalco, per quanto sontuoso. L’ennesimo della serie di eutanasie che l’Europa sta perpetrando dei suoi lari, o delle sue, direbbe Simone Weil, radici: la latinità, il cristianesimo, l’umanesimo. L’aggressione alla Grecia del debito è solo un’espressione di questa violenta mutilazione. Dopo aver tentato di conformarsela secondo criteri eugenetici, al principio della superiorità, razziale, semantica, filosofica, economica. E ultimamente, dopo che la Greca classica, dopo quella vivente, era stata anch’essa sradicata: l‘Europa, fallita l’appropriazione della grecità, la reincarnazione della Grecia nella Germania, non vuole radici, siano pure decorose e inoffensive. Un continente mobile si vuole, nomade, giacché questa era la natura della sua parte continentale. Con violenza altrettanto nomadica tutto sradicando, la latinità, la cristianità, la grecità e ogni altro eredità che non sia la forza bruta – economica, ma d’impianto militare, bellicosa.
Simone Weil non è sola. Drury, “Conversazioni e ricordi”, con Wittgenstein, dice (p.22) che il suo mentore gli ha insegnato a “comprendere Platone”. In un particolare aspetto: nella continuità col pensiero e la religione cristiana – mentre prima lo riteneva del tutto alieno (“quando Platone parla degli dei, gli manca quel senso di timore reverenziale che si avverte nella Bibbia, dal Genesi all’Apocalisse”). Ma è isolata, e anzi remota.
Il lettore si consolerà con la filologia, che la giovane Weil possedeva in grado eccellente. Un Sofocle “unico”, unico tragediografo. Una traduzione integrale, con molte varianti, di Eraclito. La “forza” dell’“Iliade” reinterpretata come condizione umana, dei vincitori e dei vinti. E Platone, o l’ideale comunanza della cristianità col “mondo greco”. Ancora non è proibito pensare in proprio. Anzi, la lettura è tonificante per la sua inattualità – si parla di Grecia perché ha resistito alla Germania?
Simone Weil, La rivelazione greca, Adelphi, pp. 489 € 28

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