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venerdì 29 maggio 2015

Quante emozioni sotto l'albero

Il Duomo di Milano come un bosco sacro, di alberi di alto fusto - l’elogio dell’ombra è in realtà dell’albero. Perché no, l’idea originaria era quella, l’albero è stato sacro per molti millenni. Comunque eloquente, molti santi ne furono soggiogati. Anche criminale, specie nella Bibbia, ma sempre come Albero della Conoscenza. Mezzo di scrittura, nella polpa e nella corteccia, dacché c’è storia – e anche oggi, malgrado la scrittura elettronica. Nonché scrittura esso stesso: testimone fisico e metafisico, degli eventi naturali e della stessa storia, come e forse più dei mammiferi, per quanto intelligenti e memoriali. Metamorfico, metempsicotico, durevole. L’idea più approssimata nel reale alla resurrezione e all’eterno.
L’“elogio dell’ombra” topico è naturalmente quello di Borges, vecchio esercizio sofistico. Di un’ombra senza albero: non è frescura, non è compagna, è la città, tentacolare, incombente, sempre all’orza. Storico delle sensibilità, Alain Corbin ha messo su una spettacolare ricostruzione di tutte le possibili funzioni che all’albero si assegnano. Dell’idea dell’albero, non delle sue funzioni utilitaristiche, da frutto, da ombra, da decoro, frangivento, antimalarico – lo studioso dimentica di precisarlo, partendo in quarta nella sua avventura intellettuale, il sottotitolo è “L’arbre, source d’émotions”, ma bisogna saperlo. L’albero della vita, della sapienza, dei cimiteri (il cipresso, il tasso o albero della morte), ma non della morte, di Giuda, delle ninfe e dei satiri, della divinazione. Alberi incantati, onirici, fantastici. Alberi animati, alberi che sanguinano, specie in presenza del taglialegna. O furiosi e minacciosi. O introspettivi, muti. Confidenti e mentori, interlocutori morali. Alberi come bellezza e come desiderio - “il suo essere in pieno desiderio” Valéry dice “certamente di natura femminile”, benché protrudente  O della solitudine socievole, nello stormire e nella quiete. O dell’alterità, dell’indifferenza. Corbin lo rileva con Flaubert, che nell’“Educazione sentimentale”, seguendo Frédéric e Rosanette a passeggio nella foresta di Fontainebleau, sostiene che gli alberi, “restando esterni al sentimento del passeggiatore”, angosciavano la donna. Ma più spesso proiezione degli stati d’animo. E ancora di più partecipe, sodale taciturno e solido.
La rinascita è vegetale
Un repertorio inverosimilmente dettagliato dei riferimenti classici, e della tradizione francese e italiana (“Orlando furioso”, “Gerusalemme liberata”, Dante naturalmente, e il “Barone rampante”), anche di quella inglese, insieme con Whitman e Thoreau, il trascendentalismo americano. Dell’albero come testimone storico:”Ho visto querce”, annota Stendhal a Brunswick nel 1808, “che hanno potuto essere viste anche da Carlo Magno”. Commenta Corbin: “L’albero evoca più la rigenerazione-resurrezione che la morte”. Certe specie in particolare: il cedro, il pino, la palma “hanno a lungo figurato questa immortalità”. La “rigenerazione spontanea della palma” porta Plinio a identificarvi la fenice. Si incidono nomi, cuori, date sulla corteccia degli alberi su questo presupposto. Con la scoperta degli anelli della crescita - che Alexander von Humboldt attribuisce a Montaigne nel 1581, un secolo quindi prima di Malpighi (seppure nel corso del viaggio di Montaigne in Italia?) - molta storia è stata ricostruita e certificata.
Religiosa è la vocazione primigenia, e ancora diffusa. La dendrolatria è la forma più antica delle religione, e con la storia più lunga, più delle religioni rivelate, biblismo compreso. A partire dai druidi, e poi a Dodona, Delo, e nella stessa Roma antica. In forma di palma, che sempre rinasce, di tasso, di olivo, di platano, di olmo, di cedro naturalmente del Libano. Il fondamento dello sciamanesimo, quale intermediario tra il cielo e la terra, nel dettagliato atlante di Mircea Eliade. Piantare un albero ha usato a lungo, e fino al secolo scorso, quasi come procreare – fare un figlio, scrivere un libro, erigere un monumento, meritare della patria. Per assicurarsi la memoria.
Analogamente vitalistica la funzione erotica. C’è un erotismo dell’albero che Corbin documenta con una serie sorprendente di riferimenti. Proust in primo luogo. Ma è tutto il Rinascimento, non soltanto l’Ariosto e il Tasso, che della foresta fa “il luogo dell’erranza erotica”. Plinio il Vecchio, “che s’ispira dalla scienza greca”, Teofrasto e altri. “Per non parlare della Genesi”: Eva, “la grande peccatrice”, bella come il diavolo, la sua nudità, la lussuria, il tradimento, la menzogna, la discordia, il maleficio, la caduta, la disgrazia, tutto si lega all’albero, se infruttuoso.
Alain Corbin La douceur de l’ombre, Flammarion, pp. 393 € 11

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