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La logica del pregiudizio
“Negare fino alla
tomba”, negare la verità e anche l’evidenza, ha come sottotitolo “Perché
ignoriamo i fatti che ci salveranno”. È un libro-ricerca, sul divario mai colmabile
tra quello che ci diciamo, tra i nostri giudizi e pregiudizi - o anche solo tra
le nostre abitudini, pratiche e mentali - e quello che le scienze pure ci spiegherebbero
convincentemente. Opera di una “specialista in sanità pubblica”, Sara Gorman, e
del padre Jack, psichiatria. Un libro del 2016, su ricerche anteriori, quindi
molto prima del covid, ma i Gorman si erano già interrogati sulle convinzioni irrevocabili
che non solo sono palesemente false ma anche potenzialmente dannose per la
salute, e perfino mortali, come la convinzione che i vaccini siano pericolosi.
È uno studio di molti
casi specifici. Che si segnala per un’ipotesi nuova: che i pregiudizi o i convincimenti
sbagliati che oggi sembrano o possono essere autodistruttivi si sono formati
per processi di adattamento. In qualche modo, cioè, si radicano in processi di lungo
corso, personali (familiari, comunitari, “tribali”) e storici, epocali: sono
abitudini, e ne hanno le comodità. E per il dato curioso delle esperienze dei due
autori: che la forza del pregiudizio – i “bias di conferma” – stia in un
piacere fisico, una scarica di dopamina, quando si ragiona a supporto della
convinzione, per quanto minoritaria o non condivisa, “errata”. Anche per la residua
forza della coerenza: è bello restate fedeli alle proprie convinzioni, anche se,
forse, sbagliate.
L’uomo ha bisogno
di una visione del mondo. Di un’opinione anche se non accurata: ne va della
sopravvivenza, della “lotta per la vita”. Un bisogno che si rafforza in desiderio
più o meno inconscio, più o meno forte, ma costante, di “identificarsi” per
contatto, di “appartenere”. Di fare parte di un gruppo, di una comunità. Per
effetto del quale i fatti, la realtà, la verità possono restare o diventare irrilevanti,
e anche nemici.
La ricerca dei
Gorman, del resto, non fa che esemplificare una verità, un modo di essere e
comportarsi, lungamente attestato o certificato. Da Tolstoj p. es.: “Il fatto
più semplice non può essere spiegato a chi è fermamente persuaso di sapere già,
senza ombra di dubbio, di che si tratta”.
Confrontati da una sfida, dal dubbio, si tende a reagire come scriveva
nel 1971, a sostegno del ponderoso trattato di Keynes, al quale, da “economista
classico”, si era convertito, indigesto a molti economisti Usa, “La teoria
generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”: “Di fronte a una scelta
tra cambiare opinione e provare che non ce n’è bisogno un po’ tutti si daranno
da fare con la prova”. In questo caso è l’abitudine, prima ancora che il preconcetto,
a fare legge.
Jack and Sara Gorman,
Denying to the Grave, Oxford University Press, pp. 328 € 17
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