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venerdì 6 giugno 2025

La logica del pregiudizio

“Negare fino alla tomba”, negare la verità e anche l’evidenza, ha come sottotitolo “Perché ignoriamo i fatti che ci salveranno”. È un libro-ricerca, sul divario mai colmabile tra quello che ci diciamo, tra i nostri giudizi e pregiudizi - o anche solo tra le nostre abitudini, pratiche e mentali - e quello che le scienze pure ci spiegherebbero convincentemente. Opera di una “specialista in sanità pubblica”, Sara Gorman, e del padre Jack, psichiatria. Un libro del 2016, su ricerche anteriori, quindi molto prima del covid, ma i Gorman si erano già interrogati sulle convinzioni irrevocabili che non solo sono palesemente false ma anche potenzialmente dannose per la salute, e perfino mortali, come la convinzione che i vaccini siano pericolosi.
È uno studio di molti casi specifici. Che si segnala per un’ipotesi nuova: che i pregiudizi o i convincimenti sbagliati che oggi sembrano o possono essere autodistruttivi si sono formati per processi di adattamento. In qualche modo, cioè, si radicano in processi di lungo corso, personali (familiari, comunitari, “tribali”) e storici, epocali: sono abitudini, e ne hanno le comodità. E per il dato curioso delle esperienze dei due autori: che la forza del pregiudizio – i “bias di conferma” – stia in un piacere fisico, una scarica di dopamina, quando si ragiona a supporto della convinzione, per quanto minoritaria o non condivisa, “errata”. Anche per la residua forza della coerenza: è bello restate fedeli alle proprie convinzioni, anche se, forse, sbagliate.
L’uomo ha bisogno di una visione del mondo. Di un’opinione anche se non accurata: ne va della sopravvivenza, della “lotta per la vita”. Un bisogno che si rafforza in desiderio più o meno inconscio, più o meno forte, ma costante, di “identificarsi” per contatto, di “appartenere”. Di fare parte di un gruppo, di una comunità. Per effetto del quale i fatti, la realtà, la verità possono restare o diventare irrilevanti, e anche nemici.
La ricerca dei Gorman, del resto, non fa che esemplificare una verità, un modo di essere e comportarsi, lungamente attestato o certificato. Da Tolstoj p. es.: “Il fatto più semplice non può essere spiegato a chi è fermamente persuaso di sapere già, senza ombra di dubbio, di che si tratta”.  Confrontati da una sfida, dal dubbio, si tende a reagire come scriveva nel 1971, a sostegno del ponderoso trattato di Keynes, al quale, da “economista classico”, si era convertito, indigesto a molti economisti Usa, “La teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”: “Di fronte a una scelta tra cambiare opinione e provare che non ce n’è bisogno un po’ tutti si daranno da fare con la prova”. In questo caso è l’abitudine, prima ancora che il preconcetto, a fare legge.
Jack and Sara Gorman, Denying to the Grave, Oxford University Press, pp. 328 € 17

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