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sabato 7 giugno 2025

A Sud del S ud - il Sud visto da sotto (595)

Giuseppe Leuzzi


Si ripubblica su “7” il commento di Adolfo Beria d’Argentine, insigne giudice milanese di prima del diluvio Borrelli, per l’assassinio della piccola Simonetta Lamberti in un agguato della camorra contro suo padre Alfons, Procuratore della Repubblica, a Sala Consilina (Salerno): “Tanto appare globale il vuoto di questi uomini quando vengono processati, per delitti di terrorismo, di mafia, di camorra. Sembrano maschere senza identità interna, senza vita”. Beria d’Argentine lo rilevava da milanese, la nullità di “questi uomini” nel loro habitat. Ma era quarant’anni fa, prima dell’image building a opera dell’industria editoriale. Ora sono vuoti eguale, ma trovan chi li fa parlare, anche giudici.
 
Gianni Infantino, presidente della Fifa, celebra il suo trionfo col Mondiale di calcio per club, pagato dagli ubiqui principati della penisola arabica e giocato negli Stati Uniti. Fa sempre impressione pensare che è il figlio di un ferroviere di Seminara, nato in Svizzera da genitori emigrati dopo la pensione baby del padre, a Briga, vicino alla frontiera.  
 
Scrive al “Corriere della sera” un lettore milanese, derubato sul treno per Bologna del trolley, con il pc, che a Bologna non riesce a fare la denuncia subito alla Polfer. Se ne stanno rintanati, “in un tripudio di scrolling e sui wahtsapp”, e non lo degnano. “Dopo un paio d’ore esce una poliziotta, mi dice che dentro sono troppo impegnati per assistere me, che forse è meglio che vada da un’altra parte, e che se proprio non me ne voglio andare posso aspettare lì”.
Una sensazione di già visto, vissuto: se si è vittima di grassazioni, di furti, anche con violenza, meglio incassare. Specie nelle zone di mafia: fare la denuncia è mettere sale sulla ferita.
 
Dalle “forze dell’ordine” meglio stare alla larga, come si dice al Sud? Il problema è il portafogli: ci vuole la denuncia per rifare i documenti. Quanto alle mafie, si sa, non c’è rimedio, non per la singola vittima: contrariamente alle vulgate, non gliene frega nulla a nessuno – “se ha i soldi paghi”.
 
Le faide
Sono in disuso solo da una quindicina di anni. L’ultima è quella di San Luca-Duisburg, 1991-2007, con 18 morti – sei, gli ultimi, in un colpo solo a Ferragosto del 2007 nella città renana.
Le penultime si sono avute a Tarianuova, sanguinosissima, negli anni 1980. La stessa Taurianova che nel 2024 è stata Capitale del Libro. In contemporanea con la faida di Seminara, il paese già feudo degli Spinelli, che ancora celebra le feste per l’accoglienza nel 1530 a Carlo V, reduce dalla vittoria sugli arabi a Tunisi, nonché di letterati variamente illustri, a cominciare dal monaco Barlaaam e Ugo Leonzio, maestri di greco di Petrarca e di Boccaccio.
La faida di San Luca-Duisburg parte dal carnevale 1991, quando a San Luca alcuni ragazzi lanciano uova contro la porta di un circolo Arci gestito da un Pelle, sporcando anche l’auto parcheggiata di un Vottari. Sarà la faida dei Pelle-Vottari contro gli Strangio-Nirta, le famiglie cui appartenevano i ragazzi del carnevale. Agguati e duelli al sole – e la strage finale.
La “sfida di Seminara” è nata invece per uno schiaffo. Un Gioffré, guardia di una ditta di lavori stradali, è certo che la bomba a una betoniera la notte del 15 settembre 1971 sia stata messa dai Frisina. La “guardiania” era un impegno preciso a evitare incidenti di questo tipo, come pure minacce e sgarbi. Incontrando due giorni dopo un Frisina all’osteria Gioffré ci litiga, e lo schiaffeggia. Il Frisina spara, e ferisce il figlio di Gioffré, che entrava all’osteria. Da allora per cinque anni fu un susseguirsi di agguati di ogni tipo, specie contro le donne delle due famiglie, anche col mitra al cimitero, al funerale di una delle vittime. Per un totale di 16 morti e 23 feriti.
La faida di Taurianonova è successiva, 1898-1991, e portò a 32 assassinii. Si ebbe tra due gruppi di famiglie, di parenti più che di mafia, Asciutto-Neri-Grimaldi di Radicena, il più importante dei due borghi che erano confluiti a frmare il comune postunitario di Taurianova, e gli Zagari-Avignone-Villa-Fazzalari di Jatrínoli, l’altro borgo. Scattò per la morte da overdose di eroina del giovane Felice Zagari, cui l’aveva fornita uno spacciatore per conto dei Neri, che fu ucciso il 9 febbraio 1989. Un altro Neri fu ucciso il 2 lungo. Un terzo, Gaetano, in agosto, in Valle d’Aosta dove si era rifugiato, al limite con il Piemonte. Altri assassinii seguirono in rapida successione, fino al totale di 32. Anche come nei film di Al Capone, dal barbiere, vittima un Zagari, il 2 maggio 1991. Il giorno dopo la vendetta , che fece le cronache mondiali: quattro Grimaldi, incensurati, vengono assassinati, tra essi il salumiere Giuseppe, cui gli assassini tagliano al testa, e la lanciano e rilanciano in aria per colpirla con le psitole al volo.   
La faida è – era? - tipica della Calabria. Retaggio bruzio? Ma non contagia il catanzarese e il cosentino, dove i Bruzi, tra le Sile, ebbero più lungo e più radicato soggirono. Retaggio illirico – slavo-albanese? Ma anche gli arberëshe sono tutti nel cosentino e nel catanzarese, e sono miti. È tipica di una parte della Calabria, quella reggina, della Piana di Gioia Tauro e della Locride, l’ex Magna Grecia.
 
Se tutto è Calabria
“….Tutte le discipline e l’intera scienza umana fiorirono tra i Calabresi, e quella che ora circola per le scuole da essi ha avuto origine. Platone infatti e il suo discepolo Aristotele furono allievi dei Calabresi, o meglio Aristotele lo fu di Platone, che in Calabria venne addottrinato. Platone invero da Atene si portò in Calabria e apprese ogni cosa da Timeo, Euticrate ed Arione tutti Locresi, secondo quanto afferma Cicerone nel quinto libro De finibus, mentre nel primo delle Tusculane proclama che ogni sua scienza deriva da Timeo. E Filolao da Crotone, ricordato da Platone nel Fedone, ammaestrò Archita di Taranto e Platone stesso, come racconta Cicerone nel terzo libro dell’Oratore; e da costoro a sua volta apprese Aristotele, maestro dei Peripatetici. Filolao infine lasciò tre libri sulla setta Pitagorica, che Platone acquistò dai parenti di lui per diecimila denari, componendo poi sulla loro traccia le sue opere... Molto altresì imparò Platone da Ipparco, astrologo di Reggio, da Ippia e da Teeteto, ch’egli introduce come interlocutori nei suoi dialoghi; e tutto ciò che Aristotele ha di buono l’ha appreso da Platone, e questi a sua volta da quei Calabresi... Anche Pitagora che per universale consenso è chiamato principe dei filosofi nel Della vecchiezza ciceroniano, fu calabrese, e da lui derivarono tutte le scuole filosofiche; quando la sua setta fu potente a Crotone, da tutto il mondo convenivano a lui filosofi e sovrani, come svariati scrittori raccontano, e dopo la sua morte la setta prosperò a Locri ed a Reggio sotto diversi capi, in un’epoca in cui innumerevoli filosofi e donne di rara sapienza, tutti autori di molteplici opere, fiorivano per l’intera regione... Se dunque Aristotele, dopo aver fatto man bassa delle loro dottrine, vuol contrapporsi a tutti i filosofi che dalla Calabria trassero origine ed ivi si nutrirono di sapienza, nessuno se la prenda con me per il fatto che respingo l’oltraggio fatto ai miei maggiori”.
Senza repiro. È Campanella, in apertura della Prefazione alla sua “Philosophia Sensibus Demonstrata”. Si pensa in grande, si fa poco?
 
Sudismi\sadismi - La scomparsa del Sud nella storia del giornalismo
“Il Bruzio”, giornale “politico-letterario” ideato, edito e scritto da Vincenzo Padula nel 1864-65, non figura in “nessuna storia del giornalismo italiano post-unitario”, lamentava Giuseppe Galasso una dozzina d’anni fa nel lungo saggio “Padula: Il Bruzio” (ora in “Calabria, paese e gente difficile”). Trovando nel gironale “titoli più che sufficienti per una congrua valutazione” nel quadro della stampa post-unitaria.
Una constatazione che muove una scoperta. Perché lo storico prosegue, sorpreso: “Una valutazione che, però, manca per l’assenza pressoché totale, nonché del giornale di Padula, dell’intero giornalismo provinciale, e di quello meridionale (se si eccettuano i fogli napoletani)”.
La disattenzione critica con più asprezza in nota (p. 295): “Alcuni casi sono sconcertanti. Anche in opere considerate di riferimento”. Nell’ooera canonica, di Castronovo, Giachetti-Fossati e Tranfaglia, “Storia della stampa italiana”. Come nella “Storia del giornalismo italiano dalle prime gazzette ai telegiornali”. “I riferimenti al Mezzogiorno fuori di Napoli sono del tutto trascurabili”. Per finire con: “Né molto di più si raccoglei in opere più specifiche, cme P. Sergi, «Stampa e Società in Calabria»”.
 
Cronache della differenza: Sicilia
Il papa ricorda in udienza che il suo nonno o bisnonno era siciliano.  Ma, non lo dice, si chiamava Riggitano. Cioè era di Reggio Calabria - uno dei tanti cognomi classificatori dal luogo di origine o provenienza, alla altina, in -ano, o alla francese, in -ese, in -ino. Anche se partì per l’America da Milazzo. Ma, poi, composito: insegnante determinato e bravo padre, fino a prendere per sé il cognome del figlio nato fuori del matrimonio, ma, appunto, bigamo – fu anche processato, e forse condananto, per bigamia. Calabria e Sicilia, così diverse, per storia e temperamenti, sono unite da molto prima del Ponte – dell’idea del Ponte – e non solo dalla lingua.  
 
Alla fine della guerra, nel 1945, “i siciliani dividevano ancora il mondo in Sicilia e continente”, Gioacchino Lanza Tomasi, “La medusa e la Spagna”: “Così difatti era scritto nelle due fessure delle regie cassette postali di Palermo: Sicilia o Continente, e il Continente era il resto del mondo, Italia compresa”.
 
Palermo Sciascia, che con la sua isola non è tenero, invece apprezzava: “I Palermitani, che sono realisti”, nota  in “La Sicilia come metafora”, 121.
 
Si fa una mostra su Camilleri (giovane) poeta. Italiano, non dialettale. In una con la ripubblicazione delle opere italiane dello stesso. Con molte illustrazioni. Aperta al pubblico, gratuitamente. Ma non in Sicilia, aMilano.
 
Ha tre delle sette città più appestate dal traffico – secondo “Men’s Health”: Palermo, Messina e Catania. La peggiore in tutta Italia è Palermo. E questo dà ragione a Benigni, “Johnny Stecchino”, dove l’ignaro comico viene accolto in città da uno strafatto Bonacelli, che tira su disperatamente con le narici, e gli spiga la situazione in questi termini: “Il problema è il trraffico”.
 
Eschilo “vir utique Siculus” lo dice Macrobio (“Sat. v 19”), senza dubbio siciliano. Che non può essere, avendo anche combattuto i Persiani per una dozzina d’ani, a Maratona, Salamina e Platea. Ma è vero che a un certo punto passò alla corte di Ierone a Siracusa, come già Pindaro e Simonide, impiantandovi il teatro che tuttora funzina. La Sicilia ha memoria di se stessa.
 
Secondo Omero, vi abita(va?) la felicità. È su questo precedente che “White Lotus” ha costruito la serie di successo sull’isola? Non più truffaldina delle altre – ormai le serie tv hanno sempre location da sogno. Per beneficiare delle Film Commissio locali, dei finanziamenti pubblici a fondo perduto, ma anche per compiacere lo spettatore, che ormai si vede solo come turista, sia pure solo in immagine.  
 
Iside Regina ha “i Siciliani trilingui”, al canto XI delle “Metamorfosi di Apuleio, dove fa l’elenco dei tanti nomi che le vengono dati nel “mondo” – dai Siciliani “Proserpina Stigia”. Trilingui perché greci, latini e punici?
 
Le donne di Catania, che ecciteranno i giovantti di Brancati, erano per Brian Hill, viaggiatore inglese del 1790 o 1791, “prefiche a un funerale”.
Questo Brian Hill è solo noto per le “Curiosità di un viaggio in Sicilia e Calabria” (“A journey through Sicily and Calabria”, in the Year 1791; with a postscript, containing some account of the ceremonies of the Last Holy Week at Rome). Una guida turistica.
 
A Corleone, un seco dopo centro della mafia più spietata, con decine di stragi e migliaia di morti, nel 1893 i fasci socialisti siciliani imposero ai possidenti i primi nuovi patti agrari. Anche se i contadini (Croce, “Storia d’Italia, 204), protestavano, con i labari di Umberto (il re) e della Madonna.
 
Cicerone non era tenero con l’isola – anche se difese Verre, il procoonsole che governando la Sicilia si arricchì (il primo accusato del tipico malaffare romano, allora e oggi: “de pecuniis repetundis”, cioè di concussione. Si sono detti celermente “latini”, pettegolava scrivendo agli amici, e poi “romani”, per soldi.
 
O Verre, com’è probabile, non fu il primo imputato di concussione, nel governo della Sicilia. L’isola è stata comunque derubata da molto tempo.
 
A Bagheria, città di 50-60 mila abitanti, una qindicina di minuti da Palermo, e una ventina da Termini Imerese, “non c’è un ospedale”, constata delusa Camilla Cederna nei viaggi di “Casa nostra”, quarant’anni fa. E non lo vuole, dicono ora gli amministratori, inaugurando un poliambulatorio in un vecchia clinica, “Le Magnolie”, restaurata coi fondi Pnnr, “data la vicinanza della città con Palermo e con Termini Imerese”. Superiore interesse pubblico, al risparmio? 
 
leuzzi@antiit.eu

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