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mercoledì 4 giugno 2025

Letture - 580

letterautore


Giallo
– Alessandro d’Avenia si spiega con un Dürrenmatt del lontano 1957, “La promessa. Requiem per un romanzo giallo”, il successo del genere da un paio di decenni in Italia, dopo un paio di secoli di disattenzione. Ma poi prosegue: “Il giallo è quel che resta della nostra fame di verità: il detective, martire laico, la scoprirà, permette che si faccia giustizia. Vogliamo i gialli perché rimettono in sesto il mondo, riportano la casualità alla causalità, e amiamo i detective perché, risolvendo «un» caso, eliminano «il» caso”.
Se non che poi ha un dubbio: “Ma siamo sicuri di volere verità\giustizia e non invece uno spettacolo morboso e irrispettoso della dignità dei coinvolti?”. E non un passatempo, come lo spettacolo a quiz? Un’altra forma di lettura veloce, dopo quelle di avventura, d’amore, di guerra – e impegnativa solo brevemente?
 
Internazionalismo –
Tra le due “chiese”, come usava dire in ambiente laico al tempo del Pci a Roma, solo quello “romano”, cioè cattolico, ha resistito e resiste, quello “internazionalista” è sempre naufragato. È l’analisi di “Lotta Comunista”: “Il primato di Roma ha dovuto subire le amputazioni dello scisma anglicano e della Riforma protestante (e prima ancora dell’Ortodossia, n.d.r.), ma ha resistito con arrangiamenti e compromessi alle forze centrifughe animate dall’emergere degli Stati moderni: dal gallicanesimo della monarchia francese, alle prerogative imperiali spagnole, al giuseppinismo degli Asburgo d’Austria, all’americanismo degli Stati Uniti potenza emergente. Sono i precedenti degli accordi odierni con la Cina…”.
La ragione della continuità? Il compromesso. “Il messaggio a Pechino non poteva che essere: la Chiesa multipolare, è vero, aspira all’unità, ma nel suo realismo sa anche farsi attraversare dal confliggere degli interessi di potenza”.
Per “l’internazionalismo proletario”, invece, “solo l’unità di classe è il suo principio vitale”. Evidentemente disatteso. O irrealizzabile? “Per tre volte l’Internazionale comunista è stata sconfitta perché il comparto al cuore del suo insediamento proletario è stato catturato dalla forza particolare della sua borghesia. La Prima Internazionale vide la defezione del tradeunionismo inglese impaurito dalla Comune di Parigi; la seconda l’abdicazione della socialdemocrazia tedesca nel 1914; la Terza fu annientata nella sua piazzaforte bolscevica dalla controrivoluzione staliniana, in cui il capitalismo di Stato si combinò col nazionalismo grande-russo”.
 
Medea
– “Traditrice e tradita”, una borghese ante litteram, “guidata da un pensiero: il Grande Amore”. Sulla traccia di Marina Cicogna, che della Callas era amica, Daria Galateria (“Atlante degli artisti in affari”, 74), lo dice a proposito della grande cantante, “scoperta” da Pasolini per il ruolo quando Onassis la abbandonava per Jacqueline Kennedy: “Il 19 ottobre 1968… la Callas accettò il ruolo d Medea per il film di Pasolini. Dopo anni di relazione con Onassis, quel giorno stesso aveva saputo che l’indomani il magnate avrebbe sposato Jacqueline Bouvier Kennedy. Prima la Callas aveva sempre rifiutato il cinema”.
 
Orfani – Erano tema ricorrente di narrazioni e sono scomparsi – non da ora, bisogna dire. Ne dà l’annuncio Francesca Mignemi nel suggestivo - ben più del settimanale di cui è costola - “speciale” del 25 maggio, “La Lettura delle ragazze e dei ragazzi”. Ricordando Malot, naturalmente, “Senza famiglia”, e Twain o Lindgren: Heidi, Oliver Twist, Mowgli il figlio della giungla (ma a suo modo anche Rudyard Kipling, non vero orfano, ma esiliato da parenti poco affettivi in Inghilterra), Pollyanna…. Con “antenate e antenati illustri: Cenerentola, Raperonzolo, Biancaneve, Hänsel e Gretel e Pollicino”. Che “non hanno padri né madri” e hanno “storie che non consolano, sono scintille di pura immaginazione”. Di che far valere nel dibattito ora sulla famiglia? “Raccontano la perdita e la possibilità. Indicano sentieri alternativi con famiglie scelte, amicizie profonde, giardini segreti, fiumi che scorrono liberi”. Per finire con “Pippi, che vive senza genitori in una casa sorprendente, cavalca cavalli e sfida ogni autorità con il sorriso”, una “a cui nessuno … dice cosa fare: è l’anarchia fatta bambina, è l’infanzia che si autodetermina”.
Ma, certo, col cervello di bambini fatti adulti, e bravi scrittori.
 
Sostituiti ora da adozioni e affidi? Non è la stessa cosa. Il tema è qui l’abbandono, l’orfano era un tema tragico (il destino), sociale, storico, palingenetico. E divertente, un mondo senza genitori.  
 
Opinione – Fa la storia: è l’opinione di Vincenzo Padula, prete, poeta, drammaturgo cosentino del secondo Ottocento, che per un paio d’anni fu anche giornalista, con una propria testata, “Il Bruzio”. Dove al lancio dichiara l’opinione “protagonista dominante della storia del secolo XIX” (Giuseppe Galasso, nello studio sul Padula poi ripreso in “Calabria, paese e gente difficile”): “Un protagonista, per lui, da sempre, fin dall’alba dei tempi, e che sempre è all’origine degli sviluppi storici in atto”. Specie nel secolo XVIII, per  Padula “il secolo delle successioni contrastate, delle riforme amministrative, dell’emancipazione della borghesia, della libertà nel campo della politica, della religione e del pensiero”. E il secolo XIX, “(il secolo) non delle successioni dinastiche, ma delle nazionalità, non dell’emancipazione della borghesia, ma di quella del proletariato, non della libertà nel campo della politica, ma dell’industria, mirando a cercare non l’eguaglianza tra i cittadini del medesimo Stato, ma l’eguaglianza tra i popoli”.
Nella sintesi di Galasso: “L’opinione evolve  nel tempo, e muta e rovescia le idee, le mentalità, le sensibilità, gli atteggiamenti del corpo sociale, rendendo fausto e benvenuto quel che nel precedente periodo storico era deprecato e avversato”, E, nel secolo XIX, “l’opinione è il giornale”.
 
Papa – Perché non eletto dal popolo romano – in quanto vescovo di Roma? È la tesi di Vincenzo Padula, il sacerdote e scrittore cosentino, che sul suo giornale “Il Bruzio” si faceva porre il quesito il 3 aprile 1864 da un anonimo: “Risposta ad una lettera pseudonima. Il popolo romano può nominare il papa?”, e rispondeva che sì: il laicato romano può eleggere il suo vescovo, e la cosa “non è esclusa” neppure dal Concilio di Trento.
 
Teatro - A fine Cinquecento-primo Seicento, gli anni di Shakespeare, era infrequentabile a Londra. Dalle donne, e dalla gente “per bene”. Raccontando “Le sorelle di Shakespeare”, “quattro donne scrittrici nel Rinascimento” inglese, una delle quali, Elizabeth Cary, drammaturga, Ramie Targoff spiega che erano frequentati da gentaglia: “I teatri erano considerati pericolosi per le donne per molti motivi: tra essi borseggi, fumo, contagi, e uomini libidinosi. Nel 1594 il Lord Mayor di Londra condannava i teatri perché attiravano «ladri di cavalli, puttanieri e truffatori». Il poeta Sir John Davies anche lui descriveva il pubblico a teatro nel1593 come fatto di “un migliaio di borghesi, gentiluomini, e puttane”.
Contemporaneamente la regina Anna, la consorte danese del re Giacomo I, che regnò nei primi venti anni del Seicento, organizzava a corte dei quadri teatrali, “The Masque of Queen”, il primo sceneggiato e coreografato da Ben Jonson, in cui nobildonne seminude impersonavano personaggi storici o epici, in maschera e in costume, e in silenzio.  La prima attrice donna, sul palcoscenico, si sarebbe avuta, racconta Targoff, a dicembre del 1660 – come Desdemona nell’“Otello”.
 
Veterani - “Mio zio era in una delle imbarcazioni del D-Day, lo sbarco in Normandia”, nel 1944, ricorda Dan Peterson, il colorito allenatore americano di basket:” Sbarcò due volte, nella seconda stava per rimetterci la vita. Tornò a casa senza un graffio, ma dopo la guerra diventarono tutti alcolizzati”.
 
Woke – “Detestano l’Occidente ma possono esistere solo qui”, Louis Sarkozy – qui in Occidente.

letterautore@antiit.eu

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