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martedì 3 giugno 2025

Secondi pensieri - 563

zeulig


Ambiente
– Ha una valenza genericamente positiva, anche se concettualmente indefinita. Dovrebbe voler dire “natura”, ma la natura è sospetta all’ambientalismo - ha cattive abitudini, distruttive, che
si è tentato ma non si possono sradicare, né nascondere.

Borghesia – Come antitesi del proletariato è creazione-invenzione-conio di Marx? Che però sapeva - ne era espressione, anche tipica: la borghesia era il prototipo, il coronamento, del proletariato. La condizione di affrancamento del lavoro dai suoi aspetti sfavorevoli: obbligato, subordinato, remunerato al minimo, fisso – una gabbia e una catena. L’internazionale del proletariato non ha mai funzionato perché è una irrealtà, innaturale – l’internazionale borghese non si organizza perché è.

Coscienza – “Non è un prodotto del cervello, è una realtà fisica preesistente: un campo quantististico”. Che è indeterminato, ma il fisico Faggin, l’inventore del microchip (e dei touchscreen), parte da questo presupposto: “I fisici credono che la realtà sia solo l’insieme degli oggetti che esistono nello spazio-tempo e che sono descrivibili in modo deterministico, che noi siamo macchine biologiche, che la coscienza sia un epifenomeno del cervello senza libero arbitrio. Ma se la coscienza è ciò che ci permette di conoscere, di capire e di fare esperienza, come è possibile che venga da qualcosa di materiale che non ha coscienza né libero arbitrio?”, si chiede. E si risponde: “Occorre ribaltare tutto: coscienza e libero arbitrio – che coincide con la libertà di decidere cosa osservare e di come reagire all’osservazione – vanno presi come postulati, come esistenti in partenza, all’inizio dell’universo, quello che io chiamo Uno”.

Critica militante – Se ne lamenta la scomparsa, dopo un secolo e mezzo - dopo Sainte-Beuve? Che era, forse, un servizio utile al lettore – o forse no. Era sicuramente una condanna per il critico. Esercizio terribile: approfondito, insistito, interminabile. Di ogni opera letta come di un classico, Che poi diventa un habitus mentale, un rosario recitato a pezzi, a frammenti, ripetuto, da memorizzare, in ogni piega della giornata, sul mezzo pubblico, al caffè, nelle inevitabili code, fomento di insonnie. L’impossibilità di gustare un testo, centellinarlo, perdervisi, fantasticare con esso, o rifiutarlo. Perché di ogni capitolo, ogni riga, ogni parola bisogna avere pronta l’esegesi, istante per istante: si legge e si glossa, cercando di memorizzare, oppure peggio, prendendo appunti. Una fatica di Sisifo se mai ce n’è stata una.

Rivoluzione – Maurizio Ferraris ne ha idea accumulativa, non distruttiva\innovativa, e non radicale: “Dietro alla simpatia per la rivoluzione che azzererebbe il passato e ci ricondurrebbe a una condizione felice e finalmente umana c’è un errore di fondo”, riflette nella rubrica giornalistica “Un soffio di senso”, sul settimanale “7”: “L’idea cioè che l’umano sia buono in natura e corrotto dalla tecnica e dalla società, sicché una rivoluzione dello stato di cose presente permetterebbe alla bontà e alla virtù umana di effondersi nella loro pienezza”. Così non è: “Una minima esperienza del mondo e una accettabile conoscenza della storia suggeriscono invece di adottare una antropologia negativa: l’umano è debole, dunque tendenzialmente malvagio, ed è proprio nella tecnica e nella società, veicoli di progresso, che deve cercarsi la via di riscatto. Il negativo può così condurre al positivo, mentre il positivo conduce al negativo”. Per concludere: “La trasformazione non può passare attraverso la barbarie della rivoluzione (giocare con le teste degli avversari, n.d.r.) ma attraverso una capitalizzazione e ridistribuzione alternativa dei beni di cui l’umanità dispone”. Una “rivoluzione” che oggi sarebbe più opportuna, e anche matura?, che mai: “Gli anni in cui viviamo, nei quali l’umanità produce un valore senza precedenti, perché accumula ogni atto, ogni gusto, ogni pensiero  o bisogno, sono i più propizi per quella capitalizzazione alternativa”. All’ombra di quello che il filosofo chiama “comunismo digitale”, o “Webfare”, “che riusa i dati, che sono rinnovabili, per il benessere dell’umanità”.
 
La rivoluzione è sempre liberale, contro un potere dominante, qualsiasi. E quindi al fondo anarchia – singolarità, individualismo, asocialità.
Connotata, come palingenesi, sui valori della sinistra politica, trova applicazione anche con\su quelli della destra, che si vogliono innovativi in quanto anticonformisti, benché\perché tradizionalisti e perfino passatisti. Nei termini politici, in realtà, che però sono quelli che lo caratterizzano, il concetto di rivoluzione è ambiguo\ubiquo: si pretende sempre salvifica, ma in direzioni opposte.


Suicidio – Ritorna forte – il concetto, se non l’etica – con l’ambientalismo. La cui concezione radicale, o ottimizzazione, è la fine della vita, massimo inquinante.
Sotto forma di “buona morte”, morte misericordiosa, etc., la scrittrice Annie Ernaux se la prospettava trent’anni fa (“La vie extérieure”, 55), dopo aver visto il film di una morte provocata in famiglia, tappa per tappa, gesto per gesto, dal medico con la moglie sul marito colpito da miopatia,  come “un mondo in cui, in qualche modo, la scena della morte farebbe parte dei progetti di vita, in cui «sopprimersi» sarebbe un’opzione così pensabile come sposarsi”.

Pelle – Copertura e ricettore, protezione e attrazione, di luce e di sguardi, di impressioni, fantasie, passioni, da Omero a Malaparte, sineddoche di più vasta applicazione. Per la vita, “lasciarci la pelle”, “salvare la pelle”. Segnale massimo di attrattività-significatività del corpo, a lungo anche ordinario quotidiano, quello femminile con la minigonna, il no bra, il bikini, il topless – o con l’ubiquo tatuaggio. Da contenitore del corpo, protetto dal pelame, si è trasformato in ricettacolo di segni significanti, non si sa a che titolo, ma di forte attrattiva (significanza). Uno dei massimi supporti per decorazioni: non solo dei cosmetici in generale, fino al trucco di scena, al cinema, in teatro, al circo, ma un tempo supporto artistico, body paint, poi di tatuaggi, spesso doppiati con i piercing – e naturalmente campo di esercitazione della chirurgia plastica.

Tatto – La mano diventa sempre più l’articolazione più in uso. Per attività intellettuali ora, di ricerca, documentazione e comunicazione, con computer e smartphone, oltre che in quelle tradizionali “manuali”. Che ora invece vanno a svanire: la velocità nell’uso della mano, delle dita, non si concilia con il loro uso paziente, applicato agli oggetti – e probabilmente anche con la prensilità, con la quota di forza che la prensilità necessita. L’articolazione più servizievole moltiplica i propri usi e s’indebolisce.

In “Linguaggio e anatomia”, 1947, Ernst Jünger sembra considerare l’articolazione umana limitativa. Dedica al tatto la prima parte delle considerazioni conclusive “I cinque sensi”, dopo aver dedicato alla mano la trattazione più ampia, in apertura del saggio, come “destra sinistra”, anche in senso politico, e come “mano e pugno”, incluse anche qui le significazioni politiche. Ma parte da una recriminazione: “Come le nostre parole, i nostri concetti e il nostro pensiero prenderebbero tutt’altre forme se il nostro corpo, invece della simmetria bilaterale, si organizzasse secondo le cinque branche di un pentagono irraggiante, come una stella del mare, oppure di un esagono, come il giglio! Muniti di un cervello così strutturato e di organi che gli corrisponderebbero, saremmo capaci di concepire il mondo in maniera ben più complessa e di rifletterlo più sottilmente”.
 
Viaggio – “Viaggiare è il più triste dei piaceri”, Claude Lévi-Strauss

zeulig@antiit.eu

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