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Ambiente
– Ha una valenza genericamente positiva, anche se concettualmente indefinita.
Dovrebbe voler
dire “natura”, ma la natura è sospetta all’ambientalismo - ha
cattive abitudini, distruttive, che
si è tentato
ma non si possono sradicare, né nascondere.
Borghesia
– Come antitesi del proletariato è creazione-invenzione-conio
di Marx? Che però sapeva - ne era espressione, anche tipica: la borghesia era il
prototipo, il coronamento, del proletariato. La condizione di affrancamento del
lavoro dai suoi aspetti sfavorevoli: obbligato, subordinato, remunerato al minimo,
fisso – una gabbia e una catena. L’internazionale del proletariato non ha mai funzionato
perché è una irrealtà, innaturale – l’internazionale borghese non si organizza perché
è.
Coscienza
– “Non è un prodotto del cervello, è una realtà fisica
preesistente: un campo quantististico”. Che è indeterminato, ma il fisico
Faggin, l’inventore del microchip (e dei touchscreen), parte da questo
presupposto: “I fisici credono che la realtà sia solo l’insieme degli oggetti
che esistono nello spazio-tempo e che sono descrivibili in modo deterministico,
che noi siamo macchine biologiche, che la coscienza sia un epifenomeno del cervello
senza libero arbitrio. Ma se la coscienza è ciò che ci permette di conoscere,
di capire e di fare esperienza, come è possibile che venga da qualcosa di materiale
che non ha coscienza né libero arbitrio?”, si chiede. E si risponde: “Occorre
ribaltare tutto: coscienza e libero arbitrio – che coincide con la libertà di
decidere cosa osservare e di come reagire all’osservazione – vanno presi come
postulati, come esistenti in partenza, all’inizio dell’universo, quello che io
chiamo Uno”.
Critica militante – Se ne
lamenta la scomparsa, dopo un secolo e mezzo - dopo Sainte-Beuve? Che era,
forse, un servizio utile al lettore – o forse no. Era sicuramente una condanna
per il critico. Esercizio terribile: approfondito,
insistito, interminabile. Di ogni opera letta come di un classico, Che poi
diventa un habitus mentale, un rosario recitato a pezzi, a frammenti, ripetuto,
da memorizzare, in ogni piega della giornata, sul mezzo pubblico, al caffè, nelle
inevitabili code, fomento di insonnie. L’impossibilità
di gustare un testo, centellinarlo, perdervisi, fantasticare con esso, o
rifiutarlo. Perché di ogni capitolo, ogni riga, ogni parola bisogna avere pronta
l’esegesi, istante per istante: si legge e si glossa, cercando di memorizzare,
oppure peggio, prendendo appunti. Una
fatica di Sisifo se mai ce n’è stata una.
Rivoluzione – Maurizio Ferraris
ne ha idea accumulativa, non distruttiva\innovativa, e non radicale: “Dietro alla
simpatia per la rivoluzione che azzererebbe il passato e ci ricondurrebbe a una
condizione felice e finalmente umana c’è un errore di fondo”, riflette nella rubrica
giornalistica “Un soffio di senso”, sul settimanale “7”: “L’idea cioè che
l’umano sia buono in natura e corrotto dalla tecnica e dalla società, sicché
una rivoluzione dello stato di cose presente permetterebbe alla bontà e alla
virtù umana di effondersi nella loro pienezza”. Così non è: “Una minima
esperienza del mondo e una accettabile conoscenza della storia suggeriscono
invece di adottare una antropologia negativa: l’umano è debole, dunque tendenzialmente
malvagio, ed è proprio nella tecnica e nella società, veicoli di progresso, che
deve cercarsi la via di riscatto. Il negativo può così condurre al positivo,
mentre il positivo conduce al negativo”. Per concludere: “La trasformazione non
può passare attraverso la barbarie della rivoluzione (giocare con le teste
degli avversari, n.d.r.) ma attraverso una capitalizzazione e ridistribuzione
alternativa dei beni di cui l’umanità dispone”. Una “rivoluzione” che oggi sarebbe
più opportuna, e anche matura?, che mai: “Gli anni in cui viviamo, nei quali
l’umanità produce un valore senza precedenti, perché accumula ogni atto, ogni
gusto, ogni pensiero o bisogno, sono i più
propizi per quella capitalizzazione alternativa”. All’ombra di quello che il filosofo
chiama “comunismo digitale”, o “Webfare”, “che riusa i dati, che sono
rinnovabili, per il benessere dell’umanità”.
La rivoluzione è sempre liberale, contro un potere dominante, qualsiasi. E
quindi al fondo anarchia – singolarità, individualismo, asocialità.
Connotata, come
palingenesi, sui valori della sinistra politica, trova applicazione anche con\su
quelli della destra, che si vogliono innovativi in quanto anticonformisti, benché\perché
tradizionalisti e perfino passatisti. Nei termini politici, in realtà, che però
sono quelli che lo caratterizzano, il concetto di rivoluzione è ambiguo\ubiquo:
si pretende sempre salvifica, ma in direzioni opposte.
Suicidio – Ritorna forte – il concetto, se non l’etica
– con l’ambientalismo. La cui concezione radicale, o ottimizzazione, è la fine
della vita, massimo inquinante.
Sotto forma di
“buona morte”, morte misericordiosa, etc., la scrittrice Annie Ernaux se la
prospettava trent’anni fa (“La vie extérieure”, 55), dopo aver visto il film di
una morte provocata in famiglia, tappa per tappa, gesto per gesto, dal medico
con la moglie sul marito colpito da miopatia,
come “un mondo in cui, in qualche modo, la scena della morte farebbe
parte dei progetti di vita, in cui «sopprimersi» sarebbe un’opzione così
pensabile come sposarsi”.
Pelle – Copertura e ricettore, protezione e attrazione,
di luce e di sguardi, di impressioni, fantasie, passioni, da Omero a Malaparte,
sineddoche di più vasta applicazione. Per la vita, “lasciarci la pelle”, “salvare
la pelle”. Segnale massimo di attrattività-significatività del corpo, a lungo
anche ordinario quotidiano, quello femminile con la minigonna, il no bra,
il bikini, il topless – o con l’ubiquo tatuaggio. Da contenitore del corpo,
protetto dal pelame, si è trasformato in ricettacolo di segni significanti, non
si sa a che titolo, ma di forte attrattiva (significanza). Uno dei massimi supporti
per decorazioni: non solo dei cosmetici in generale, fino al trucco di scena,
al cinema, in teatro, al circo, ma un tempo supporto artistico, body paint,
poi di tatuaggi, spesso doppiati con i piercing – e naturalmente campo di
esercitazione della chirurgia plastica.
Tatto – La mano diventa sempre più l’articolazione più in uso. Per attività intellettuali ora, di ricerca, documentazione e comunicazione, con computer e smartphone, oltre che in quelle tradizionali “manuali”. Che ora invece vanno a svanire: la velocità nell’uso della mano, delle dita, non si concilia con il loro uso paziente, applicato agli oggetti – e probabilmente anche con la prensilità, con la quota di forza che la prensilità necessita. L’articolazione più servizievole moltiplica i propri usi e s’indebolisce.
In “Linguaggio e anatomia”, 1947, Ernst Jünger sembra considerare l’articolazione
umana limitativa. Dedica al tatto la prima parte delle considerazioni conclusive
“I cinque sensi”, dopo aver dedicato alla mano la trattazione più ampia, in
apertura del saggio, come “destra sinistra”, anche in senso politico, e come “mano
e pugno”, incluse anche qui le significazioni politiche. Ma parte da una recriminazione:
“Come le nostre parole, i nostri concetti e il nostro pensiero prenderebbero tutt’altre
forme se il nostro corpo, invece della simmetria bilaterale, si organizzasse
secondo le cinque branche di un pentagono irraggiante, come una stella del
mare, oppure di un esagono, come il giglio! Muniti di un cervello così
strutturato e di organi che gli corrisponderebbero, saremmo capaci di concepire
il mondo in maniera ben più complessa e di rifletterlo più sottilmente”.
Viaggio – “Viaggiare è il più triste dei piaceri”, Claude
Lévi-Strauss
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