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Il “bruttissimo ometto” Alvaro accudito da C. Campo
L’unico
ricordo di Avaro per i sessant’anni della morte, l’11 giugno – evento
dimenticato, come i 130 anni della nascita, il 15 aprile. Ma pieno di cose, e con
un approccio critico più aderente, all’uomo e al personaggio.
Colpito
da un tumore irrimediabile, Alvaro lo visse in silenzio, “aveva il pudore del
male”. Non volle compianti di amici e conoscenti, ma si ebbe, negli ultimi due
mesi, la vicinanza di “una giovane studiosa e colta poetessa, che pure in una
beve e travagliata esistenza avrebbe scritto pagine fra le più belle del Novecento,
Cristina Campo” – “nome di Vittoria Guerrini, oppure Vie, come usava firmare le
sue lettere”.
Lei
sì, aveva agio di frequentarlo, come racconta a vari corrispondenti, Alvaro,
“un bruttissimo ometto”, in quei due mesi. Dapprima per un suo progetto di
rivista letteraria – che non si farà – poi per abitudine. “Vado ogni giorno a
vederlo”, scrive a un’amica: “Spesso lo affidano a me, nel pomeriggio. Non parla
che poco, ma ci intendiamo con gli occhi. Ciò che riesce a dire è importante…
Anch’io gli dico certe cose. Spesso lo faccio ridere. E quando ride chiude gli
occhi ed è bello…”. E un ritratto “intenso e partecipato” ne farà in morte, in
quattro lettere indirizzate, tra maggio e giugno del 1956, all’amica “Mita”,
Margherita Pieracci Hallwell. Si erano conosciuti nel 1956, per il tramite di
Margherita Dalmati (Maria-Niki Zoroyannidis), la traduttrice in greco de “La lunga
notte di Medea”, il dramma di Alvaro che ancora va in scena.
Il
titolo del saggio è quello di un libro di Giovanni Carteri, che indaga “il fondo
cristiano della spiritualità di Alvaro. Ma Teti è già curatore di suo, dieci
anni fa, del volume Donzelli di Alvaro, “Un paese e altri scritti inediti1911-1916”
. È da Carteri che Teti estrae molti particolari della vita e la sensibilità di
Alvaro. Aggiungendo le sue letture da antropologo. Alvaro e l’acqua, Alvaro e
la comunione – “la dimensione del
mangiare insieme, dell’acqua come purificazione”. Con molti riscontri a sorpresa,
nella testimonianza del figlio dello scrittore, Massimo, e nelle opere di Alvaro.
Non
amava che si parlasse di lui – questo è un alro aspetto che Teti personalmente
ha indagato. Ma “la scrittura di Alvaro ha una forte dimensione autobiografica”.
In particolare, last but non least, sempre
rimasto radicato, primo e forse massimo esponente della “restanza”, delle origini
condizionanti e continuamnte dissodate, sepure di persona trapiantata
stabilmente altrove.
Vito
Teti, La lunga notte di Alvaro,
“Corriere della Calabria”, 8 giugno 2025, online
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