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A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (611)
Giuseppe Leuzzi
Il mattone caldo ai piedi del letto le notti d’inverno,
per non raffreddarsi andando a dormire, scaldato al braciere e avvolto in un panno
sottile, ricorre anche in un racconto di Lucia Berlin, “Andado” – nella raccolta
“Sera in paradiso”. La giovane protagonista, Laura, americana, invitata in una finca
fuori Santiago del Cile, va a letto presto, per evitare contatti ravvicinati
con gli anfitrioni, scusandosi che ci va “prima che faccia freddo”. Ma trova
che Maria, la domestica incaricata di accudirla, “aveva messo un mattone caldo
ai piedi del letto”.
Scilla era maschio? Ovidio, nella
lettera III dal Ponto, alla (terza) moglie – perché interceda per la grazia presso
l’imperatore – premette che non le chiede molto. Non le chiede nemmeno di esporsi,
non con questo o con quello, né come “Scillaque, quae Siculas inguine terret
aquas”, come “Scilla, che con l’inguine terrorizza le acque sicule”.
“Epistula ex Ponto, III 1”, 122.
Ricorrono nelle cronache due
Mattia Filice, cognome che l’IA vuole “diffuso” ma calabrese, cosentino – con le
solite etimologie di fantasia: dal greco filikis, amichevole, dal latino
filices, felci, dal nome proprio. Entrambi artisti, uno in Francia, uno
in Italia. Il francese è in tv e sui giornali con un romanzo in prosa e in versi,
“Mécano”, rinforzato da una bio all’americana (ex proiezionista, macchinista di
treno per vent’anni) e foto lusinghiere. L’italiano, “regista e sceneggiatore indie”
su LinkedIn e Facebook, noto a se stesso e ai pochi amici. Non è emigrato
abbastanza lontano? L’emigrazione è creativa se si recidono le rardici?
Niente bagni a
Ostia, c’è la mafia
“Ostia viene associata alla mafia,
agli affari sporchi, e tutto quello che accade è letto in questa ottica. Viene
riparata la buca su un marciapiede? Abbiamo riportato la legalità»”, ironizza
il presidente dei balneari di Roma (Ostia è una città, ma è un quartiere di
Roma): “Da dieci anni si parla solo di legalità”, senza rimedio, “e intanto scontiamo
l’immagine negativa: Ostia uguale malavita”.
Il ripristino delle regole, facendo
chiarezza sulle concessioni, vecchio, insolubile?, problema? “Importantissimo.
Ma per farlo è stata cancellata una stagione balneare: stabilimenti chiusi,
senza concessione, spiagge libere date in gestione a metà luglio…”.
È vero, il bando per le
concessioni il Campidoglio l’ha fatto a fine maggio. E a fine giugno è riuscito
a rinnovarne alcune.
Inanto si circonda Ostia di checkpoint,
“anche con l’aiuto dell’intelligenza artificiale”, annuncia orgoglioso il
Campidoglio. Per controllare “veicoli sospetti all’ingresso nel Xmo Municipio” –
quello di Ostia. Che tutti sanno essere un “appaltino” a ditte amiche.
La presidente dell’Antimafia
Colosimo non cessa di proclamare: “Imprenditori, denunciate le estorsioni. E ai
giovani dico di non vendersi per 150 euro”. Quanti stipendi per giovani a Ostia,
da 1.000-1.200 euro, sono andati perduti solo perché il Campidoglio aveva altri
appalti di cui occuparsi, più rilevanti evidentemente del business,
purtroppo inscalfibile, delle concessioni balneari?
Ma come guidano (male) a Salerno
Anche il Sud è variegato. Forse più del Centro-Nord,
benché confuso ammasso “di laggiù”
nell’opinione
– semmai caratterizzato dalle mafie, ognuna delle quali, sì, avrebbe psicologia
e storia proprie. Lo è forse più del resto d’Italia, poiché ogni minuscola valle,
al Sud le acque hanno creato valli poco profonde e poco ampie, è caratterizzata–
e quasi sempre a dispetto o in concorrenza con la valle viciniore, quindi
mantenendo o accentuando caratteristiche proprie. Tanto che anche nell’uniformismo
tendenziale (l’“omologazione” di Pasolini, per stare sull’attualità), delle varie
regioni e località come meridionali - dei meridionali come italiani, degli italiani
come europei, degli europei come occidentali, e insomma, un po?, “amerikani” -
il meridionale nel Meridione ancora si distingue.
Come
vecchi frequentatori di Positano prima della gentrificazione, e poi più volte l’anno
dell’autostrada Salerno-Reggio da sempre, da quando fu costruita nei tardi anni
1960, è singolare, e resta praticamente immutata nei decenni, la guida
nel salernitano. La guida dell’auto. Non propriamente nel salernitano, provincia
molto lunga, nel tratto più trafficato, tra Salerno e Battipaglia, oggi forse
fino ad Atena Lucana. Per un nugolo di pratiche fuori norma – fuori abitudini
di guida. Nella Vecchia Napoli-Pompei-Salerno quello, in genere un furgone, che
entrava disinvolto in autostrada senza nemmeno guardare a sinistra, quello che
andava, imperturbato e imperturbabile, al centro della carreggiata (seguendo giustamente
la linea bianca, a cavalcioni), quello che frenava per uscire senza mai mettere
la freccia. Tornando da Positano, in genere a sera o la notte, era regolarmente
intasata – non per incidenti, o le restrizioni di carreggiata, che normalmente provocano
le code.
Sulla
Salerno-Reggio i segni sono molteplici. Di solito minimi, che non valgono il racconto.
Ma del tipo che rammenta che ormai stiamo vicini a Salerno – che abbiamo già
fatto, una soddisfazione nel lungo viaggio, il tratto fino a Salerno. Non per la velocità, il sistema di controllo Vergilius ha postazioni ogni 4-5 km, ma per andare a cavallo tra le corsie, per viaggiare lenti in seconda, e anche in terza corsia (nessuno sulla prima, a destra), per il non uso delle frecce. Il record storico (della memoria) è di un’ora e più di coda, nei trenta ultimi km fino a Salerno, che alla fine
si scopre provocata da due vecchiette in 500, che in seconda viaggiano, come ai vecchi tempi della Napoli-Pompei,
sulla linea bianca, fra le due corsie.
Un
modo di guidare simbolico? Di uno stare al mondo impermeabili, chiusi in se
stessi.
Centosette
giudici, per non fare giustizia
È forte l’antimafia. Ma giusto
per fare rigaggio, e carriera. È così un delitto sempre da indagare e punire, la
strage di via D’Amelio nel 1992, con l’ordigno piazzato nel punto esatto in cui
l’auto col magistrato si parcheggerà, che scoppia al momento preciso, quindi azionato
a vista, a un appuntamento improvvisato (la visita alla madre), di un uomo in teoria
superprotetto. Le indagini si sono fatte, ma per perdersi nel nulla. Con un colpevole
creato a tavolino, un falso pentito, Vincenzo Scarantino (pagato?), che devia
le indagini per sei-sette anni. Dopodiché non c’è più niente da fare. Si direbbe
una trama da servizio segreto, e invece è la verità della strage di via D’Amelio,
che eliminò l’inquirente principe Paolo Borsellino, e cinque degli agenti di
scorta, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina
e Claudio Traina.
Il seguito è nella sintesi impressionante
di Sottile sul “Foglio” sabato 25: “Da quel depistaggio nacque poi una fitta
sequela di dossier e di processi – il «Borsellino bis», il «Borsellino ter» e
il «Borsellino quater» - nei quali si sono avvicendati, tra udienze di primo grado,
appello e Cassazione, centosette giudici. Un percorso titanico che non ha illuminato
alcuna verità, e che ha spinto la giustizia a schiantarsi – almeno finora – tra
piste, contropiste, reticenze, ammissioni, colpi di scena, silenzi detti e
contraddetti dei pentiti veri o riconosciuti tali. Un intramarsi di inganni, imposture,
di errori e anche di interessi. Non ultimi quelli, coltivati sottobanco da
alcuni uomini degli apparati - investigatori e pure magistrati – che hanno
brancolato nei misteri di Palermo per accaparrarsi un avanzamento di carriera o
altre opache utilità”.
Al netto delle incapacità, un
bel bottino per le antimafie.
L’antimafia è una corsia per le
carriere. Più facili se si inventano le “piste”. Invece che arrestare e condannare
i mafiosi, uno per uno. Quando commettono un’estorsione, una violenza qualunque.
Tanto più che non sono ignoti o inafferrabili.
Berlusconi santo
subito, o la mafia a Milano
L’assoluzione, incidentale, di
Berlusconi e Dell’Utri da una lunga lista di imputazioni per mafia, non ha
suscitato molte emozioni – a parte i figli di Berlusconi. Mentre tace Dell’Utri,
che di mafie antimafia è stato vittima, condannato anche, per il “concorso
esterno”, il reato di cui volentieri (per mestiere) si macchiano anche giudici e
investigatori, e su prove costituite dalle dichiarazioni di un pentito vanesio (basta scorrerne la biografia
scandalosamente benevola di wikipedia).
Si sorvola forse perché non è
una novità – ci sono più assoluzioni di politici per mafia che condanne, sia pure
dopo molti anni, “concorso” compreso. Né è una novità il carrierismo dei giudici,
che pur di non lavorare caricano tutto di mafia – ce n’è uno che ha fatto
carriera, tra Firenze e Prato, per (non) avere indagato sulla strage dei Georgofili
e le altre del 1993. Quanto a Berlusconi, la memoria è da poco virata sul santo
subito. Da parte di familiari, amici, conoscenti, beneficati, ma anche di alcuni
grossi calibri dell’accusa – manca solo Travaglio, ma con un “Berlusconi santo”
farebbe sfracelli in classifica.
Di Berlusconi non si sa che
dire. Passerà alla storia probabilmente come quello che ha domato l’estrema
destra italiana, quella dei “padani” secessionisti e quella neo-fascista reduce
dal terrorismo – a differenza della Francia, e negli ultimi sviluppi anche della
Gran Bretagna, della Germania, della Spagna, tre quarti di Europa insidiate da destre radicali. Un successo non da poco. Quello
che ora interessa e si può rilevare è la delusione dell’antimafia, e della Sicilia
– di chi scrive della Sicilia, siciliani e non. Se tutto non è mafia, non c’è
purtroppo altra antimafia – una che, p.es., punti il delitto, ora e non a babbo
morto.
La Sicilia invece è delusa.
Gli scribacchini delle Procure non solo - che possono comunque rifarsi frantumando
(condannando) l’assoluzione. È l’isola tutta intiera che trattiene il respiro,
come fosse una sconfitta, se la mafia, quel genio di Riina per dire, non governava
Berlusconi, Dell’Utri e Milano.
Un penserebbe che un Dell’Utri,
uno che va a Milano, da solo crea un mercato pubblicitario che Urbano Cairo se
lo sogna, il Grande Editore di oggi, dal niente (il mercato pubblicitario quarant’anni
fa era niente, 600 milioni, di lire, Dell’Utri lo portò a sei miliardi), sarebbe
stato motivo di orgoglio. E invece no – solo invidie.
L’isola, ricca e ricchissima,
ama cabotare. Come se si vergognasse, e invece è “femmina”, si sarebbe detto
quando si poteva dire, come di qualcuno che ama lasciarsi fare. E ora, da molti
decenni ormai, quasi un secolo, respira solo con l’ossigeno dell’antimafia,
altrimenti non respira – un’antimafia che tanto più è pervasiva, tanto più dice
la mafia grande, e l’isola, si pensa, con essa.
Si chiedeva (si chiede ancora?) ai pensionati alla
Posta la “dichiarazione di vivenza”. La Sicilia ha molte virtù e non è in
pensione, ma ecco, la mafia è la sua dichiarazione di vivenza.
leuzzi@antiit.eu
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