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martedì 28 ottobre 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (611)

Giuseppe Leuzzi


Il mattone caldo ai piedi del letto le notti d’inverno, per non raffreddarsi andando a dormire, scaldato al braciere e avvolto in un panno sottile, ricorre anche in un racconto di Lucia Berlin, “Andado” – nella raccolta “Sera in paradiso”. La giovane protagonista, Laura, americana, invitata in una finca fuori Santiago del Cile, va a letto presto, per evitare contatti ravvicinati con gli anfitrioni, scusandosi che ci va “prima che faccia freddo”. Ma trova che Maria, la domestica incaricata di accudirla, “aveva messo un mattone caldo ai piedi del letto”.
 
Scilla era maschio? Ovidio, nella lettera III dal Ponto, alla (terza) moglie – perché interceda per la grazia presso l’imperatore – premette che non le chiede molto. Non le chiede nemmeno di esporsi, non con questo o con quello, né come “Scillaque, quae Siculas inguine terret aquas”, come “Scilla, che con l’inguine terrorizza le acque sicule”. “Epistula ex Ponto, III 1”, 122.
 
Ricorrono nelle cronache due Mattia Filice, cognome che l’IA vuole “diffuso” ma calabrese, cosentino – con le solite etimologie di fantasia: dal greco filikis, amichevole, dal latino filices, felci, dal nome proprio. Entrambi artisti, uno in Francia, uno in Italia. Il francese è in tv e sui giornali con un romanzo in prosa e in versi, “Mécano”, rinforzato da una bio all’americana (ex proiezionista, macchinista di treno per vent’anni) e foto lusinghiere. L’italiano, “regista e sceneggiatore indie” su LinkedIn e Facebook, noto a se stesso e ai pochi amici. Non è emigrato abbastanza lontano? L’emigrazione è creativa se si recidono le rardici?
 
Niente bagni a Ostia, c’è la mafia
“Ostia viene associata alla mafia, agli affari sporchi, e tutto quello che accade è letto in questa ottica. Viene riparata la buca su un marciapiede? Abbiamo riportato la legalità»”, ironizza il presidente dei balneari di Roma (Ostia è una città, ma è un quartiere di Roma): “Da dieci anni si parla solo di legalità”, senza rimedio, “e intanto scontiamo l’immagine negativa: Ostia uguale malavita”.
Il ripristino delle regole, facendo chiarezza sulle concessioni, vecchio, insolubile?, problema? “Importantissimo. Ma per farlo è stata cancellata una stagione balneare: stabilimenti chiusi, senza concessione, spiagge libere date in gestione a metà luglio…”.
È vero, il bando per le concessioni il Campidoglio l’ha fatto a fine maggio. E a fine giugno è riuscito a rinnovarne alcune.
Inanto si circonda Ostia di checkpoint, “anche con l’aiuto dell’intelligenza artificiale”, annuncia orgoglioso il Campidoglio. Per controllare “veicoli sospetti all’ingresso nel Xmo Municipio” – quello di Ostia. Che tutti sanno essere un “appaltino” a ditte amiche.
La presidente dell’Antimafia Colosimo non cessa di proclamare: “Imprenditori, denunciate le estorsioni. E ai giovani dico di non vendersi per 150 euro”. Quanti stipendi per giovani a Ostia, da 1.000-1.200 euro, sono andati perduti solo perché il Campidoglio aveva altri appalti di cui occuparsi, più rilevanti evidentemente del business, purtroppo inscalfibile, delle concessioni balneari?
 
Ma come guidano (male) a Salerno
Anche il Sud è variegato. Forse più del Centro-Nord, benché confuso ammasso “di laggiù”
nell’opinione – semmai caratterizzato dalle mafie, ognuna delle quali, sì, avrebbe psicologia e storia proprie. Lo è forse più del resto d’Italia, poiché ogni minuscola valle, al Sud le acque hanno creato valli poco profonde e poco ampie, è caratterizzata– e quasi sempre a dispetto o in concorrenza con la valle viciniore, quindi mantenendo o accentuando caratteristiche proprie. Tanto che anche nell’uniformismo tendenziale (l’“omologazione” di Pasolini, per stare sull’attualità), delle varie regioni e località come meridionali - dei meridionali come italiani, degli italiani come europei, degli europei come occidentali, e insomma, un po?, “amerikani” - il meridionale nel Meridione ancora si distingue.
Come vecchi frequentatori di Positano prima della gentrificazione, e poi più volte l’anno dell’autostrada Salerno-Reggio da sempre, da quando fu costruita nei tardi anni 1960, è singolare, e resta praticamente immutata nei decenni, la guida nel salernitano. La guida dell’auto. Non propriamente nel salernitano, provincia molto lunga, nel tratto più trafficato, tra Salerno e Battipaglia, oggi forse fino ad Atena Lucana. Per un nugolo di pratiche fuori norma – fuori abitudini di guida. Nella Vecchia Napoli-Pompei-Salerno quello, in genere un furgone, che entrava disinvolto in autostrada senza nemmeno guardare a sinistra, quello che andava, imperturbato e imperturbabile, al centro della carreggiata (seguendo giustamente la linea bianca, a cavalcioni), quello che frenava per uscire senza mai mettere la freccia. Tornando da Positano, in genere a sera o la notte, era regolarmente intasata – non per incidenti, o le restrizioni di carreggiata, che normalmente provocano le code.  
Sulla Salerno-Reggio i segni sono molteplici. Di solito minimi, che non valgono il racconto. Ma del tipo che rammenta che ormai stiamo vicini a Salerno – che abbiamo già fatto, una soddisfazione nel lungo viaggio, il tratto fino a Salerno. Non per la velocità, il sistema di controllo Vergilius ha postazioni ogni 4-5 km, ma per andare a cavallo tra le corsie, per viaggiare lenti in seconda, e anche in terza corsia (nessuno sulla prima, a destra), per 
il non uso delle frecce. Il record storico (della memoria) è di un’ora e più di coda, nei trenta ultimi km fino a Salerno, che alla fine si scopre provocata da due vecchiette in 500, che in seconda viaggiano,  come ai vecchi tempi della Napoli-Pompei, sulla linea bianca, fra le due corsie.

Un modo di guidare simbolico? Di uno stare al mondo impermeabili, chiusi in se stessi.
 
Centosette giudici, per non fare giustizia
È forte l’antimafia. Ma giusto per fare rigaggio, e carriera. È così un delitto sempre da indagare e punire, la strage di via D’Amelio nel 1992, con l’ordigno piazzato nel punto esatto in cui l’auto col magistrato si parcheggerà, che scoppia al momento preciso, quindi azionato a vista, a un appuntamento improvvisato (la visita alla madre), di un uomo in teoria superprotetto. Le indagini si sono fatte, ma per perdersi nel nulla. Con un colpevole creato a tavolino, un falso pentito, Vincenzo Scarantino (pagato?), che devia le indagini per sei-sette anni. Dopodiché non c’è più niente da fare. Si direbbe una trama da servizio segreto, e invece è la verità della strage di via D’Amelio, che eliminò l’inquirente principe Paolo Borsellino, e cinque degli agenti di scorta, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Il seguito è nella sintesi impressionante di Sottile sul “Foglio” sabato 25: “Da quel depistaggio nacque poi una fitta sequela di dossier e di processi – il «Borsellino bis», il «Borsellino ter» e il «Borsellino quater» - nei quali si sono avvicendati, tra udienze di primo grado, appello e Cassazione, centosette giudici. Un percorso titanico che non ha illuminato alcuna verità, e che ha spinto la giustizia a schiantarsi – almeno finora – tra piste, contropiste, reticenze, ammissioni, colpi di scena, silenzi detti e contraddetti dei pentiti veri o riconosciuti tali. Un intramarsi di inganni, imposture, di errori e anche di interessi. Non ultimi quelli, coltivati sottobanco da alcuni uomini degli apparati - investigatori e pure magistrati – che hanno brancolato nei misteri di Palermo per accaparrarsi un avanzamento di carriera o altre opache utilità”.
Al netto delle incapacità, un bel bottino per le antimafie.
L’antimafia è una corsia per le carriere. Più facili se si inventano le “piste”. Invece che arrestare e condannare i mafiosi, uno per uno. Quando commettono un’estorsione, una violenza qualunque. Tanto più che non sono ignoti o inafferrabili.
 
Berlusconi santo subito, o la mafia a Milano
L’assoluzione, incidentale, di Berlusconi e Dell’Utri da una lunga lista di imputazioni per mafia, non ha suscitato molte emozioni – a parte i figli di Berlusconi. Mentre tace Dell’Utri, che di mafie antimafia è stato vittima, condannato anche, per il “concorso esterno”, il reato di cui volentieri (per mestiere) si macchiano anche giudici e investigatori, e su prove costituite dalle dichiarazioni di un  pentito vanesio (basta scorrerne la biografia scandalosamente benevola di wikipedia).
Si sorvola forse perché non è una novità – ci sono più assoluzioni di politici per mafia che condanne, sia pure dopo molti anni, “concorso” compreso. Né è una novità il carrierismo dei giudici, che pur di non lavorare caricano tutto di mafia – ce n’è uno che ha fatto carriera, tra Firenze e Prato, per (non) avere indagato sulla strage dei Georgofili e le altre del 1993. Quanto a Berlusconi, la memoria è da poco virata sul santo subito. Da parte di familiari, amici, conoscenti, beneficati, ma anche di alcuni grossi calibri dell’accusa – manca solo Travaglio, ma con un “Berlusconi santo” farebbe sfracelli in classifica.
Di Berlusconi non si sa che dire. Passerà alla storia probabilmente come quello che ha domato l’estrema destra italiana, quella dei “padani” secessionisti e quella neo-fascista reduce dal terrorismo – a differenza della Francia, e negli ultimi sviluppi anche della Gran Bretagna, della Germania, della Spagna, tre quarti di Europa insidiate da destre radicali. Un successo non da poco. Quello che ora interessa e si può rilevare è la delusione dell’antimafia, e della Sicilia – di chi scrive della Sicilia, siciliani e non. Se tutto non è mafia, non c’è purtroppo altra antimafia – una che, p.es., punti il delitto, ora e non a babbo morto.
La Sicilia invece è delusa. Gli scribacchini delle Procure non solo - che possono comunque rifarsi frantumando (condannando) l’assoluzione. È l’isola tutta intiera che trattiene il respiro, come fosse una sconfitta, se la mafia, quel genio di Riina per dire, non governava Berlusconi, Dell’Utri e Milano.
Un penserebbe che un Dell’Utri, uno che va a Milano, da solo crea un mercato pubblicitario che Urbano Cairo se lo sogna, il Grande Editore di oggi, dal niente (il mercato pubblicitario quarant’anni fa era niente, 600 milioni, di lire, Dell’Utri lo portò a sei miliardi), sarebbe stato motivo di orgoglio. E invece no – solo invidie.
L’isola, ricca e ricchissima, ama cabotare. Come se si vergognasse, e invece è “femmina”, si sarebbe detto quando si poteva dire, come di qualcuno che ama lasciarsi fare. E ora, da molti decenni ormai, quasi un secolo, respira solo con l’ossigeno dell’antimafia, altrimenti non respira – un’antimafia che tanto più è pervasiva, tanto più dice la mafia grande, e l’isola, si pensa, con essa.
Si chiedeva (si chiede ancora?) ai pensionati alla Posta la “dichiarazione di vivenza”. La Sicilia ha molte virtù e non è in pensione, ma ecco, la mafia è la sua dichiarazione di vivenza.


leuzzi@antiit.eu

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