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martedì 17 settembre 2013

Filologia a perdere sullo spirito tedesco

La guerra era attesa in Germania nel 1914, per la primavera. Curtius e Pasquali ne ebbero separatamente preavviso, Serajevo fu solo un incidente. Ma è detto en passant, tra il quadretto di questo o quell’accademico, e altri ricordi, magari di come all’epoca si stava a tavola. Gli antichisti si divertono, Ludwig Curtius che aveva scritto le “Memorie”, nel 1950, e Pasquali che qui lo recensiva, nel 1952.
Una “recensione” curiosa, soprattutto di sé, e lunga, un altro libro di memorie. Duecento pagine di narrazioni, a specchio dei ricordi dell’amico, anche vive: della famiglia, di Roma, di Firenze, di Forte dei Marmi, degli studi in Italia e in Germania, degli antichisti, i “magnanimi” e i “parvanimi”. Di una serie di italianofili di grande rilievo, di cui naturalmente in Italia non si coltiva la memoria: Giorgio Kano, gli Hildebrand, altri. Degli artisti, anch’essi dimenticati, con villa-studio sui colli a Firenze. Della vita privata in Italia a fine Ottocento: gli usi e i tic della famiglia borghese, le interdizioni alimentari - di acqua e frutta. La sfilata pomeridiana in carrozza al Corso, con la regina Margherita e, qualche volta, il re Umberto – rigido e incapace. La villa cardinalizia romana e le ville di artisti (stranieri) a Firenze. Il bagno vestiti, al mare e nei fiumi.
La forma recensione si presta, Curtius fu personaggio vivace. Cominciò come precettore di “Willi”  Furtwängler, il futuro maestro, figlio di un direttore di museo. Fu archeologo in Grecia (Egina) e Turchia, spione in guerra in Grecia e in Bulgaria, e dal 1928 direttore dell’Istituto Germanico a Roma, per dieci anni fino a che Hitler non lo destituì, su denuncia di alcuni borsisti-allievi – ma di questo si sa per caso, come pure di Hitler al potere, che quando venne a Roma Curtius si era rifiutato di omaggiare, benché ne fosse funzionario. 
Un atro mondo, che pure fu Italia fino all’immediato dopoguerra. De Sanctis lamentava nelle note autobiografiche negli anni 1850 un’università a Napoli clericalizzata, con l’obbligo di certificare la messa domenicale e la comunione. La stessa cosa attesta Pasquali, senza citare De Sanctis, per i suoi anni 1950, a Firenze e Roma. Anche i laghi Prespà, tra Grecia e Albania, si può testimoniare, sono di fascino immutato. Ma molto non è detto, o trascurato, o minimizzato: i filologi soprattutto si divertono, lievi, cioè superficiali.
Molto si dice di Roma, scontato per due romani, di buono (“è la prima città umanistica del mondo”) e di cattivo. Cioè superficialmente. Così come nelle tante notazioni sui caratteri degli italiani e dei tedeschi, più ridicole che assurde. Da parte di due che non credevano a queste generalizzazioni – “nulla al mondo è più difficile a intendere che un popolo”: recensito e recensore fanno a gare nelle grossolanità (banalità) sui caratteri nazionali. Anche il titolo è ambiguo: dà conto della forma recensione, ma è come se: 1) Pasquali avesse scritto una storia dello spirito tedesco, e 2) lo “spirito tedesco” fosse stato a lui contemporaneo. Mentre è solo un’eco dello “Spirito tedesco” di Benedetto Croce  germanofilo dieci anni prima, che non si cita – uno spirito traviato che Croce, con meno curve del germanofilo non pentito Pasquali, riporta alla mancata latinizzazione della gran parte della Germania, e a Lutero, all’io-e-il-mio-Dio.
Curioso ripescaggio di una recensione. Riproposta per i sessant’anni in edizioncina paludata, con molte note e tre introduzioni, di Giacomo Devoto, Eduard Fraenkel e Marco Romani Mistretta, tutte a loro volta con note. Fra le curiosità, la mancanza di un inquadramento del Curtius – che il lettore configura come uno spirito all’avventura, mentre non lo era. E nessun accenno, né in Paquali né nei commentatori, al contemporaneo e più celebre Ernst Robert Curtius, l’inventore del topos  letterario e autore del già celebre “Letteratura europea e Medioevo latino”- non erano parenti, ma s’incontrarono, si studiarono?
Giorgio Pasquali, Storia dello spirito tedesco nelle memorie d’un contemporaneo, Adelphi, pp. 260 € 16

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