Con più determinazione, e con qualche argomento in più, rispetto ai neocon un quarto di secolo fa, la destra americana coltiva la cultura come terreno di dominio. Nella battaglia a tutto campo anti-woke - sulla storia, le minoranze, il genere, la sregolatezza in genere (alcolismo, droghe, promiscuità) - e in tutti gli ordini dell’istruzione, dalla scuola materna all’università.
Un’offensiva generalizzata, a partire
dal linguaggio Anche nelle materie e gli ambienti più ostili, i media e la giustizia. Sui media attraverso
la pubblicità, che segue il gradimento del pubblico. Giacché questa strategia
paga, a sorpresa col voto popolare a Trump, in crescendo sulla base dei
sondaggi.
Non è proprio Gramsci, il teorico
dell’“egemonia” culturale, ma è come se, il disegno è lo stesso: dominare le
menti prima che la scheda alle urne.
Il disegno egemonico conservatore
s’identifica col vice-presidente Vance, sui temi rappresentati dieci anni fa
col suo best-seller “Elegia americana”, e con Christopher F. Rufo, un quarantenne
figlio di un bracciante emigrato dalla Ciociaria, ideologo formato alla Georgetown,
l’università dei gesuiti, e anche lui a Harvard, come Vance. Ex regista
apprezzato di documentari sociali, è da anni vedette su tutti i media delle cause conservatrici – ha costretto
alle dimissioni la rettrice di Harvard, con accuse di plagio, ed è l’autore
della fake news (in cui poi è caduto
Vance) degli immigrati che si mangiavano i gatti.
L’argomento in più è che il
conservatorismo, la tradizione, è migliore baluardo per i ceti più
sfavoriti. Rufo ha condiviso come
documentarista l’esperienza di vita (e di scrittura) di Vance, l’America hillbilly,
della rust-belt o cintura industriale
abbandonata, dell’isolamento, della deprivazione.
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