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mercoledì 5 novembre 2025

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (612)

Giuseppe Leuzzi


Il pianista Carlo Maria Dominici è nato a “Villa San Giovanni, praticamente un’estensione di Reggio Calabria”, ma non ne ha altra memoria, né personale né familiare – e nemmeno curiosità. “Mio padre”, spiega ad Antonio Gnoli sul “Robinson”, “figlio di emigrati, era nato negli Stati Uniti e decise di tornarci”. Dopodiché ha fatto e ha fatto fare al figlio una vita molto americana – era andato a Villa San Giovanni, il paese dei genitori, probabilmente per sposarsi. La nascita è, al limite, ininfluente, l’appartenenza, cui molti emigrati tengono, anche alla seconda e terza generazione, è un fatto culturale e personale.
 
Le riforme a Napoli bloccate dalla rivoluzione francese
Il giacobinismo uccise le riforme. È vecchia, assodata, verità, ma del Regno di Napoli successe nella stessa famiglia, in ambito massonico. Il rinnovamento, economico e politico, avviato da Bernardo Tanucci col re Carlo e con lo stesso Ferinando IV, e continuato da giurisperiti ed economisti di fede e appartenenza laica, Filangieri, Pagano, Luigi de’ Medici, Galanti, Domenico e Francescantonio Grimaldi,  il viceré di Sicilia Caramanico, che hanno rifiutato poi di aderire alla Repubblica Giacobina, fu bloccato con la decapitazione dei reali di Francia e per le intemperanze radicali, e assolutiste, di altri liberi pensatori locali. Non altrettanto versati nelle scienze politiche, ma apostoli del tutto  subito: l’abate Antonio Jerocades, Eleonora Fonseca Pimentel, e poi lo stesso Mario Pagano.
Dopo il terremoto del 1783, che aveva letteralmente raso al suolo la Calabria Ultra, la provincia di Reggio, fu istituita una Cassa Sacra – un primo caso di manomorta: sequestro e vendita di beni ecclesiastici. Per ricostruire, e per allargare il numero e la qualità dei piccoli proprietari, con la redistribuzione di terre e immobili. Qualche anno dopo, nel 1790, poiché la riforma non funzionava, Luigi de’ Medici, massone, amico di Filangieri e di Pagano, fu mandato a scoprire perché. Riferì che i beni ecclesiastici erano andati a maggiorenti e notabili, che se ne  potevano permettere l’acquisto agevolmente. E che appartenenti alla massoneria, al seguito dell’abate Jerocades, che nel 1790 se ne era andato a Marsiglia per informarsi, si organizzavano per introdurre anche nel regno di Napoli una situazione analoga a quella francese.
Per il momento nonsuccesse nulla. Jerocades ebbe l’anno dopo, nel 1791, la cattedra di Filologia a Napoli, e nel 1793 quella di Economia e Commercio. Poi, con l’esecuzione di Maria Ant
onietta a ottobre dello stesso anno, sorella della regina Maria Carolina, l’atteggiamento della corona mutò: essere massone, anche moderato, liberale, diventò essere sospetto. Gli stessi mitissimi Grimaldi, e Galanti, furono messi in disparte. Testimonieranno per le riforme non aderendo alla repubblica giacobina, ma a nessun effetto, il re Ferdinandlo IV non ci sentiva più da quell’orecchio – negli anni dell’esilio palermitano adotterà pure una costituzione all’inglese, ma giusto per compiacere i suoi protettori.

 
Sudismi\sadismi – Il paradosso nordico
Non si uccidono più donne al Sud rispetto al Nord, anzi avviene il contrario, e questo turba le coscienze. È un paradosso, si dice. Studiosi eminenti ne fanno oggetto di ricerca. E l’esito è strano, cioè non convince i ricercatori, che temono di non avere impostato bene il problema.
Il risultato, presentato mercoledì 29 ottobre al Senato, alla Commissione d’inchiesta sul femminicidio, a opera di economisti accreditati, Augusto Cerqua, Costanza Giannantoni, Marco Letta, Gabriele Pinto, trova che, se il tasso di omicidi in Italia si è dimezzato negli ultimi anni, a 0,55 omicidi ogni 100 mila abitanti, quasi alla metà della media europea, che è di 0,9, per i femminicidi questa tendenza non si avvera. Non solo, ma, questo il punto, non si uccidono più donne al Sud, “nelle zone più povere e arretrate del paese”, ma al Nord, “nelle aree dove le donne hanno raggiunto maggiori livelli di emancipazione”.
Un conclusione un po’strana per degli studiosi, per due motivi. Non si è più violenti dove si è meno ricchi – o più poveri (l’Italia, uno dei Paesi più ricchi al mondo, vuole pensarsi sempre come “la grande proletaria”, in termini pauperistici). E perché si dovrebbe? I femminicidi saranno pure legati alla persistenza di una cultura patriarcale, ma perché è questa una dannazione meridionale? Al Sud gli uomini hanno rispetto per la donna, sono meno maneschi in casa, meno alcolizzati o drogati. Un Turetta al Sud sarebbe anomalo – che poi non è solo Turetta: la prevaricazione e lo sterminio di famiglie e innamorati\e non sono “patrimonio” meridionale, anzi, al contrario.
Perché si porta sempre il Sud come termine di paragone negativo – anche quando non lo sarebbe –non è un mistero della ricerca, della scienza. Forse non è nemmeno stupidità - leghista. È la forza del pregiudizio. Che spesso è rinfocolata da volenterosi del Sud, informatori e anche studiosi -  Cerqua è nome del basso Lazio-Campania, Pingo è apulo-campano, Letta è abruzzese-laziale, Giannantoni laziale-abruzzese.
Un’indagine seria, si suppone, gli economisti hanno “ricostruito manualmente (?) tutti i casi di femminicidio in Italia dal 2006 al 2022". Sulla base dei rari annali della bolognese Casa delle Donne, integrati per ogni caso dalle notizie locali, specie per la localizzazione esatta dei luoghi, per un prima ipotesi di deduzione… Poi, dovendo ipotizzare le cause, si sono fermati alla “cultura patriarcale”, cioè, nelle vulgata, al Sud. Sotto la specie di una backlash hypothesis elaborata da  studìosi nordici, che non sapendo come “giustificare” il maggior tasso di femminicidi nei loro paesi rispetto ai paesi mediteranei (c’è anche un sudismo\sadismo internazionale, oltre che italiano), si sono appellati alla “cultura patriatrcale”, cioè al Sud, al veleno che il Sud ha iniettato al Nord – non all’alcol, non alle droghe, non alla despondency o provocazione femminile (non si dice, ma ci sono anche ominicidi). Furbi, no?
 
Il felice paese più povero d’Europa
Dice “Il  Quotidiano di Calabria” che Dinami, in provincia di Vibo Valentia, sotto le Serre, è “il paese più povero d’Italia, e quindi d’Europa”. Lo dice per inciso, trattando dell’altro paese del vibonese già più povero, Nardodipace, ora al penultimo posto?, sito paloeolitico e borgo ridente, se non altro di boschi.
Ora, Dinami. Un’eco rimbalza fragorosa: ma era il paese della “cugina Palaja”, cugina materna, con cui ogni anno si facevano le visite reciproche, ad anni alterni, ora con una visita di lei ora con una visita nostra. Sempre rallegrate da cinque figlie, lei scurissima, loro chiarissime, tutte bellissime, la più grande delle quali aveva già fatto matrimonio, ricco e felice.
I destini personali certo non fanno le storie sociali. Anche se adesso, passandoci per curiosità, molte macchine si vedono a Dinami parcheggiate, quelle tedesche forse più numerose delle panda.
Ora, non si tratta di fare andare indietro il progresso. Né di fare grande il piccolo, o il minimo, il personale. E non si può obiettare alle statistiche – specie non a quelle del reddito, che in Italia sono un arcano. Ma le statistiche hanno un valore relativo – e sono complesse,vanno interpretate. Ma la realtà, compreso il povero e il ricco, è fatta di molte cose. Anche più tagnibili delle memorie personali: la tradizione e la storia, l’istruzione, il saper vivere.
 
Ma la malavita è meridionale
Anche quest’anno, come ogni anno, le stastistiche del “Sole 24 Ore” sulla criminalità la dicono più diffusa al Nord che al Sud, anche in numeri doppi che al Sud. Non c’è una città del Sud, nemmeno Napoli, fra le prime dieci in classifica per numero di crimini commessi per 100 mila abitanti: Milano (6.952 reati per 100 mila abitanti), nell’ordine, Firenze, Roma, Bologna, Rimini, Torino, Prato, Venezia, Livorno, Genova.
Anche per regione si parte sempre dalla Lombardia, quasi 7 mila reati per 100 mila abitanti (6.952), e a seguire la Toscana, il Lazio, l’Emilia Romagna, il Piemonte, tutti sopra i 6.000 (il Piemonte poco sotto,(5.828). Per trovare una regione meridionale, la Campania, bisogna scendere di altri tre posti: Veneto, Liguria, Friuli-Venezia Giulia. Il Sud si caratterizza semmai per avere, anche qui, le ultime tre posizioni, Abruzzi, Sardegna, Basilicata.
C’è un perché. Al Nord, Roma compresa in questa particolare specialità, la delinquenza è un fenomento urbano, e in alcuni  casi metropolitano: il crimine è fatto di scippi, furti, spaccio, e violenze sessuali, oltre che di lesioni alla persona (le violenze sessuali non lo sono?) – queste peraltro in singolare incremento al Centro-Nord, per motivi anche futili. Al Sud, dove sinora, malgrado le mafie,  latitano i reati contro la persona, questo è probabilmente un fatto di urbanizzazione relativamente ridotta, e quindi alle reti familiari e sociali, di quartiere, di paese, che agiscono da ammortizzatori della violenza.

leuzzi@antiit.eu

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