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giovedì 27 settembre 2007

Catastrofi: i Borboni facevano meglio prima

Dieci anni per ricostruire Assisi e il resto dell’Appennino umbro-marchigiano lesionato (poco) dal terremoto. Altrettanti per restaurare la cattedrale di Noto dopo il crollo. Sono imprese riuscite, Assisi e Noto, di cui tutti si congratulano, a fronte dei terremoti che hanno lasciato strascichi ventennali, in Friuli, o trentennali, il Belice. Ma che pensare allora dei vituperati Borboni, che dopo i terremoti facevano ricostruzioni rapide, ben progettate, ben finanziate? Con studi geodetici-fisici, sismici, architettonici. Nella Sicilia di Sud-Est, dopo il sisma del 1693, crearono in vent’anni un mondo barocco di una ricchezza impressionante, a Catania e nelle città rifatte, Noto, Caltagirone, Grammichele, Vizzini, Militello, le due Ragusa, Inferiore e Superiore, Chiaramente Gulfi, Còmiso, Bìscari, Mòdica, e altre. L’impianto urbanistico, con regolamenti rigidi, e molte abitazioni leggere della ricostruzione della piana di Gioia Tauro dopo il sisma del 1783 hanno retto fino all’ “abusivismo di necessità” del compromesso storico. Mentre la ricostruzione a Messina dopo il terremoto del 1908 lasciava il quartiere Giostre nelle baracche fino agli anni Sessanta - fino a che non ci passò l'autostrada. La tecnica nell’Italia unita non avrà certamente fatto passi indietro. O è questione di tangenti? Ma sotto i Borboni, per quanto esecrati, si rubava una minima parte delle risorse pubbliche rispetto a quanto si ruba oggi. Anche perché ogni ricostruzione veniva finanziata con apposite requisizioni forzose, civili ed ecclesiastiche, e ognuno vigilava sull’uso delle risorse a lui sottratte. Bisognerà rivalutare i Borboni?

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