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mercoledì 16 giugno 2010

Dateci i nomi delle giornaliste – 2

C’è un caso in cui la legge sulle intercettazioni viene già applicata, anche se probabilmente questa legge non ci sarà mai: è un caso di Bari, capitale delle intercettazioni nel 2008-1010. Ma nessuno nel fronte a protezione della libertà dell’informazione contro la legge sulle intercettazioni protesta. Per un motivo semplice, anche se rivoltante: viene difeso il nome di tre “colleghe” giornaliste. Non funziona nemmeno il gioco della destra-sinistra, in questo caso: la protezione corporativa fa aggio su tutto, l’impulso allo scandalismo, le copie vendute, la politica.
Dunque, non c’è solo il colonnello della Finanza che se la spassava con le croniste giudiziarie a Bari, alle quali dava in cambio indiscrezioni sulle indagini di cui era comandato. C’è almeno un magistrato, e forse quattro. Ma questo pochi lo sanno. La storia da boccaccesca si fa sadiana: da uno scambio di favori (il letto di Berlusconi contro il letto del colonnello) a sei omaccioni che si fanno tre giornaliste. Di che alluzzare milioni di lettori e telespettatori: qui è lo scandalo più scandalo che ci sia, paginate di intercettazioni sono a disposizione, e sicuramente qualche foto rubata, dagli Zappadu di Bari se non dagli investigatori. Ma nessun telegiornale ne parla, e nei giornali non si va oltre scarni comunicati, su una colonna, a giorni alterni.
Uno vorrebbe aver fiducia nelle cronache giudiziarie. Per questo le abbiamo aperte alle giornaliste, per mettere aria nelle sentine degli angiporti delle questure. Per questo si vorrebbe che il giornalismo si liberasse delle tre che se la facevano con gli investigatori. Si finisce altrimenti per invidiare quei paesi dove le intercettazioni sono regolate, anche se fa sempre male non stare in un “fronte della libertà”. Nei paesi dove il pubblico funzionario che commercia le indagini si fa quattro e anche cinque anni di prigione, e che sono la mitica Gran Bretagna, gli Usa, la Germania. E i nomi dei confidenti sono resi pubblici. Anche se c'è un benign neglect per i giornalisti rispetto ai funzionari, nessun giornalista viene mai mandato in prigione. Ma noi non vogliamo le giornaliste in prigione, vogliamo i nomi. Vogliamo sapere cosa fanno, come lo fanno. Nel mestiere capita sempre d’incontrarsi, e bisogna sapere con chi si ha a che fare.

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