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lunedì 27 dicembre 2010

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (75)

Giuseppe Leuzzi

Mafia
La mafia è un nemico armato, contro il quale il diritto non ammette la difesa. Un occupante violento senza tregua. Che si rafforza con la legalità, se ne avvale.

Il mafioso è colui che utilizza a fini di lucro la sua illimitata capacità di violenza.
Non è uomo d’onore. Non è uomo di rispetto. Né notabile, sociale o politico. Non è uomo di potere, se non per l’assolutezza che la violenza comporta: non ha un disegno. Non è, non può essere, compagno di strada con nessuno.
È un bandito, nel senso che è un uomo di banda, piccolo gruppo soggetto a un capo, fin là dove può arrivare il contatto personale: la mafia non è organizzazione, e si riproduce per scissione – si chiama famiglia per nostalgia di uno spirito unitario che non c’è, e va ricostituito con la violenza.

Pentiti
Il pentitismo origina da Peci a colloquio col generale Dalle Chiesa. Altre tempre morali e altre capacità investigative. L’estensione alla mafia è solo un servizio reso a investigatori inetti, quasi sempre magistrati. E in definitiva alla stessa mafia, che ora fa il crimine e la giustizia del crimine.
Quando non la sfanga (Brusa, l’animale dell’acido, il “teologo” Spatuzza), con tutto il suo carico di diecine e centinaia di assassinii efferati, senza pagare alcun dazio, e anzi diventando un eroe della televisione e dei giornali, solo per fare il gioco politico di un magistrato. Che talvolta, come sta avvenendo, non persegue la mafia ma i politici: ci si può pentire a cuor leggero, non è necessario denunciare compagni di mafia, basta nominare qualche politico. E anche questo senza circostanziare e senza speciali responsabilità: basta dire il nome.
O quando non è propriamente mafia, collusione, infiltrazione. Il lato buono della cosa è minimo: non ci sono patrimoni mafiosi emersi con i pentiti, e la mafiosità degli insospettabili è quasi sempre la loro piccola vendetta, dei pentiti.

Milano
Barbara Berlusconi dà lezioni di moralità al babbo. Su un illustrato che s’intitola “Vanity Fair”.. Basterebbe questo a condannare Berlusconi: prima la moglie, ora la figlia. Nessun politico “napoletano” ha mai oberato l’Italia di tanto.

L’allenatore Benitez lascia l’Inter. Non è licenziato, è lui che lascia, facendosi pagare la buonuscita. Ma Milano non ci fa caso. Anzi, la “Gazzetta dello sport” gli fa i conti, e calcola che per ogni giorno Benitez si è fatto pagare 30 mila euro, pensando magari di denigrarlo e non d’illustrarlo. Ricevere uno schiaffone e far finta di nulla, sarà questo il segreto del successo.

“Mia figlia è una precaria e io sono molto arrabbiata”: il “Corriere della sera” si compiace si dare spazio al lamento, questa mamma non è la prima. È il linguaggio Rai, forse dell’epoca, e il giornale dovrà tenerne conto. Ma a Milano, per Milano? Non è la lamentazione genere espressivo meridionale. O il Sud l’ha importato da Milano?

Mani Pulite ha avuto e ha singolari cadenze mafiose. Il discredito sugli indagati (le “voci”, che si perfezionano in “indiscrezioni, e infine nei cosiddetti avvisi di garanzia, resi pubblici prima di comunicarli agli indagati) per isolare l’obiettivo. Le false voci. La selettività. Il palese trattamento di favore per gli amici – esibire il potere. La rudezza. La violenza illimitata. E l’esibizionismo: non c’è mafia, infatti, che non si esibisca.
È l’apporto dei suoi giudici napoletani e siculi?

Si indaga a Milano la società comunale A2A per le false fatturazioni del gas. Ma si rinvia a giudizio, perlomeno sul “Corriere della sera”, l’Eni, per avere importato, forse, gas senza dichiararlo.
I distributori indipendenti di gas, A2A compresa, sono in guerra con l’Eni perché vogliono una fetta dell’affare, e Milano compatta aggredisce, palazzo di Giustizia e “Corriere della sera” compresi.

Milano ha buona memoria dell’Austria. Che la trattava come pezza da piedi. Al conte Dal Verme, contemporaneo di Stendhal e di Emerson, quando richiese il passaporto per andare in America, gli ci vollero sedici mesi per averlo.

Per una settimana il “Corriere della sera” fa una e due pagine sull’Inter che si gioca un Mondiale di calcio e vuole vincerlo. Se lo gioca ad Abu Dhabi. Contro una squadra coreana – del Sud, è vero, anzi del reverendo Moon. Dopodiché affronterà una squadra del Congo.

Si riesuma Sandro Mazzola, che riesuma l’ultima vittoria, 45 anni fa, in Argentina, contro una squadra argentina: “Per una città operaia era un trofeo ambitissimo”. Milano era la città operaia, gli argentini chissà, mangiavano le bistecche gratis. La città si costruisce annichilando il mondo – magnificando i poveri e i deboli, per poi annientarli.

È certo la capitale morale d’Italia ma in senso involontario: la capitale vera, quella che decide gli affari, la politica, e il modo di vivere – il Milan-Inter, le Maldive prima poi la villa ai Caraibi, con una puntatina a St.Moritz, o perlomeno a Lugano, e la benedizione del cardinale.

Sudismi\sadismi
“I Germanesi”, la ricerca sull’emigrazione in Germania da Carfizzi, in provincia di Crotone, opera nel 1986 di Abate e Meike Behrmann, ha una curiosa impostazione rétro. Abate, che pure è narratore sensibile e senza paraocchi, e la sociologa Behrmann, che pure è allieva di Norbert Elias, adottano il punto di vista critico dello sfruttamento, dell’assenteismo, del latifondo, e insieme del desiderio di terra del popolo. Non senza fondamento, c’è un positivismo sano nel socialismo: emigrati che investono i risparmi di una vita di fatica e di fame per comprare un pezzo di terra inutile o farsi una casa che non abiteranno al paese sono, o appaiono, condannabili a loro volta. Forse vittime dell’ignoranza, ma anche protervamente votati allo spreco.
L’impostazione è curiosa perché applica ai poveri l’anticapitalismo che per molti anni ha tenuto banco nella sociologia italiana, e evidentemente europea, invece di una lettura vigile del reale. Abate e Behrmann danno addosso all’ipercapitalista Fedele, che in pochi anni aveva creato, e poi difese, una grande azienda agricola, ma anche ai braccianti che ne occuparono le terre e ai cui la riforma agraria poi diede in piccoli lotti i terreni espropriati. Che non hanno senso economicamente, sono uno spreco di fatica e di soldi: sono poco capitalisti, insomma, non accumulano. Questi “germanesi” che solo agognano di stare sulla propria vigna, benché piccola e non economica, o tra gli ulivi, per quanto poveri, e a faticarci sopra senza costrutto economico, che danno un’altra dimensione alla vita e alla loro stessa fatica di emigrati, sono ridotti alla sola dimensione dell’anti-economicità. Indotta, aggiungono Abate e Behrmann, dalla rivalsa, dall’ambizione piccolo borghese di dirsi proprietari, insomma dall’invidia sociale.
Il discorso della dimensione diversa della vita si potrebbe continuare con la voglia di cambiare e la ricerca del nuovo nell’emigrazione, il cosiddetto spirito di avventura. In aggiunta, o al di là, del bisogno. O con l’attrattiva di spazi diversi da quelli di paese. O col bisogno del consumismo, perché no. Ma l’undimensionalità è più forte, se ha fatto presa pure su uno come Abate – Cesare Lombroso dice gli albanesi di Calabria, quale Abate è, “eccellenti corridori” (Lombroso che fu un Calabria solo tre mesi, nel 1862, a caccia dei briganti, e tuttavia, benché fosse già Lombroso, capì molte differenze).
Questo approccio intellettuale era vivo e anzi dominante appena venticinque anni fa. Ma oggi è diverso?

leuzzi@antiit.eu

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