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martedì 23 agosto 2016

L’Europa in Siberia

Si comincia con la Russia – maliziosamente, in questa epoca di saracinesche abbassate? Nella Siberia più remota Enzensberger trova che “la sensazione che la Russia culturalmente faccia parte dell’Europa non è venuta meno”. Il poeta era allora, anni 1960, uno dei tanti invitati nella Russia di Breznev per facilitarne l’accettazione mediante l’esibizione delle realizzazioni tecniche, anche spettacolari – per l’Italia fu invitato Giorgio Bocca, che invece ne scrisse male. A Irkutsk un ingegnere, semiconfinato con la moglie, “parla inglese, conosce Hamsun, Faulkner, Salinger e Böll”. A Novosibirsk due ragazze operaie, incontrate alla cassa del cinema, sanno tutto della poesia russa, testi e critica. Anche il Kazakistan, oltre gli Urali, che ospiterà la prossima Expo dopo Milano, ha molta voglia di Europa: nella capitale Alma Ata: una libreria è specializzata in letteratura tedesca.
È un lungo omaggio. Mi chiedi”, l’autore si chiede, “se l’impero sovietico, dal punto di vista economico, sia stato davvero redditizio. Fra campi di cotone e cammelli, da qualche parte è stata costruita un’università. Che cosa ne hanno ricavato i russi in fondo?” Questo era vero cinquant’anni fa, al tempo del secondo viaggio di Enzensberger in Russia – ma “già durante l’impero zarista” – ed è vero oggi. Già il Caucaso era inavvicinabile, benché sotto il rigido controllo sovietico. Cinquant’anni fa un imprenditore edile di Bakù con moglie osseta spiega a Enzensbeger che ci sono “solo mulattiere, niente stade asfaltate, niente tabacco, niente giornali, niente alcol, niente telefono”, e “le donne, secondo l’uso islamico, sono animali da lavoro”, e oggi non è molto diverso. Ci sono già milionari nella Russia nella Russia post-kruscioviana, che la “normalizzazione” brezneviana anzi favorisce. Erenburg è uno – gli scrittori in genere sono molto privilegiati – e c’è un affarista che va a pesca il week-end con l’aereo privato. Mentre i cinesi criticano la politica krusciovana della prosperità: “Più ricchi diventate, più pensate da borghesi”
Un amarcord del poeta ottantacinquenne, posato, contrariamente al titolo. I due libri qui assomma che avrebbe voluto e non ha scritto. Di vecchi appunti quindi, e vecchie situazioni. Il libro su Cuba dopo quello sulla Russia. Ma ancora abbastanza anticonformista, o anarchico, come rivendica – “non uno da libro illustrato, con miccia corta e la bomba in mano”. Specie nel ritratto di Castro, in contrappunto alle beatificazioni che vanno di rito. Irresistbile è l’ordine di Castro – che il maestro Abbado replicherà a Milano per l’Expo, anche se non per il caffè – di piantare attorno all’Avana “40 milioni di alberelli del caffè”: operazione cui gli intellettuali vengono comandati in corvée la domenica, su un terreno piatto e umido, non drenato, dove lunedì le piantine sono già morte, o mercoledì. C’è anche Saverio Tutino per un paio di pagine, non nominato, ma ancora all’Avana, in esilio, esecutore fedele delle incomprensibili direttive del Pci.
Gli “Appunti sparsi su un viaggio in Unione Sovietica” sono di due viaggi in realtà, uno nel 1963, su invito di Giancarlo Vigorelli, segretario di una qualche associazione di scrittori europei, e uno tre anni dopo, dopo Krusciov. E sono la parte migliore, Enzensberger è un viaggiore curioso. Nel paese sovietico una giovane interprete, che è stata per studio nella Germania Federale, ne è tornata delusa, dalla “mancanza di individualità”. Il primo viaggio – Vigorelli ha convitato Sartre, Beauvoir, Ungaretti e molti altri, con Šolochov, Erenburg, Tvardovskij, a torto ora dimenticato -  si cocnlude con un ritratto di Krusciov di cui gli storici dovranno tenere conto. Nel secondo Enzensberger s’innamora, di una giovane russa che sarà la sua seconda moglie, in un difficile “romanzo russo”, poi vissuto tra Berlino, gli Usa, l’Avana, Londra e il divorzio.Un progetto di romanzo, probabilmente abbandonato dopo il successo dell’analogo titolo di Emmanuel Carrère.
Il resto è un affannoso selfie in forma di auto-intervista, per fare i conti con l’impegno-disimpegno dei tardi anni 1960. A Berlino e a Cuba. Di più è una resa dei conti con Castro, oggi scontata – benché, appunto, sempre controcorrente. Con notevoli ricordi, questo sì, di Rudi Dutschke, e di Ulrike Meinhof, col suo loffio Andrea Baader. Nonché omaggi commoventi a Herberto Padilla, Carlo Fuentes, Cabrera-Infante e altre vittime di Castro, e a tanti amici, illustri o sconosciuti. Nelly Sachs sopra tutti, di cui è stato esecutore testamentario, a Stoccolma. Herbet Marcuse più volte, di pratica e “mentalità alto-borghese”, specie nel suo buen retiro svizzero. Molto Hans-Werner Henze, non con simpatia malgrado la frequente collaborazione. Lily Brik a Mosca, ancora più lussuosa di Erenburg. Achmatova sola a Taormina. E di passaggio un figlio di Ernst Jünger, compagno di posto in aereo, che voleva fare la guardia forestale. Una Ingeborg Bachmann a una festa a Roma, col “tirchio Moravia”, “in un abito di paillette scintillanti”. E Kissinger che “si ostina a parlare in un inglese americano” anche in Germania, con forte accento di Norimberga – e s’impermalosisce invece di sorprendersi quando Enzensberger glielo fa notare.
Hans Magnus Enzensberger, Tumulto, Einaudi, pp. 235 € 19,50

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