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venerdì 16 giugno 2017

L’ideale del rottame

I dispositivi tecnici a Napoli sono essenzialmente rotti: solo eccezionalmente e in virtù di un caso straordinario ce ne sono anche di funzionanti. Col tempo si ha l’impressione che tutto viene prodotto già rotto in anticipo.” È l’attacco. Il seguito è una pirotecnia: “Per il napoletano il funzionamento comincia proprio e soltanto quando qualcosa si rompe… Le riparazioni definitive sono per lui un misfatto; in quel caso, volentieri rinuncerebbe  del tutto all’automobile… Per lui l’essenza della tecnica sta nella messa in funzione del rotto”.
Parallela alla filosofia del rottame, del Kaputt, lo studioso tedesco, filosofo, sociologo, economista, svolge quella del prodotto intangibile, arcano: per il Napoletano “ciò che invece è intatto, ciò che, per così dire, va da sé, è per lui inquietante e sospetto, proprio perché, in quanto va da sé, non si può davvero  mai sapere come e dove andrà”. Questa dice “filosofia del capostazione”: non si può sapere. Del capostazione che gliela enunciò, in risposta a una richiesta, “per il treno da Castellammare a Napoli, che nel corso del suo mezzo secolo è diventato sempre più logoro, e fino all’ultimo minuto non si riesce a sapere quando  arriverà”. Il senso della filosofia del capostazione, e del Napoletano, è questo: “Non si può far nulla, dal momento che ciò che è intatto funziona da sé”.
Illeggibile, come tutta l’eredità del marxismo-leninismo, di cui era un’autorità in fatto di lavoro (
“Lavoro intellettuale e lavoro manuale” è sempre in edizione), quando scrive di cose viste Sohn-Rethel è spontaneo e lieve. Era un tedescianche particolare, essendo nato a Neuilly-sur-Seine, cioè a Parigi. Nel 1921, a 22 anni, senza prospettive a Heidelberg dove aveva studiato, se ne torna al paese, a Gaiberg. Fa la conoscenza in questi anni di Walter Benjamin e di Ernst Bloch, ma la sopravvivenza è faticosa, anche perché si è sposato e ha un figlio.  Finché un editore non gli chiede un’opera di dvilgazione cultural filosofica, per la quale lo paga 250 marchi al mese. Poco per la Germania ma da due zii sa che al Sud Italia bastano. Parte quindi con moglie e figlio per Capri, dove lo zio Otto ha una villa ad Anacapri. E subito dopo per Positano, dove c’erano più case sfitte e meno care, patrocinato dallo zio amato Karli, pittore. Ci starà due anni e mezzo, divertendosi con la corte di “artisti” che lo zio anima, e lavorando moltissimo. Tornerà in Germania con tre lavori completati, preludio, dice Carl Freytag nella postfazione, alla “Critica dell’economia soggettivistica”.
Cinque brevi testi in questa plaquette, di aneddotica leggera. Di cui tre “napoletani”: “Un ingorgo nella via Chiaia”, “L’ascesa al Vesuvio”, “L’ideale del Kaputt”, del rottame, che sbozzano una sorta di postmodernismo della tecnica. Tre testi succulenti, che bizzarramente non si editano in italiano, mentre si pubblica sempre Sohn-Rethel per le opere di sociologia perente – dell’“Ideale del Kaputt” Alfredo Pellecchia regala online la traduzione. E due, “I ratti di Sigurd” e “Lo zoo di Dudley”, come parusie di un ordine differente, un po’ come a Napoli, anche se non superiore, come forse a Napoli.
Sigurd, vedendosi scomparire le due uova cui ha diritto a Londra con la tessera annonaria alla fine della guerra dopo che le ha riposte religiosamente nella dispensa, si apposta la notte del sabato, la notte delle uova, e vede due topi che si indirizzano ognuno su un uovo: sanno cioè il giorno e l’ora, e dove indirizzarsi, come parlandosi. A Dudley la famiglila che infine può passare un giorno allo zoo, anche per inaugurare la Mini nuova, se la trova all’uscita sfasciata. Lo zoo assicura che saranno risarciti: l’ha sfasciata un elefante da circo, che lo zoo aveva comprato, e che attraversando il piazzale nel trasferimento aveva trovato comodo sedersi sulla Mini rossa. La macchina è ancora utilizzabile ma al semaforo un vigile chiede: “Che è successo?” “Un elefante”. Ed è la fine: famiglia in commissariato, esami di alcolismo per il padre alla guida, rimproveri, raccomandazioni.
“Un ingorgo nella via Chiaia”, il primo presumibilmente  dei tre testi napoletani di Sohn-Rethel, è pubblicato qui come primizia. Un anticipo della “meraviglia tecnica” dei Napoletani, con gli aneddoti che saranno le prove dell’“Ideale del Kaputt”. Il principale è il forchettone che, infilato nel mozzo di una moto che va in folle, monta la panna in una latteria – “l’ho visto io”, dice qui. Con la prima e più spiegata filosofia del capostazione, a proposito del “treno forse più veloce in tutta Europa”, che non sa se funziona o no: “Che ne so io, se queste cose vanno da sole? Come si può sapere dove vanno, e quando vanno?”.
“Soprattutto i motori, di qualsiasi specie, riempiono l’arsenale di fortuna del Kaputt”, spiega qui Sohn-Rethel. Che molti aneddoti ha di stile napoletano, fantasioso. Ma forse non inventati. Quello della moto da panna. L’elettricità che va e viene e non impensierisce nessuno – “la corrente non c’è”, in italiano.  Mentre la cura è massima per illuminare la Madonn a. La caffettiera che bolle sul motore del motoscafo e fornisce il caffè fresco per tutta la gita nel Golfo. La manifattura all’aperto, su una strada di centinaio di metri – roba del Seicento descritto da Marx, gongola Sohn-Rethel: “Una manifattura senza un solo pezzo fatto a macchina, solo con martelli, tenaglie, lime e bruciatori, e i materiali liquidi che escono dal forno”. L’ingorgo di via Chiaia, in epoca di poche automobili, è provocato da una “carrozza”, in italiano, tirata da un asino, composta da una cassa su due biciclette, a cui gli “scugnizzi” danno la baia montando, smontando, strattonando. “L’ideale del Kaputt”, contemporaneo probabilmente degli appunti dell’“Ingorgo”, fu pubblicato sulla “Frankfurter Zeitung” nel 1926, il 21 marzo. 
Una chicca. Con una postfazione di Carl Freytag su Sohn-Rethel “a Napoli” nel 1924-27.  Freytag  ricorda che nulla è cambiato: in via Chiaia l’ingorgo è permanente. Ma evoca un Sud non ancora maledetto, malgrado tanto colore, e anzi meta di molti intellettuali, anche tedeschi, Adorno, Benjamin, Kracauer, Ernst Bloch. Sohn-Rethel, aggiunge, va oltre il colore, affascinato anche teoricamente dalla “prassi anarchica napoletana e la indomabile resistenza ai poteri sociali della Chiesa, la Camorra, la Tecnica”. Rideva, ma sul serio. L’ “Ideale” è un pezzo satirico e alla fine filosofico.
La tecnica comincia piuttosto soltanto dove l’uomo oppone il suo veto contro il chiuso ed ostile automatismo dei macchinari e lo fa rimbalzare nel suo mondo”, concludeva. Il Napoletano “dapprima distrugge la magia, ostile all’umano, dell’intatto funzionamento meccanico, e solo così si installa poi, una volta smascheratane la mostruosità, nella sua anima semplice,  e gode per averne effettivamente incorporato il possesso nell’illimitato dominio di un’esistenza utopicamente onnipotente”.
Alfred Sohn-Rethel, Das Ideal des Kaputten, Bettina Wassmann, pp. 61 € 9,72

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