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lunedì 12 febbraio 2018

Il mondo com'è (333)

astolfo

Eurafrica –L’Europa  si è sempre detta appendice dell’Asia, per l’evidenza geografica. Per la storia anche e per la cultura: l’Europa si è formata progressivamente da Creta, dai Fenici, dal’Egitto, dalla Mesopotamia, dall’Iran e dall’India. Ma le ultime ricerche genetiche dicono un’altra storia: gli europei – anche gli europei – vengono dall’Africa. I bianchi erano neri, si sono sbiancati per carenza di melanina – della eumelanina, la melanina buona, d’irradiazione solare (le melanine sono pigmenti neri, bruni e rossastri – la feomelanina, la melanina cattiva, è rossastra).
Uno studio di cui danno conto sul “Sole 24 Ore” dell’altra domenica Guido Barbujanni e Gloria Gonzalez Fortes (opera di Thorsten Günther et al., 2018, “PLoS Biology 16”) conclude in questo senso: “Fino a qualche anno fa non c’erano semplicemente dati su cu ragionare; e quindi si ipotizzava che i primi europei, forse 50mila anni fa (o, per meglio dire, i primi europei della nostra specie, Homo sapiens; prima di loro c’erano i Neandertal, ma questa è un’altra storia) avessero avuto il tempo per evolvere una pelle chiara nel corso del loro cammino dall’Africa. Invece non è così. L’uomo di La Braña aveva pelle scura, e come lui, altra gente che, nel Mesolitico, viveva in Svizzera e in Lussemburgo”.
Anche i ritrovamenti da qualche tempo in questa direzione. Il primo inglese era nero con gli occhi chiari.
Il primo “schiarimento” arriva dal Medio Oriente. A partire dal Neolitico, cioè con lo sviluppo dell’agricoltura – coltivazioni e allevamento sono giunti in Europa come arti già mature dal Medio Oriente.
Il Nord diventa bianco dopo. “Le pelli chiarissime che troviamo nel nord Europa hanno un’altra storia.  C’era gente con la pelle chiara già 13 mila anni fa, ma stava nel Caucaso”. Saranno stati i “dorici”, i popoli che invaderanno la Grecia dal Nord, che i germanisti grecofili dicono loro propri antenati - e non era la Thuringia Doringia, il paese dei dori, il paese delle sorelle Müntzenberg e Buber-Neumann, dei Bach, di Thomas Müntzer? “Più tardi, troviamo individui con gli stessi geni (forse loro discendenti, forse no) nell’Asia nord-orientale, in quella che oggi è la Russia. E da lì, da Est, questi geni si diffondono” fino alla penisola scandinava attraversando Germania e Danimarca”.

 Germania – È anche slava – della stessa radice degli odiati slavi? È la parentela che mancava nell’atlante del pangermanesimo semiserio che G.Leuzzi costruisce in “Gentile Germania”, dei tedeschi in realtà francesi, mancati, inglesi, americani, e perfino spagnoli, sull’autorità di Spengler, “Socialismo e prussianesimo”. Ma sarebbe la più certa, in base agli studi genetici di cui sopra.  

Se ne può argomentare il nazionalismo indomabile con una mancanza: una voglia accresciuta di essere, e di essere i primi, e i migliori, per una, per quanto inconscia, eterogeneità. Di luoghi e popolazioni che necessariamente vi sottostanno, essendo al centro geografico del continente. Con innesti storici incisivi. Nei secoli post-moderni degli ebrei a Francoforte, specie nella banca. A Berlino, al centro del regno prussiano, degli ugonotti francesi, emigrati in massa, forti nell’amministrazione. Dell’illuminismo e di Napoleone, che informarono nuovamente la Prussia e mezza Germania prima dell’unità.

Altri argomenti (fatti? perché no) si possono aggiungere all’atlante che “Gentile Germania” narra.
Sono i tedeschi francesi? Stefan George, che ha rifatto la poesia germanica, solo da grande a Berlino scelse il tedesco, essendo cresciuto col francese lungo il Reno, dopo aver fatto tesoro a Parigi di Mallarmé e Verlaine. Paul Celan, celebrato poeta rumeno-francese, scrisse sempre in tedesco. Jünger, che è nazionalista sensibile, voleva dare “tutto Stendhal per un poesia di Hölderlin”. Poi si pentì, e riscrisse il romanzo. Ma fu l’edizione originale a fare il successo di “Cuore avventuroso”. Nel suo diario di guerra, la Linea Sigfrido e la linea Maginot, postazione belliche solitamente definite temibili, si fronteggiano sulle due rive del Reno con cannicciati - “paraventi” o “contrevents” di canne. Nerval si commuoveva al Reno: “Germania, nostra madre a tutti!” Mme de Stael è di qua come di là. Molta letteratura d’appendice nell’Ottocento, decine di migliaia di pagine, divide la Francia tra franchi – mezzo tedeschi - oppressori e galli onesti lavoratori.
I tedeschi sono in realtà “francesi” anche in questo, nota Savinio “Scatola sonora”, 137-8: “I Tedeschi, tre volte in meno di un secolo, hanno mosso guerra ai Francesi. Per vincerli? No. Per distruggerli? No. Per manducarli a scopo eucaristico. Per infranciosarsi (per indiarsi… Dieu est-il français?”. Sempre con la fame di altro, concludeva: “In altri tempi, e quando non la Francia ma l’Italia era la sirena di turno, i Tedeschi, e con lo stesso fine eucaristico, cercavano di manducarsi l’Italia (Goethe)”.
S.Weil ricorda in “L’enracinement”, pp.138-43 (“La prima radice”) l’atroce conquista della Francia sotto la Loira da parte dei francesi-franchi (i tedeschi di un tempo erano i francesi), con stragi di Albigesi e trovatori che non erano francesi, in Borgogna, nelle Fiandre, in Sicilia. Ricorda anche che “la Franca Contea, libera e felice sotto la lontanissima sovranità spagnola, si batté nel Seicento per non diventare francese. La popolazione di Strasburgo si mise a piangere quando vide le truppe di Luigi XIV entrare nella sua città in piena pace, con una trasgressione della parola data degna di Hitler”. È questa “razza” che nella conquista feroce del Sud ha creato l’Inquisizione, per meglio perseguitare i felici popoli sottomessi.

Con gli inglesi le parentele sono sempre state strette ai vertici militari e istituzionali. Francesco Giuseppe era colonnello comandante onorario dei Dragoni della Regina, al tempo di Vittoria, che ne conservano il ricordo con la doppia aquila sul badge, e la Radestky March. La casa regnante Windsor era Sassonia Coburgo Gotha Wettin fino al 1914. Come il kaiser Gugliemo II, ora arcinemico – fu per questo che Giorgio V cambiò la denominazione familiare. Il kaiser era peraltro nipote molto devoto della regina Vittoria, che assistette personalmente in morte.   
Guglielmo II era di origini inglesi: sua madre era figlia della regina Vittoria. La quale era cresciuta con principi tedeschi e più di tutti li amava, a partire dal marito. Nel 1901 Guglielmo aveva assistito per settimane la sovrana moribonda, un fatto che aveva commosso gli inglesi. E si segnalò per seguire in lacrime a piedi il carro funebre. La regina Vittoria cominciò tardi a imparare l’inglese, verso i tre-quattro anni. Per secoli i re inglesi si erano sposati tra tedeschi, e parlavano tedesco, poco e male l’inglese.

La triplice appartenenza avrebbe potuto risolvere Madame de Staël, all’origine franco-svizzera, Anne-Louise-Germaine Necker, la levatrice della Germania überalles. Che rifiutò William Pitt in matrimonio. Sarebbe stata un’altra storia, dell’Europa sassone - si dice anglosassone ma più corretto sarebbe anglofrancosassone.

Più che altro, è da dire, la Germania non si sa destreggiare fra tutti i parenti, i franchi e i sassoni. Bismarck nel 1888 propose a Salisbury l’asse Germania-Inghilterra: la Germania rinunciava alla flotta, l’Inghilterra ratificava solennemente l’alleanza in Parlamento – Bismarck credeva ala democrazia parlamentare. Sarebbe stata la pace, e l’impero europeo, per molti anni a venire. Salisbury tergiversò, in Inghilterra era forte il sentimento normanno – l’Inghilterra è pur sempre francese a metà. E quando si decise, nel 1891, Bismarck non c’era più, cacciato dal kaiser proprio per potersi fare la flotta.

C on gli Stati Uniti d’America i legami sono ora in sordina. Ma furono stretti – gli Usa all’origine si posero il problema se parlare inglese oppure tedesco. E il presidente Trump è bene un tedesco, seppure nato negli Usa, e non amabile con Angela Merkel.
“George Washington crossing the Delaware”, l’immagine cardine della storia americana, è di un Emmanuel Gottlieb Leutze.
I tedeschi si distinguevano in America anche per qualità degli insediamenti, oltre che per essere numerosi. In America più che in ogni altro posto, dice Kant nell’’“Antropologia”, i tedeschi emigrati si sono distinti per formare comunità nazionali “che l’unità della lingua e in parte anche della religione trasforma in una specie di società civile che, sotto una superiore autorità, si distingue nettamente dagli insediamenti di ogni altro popolo per la sua costituzione pacifica e morale, l’attività, il rigore e l’economia. Questi sono gli elogi”, concludeva Kant, “che gli stessi Inglesi fanno dei Tedeschi dell’America del Nord”.
Nel 1924 la nuova legge americana sull’immigrazione puntò esplicita e radicale a garantire il carattere nord europeo, più specificamente “sassone”, della popolazione. Basandosi su “The Passing of the Great Race”, dell’ambientalista e eugenetista Madison Grant, 1916, sottotitolo “The racial basis of European History” - un teorico del razzismo, che poneva a base dell’antropologia e della storia, celebratore di una “razza nordica”, un raggruppamento antropologico-culturale poco definito ma centrato sulla Scandinavia e l’antico tedesco.
Il Johnson-Reed Act escluse ogni immigrazione dall’Asia (l’Africa non era nemmeno presa in considerazione) e limitò fortemente l’immigrazione dal Sud e dall’Est Europa, con un sistema di quote basato sull’origine della popolazione naturalizzata nel 1890. A quella data l’immigrazione dal Nord Europa rappresentava l’80 per cento del totale. Così gli italiani, che erano arrivati in gran numero successivamente, in media 200 mila l’anno nei dieci anni dopo il 1900, ebbero la quota annua di nuova immigrazione limitata a 4 mila. Mentre la quota annua per i tedeschi era di 57 mila - le quote per l’Italia e gli altri paesi europei erano così restrittive che il saldo netto fu nello stesso 1924 e successivamente negativo: più italiani lasciavano gli Usa di quanti vi entravano.

Non c’è invece ambizione all’Italia. C’è stata, Italia e Germania sono i paesi europei che condividono più secoli di storia post-romana, ma fino agli Ottone, e agli Hohestaufen, Federico I Barbarossa e Federico II - con la coda del ghibellinismo. Formalmente fino al Cinquecento, le 52 immagini degli imperatori del Sacro Romano Impero della Kaisersaal a Francoforte richiamano tutti, chi più chi meno, l’Italia. Poi più nulla. Non nella storia ufficiale, per effetto della Riforma. Sì nella storia tedesca poi marginale, dei principi e dei poeti, i quali tutti amavano e copiavano l’Italia. Ma non in quella insorgente della Prussia, e poi della Germnia.
C’era diffidenza, anzi scarsa sopportazione, nell’Asse, malgrado il fascino che Mussolini esercitava personalmente su Hitler. Reciproca, bisogna dire: Julius Evola battagliava per un “arianesimo” mediterraneo superiore a quello teutonico. Cera concorrenza. Quando il fascismo mediterraneo aprì in Germania, anzi a Berlino, a fine 1942, quando il mondo era conquistato, l’istituto Studia Humanitatis, con un’orazione del professor Riccobono in latino, Goebbels minacciò di togliere la luce (“È evidente che gli italiani stanno tentando di accampare diritti al predominio spirituale in Europa”) e Rosenberg scrisse l’epitaffio: “È passato il nemico. L’Istituto Studia Humanitatis è una longa manus  del Vaticano”. Pacelli? Vaticano? Erano nella Germania hitleriana “Italiener!”

astolfo@antiit.eu

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