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martedì 4 giugno 2019

Dick e le vite bruciate sulla strada


 “Sulla strada” prima di Kerouac – che il romanzo aveva scritto ma pubblicherà tre anni dopo. E “Gioventù bruciata”, il film con James Dean, che verrà l’anno successivo, 1955. Tutto già scritto, ma rimasto inedito fino al recupero postumo, sulla cresta del successo deli Dick fantascientifico, con monumento di Emmanuel Carrère. Con una storia d’amore tradizionale al centro, tra un adulto che a ciqnuant’anni si ritiene vecchio, e una ventenne. Tradizionale ma cesellata con finezza, in un mare di disadattamento. La gioventù post-bellica, finito lo stato di necessità, negli anni di Eisenhower, non sa essere felice – non sa essere. È anche un’America sguarnita dentro le mura di casa, orripilante. Da cui bisogna solo scappare: da qui le avventure, minime, al caso. Qui non si “fuma” né si “tira”, ma si beve molto. Impressionante anche per l’anticipazione dello stato attuale della donna americana, all’ombra del #metoo, o troppo stupida  (furba, violenta) o troppo inviluppata.
Gli stessi giovani disorientati. Gli stessi fondi, be-bop quasi beat. La stessa scrittura, frammentata e semplice, di superficie. Un romanzo del 1954 – “Sulla strada” esce tre anni dopo – rimasto inedito (la prima pubblicazione è 1987) per il modo di fare di Dick, che non accettava correzioni – consigli redazionali – e non ritornava sul già scritto. Uno dei tanti insuccessi che lo indirizzerà alla fantascienza, come genere minore, e quindi più facile da pubblicare, e quindi da guadagnarci qualcosa. Dick non è nato scrittore di fantascienza. Vi si è adattato perché aveva bisogno di guadagnare e i romanzi seri (mainstream) non glieli pubblicavano. Questo fu a lungo discusso da una importante casa editrice, che propose anche adattamenti, ma poi restò inedito. Con una parte centrale piena di ottime conoscenze musicali, che ancora oggi fanno testo criticamente.
La “generazione perduta” in realtà era solo diversa: una generazione di giovani insolitamente maturi, in qualche modo più adulti deie genitori.  Schietti, senza pietà, non riuscivano a rispettare niente e nessuno. In cerca di un qualcosa di abbastanza reale in cui credere: di qualcosa di degno del loro rispetto”. Immaturi rispetto agli adulti, che avevano il diritto di giudicarli, in famiglia e nei media, ma non erano granché: ubriaconi, pieni di sé, violenti.
Due dotti saggi, l’introduzione di Carlo Pacetti e la postfazione di Tommaso Pincio, sistemano “Mary” nella biografia e nella produzione dickiana. Ma la metaviglia di questo “inedito” è la sua storicità, non si ripete abbastanza: Dick vi racconta per primo la gioventù”bruciata” dell’America anni 1950, comprensiva di Eisenhower, la Bomba e la Russia. In dialoghi svelti, di passioni fugaci. Quella centrale è di Mary, ventenne ragazzina quasi groupie, per un gigantesco cantante be-bop, tanto prestante quanto assente. Una ragazza che perciò passa da rapporto a rapporto, voluto o violento, senza piacere – dove lo prova, lo rifiuta - e senza costrutto. La prima delle tante vite “perdute” o “bruciate”, non sapendo dietro che cosa, solo per inquietudine.
Philip K. Dick, Mary e il gigante, Fanucci, pp. 263 € 6,90

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