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venerdì 26 aprile 2024

La liberazione di Civitella

Il capo dello Stato ha celebrato la Liberazione quest’anno a Civitella in Val di Chiana per un motivo: la pacificazione. Non se ne fa cenno nelle corrispondenze della manifestazione, ma la cosa è importante, la pacificazione finalmente avvenuta tra gli eredi della Resistenza e le famiglie delle vittime delle rappresaglie. Le stragi nazifasciste non furono solo a Marzabotto e a Sant’Anna di Stazzema. Ci fu una guerra civile in Italia, e durò quasi due anni, dopo l’8 settembre 1943, ma già dopo il 25 luglio. Con molte incomprensioni nella popolazione. Il racconto è in “Vorrei andarmene ma non so dove”, romanzo di Astolfo in via di pubblicazione:
 
C’è un tempo della storia, un ritmo. Che la logica non scalfisce, meno che mai quella povera del terrore o totalitaria, che la storia vorrebbe dominare. E c’è una storia che i fatti non scalfiscono, murata nella logica del mito. Del Vento del Nord, che fu tiepido ma non si può dire. Di Milano che non si liberò neppure a piazzale Loreto, né Torino, o Bologna. Della Resistenza che non fu di massa, se non in certo modo. La linea Gotica durò due inverni e fu sfondata dagli Alleati, e fu per tutti una tragedia, ma i lanci intensificati d’armi e vettovaglie crearono nel Frignano e in Lunigiana posizioni forti dopo, nella ricostruzione, anche personali.
Tra la liberazione di Firenze, che Tito Masini e i suoi proclamarono l’11 agosto ‘44, e la liberazione della Toscana ci furono centinaia di morti in pochi giorni, contadini, bambini, madri, uomini anche nel pieno vigore, benché rintanati in cascina. Kesselring lo volle: “Proteggerò ogni comandante”, promise con ordinanza pubblica il 17 giugno, “che ecceda la nostra abituale moderazione nella scelta e la severità dei metodi adottati contro i partigiani”. La responsabilità va quindi al prode maresciallo della valorosa Wehrmacht. Ma anche all’improvvisazione omicida.
A Civitella della Chiana, in provincia di Arezzo, ci sono state cause tra le vedove, le orfane, le sorelle dei morti da una parte e dall’altra il comandante partigiano Edoardo Succhielli. Che le ha vinte, ma non ha domato l’odio: le donne hanno presenziato ai processi vestite di nero. A Onna, vicino L’Aquila, si sono fatti funerali separati nel ‘44, e ogni anno si fanno celebrazioni distinte, le famiglie dei caduti escludendo sempre la famiglia di un giovane partigiano. L’improvvisata Resistenza diede esca agli eroi della Wehrmacht per improvvisate esecuzioni al mitra: quattor-dici a Pievecchia di Pontassieve l’8 giugno, più di duecento il 4 luglio a Castelnuovo dei Sabbioni, Meleto, Massa di Sabbioni, San Martino in Pianfranzese, tra Firenze e Arezzo. L'11 luglio altre dodici si fecero a Matole, sempre nell’aretino, quarantaquattro il 17 a Crespino sul Lamone, minuscola frazione di Marradi nel Mugello che non contava tanti residenti, dodici a Pratale, alle porte di Firenze alla vigilia della liberazione. Seguiti da Sant’Anna di Stazzema il 12 agosto, il 23 dal Padule di Fucecchio con altre 180 esecuzioni, di anziani, donne e bambini, sfollati in quel posto selvaggio dai paesi vicini per sfuggire ai bombardamenti, e il 24 da Vinca e la valle del Lucido, con 173 morti, molte donne, una imapalata, una sventrata per massacrane il bambino già formato.
A Civitella c’erano state il 29 giugno duecentotré esecuzioni, a colpo singolo alla nuca. Alcuni giovani avevano tentato di disarmare due tedeschi che bevevano vino al dopolavoro. Ne era seguita una sparatoria, nella quale erano morti tre tedeschi. Anche in Toscana c’era una Resistenza, ma disorganizzata, senza collegamenti, senza armi – con l’eccezione di Massa e Carrara, che erano parte della Linea Gotica. A Onna le esecuzioni furono diciassette, quattordici uomini e tre donne, tra esse la madre e la sorella di un ragazzo che aveva litigato con un tedesco per impedirgli di requisire un cavallo, e poi dai monti aveva tirato sull’occupante, in quanto membro di una non precisata formazione partigiana.
La colpa è della divisione Göring – e della Xma Flottiglia Mas e le Brigate Nere, in particolare, in Toscana, la XL. Della Luftwaffe, di cui la Göring era la divisione corazzata. L’aviazione tedesca aveva una divisione corazzata, che ricostituì nel ’44 come “paracadutista-corazzata”, anche se senza parà. Era in origine il gruppo del maggiore Wecke, Walther, che Göring, ministro dell’Interno e Capo della Polizia nel ‘33, aveva costituito con l’incarico di stanare i rossi nelle forze armate di Weimar. I “paracadutisti” erano sbirri. Come tali si distinsero in Sicilia già prima dell’8 settembre, in Campania, nel Lazio, nell’Appennino tosco-emiliano e in Toscana, dopo essersi specializzati nel Caucaso. I tedeschi mandavano gli sbirri al fronte: la Waffen SS Totenkopf, divisione scelta, portava l’uniforme delle guardie dei lager, costituita nel ’39 dal corpo di guardia di Dachau. Dove passava la Göring si commettevano eccidi: Mascalucia e Castiglione di Sicilia, Acerra, Nola, Scafati, Bellona, Capua, Caserta, Afragola, Maddaloni, Teano, Presenzano, Napoli, e poi Monchio, Susano e Costrignano nei pressi di Montefiorino, Cervarolo e Civago nel reggiano, Vetta le Croci, Vaglia e Vicchio attorno a Monte Morello, Vallucciole, 108 donne e bambini, il passo dei Mandrioli e altre località del Falterona, Mommio in Lunigiana, i posti citati tra la Val di Chiana e le miniere del Valdarno, e Chiusi, Sinalunga, Monte San Savino, Badia a Ruoti, il Palazzaccio e Pancole di Arceno, con eccidio di donne e bambini, Bucine.
Non c’era l’obbligo della decimazione nell’ordinamento militare tedesco, c’era anzi discrezionalità: la Wehrmacht lasciava ai comandanti, fino ai capitani, autonomia in fatti di giustizia, lo stesso le SS. O no, c’era: dieci per uno, o uno per dieci, era la vendetta prussiana. C’è la vendetta corsa e c’è quella prussiana: uno ogni dieci svevi volle giustiziato nel 1849 il Principe Mitraglia Guglielmo di Prussia, quando i seimila difensori di Rastatt si arresero, facendoli poi gettare in fosse comuni per l’igiene. Pure la pratica dell’Annientamento, l’Olocausto, si può dire gestita con canoni prussiani. Ma la stessa Prussia ha sancito per prima il diritto alla Resistenza e alla lotta partigiana, il 13 aprile 1813, contro Napoleone. Schmitt ne fa il fulcro della Teoria del partigiano: “Quelle dieci pagine della raccolta prussiana delle leggi del 1813 sono da annoverare tra le più inusitate di tutte le gazzette ufficiali del mondo: asce, forconi, falci e lupare vengono espressamente raccomandati nel paragrafo 43”. Questo diritto Hitler ribadì nel ’44, contro l’Armata Rossa è vero. Dicono di no ma ogni reggimento e ogni compagnia, perfino il plotone, quindi ogni tenente, decideva da sé. L’ordine cieco è un’altra favola, non c’è esercito che sia stato più decentrato. Non per debolezza, per stimolare l’emulazione – si schieravano in venti, un plotone, per fucilare tre o quattro civili inermi ostaggi di rappresaglie. La Göring, specialista di stragi, ebbe un letale chiama e rispondi con le bande partigiane dell’aretino e del Mugello.
A Cornia, frazione di Civitella, dove la banda Renzino aveva la base, furono fucilati donne e bambini. La colpa, dirà al processo il comandante Succhielli, fu della popolazione, che non aveva denunciato il quarto soldato tedesco all’osteria, consentendogli di fare la spia. I civitellini accusarono i partigiani di viltà, per non averli protetti il giorno della strage. Gli uomini di Succhielli, sostennero, volevano uccidere i tedeschi e non disarmarli, e si disinteressarono della rappresaglia per salvarsi personalmente. Anche a Crespino sul Lamone, sebbene non molti siano rimasti a ricordare i fatti, l’opinione vuole colpevoli i partigiani. A Castelnuovo dei Sabbioni l’opportunità politica ha invece avuto la meglio sulla prima reazione violenta contro i partigiani, quella parte dell’aretino è ora in pace. Ma perché tanti morti qui da noi, si diceva, e nessuno nel senese, che è oltre la strada? Perché lì non c’erano partigiani occasionali. A Castelnuovo e Meleto si trovarono capri espiatori nei locali repubblichini, due ometti insignificanti e incolpevoli furono linciati a guerra finita.

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