venerdì 5 marzo 2021
Letture - 450
Brancati
- Catania, nota Carlo Levi a passeggio per la via
Etnea, ama le “tipizzazioni”, che dice “una delle tendenze dell’ellenistico
spirito catanese”: “C’è, pare, chi passa il suo tempo a creare nella realtà dei
tipi, influenzando e foggiando, secondo un suo piano, qualche sua vittima, per
il solo piacere di poterla descrivere”.
fiume privata per la pesca sicura al salmone, la caccia, è il massimo
della distinzione sociale. Più dell’automobile, Daimler o Rolls Royce, della residenza,
Knightsbridge o Kensington, del cuoco, del sarto.
Il giallo postmoderno, 1906
Una storia inverosimile condotta
con maestria, una sorta di postmodern
agli inizi del Novecento - è il romanzo del debutto di Wallace, 1906. Rifacendosi agli ingredienti di Conan Doyle,
ma senza i manierismi dei tanti polizieschi enigmistici “all’inglese”: si sa
che l’attentato dei “quattro giusti” ci sarà, ma come ci si arriva è la storia.
Il ministro che vuole rispedire gli oppositori rifugiati a Londra al regime
dittatoriale del loro paese di origine deve morire un certo giorno a una certa
ora, ma come?
Con un gioco anch’esso
postmoderno fra i media - allora i
quotidiani a sensazione - e gli eventi.
Edgar Wallace, I quattro giusti, Mondadori, pp. 173 €
14
giovedì 4 marzo 2021
Ombre - 552
Le dimissioni di Zingaretti da capo del
Pd – “qui si parla solo di poltrone” – sanciscono ciò che si sapeva, che il Pd
è un partito democristiano con voti (ex) comunisti. Che il compromesso storico
è stato portare i voti comunisti alla Dc – già dai governi di Andreotti, col
sostegno di Berlinguer (Berlinguer coefora di Andreotti…). Un Dc l’avrebbe dato
per scontato, un Franceschini, un Delrio, un Renzi naturalmente (che potrebbe anche riprendersi il partito, non subito, dopo la sconfitta elettorale, o per il Quirinale), combattere per
il potere, in base ai rapporti di forza, senza scandalo.
La
Sapienza a Roma è la migliore università al mondo per gli studi classici – “Classics
and Ancient History” nelle graduatorie internazionali. Lo è da alcuni anni ma
non lo sapevamo. Perché non è privata – la Bocconi, la Luiss?
Dieci
Stati americani, informa incidentalmente “la Repubblica”, non hanno mai
adottato l’obbligo della mascherina, e un’altra decina ha dismesso o sta dismettendo
l’obbligatorietà. Non c’è stata un’azione concertata a livello mondiale e
continua a non esserci, su come fronteggiare insieme la pandemia, una concertazione
che pure non sarebbe stata difficile. La globalizzazione è solo produttiva – un
modo per attingere alla forza lavoro senza prezzo asiatica.
Si
forma alla regione Lazio, presieduta da Zingaretti, segretario del Pd, una
giunta Pd-5 Stelle che ha come obiettivo primo di impedire la riconferma della
sindaca 5 Stelle Raggi al Campidoglio a maggio – se si voterà. Ottima mossa di
Zingaretti – se riuscirà a trovare un candidato a sindaco al posto di Raggi. Ma
i 5 Stelle?
Hanno
dell’incredibile la velocità e lo spiegamento di forze con cui la pubblicistica
(agenzie, social) neo democristiani fanno dell’ipermoroteo Conte il capo dei
socialisti europei. Sono ingordi, vogliono tutto. Non gli basta Draghi a
palazzo Chigi.
Il
professor Parisi, fisico eminente, presidente dei Lincei, spiega che siamo
nella terza ondata della pandemia da covid, dati matematici alla mano (“picco
tra due settimane”), e una quarta è in arrivo. Un disastro? Taglio basso del
“Corriere della sera”, a pagina se, di giro, che non lo veda nessuno. È
giornalismo? O il professore è un cialtrone, ma allora perché intervistarlo?
Non
bisogna disturbare il manovratore, il nuovo governo è tutti noi, vinceremo?
Col
generale Figliuolo alla regia vaccini, l’evento del secolo è controllato, se
non dominato, da un trio di Potenza: la ministra dell’Interno Lamorgese, il
ministro della Sanità Speranza, e il generale Figliuolo alla Logistica. Potere
a Potenza sa di ovvio. Ma è una impossibile congiunzione astrale.
Ci
sarà un generale a palazzo Chigi? Dopo i “tecnici” di Scalfari. Dopo i generali
commissari di ogni cosa, dalla sanità alle autorità portuali. È possibile: il
numero dei generali è cresciuto enormemente, pur essendo l’Italia formalmente
in pace col mondo: si diventa ora generali anche a quarant’anni, non ci sono brigate da comandare
ma il titolo fa stipendio. Fa anche massa: si diceva todos caballeros, si dirà tutti generali?
Dunque,
Wall Street valuta Tesla 660 miliardi di euro. Quanto valuta Toyota,
Volkswagen, General Motors, Stellantis, Ford, Mercedes e Bmw insieme. C’è una ragione?
Sì, l’inaffidabilità delle Borse, un enorme, incredibilmente ricco, e
raccomandato, gioco d’azzardo.
Grillo,
che sembrava il più eversivo dei politici montanti, e per questo forse è stato
votato, si affida a Conte, che è il più democristiano dei neo politici, proprio
moroteo – attendista, trasformista, di destra-e-di-sinistra. Quella italiana è
la democrazia del gambero: non si fa in tempo a compiangersi che si sta peggio.
Arrivato
a Milano, sbarella pure Bertolaso, l’ex capo della Protezione Civile che seppe
avviare la ricostruzione all’Aquila dopo il terremoto: vuole risparmiare le
dosi di vaccino sui settantenni per privilegiare “le fasce più giovani e
produttive”. L’aria di Milano fa così male?
I
settantenni Bertolaso ha proposto di lasciare indietro nella vaccinazione per
un sentito elegante, lui stesso essendone uno. Ma perché parlare tanto, invece
di organizzare e accelerare, di fare queste vaccinazioni?
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Il supergiallo di serie B
Un Chandler programmato per la serie
B? Travolta e Morgan Freeman, ambientazioni di sogno, lussi, un nugolo di belle
donne in bei ruoli, Alice Pagani, Famke Janssen, ambigui quanto è giusto, e tre
registi, per una parodia?
Non c’è altra spiegazione, per un
Marlowe macchietta, e un John Houston in nero, padre cattivissimo. Potrebbe
diventare un cult.
George Gallo, Francesco
Cinquemani, Luca Giliberto, La rosa
velenosa, Sky Cinema
mercoledì 3 marzo 2021
Problemi di base letterari - 624
spock
“Il dramma è poesia, il romanzo prosa”, V.
Woolf?
“Il poeta è sempre nostro contemporaneo”,
V. Woolf?
“Scrivere richiede una enorme quantità di
energia”, Ian McEwan?
“Non c’è espiazione per Dio, né per i
romanzieri, nemmeno se fossero atei”, id.?
“La riflessione soccorre gli artisti
incerti, quando non c’è alcun ostacolo l’arte regna e crea”, Plotino?
“La letteratura in prosa è il prodotto del
razionalismo, dei secoli protestati, dell’individuo autonomo”, G. Orwell?
“La poesia porrebbe sopravvivere in un’età
totalitaria, la prosa non avrebbe altra scelta che tra silenzio e morte”, id.?
spock@antiit.eu
Cronache dell’altro mondo - bellicose (97)
Biden come Trump, contro tutti eccetto che con l’Iran. Più oltranzista di Trump con Russia e Cina.
Biden ha promesso niente guerre in Medio Oriente, in prima linea o per procura, ma non intende fermarle. Eccetto che con l’Iran: bizzarramente possibilista, nello Yemen e sull’atomica, solo col regime più irreducibilmente antiamericano. Affascinato forse, da buon credente, dai sai degli ayatollah. Ha voluto grande rumore attorno a un miniraid aereo contro una base Hezbollah in Siria, la forza armata siro-libanese armata e controllata da Teheran – un raid senza danni. Ma lascia lo Yemen all’Iran e stacca la spina all’Arabia Saudita, l’avversario principale degli ayatollah nel mondo arabo. Fingendo che il presidente iraniano moderato Rouhani conti qualcosa.
Gli ayatollah
hanno rapito e fatto rapire molti americani, a partire dal personale d’ambasciata
nel 1980, hanno ucciso e fatto uccidere oppositori inermi, anche negli Stati
Uniti, hanno un’economia parallela che si fa beffe delle eterne sanzioni
americane, armano e gestiscono forze terroriste in Medio Oriente, come gli
Hezbollah, e si arrogano per disprezzo l’elezione del presidente americano, nel
1980 contro Carter, a novembre contro Trump.
È per questo
che Biden crede agli ayatollah? Di cui non subodora la forza politica - la scaltrezza?
Non è il solo:
sono quarant’anni e passa che gli Stati Uniti non capiscono nulla –
apparentemente - degli ayatollah, pur disponendo del meglio dell’iranistica, e di
molte spie dentro l’Iran. Come a dare ragione al loro feroce
antiamericanismo, incapaci di comprendere il linguaggio levantino, pure esplicito
in questo caso, non subdolo.
Biden ha dato
via libera all’Iran nello Yemen in omaggio ai diritti umani, sanzionando cioè l’Arabia
Saudita sui diritti umani. Ma non li protegge dove sono insidiati dall’Iran, in
Yemen con gli Houthi, in Libano con Hezbollah – e all’interno dell’Iran.
Lo stesso in Russia,
dove invece si è eletto protettore dell’opposizione politica; un atto d’imperialismo
non mascherato, che copre con i diritti umani. Nel mentre che scopre – fa infine
scoprire dalle innumerevoli agenzie di spionaggio – che l’85 per cento delle grandi
imprese cinesi nel mercato mondiale è di proprietà o a controllo statale, del
partito Comunista Cinese.
Festa triste a Sanremo
Sarà sicuramente storica la 71ma
edizione del festival della canzone italiana. Per il senso di vuoto, insistito,
lungo, di ore, che le canzoni sottolineavano. Per un mini pubblico artefatto, di
facciata. Risuonavano cave anche le gag più riuscite.
I dodici milioni di telespettatori
che hanno seguito la performance di Amadeus e Fiorello, quasi la metà di tutto il
pubblico tv, ne manterranno sicuramente il ricordo: non c’è un’immagine celebre
per immortalare l’evento, come fu un anno fa quella dei camion militari con le
bare a spasso per l’Italia, ma la tristezza è stata impressionante. Come una
lunga risata in un lutto inalterabile. Un’eco del vuoto.
Rai 1, Festival di Sanremo
martedì 2 marzo 2021
L’Europa va meglio fuori della Ue
Sulla velocità di risposta alle crisi, Londra
ora unanime giudica opportuna la Brexit, la sottrazione ai ritardi della Ue. Il
programma di vaccinazioni è stato ampiamente anticipato ed esteso rispetto al
continente e funziona. Come già nella crisi bancaria e del debito, che Londra
aveva potuto gestire da sola, essendosi tenuta fuori dell’euro e dell’unione
bancaria.
Sul continente, invece, la Ue incompiuta, né
federazione né confederazione, è il bersaglio dei cosiddetti sovranisti, di chi
ci sta dentro pretendendo di starne fuori: la Polonia, l’Ungheria, il Front
National, la Lega. Degli stessi cioè che si oppongono alla sua
istituzionalizzazione.
Nessun processo politico, nemmeno quelli
rivoluzionari di massa, si è mai fatto all’unanimità. L’Europa non è unanime, e
ciò malgrado è anche in surplace. Da qui tutto il problema del progetto europeo - il sovranismo.
Ma anche tanti vincoli, forse già troppi, per i paesi aderenti. Di un organismo, o entità, che non può o non sa decidere e pretende che altri non lo faccia. Una situazione nella quale è solo necessario che gli Stati prendano iniziative.
Una Unione Europea evidentemente conviene. Ma non per tutti, è evidente, e non in ogni caso. Non nelle crisi, quando più ce ne sarebbe bisogno. E si parla di crisi in tempo di pace.
L’Europa tra due sedie
Non federazione. Nemmeno confederazione, con
un forte decentramento ma comunque con un governo centralizzato. Nemmeno, di
fatto, costellazione germanica, o nordica, quale si pretende e viene risentita.
L’Unione Europea balbetta quando deve prendere decisioni immediate e radicali:
sulla pandemia un anno fa come è stato in precedenza per le crisi economiche, bancaria (2007) e
del debito (2011).
Le altre grandi aree, Usa e Cina, ben o mal
governate che si dica, sono invece reattive alla crisi. Lo hanno dimostrato con
la forte capacità di ripresa nelle crisi del 2007 e del 2011, a tassi doppi
(tripli nel caso della Cina) rispetto alla quasi immobilità europea. Dove gli Stati ci sono, comunque agiscono. E mostrano
di sapere fronteggiare la pandemia con decisione, sia per i vaccini sia per la
ripresa a V dell’economia, mentre l’Europa è in ritardo sensibile. La stima
dei danni che il virus ha inflitto all’economia nel 2020 il Fondo monetario dà
doppia per la Ue, meno 7,2 per cento, rispetto agli Stati Uniti, meno 3,4.
Diverso il passo anche nel rimedio alla
pandemia: i vaccini. Gli Stati Uniti sono molto avanti, sia nel procurement che nella somministrazione,
rispetto all’Europa – gli Stati Uniti di Trump, che in Europa si ritengono male
amministrati.
Cronache dell’altro mondo al declino (96)
Il declino
dell’impero americano c’è già stato nel 1971, con l’inconvertibilità del dollaro
in oro, nel 1973, con le guerra del Yom Kippur, e la (prima) crisi petrolifera,
nel 1975, col ritiro dal Vietnam, nel 2001, con l’attacco aereo a New York e
Washington, nel 2007 con la crisi bancaria.
Al cinema il
declino dell’impero americano è opera del 1996 di Irene Bignardi. E dieci anni prima tema
di un film dallo stesso titolo girato nel Canada francofono – l’impero americano
è sempre stato negato in Francia, fin dalla Liberazione, nel 1945: il primo di
un ciclo, seguito da “Le invasioni barbariche” e da “La caduta dell’impero
americano”.
Ora,
soprattutto nei lockdown, ma anche
prima, vediamo in tv, sui personal, i
tablet, i cellulari e ogni dove, tutte serie di provider americani, Hbo,
Netflix, Amazon, Disney. Qualcuna anche sul declino americano.
Vecchia nuova Africa
“L’Africa, se Dio vuole, è il paese
senza alfabeti e scritture”. È un riflesso nel solco della “terra incognita”, o
“selvaggia”, dell’Africa dominio e testimone della natura dura e pura. Ma è
considerazione che, su altre prospettive, venivano facendo – avevano appena
fatte – Leiris e Lévi-Strauss, l’antropologia delle diversità.
Nell’estate del 1939, un anno
dopo l’America, Cecchi affronta l’Africa. L’Africa portoghese, dal Capo Verde fino
al Mozambico, a bordo del piroscafo portoghese “Colonial”. Partenza da
Siviglia, con tappe a Capo Verde, San Tomé, Luanda, Città del Capo, Mozambico.
E ritorno, si suppone: le corrispondenze che Cecchi ha pubblicato sul “Corriere
della sera” sono state raccolte come “appunti” per un libro, di cui, seppure
c’è stato un progetto, non ci sono tracce – era intanto scoppiata la guerra.
Si parte con Siviglia. E col
mercante fiorentino Francesco Carletti, “il mio concitadino”, che nel 1594 sostò
alle isole del Capo Verde. Che verde non erano e non sono, ma desertiche – popolata
dai portoghesi con le africane di Guinea, della costa. È vigilia di guerra, ma
non si sente.
Il primo impatto è con la
diversità. Com’è giusto – oggi si vuole omologare tutto, a fin di bene certo. La
butalità del canto locale, a fronte “della capacità d’invenzione polifonica
che, in uno «spirituale» di negri americani, dà carattere e voce ad ogni più
piccola parte”. L’Africa è tutta un afrore: umida, bagnata, appiccicosa. A volte
anche poco africana, il critico viaggiatore non si applica: a San Tomé si
sveglia, e si pensa “nel Virginia, nel Carolina del Sud”. Il “pezzo” centrale
della raccolta, i “Dansarinos” di San Tomé, che lo affascinano, non gli
riportano alla memoria Dioniso e i tanti misteri classici, compresi quelli dela
musica e della danza degli antichi greci. L’Africa è un’altra umanità. Ma senza
mai una nota di disprezzo o biasimo.
E quando è rondista, ricercato, non
smette di raccontare dal vivo, da inviato speciale, di cose viste. La vestizione
per la cena del governatore a San Tomé dà corpo alla liquefazione fisica
dell’europeo all’equatore. Molto anche riesce a vedere, seppure fuggevolmente.
Con l’aiuto di un fotografo compagno di viaggio, col quale la confidenza
stabilisce dandogli consigli pratici, da ex presidente della Cines. La verbena, i fuochi d’artificio portoghesi,
“una cerimonia” che dura anche tre e quattro ore. L’isolamento dei missionari.
La messa sul piroscafo, dal ponte, senza nessun fedele, senza nessuno nemmeno a
servire. Nell’economia della miseria le diseconomie del malgoverno. Il Mozambico
manca di manodopera, i mozambicani fanno più volentieri i frontalieri con la
Rhodesia e col Transvaal a regime inglese, dove guadagnano quel tanto che permetterà
loro di sopravvivere, e di pagare la tassa che il governo portoghese esige da
ogni vivente.
Un viaggio nelle solitudini e nel
silenzio: “Non appariva un’anima; ma di tanto in tanto sentivo tossire qualcuno
che non vedevo; ch’è il suono familiare dell’Africa, l’interpunzione dei suoi
tremendi silenzi”. Ha un lampo di genio anche, quando ritrova nei volti dei
giovani africani “l’origine di una pratica degli scultori egiziani, che davano
risalto e turgidezza all’attaccatura dei labbri”.
Un periplo da “civiltà
dell’impero”, ma con occhio partecipe, se non critico. In Africa c’era già stato
Gide a obiettare , e perfino Céline. Cecchi non lo sa, ma è buon cristiano, ed
è curioso. L’odore dell’Africa è ”lugubre e ubriacante”. La povertà va con la
bruttezza, e entrambe sconfinano nel caratteriale. La danza e il canto sono
poveri, e anzi miserabili. Ma l’approccio è diverso nella spenta letteratura di
viaggio italiana: è di cose viste. E si fa leggere, l’Africa c’è – anche ora
che è, forse, tutta cambiata. La prosa anche è moderna: spoglia, di cose – il
rondista dorme. riafiora
Uno dei pochi libtri di viaggio
sull’Africa che ancora si lege – si potrebbe, la riedizione Ricciardi è del
1955, per i settant’anni di Cecch. La prima e unica edizione delle
corrispondenze che Cecchi pubblicò al ritorno sul “Corriere della sera”.
Emilio Cecchi, Appunti per un periplo dell’Africa
lunedì 1 marzo 2021
Appalti, fisco, abusi (197)
Per realizzare un’opera da 25 milioni con il
codice degli appalti in Italia occorrono dieci anni”, è la costatazione del sindaco
di Firenze Nardella. Che in alternativa propone “una moratoria”. Di questi
tipo: “Si applichino le leggi europee”.
Le buone leggi ci sono, ma non in Italia. Dove
il codice degli appalti non è fatto per proteggere dalla corruzione, ma per
imporla: non c’è altra via per realizzare un appalto.
Unicredit addossa all’ultimo bilancio dell’uscente
Mustier un rosso colossale, e non remunera gli azionisti, capofila del “no
dividendo” della Bce, ma paga un premio ai dipendenti. In un anno in cui denuncia
il crollo dell’attività, in una con la redditività. C’è un senso? Demagogico.
Acea può richiedere € 10,47 per “consumi di
elettricità nel periodo dal giorno 1\12\2017 al giorno 02\01\2018”. Così, senza
giustificazione, non si sa in base a quale rilevazione. Consumi peraltro
prescritti, ai termini di una delibera dello stesso 2018 dell’Autorità per l’Energia.
Quanto costa a Acea la pratica?
Contro la delibera dell’Arera, l’ Autorità per
l’Energia, Acea annuncia minacciosa di aver fatto ricorso al Tar, e “si
riserva, in caso di annullamento di richiedere il pagamento degli importi,
qualora emerga una Sua responsabilità per
il ritardo nella fatturazione”. Una responsabilità dell’utente per un ritardo
nella fatturazione?
Ma forse una logica c’è. Dieci euro sono niente, ma moltiplicati per
mille fatture fanno 10 mila euro, così, con un’alzata d’ingegno. Per centomila
fanno un milione, eccetera. Si chiama mercato libero ma è delle vacche,
minaccioso.
Nostalgia della Bellezza
Una serie affollata di
riflessioni d’autore sulla bellezza ha accompagnato il passaggio del Millennio:
Gadamer, Santayana, Zecchi, Rella, Bodei vi si sono esercitati. Come di
auspicio per il nuovo Millennio – che fino ad ora mostra di non volerne sapere. Ma
forse è stato solo un tentativo del Novecento, che la Bellezza aveva cancellato,
dall’estetica e dall’etica, di recupero alla fine, per farsi perdonare. Niente
di che, vista la temperie deprimente, finora, del Millennio. Eco si fa leggere perché
i suoi editore, Andreose, Sgarbi, lo hanno rinchiuso in un libro bellissimo,
iperillustrato. E i suoi testi non pongono ardui problemi filosofici, o meglio
li pongono ma alla sua maniera discorsiva,
da conversatore, sotto forma di didascalie.
Nella ricerca
affannosa, attorno a un bene che sembra non trovarsi, Eco si distingue
ricorrendo al postmoderno consumo di quanto abbiamo potuto godere nei secoli. Della
bellezza s’industria di fermare la storia, e con la magistrale bonomia ci
riesce: i suoi libri, questo della bellezza come quello della bruttezza, sono
belli, almanacchi preziosi. Evitano anche i lati grigi della cosa, le ansie, il
tempo che non c’è, le devastazioni, le morti, perché la bellezza – con la
bruttezza bella – non solo vola alto, ma copre e cancella il resto.
Un volume consolatorio. Se il Novecento ha voluto cancellare la bellezza di
proposito, di programma, il Duemila sembra farlo nei fatti: guardando fuori
dalla fruizione estetica di bellezza se ne trova poca, nei visi, i modi, l’abbigliamento,
i linguaggi. Almeno attenendosi al canone noto del bello, di misura, simmetria,
regolarità, ordine. Difficilmente oggi si troverebbero la politica e la legge
belle, come le trovavano Aristotele, rispettivamente, e Platone.
Savinio diceva la
bellezza morta, e con essa quindi anche la bruttezza. Ma non è così: non ci
sarà stato secolo più brutto del Novecento, scomposto, irsuto, sudato,
nell’arte come nella storia, ed è difficile estrarre una qualche bellezza dal
primo Millennio. Se non negli interstizi, nel privato, nel rifiuto del mondo:
sarà la bellezza destinata a una diversa tebaide, urbana – o il crisantemo sull’immondizia.
Umberto Eco, Storia della Bellezza, Bompiani, pp.444, ill. € 18
domenica 28 febbraio 2021
Giù le mani dagli untori
Il “Corriere della sera” fotografa in prima
pagina “la discoteca e la rissa alla Darsena di Milano” – “un formicaio” (“in
città, poi, troppi i locali aperti dopo le 18 e tanti giovani senza mascherina
ai tavoli”). La rissa dopo un rave party.
Sabato sera di festa a Milano due giorni dopo
la folla dei tifosi a Bergamo assembrati davanti allo stadio per Atalanta-Real
Madrid. Memori della folla tumultuante una settimana fa davanti a San Siro per
il derby Milan-Inter - niente del genere a Roma, una città dove il tifo è
tutto, per Roma-Lazio. Non contenti dei tanti morti seguiti un anno fa all’affollata
Atalanta-Valencia.
Questo dopo che è ormai noto a tutti, e comunque
sentimento comune, che la seconda ondata del covid-19, così massiccia in
Italia, è dovuta ai lombardi in dissennata vacanza in Sardegna, alle Eolie e in
Salento. Ma come non detto.
Ieri sera, in contemporanea con la rissa alla
Darsena di Milano, a “Otto e mezzo”, su la 7 di Urbano Cairo, Luca Telese e Lilli Gruber avevano proposto il
tema “La colpa è della Lombardia?”, o qualcosa di simile. Ma per dire il contrario.
Il panel era composto dal professor Galli, che da sinistra
difende la Lega, dal leghista del “Giornale” Stefano Zurlo, e da Antonella Boralevi,
che non vuol sentir parlare di Milano. Tutt’e tre concordi che la colpa è dell’Europa,
e di Roma, che non fanno arrivare i vaccini. Concordi anche nel togliere la
parola a Telese, che ha il ruolo dell’accusatore. Come da copione? Gruber sembra divertirsi. Cairo, siamo scemi?
Naturalmente, dire che la colpa è di è
sbagliato. Ma ci sono dei mezzi e dei metodi per confrontare la peste, e non si
vede perché la Lombardia se ne debba esentare, da un anno ormai.
La Sicilia dipinta
Un libro vecchio ma vivo sul Sud, e onesto - intelligente. Sulla Sicilia e, di
passaggio, la Calabria. Su eventi drammatici: l’assassinio del sindacalista dei
contadini Carnovale, il primo sciopero nelle miniere di zolfo. E di colore: la visita
al paese natale del sindaco di New York Impellitteri. Con un scrittura
applicata e misurata. Con un occhio specialmente felice, anche a distanza di
quasi settant’anni.
Carlo Levi fu in Sicilia inviato
speciale nel 1951, nel 1952 e nel 1955. Gli scritti poi raccolse in volume,
sotto questo titolo, nel 1955.
Un capolavoro di reportage su un f atto di cronaca nera,
ben prima di Truman Capote, è la terza parte del volume, il racconto degli
incontri con Francesca Serio, la madre del sindacalista Salvatore Carnevale, fatto
uccidere dai principi Notarbartolo, direttamente o per tramite della mafia.
Implacabile accusatrice al processo, assistita da Pertini, in qualità di
avvocato del sindacalista socialista. Di grande memoria e imbattibile logica. Eversive
allora le accuse di malcostume ai Carabinieri, da parte dello scrittore più che
di Francesca Serio, ancora oggi inconcepibili per coraggio.
La seconda parte, 1952, è il reportage dello sciopero dei minatori
dello zolfo di Lercara Friddi, e della riforma agraria che (non) si faceva a
Bronte, feudo dei discendenti di Nelson. Lo sciopero dei minatori è così
sintetizzato da Levi nell’introduzione, tre anni dopo: “Continuò ancora e finì
col loro pieno successo”, dopodiché il padrone Ferrara avrà troncata la carriera
politica nella Dc per le intemperanze dei suoi “sorveglianti-aguzzini, accusati
di maltrattamenti sui ragazzi che lavoravano nella miniera”. Cronache ad
effetto.
La prima parte, colorista ma non
superficiale, è la cronaca della vista di Impellitteri a Isnello, il paese dove
era nato. Giocata sul Sindaco-Messia, giacché la visita capita giusto nella
Settimana Santa. E si svolge proprio come un rito. Che una “una voce isolata e
acutissima”, entro la folla muta, interrompe a un certo punto: “Vincenzino!
Bedduzzo di mamma! I fìmmini di Isnello qua stanno! Guardaci, Vincenzino! – Era
una donna vestita col velo nero delle contadine, che protendeva le braccia. La
guardai e la riconobbi: era una autorevole deputatessa, componente valorosa del
nostro Governo”. Era, a una piccola ricerca, la sottosegretaria Cingolani, che
poi si farà avanti in “abito più ministeriale”, per accogliere il Sindaco come
Autorità – Angela Maria Guidi Cingolani, Dc, sottosegretario all’Industria, romana,
eletta in Liguria, slavista, animatrice nel partito Popolare nel 1919 del movimento per
il suffragio femminile, una delle poche donne alla Costituente.
Una sguardo critico nella giusta
misura, e spontaneamente, culturalmente, partecipe. Sulla miseria, che confronta Levi ovunque, anche nei momenti di esilarata beatitudine, della luce, della
vista, delle maniere, dei linguaggi. Sul “mafioso”. Sulla mafia. Sui duchi, e
le duchesse, di mafia. Sulla questione meridionale, che non nomina ma descrive:
un uomo in coma, di cui tutti parlano e nessuno si occupa.
Molte note di viaggio resistenti.
Danilo Dolci, “l’architetto triestino”. La vecchia statua di santa Rosalia, “la
Protettrice” di Palermo, sul monte Pellegrino, “dal collo lunghissimo e dallo
strano viso di capra”. Villa Palagonia a Bagheria una “cineseria”: le statue
gigantesche, il giardino circolare circondato da un muro, gli alberi contorti. Pippinu
u’ Lombardu, “un maestro milanese calato in Sicilia per esercitarvi il suo mestiere”,
che fu il primo pentito, caso celebre del 1860, prima di Garibaldi. La visita
notturna al fioco lume di una canela al Cimitero dei Cappuccini a Palermo. Le
“sciare” pietrificate dell’Etna polverose ancora di fumo. “La nera Catania
costruita di fumo”, che è “la più bella città di Settecento”. Trapani, “Assisi
del Mezzogiorno”. Il Canale di Sicilia, “il più antico dei mari”. Mentre ad
Alcamo non c’è nessun segno di Ciullo d’Alcamo.
Un viaggio sempre in terra
conosciuta, senza sdegni, o sorprese fa vergine inconsunta. Dappertutto ritrovando
la Grecia. Nelle “tipizzazioni” di cui si gratificano i giovani di Catania, per
il gusto di creare delle figure attorno
ala persone. Nella scena del cantastorie nei “giardini incantati di palme” di
Palermo, che col solo ritmo di un bastone canta. gli occhi socchiusi come un
cantore cieco, lunghissime storie di Ruggero, una “narrazione senza fine”, a una “folla di popolani,
vecchi, bambini” immota. Un viaggiatore colto al Sud.
In sintesi anche uno squarcio della
Calabria, al ritorno dalla Sicilia nel 1952: una breve indagine sull’occupazione
delle terre semiabbandonate del marchesato, in compagnia di Rocco Scotellaro.
Una prosa pittorica. Una serie di
quadri. Su basi politiche solide e non vuote. Carlo Levi non era simpatico –
non a Sartre, che pure si ra recato ad omaggiarlo, proprio in quei primi anni
1950. Ma del Sud nel primo Novecento è testimone e cronista esemplare: benevolo
(“empatico”) ma acuto, critico – l’unico probabilmente fuori dai cliché della feudalità e della mafia. Da
antologia la pagina sul “nero velluto degli occhi” che lo segue a Palermo - gli
occhi neri, di uomini e donne, “di un
nero insieme vellutato e lucente”, e “pieni di un fuoco, di nero fuoco sfavillante,
teneri insieme e feroci, languidi e miti e drammatici…”. O le pagine sui fuochi
d’artificio a Palermo sul mare per santa Rosalia, “due ore continue di fragori
e bagliori” – in una Palermo non ancora penitenziale.
Con intenti scoperti, a volte, di costruzione lirica, per un suo
personale stato euforico. “C’è qualcosa oggi nell’aria di insolito, di festivo…”.
Ma il più del tempo disteso, aneddotico, il Sud lo stimola in questo senso. Ai
tanti squarci accumulati nelle corrispondenze altri ne aggiunge nella presentazione.
Bellavita, la vacca carissima della Riforma Agraria, “la sola che fa la bella
vita”. Il nuovo vescovo di Santa Severina in Calabria, appena sceso da Torino,
che ha urgente bisogno di confidarsi col torinese Levi. L’assassinio
dell’assassino di Carnevale, avvicinandosi il processo. La caccia organizzata in
suo onore da una banda siciliana di briganti-contadini – due racconti in uno,
compreso anche come si passa da pacifici a
briganti.
In questa edizione con una presentazione lirica, cioè
piena di aggettivi, di Consolo. Ma Levi è stringato.
Carlo Levi, Le parole sono pietre, Einaudi, pp. XXXV + 158 € 11
sabato 27 febbraio 2021
Ombre - 551
La
dignità e la grazia della signora Zakia Seddiki, vedova dell’ambasciatore
Attanasio, riportano alla memoria il mondo islamico prima del khomeinismo.
Dell’islam del Vicino Oriente, dal Marocco all’Iran.
Una
religione può ergersi a fattore umano negativo.
Nessuno
che abbia visto Atalanta-Real Madrid dubita che l’arbitro, il tedesco
Stieler, non dovesse far vincere la squadra spagnola. Sono alcuni anni
che la cosa si ripete: al Real Madrid vanno garantite le semifinali di Champions,
sono 100 milioni a semifinale, dieci di seguito, con questo 2020-21, fanno un miliardo. Naturalmente senza esborso da parte del Real.
Forse
bisognerebbe far arbitrare il Real agli arbitri spagnoli invece degli inglesi e
dei tedeschi: potrebbero non avere bisogno di una seconda casa o di una bella
vacanza tutto compreso, se non di una seconda casa.
C’entra
anche il presidente della Uefa Ceferin, sloveno, che è lì perché ce lo ha messo
Perez, il presidente del Real Madrid. Anche qui bisogna escludere ogni esborso:
Ceferin è semplicemente grato, Perez ha già dato.
Il
presidente del Coni Malagò non c’entra nell’inchiesta sul mediatore finanziario
Bocchicchio. È stato intercettato lo stesso, e le sue conversazioni sono ora
passate ai giornali. Conversazioni con amici, parenti. È giustizia? È giornalismo?
La Guardia di Finanza non aveva altro da fare?
Il
governo cinese consente solo dopo un anno a un gruppo di esperti dell’Oms di
analizzare in Cina le origine del virus e della sua diffusione. A esperti che
avallano la tesi cinese dell’origine straniera del virus – l’ultima versione è
che sia stata importata con la carne congelata.
L’Oms
è un’organizzazione governata da dirigenti e esperti che un tempo si dicevano
del Terzo mondo, antioccidentali. E la Cina di Xi è un “guida” dura.
Dario
Fo e Franca Rame furono cacciati dalla
Rai, dove gestivano “Canzonissima”, nel 1962, o se ne andarono di loro
iniziativa? Jacopo Fo ricorda sul “Corriere della sera” l’altro sabato che
furono cacciati, per uno sketch sulla mafia. Aldo Grasso lo corregge: se ne
andarono, quando fu bocciato uno sketch sulla sicurezza nei cantieri edili. E
ricorda che per avere scritto distrattamente “furono cacciati” Franca Rame gli
mandò “una lettera irata che minacciava querela”.
Il
paradigma morale del 1962 è ben diverso da quello, semplificato, del 2021.
Nella
difficile convivenza con genitori tanto ingombranti, Jacopo Fo si fece anche
scrittore satirico e su “Tango”, supplemento satirico de “l’Unità”, scrisse del
sesso femminile. “Venni pubblicamente processato”, dice nell’intervista con Emilia
Costantini, “a un festiva dell’Unità e dovetti difendermi davanti a un pubblico
di comunisti… erano indignati perché sul loro giornale avevo parlato di
«passera», fui cacciato”.
Questo
succedeva nel 1987, due ani prima della caduta del sovietismo.
Nel
1962, dunque, alla Rai Dario Fo e Franca Rame, quanto di più eversivo nello
spettacolo, erano i conduttori di
“Canzonissima”, la trasmissione di maggiore seguito dell’emittente. Gestita da Ettore Bernabei, democristiano e
fanfaniano puro e duro. Succedeva che Fanfani era capo del primo governo di centro-sinistra,
col sostegno dei Socialisti. Il centro-sinistra che rinnovò l’Italia anche se gli
storici fanno finta di no, anche ora che il Pci è morto da qualche generazione
- il settarismo è l’unica sua forma di sopravvivenza.
Fa
ridere e un po’ sorprende, l’intemperanza del professor Gozzini contro Giorgia Meloni. C’è forse un po’ di
misoginia, in aggiunta al sinistrismo.
Di sicuro c’è la follia di quelli che una volta si dicevano cattocomunisti, che
farebbero strage di ogni cosa.
Il
cattolicesimo oggi chiede scusa, ma ne ha fatte tante.
“Aridaje!”,
il comico improvvisatore Grillo scende a Roma e rilancia, pensa, la sua cocca Virginia Raggi a rifarsi sindaco. Il che è probabile,
malgrado la capitale esca stremata dalla infatuazione per la “brava ragazza” di
Grillo, visto lo stato del Pd e della destra a Roma. Ma, non volendolo, il
comico ha detto al verità: “aridaje” a Roma significa “di nuovo con la stessa
storia?”
I
calciatori dell’Inter non sono pagati da alcuni mesi, perché i padroni cinesi
hanno problemi di bilancio e mollano il calcio, e corrono come sprinter. Anche
quelli massicci, come Lukaku. I calciatori della Juventus, i più pagati, e i
soli pagati sempre ogni mese (con quelli della Lazio), stanno lì a sbadigliare, per il compitino. È
proprio vero che la fame aguzza l’ingegno?
Degli
esercizi che si sono attrezzati per la lotteria degli scontrini,
una cassiera su due entusiasta la propone, l’altra, seppure non
finge di leggere il codice, lo fa di malagrazia. La politica non si esercita al
seggio del voto, si esaurisce prima, in simpatie e antipatie.
L’insulto
si direbbe una cosa di destra, è una manifestazione di odio, sia pure verbale.
Invece è dominio della sinistra. Del professor Gozzini che sbraita contro
Giorgia Meloni. Del sindacalista Rai Di Trapani che non vuole Barbara Palombelli
a Sanremo. Palombelli che ebbe parte attiva con suo marito Rutelli sindaco di
Roma – l’ultima grande sindacatura di sinistra. Ma lavora a Mediaset, e l’odio è
ormai trentennale contro Berlusconi, a partire dai famigerati referendum per
chiuderlo.
Lo
stesso Di Trapani che non s’interroga, e
non ci spiega, come un Mario Benotti sia caporedattore Rai. Dopo severo
concorso, naturalmente? Oltre che consulente ministeriale in conto Pd.
Concisa,
precisa, completa, incredibile storia del populismo in Italia, da Di Pietro, il
giudice semianalfabeta, a Grillo, di Stefano Cappellini su “la Repubblica”.
https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2021/02/19/news/scissione_m5s_dopo_la_fiducia_al_governo_draghi_da_di_pietro_a_di_pietro_il_populismo_in_fuga_torna_al_suo_fondatore-288370706/
Incredibile,
nel senso di roba da non credere. Con decollo nel Mugello, ultimo bastione Pci
puro e duro, dove una domenica rinunciarono alla caccia per plebiscitare Di Pietro.
Passando poi per i “girotondi” di “Pancho” Pardi e Occhetto.
Manca
a Cappellini un solo aggancio: Milano. Il leghismo. Quando Milano 1 nel 1996 votò compatta Bossi, cittadella
degli affari e della cultura, le centomila persone che fanno i soldi, le
banche, i giornali, i libri e il calcio per l’Italia tutta - la circoscrizione che
nel 1982 aveva eletto unanime Spadolini e nel 1987 Craxi.
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