mercoledì 8 febbraio 2023
Dalla globalizzazione al confronto, la leadership americana
La Germania riarma, il Giappone pure, e di conseguenza la Corea: l’Occidente è perento, di fatto, ognuno si difende da sé – non subito ma presto. Gli Stati Uniti sfidano la Cina, e l’Europa, nell’industria dei chip e nella nuova frontiera industriale dell’intelligenza artificiale. Gli Stati Uniti sfidano la Cina e la Russia con fronti di guerra a Taiwan e in Ucraina.
Giornalismo sbirro
“Nessuno ha dubbi
sulle qualità del pm, esperto di reati economici e autore di decine di
pubblicazioni specialistiche”: il “Corriere della sera” si schiera a difesa del
giudice Santoriello, quello che professava “odio la Juventus”, il club che ora, dopo
averlo intercettato per alcuni anni, può mandare a condanna. E aggiunge, il
giornale, fine: “Più che un ultrà - la grande passione è per il basket - un assiduo
frequentatore di codici e convegni”. Un tributo del giornale ai suoi informatori,
che quindi non erano il giudice Santoriello ma i suoi sostituti, devoti. Mancando
però l’evidenza, che il giudice professo odiatore ha utilizzato delle intercettazioni,
frasi cioè estrapolate dal contesto, come “prova” per mandare ar gabbio mezza
società. Come gli spiega un modesto impiegato dello stesso club, non un
linguista né un epistemologo: “Credo che alcune rasi estrapolate possano assumere
un significato diverso da quello che hanno”. Incapacità non può essere, è proprio
la deriva del mestiere di cronista - ben due redattori il “Corriere della sera”
schiera per capire meglio.
La civiltà
giuridica si sa che in Italia è sotto ai piedi – due riforme in due anni, e una
terza si annuncia, apparentemente senza sbocco. Da quando è sotto l’imprinting
di Di Pietro, un giudice giustiziere che poi si è rivelato corrotto. Ma i
giornalisti? Di Pietro li aveva ridotti a cani da cuccia, secondo i memoriali
degli stessi “suoi” affezionati cronisti di nera.
Lo stesso “Corriere della sera”
apre peraltro con una vetta rara di ipocrisia: “A
questa malattia incurabile della modernità, a cui con inevitabile
approssimazione si dà il nome di narcisismo, va ascritta la battuta del
pubblico ministero Santoriello che sta suscitando tanto scandalo. Il
magistrato, che tutti gli addetti ai lavori, e persino quelli ai livori,
descrivono come un modello di imparzialità…”. Complottismo, argomenta Gramellini,
l’autore della intelligente sintesi: “O non ho appena sentito un amico
interista sostenere che Santoriello è uno juventino che finge di odiare la sua
squadra del cuore per farla assolvere senza suscitare sospetti?”. Perché Gramellini
non è un napolista, è un torinista – più perfido?
Il
calcio non è una cosa seria. Ma i giornali? Se si incrimina una squadra di
calcio, amata o odiata, non importa se si fa con frasette estorte? Siamo tutti
sbirri? Tutti nei giornali.
Il papa non era fascista
Singolare assunto,
e singolare trattazione, del rapporto tra il fascismo e la chiesa, e in
particolare tra Mussolini e Pio XI, il milanese papa Ratti. Mussolini aveva
grande opinione della funzione del papato, della sua “imperiale” durata e
proiezione. Fu in piazza San Pietro a Roma il 5 febbraio 1922, dieci mesi prima
della “Marcia”, per il conclave che il giorno dopo avrebbe scelto il cardinale
Ratti – ci fu da semplice cittadino, non avendo preso nemmeno un seggio alle
elezioni del 1919, benché schierasse nomi eccellenti, tra essi Toscanini e
Marinetti. E locupletò la chiesa nei suoi primi anni di governo, che coincisero
con i primi anni del nuovo pontificato. Con “atti del governo che furono doni
molto garditi dal Santo Padre, come l’introduzione dell’insegnamento della
religiine nelle scuole elementari e l’istituzione dell’esame di Stato che parificava
gli istituti privati cattolici alle scuole pubbliche, l’obbligo di esporre il
crocifisso nelle aule scolastiche, l’incompatibilità tra fascismo e massoneria,
l’opposizione al divorzio col riconoscimento della sacralità del matrimonio, l’inserimento
delle feste religiose nel calendario civile, l’esenzione degli ecclesiastici
dal servizio militare, il sostanzioso aumento della congrua ai parroci,
contributi finanziari per il restauro degli edifici religiosi, il ripristino dei
cappellani nella Marina e l’istituzione dei cappellani nella Milizia, il riconoscimento
dell’università Cattolica di Milano, il salvataggio del Banco di Roma”.
Mussolini ha fatto
tutto questo, ma anche di più. Ha creato l’Opera Nazionale Balilla, contro il
Vaticano. Nell’anno santo 1925 ha creato lo Stato totalitario, ha soppresso le
libertà civili oltre che le politiche, ha espulso i deputati Popolari dalla Camera.
In un clima di violenza tale che la segreteria di Stato vaticana prudentemente
aveva organizzato il viaggio all’estero di don Sturzo. Il 14 dicembre, nota lo
stesso Gentile, il papa chiuderà mesto il giubileo dicendo “la gioia dell’Anno
Santo intrisa di acerbe afflizioni”.
Mussolini aveva
grande considerazione per il potere “universale” della chiesa. Commentando la
morte del papa precedente, Benedetto XV, il 22 gennaio 1922 scriveva che il
papa era “un imperatore, sia pure elettivo”, discendente “in linea diretta
dall’impero di Roma”, a capo del “più vasto e
più veccho impero del mondo” – “dura ormai da venti secoli” - con
capitale sempre a Roma. Sì, ma il papa?Mussolini era opportunista con la
chiesa come con tutto il mondo.
Mussolini
sosteneva di avere incontrato il cardinale Ratti a Milano nel Duomo, per la celebrazione
del Milite Ignoto, il 4 novembre 1921, e che il cardinale era stato “cortesissimo”,
permettendo agli squadristi di entrare in Duomo con i loro gagliardetti. Lo
storico registra anche una confidenza che negli stessi giorni Ratti aveva fatto
al suo amico Giacomo Boni, un architetto, così ripresa da un giornalista francese
su “L’Illustration” quindici anni dopo: “Mussolini, un uomo formidabile”,
avrebbe detto “parlando con voce profetica”. Per concludere che, “se non è mai
bene che un uomo solo divenga onnipotente”, Mussolini era però geniale, e “di
cosa è fatto il genio? Di un grano di follia”. Ma Mussolini non era potente, un
anno prima della Marcia. E lo steso storico avverte brusco in nota che Mussolini
vantava incontri che non aveva fatto, dicendo “senza fondamento” quanto Margherita
Sarfatti scriverà nel 1926 in “Dux” e vari biografi posteriori riprenderanno, a
proposito di “un incontro tra il cardinale Ratti e Mussolini il 28 marzo 1921
nel Duomo di Milano, in occasione dei funerali delle vittime di un attentato al
Teatro Diana”, per il semplice motivo che “in quel periodo il cardinale era
delegato apostolico in Polonia”. Non solo, ma non era nemmeno cardinale.
Il titolo di questo
lungo capitolo nell’edizione originaria Laterza, “Il papato e il fascismo”, è
più giusto.
Emilio Gentile, Storia
del fascismo – 9. Impero cattolico per un impero fascista, la Repubblica,
p.155, ril., ill,. € 14,90
martedì 7 febbraio 2023
L’Italia senza braccia
Il recupero dei pensionati, per ora dei
medici e infermieri, basterà a colmare il buco che si va aggravando nella produzione
e nei servizi? Non basta più l’immigrazione a compensare il deficit di nascite
in Italia. Direttamente, con l’immissione degli immigrati nella produzione, e
indirettamente, per la maggiore prolificità delle madri immigrate.
La previsione, ormai quasi certezza, dell’Istat
e dei maggiori demografi, tra essi lo stesso presidente dell’Istat, Blangiardo,
è che tra pochi anni, all’orizzonte 2030, la popolazione italiana in età lavorativa
(le classi dì età 21-65 anni) diminuirà di 1,7 milioni. Di poco meno del 10 per
cento rispetto ai livelli attuali, che non sono reputati ottimali. Con le ovvie
conseguenze negative sulla capacità produttiva e sul finanziamento della
previdenza.
Da anni sono evidenti le carenze nell’organizzazione
della sanità, tra medici e paramedici. Le organizzazioni imprenditoriali lamentano
da oltre un anno, dalla ripresa post-covid, una carenza di forza lavoro in molti
settori, specialmente (e paradossalmente) nei servizi alla persona, accoglienza
e famiglie. E questo deficit proiettano nel 2030 a una cifra elevatissima, tra
1,5 e 2 milioni di posti di lavoro.
Una crisi già in atto, quindi, che però
si confronta con due paradossi. Una disoccupazione ancora alta, sull’8 per
cento. E un’immigrazione asfittica, benché se ne discuta in politica come di un’invasione.
Negli anni dal 2013 al 2019, anni di governo del partito Democratico, in teoria
più incline all’immigrazione, il saldo netto fra immigrati ed emigranti si è
ridotto a poche decine di migliaia l’anno, in totale meno di 500 mila unità nei
sette anni (nei dodici anni precedenti il saldo netto ha oscillato fra 4 e 500 mila ingressi ogni anno per quattro anni, e fra 2 e 300 mila negli altri otto), e ora l’Italia ne ha carenza. Secondo Blangiardo l’Italia avrebbe
bisogno già da subito del triplo dell’immigrazione netta, per colmare il
fossato crescente nel mercato del lavoro, da 130 mila a 370 mila nuovi ingressi
l’anno. Non ci sono soluzioni alternative: le politiche di sostegno alle nascite,
di cui si parla, se anche attuate, non daranno benefici prima di una generazione
o due.
Il lag disoccupazione-offerta di
lavoro inevasa è effetto delle retribuzioni basse. Soprattutto nei servizi. Che
disincentivano le migrazioni interne – il tasso nazionale è diseguale
regionalmente, tra la quasi piena occupazione in Lombardia, e il 12-13 per
cento di disoccupazione in Sicilia. Mentre l’immigrazione è sempre regolata da
una legge restrittiva, la Bossi-Fini, che ribaltò la legge Martelli, proiettata
su un “buco” demografico già noto, e ha precarizzato gli accessi e, di più, la
stabilizzazione del lavoro immigrato – la residenza, la cittadinanza. Stroncandone
anche la natalità.
Appalti, fisco, abusi (227)
Resi obbligatori i conti correnti, anche
per le pensioni sociali, i costi sono aumentati dall’1 gennaio del doppio dell’inflazione,
tra il 20 e il 25 per cento.
Resi (quasi) obbligatori i pagamenti
con carte di credito, il costo delle carte è stato aumentato dalle banche del
25 per cento – di almeno dieci euro, mediamente a 50 euro l’anno.
Si paga ora anche il bancomat, fino ad
ora gratuito: dieci euro l’anno è la media. Per iniziare.
Si dice che le banche hanno anticipato
l’inflazione. Non che contribuiscono ad alimentarla? Tutti i servizi correnti dall’1
gennaio costano di più, del 20-30 per cento: i bonifici, online e (di più) allo
sportello, i prelievi di contanti presso Atm non della propria banca. E
perfino, a meno di forfait particolari, i prelievi da sportelli della propria
banca.
Per i prelievi bancomat su altre banche
l’aggio è un salasso. La commissione interbancaria per questi prelievi è di 50
centesimi. Ma la banca fa pagare 2 euro, e anche 2 euro e mezzo.
L’impero del bene fa paura
Dialoghi semplici,
duelli aerei mirabolanti, due ore e rotte di ansia assicurata. Un all male vecchio
stampo, cui il politicamente corretto ha imposto poche correzioni – due personaggi
femminili molto maschili. E Tom Cruise che è in effetti un attore, sa essere molto
di più che la sua bella faccia. Da dove dunque il disagio? È rivederlo dopo un
anno di guerra vera, con missili sporchi, e diritti ambigui, come le colpe.
Più del primo,
questo secondo “Top Gun” è ricalcato sui videogiochi. Ma non per questo è
inoffensivo. La retorica della guerra giusta, bella, eroica non è più gradevole.
Non in questo format anglosassone, in cui il nemico non c’è, se non per prendere
le legnate, ed è brutto e sporco, oltre che cattivo, mentre “i nostri” sono
rilucenti, niente polveriee fango.
E poi i
videogiochi, che sono la giornata dei ragazzi fino ai diciotto anni: sono tutti
di distruzione e morte. E non a fini catartici: la favola di oggi è che il più potente
è il più bello e bravo. Il Bene può essere spaventoso.
Tony Scott, Top
Gun – Maverick, Sky Cinema
lunedì 6 febbraio 2023
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (515)
Giuseppe Leuzzi
Per un progetto poi non realizzato, anzi
quasi subito abbandonato, una antologia del Sud o sul Sud, Sciascia propone a
Laterza nel 1957 anche “la scoperta del Verga e, contemporaneamente,
dell’epopea contadina russa”. Il “Sud” emerge quando la sensibilità, l’aura del
tempo, vira al mondo contadino, povero, ribelle, passato\passatista. Non a una
prospettiva di volontà, ingegno, avventura, anche soltanto di luce, di sole –
di sole fisico.
“Vorrei farvi notare che noi siciliani
abbiamo scritto sporadicamente libri storici e sociologici sulla mafia. Ma per
quanto riguarda il racconto non c’è quasi nulla sull’argomento”. Così Sciascia
in una delle ultime uscite, dicembre 1985, al ventiquattrenne Ian Thomson sceso
a Palermo a intervistarlo per il “London Magazine”. Non era già più vero, la
narrativa mafiosa si moltiplicava. Innescata dal peso massimo Sciascia, se non certo
con la sua capacità di scrittura: l’inizio di una valanga.
Il re nel pallone
Ferdinando IV di Borbone, poi I delle Due Sicilie,
in esilio a Palermo durante la conquista napoleonica del regno di Napoli, così
annotò nel giugno del 1799 la riconquista della sua città da parte del
cardinale Ruffo – nel “Diario segreto” che Umberto Caldora ha pubblicato nel
1965: “Alle sei andato con i miei soliti a veder giuocare al pallone fuori la
porta di Craste (probabilmente di Castro, n.d.r.), dove la partita è stata
buona ed il concorso grande. Ricevuto la consolante notizia di essere entrati i
realisti in Napoli”.
Un aplomb si direbbe, non dispiaccia
a Gladstone, britannico. Del “re lazzarone” – o carducciano “re fanciullo che
mangia i maccheroni a teatro”. In effetti, i reali delle case reali sono soprattutto
spensierati. L’8 luglio Ferdinando era già nelle acque di Napoli, ma non scese
a terra, sentiva di che si trattava.
I reali regnano coi ministri e cancellieri,
se ne trovano qualcuno buono – oggi, a Londra, con cervelli dei social.
L’aneddotica dello scugnizzo-lazzarone vuole che il suo precettore, il principe
di San Nicandro Domenico Cattaneo, un giorno che lo vide scorrere un libro
glielo abbia sequestrato.
Le storie dinastiche servono a poco – che ce
ne saremmo fatti dei Savoia?
Un’autonomia senza forza
L’“autonomia differenziata” farà bene o
male al Sud? In linea di principio l’autonomia farebbe bene al Sud. In questo
caso no.
In questo caso, della legge che si sta
configurando, si ridurrebbero i trasferimenti nazionali a favore del Sud delle
regioni che sono contribuenti netti al benessere nazionale in misura rilevante:
Lombardia, con 5.090 euro pro capite, per ogni residente, Emilia-Romagna con
2.811 euro, e Veneto con 2.680 euro. Ma per provvedimento amministrativo, senza
il colpo di frusta che l’autonomia implicherebbe, perpetuando il corso attuale,
del Sud lamentoso, e richiedente.
La legge in discussione si propone molte
cose: vuole regionali le reti elettrica e del gas, i rapporti con l’Europa, la
politica commerciale. Fuffa - le Regioni hanno da tempo rappresentanze a Roma e
nelle capitali del mondo, è la prima cosa che hanno fatto dopo l’istituzione
nel 19, l’apertura di sedi di prestigio, per vacanze spesate di rango. La
solita fuffa che si agita per coprire il nocciolo della legge, i trasferimenti.
Ma anche su questo l’autonomia andrebbe
bene, se fosse uno shock. La “secessione” protoleghista sicuramente lo sarebbe
stata, avrebbe avuto un effetto che non poteva essere che benefico.
Con l’autonomia differenziata si verrà a togliere
indubbiamente molta parte dei trasferimenti al Sud, cui il Sud era abituato. Ma
progressivamente, come una medicina o veleno di Mitridate al contrario. Che non immunizza
ma solo intorpidisce.
La Funzione Pubblica è essenziale al Sud come
al Nord e in ogni dove. Ma il Sud ha bisogno di rigenerarla: di ridare un senso
alla politica, al fare, alla gestione al meglio dei propri destini, fuori dei
“posti” e della corruzione.
La sicilitudine è una prigione
La Sicilia è una totalità. Un imprinting, indelebile, più che un fatto geografico e storico - sì, sicani, fenici, greci, romani, arabi, normanni, angioini, spagnoli di mare e spagnoli d Castiglia, inglesi, piemontesi, il melting pot è ricco ma non conta. Non si può farne colpa alla “sicilitudine” – che peraltro molti siciliani,
perfino Sciascia, indossano con rassegnazione. Ma nel progetto di antologia del
Sud del 1957, Sciascia proneva a Laterza nientemeno che un capitolo “Sicilia (o
Calabria o Lucania) come Spagna, Sicilia come Tennessee, Sicilia come Cina”.
Niente di meno.
Nella prefazione
del 1967 alla riedizione delle “Parrocchie di Regalpetra” nella Universale
Laterza, insieme con “Morte dell’Inquisitore”, Sciascia si vuole autore di un unico
libro. Di e sulla Sicilia: “Tutti i miei libri in effetti ne fanno uno”, conclude
ricordando un critico delle “Parrocchie” che lo voleva autore di un solo libro
(“cavò il giudizio che io fossi uno di quegli autori che scrivono un solo libro
e poi tacciono”): “Un libro sulla Sicilia che tocca i punti dolenti del passato
e del presente e che viene ad articolarsi come la storia di una continua
sconfitta della ragione”. Non una sofferenza, come si penserebbe, essere autore
di un solo libro, anzi un motivo di orgoglio. Ma qui Sciascia è all’estremo opposto,
della Sicilia suicida.
Tornando per la
prima volta dalla Spagna di cui ha sempre fantasticato, dalla Castiglia, “tutta
la Castiglia, anche Burgos” delle cattedrali gotiche, il 9 luglio 1956 Sciascia
scrive a Vito Laterza, allora suo editore: “A Racalmuto mi par di trovarmi come
in Svizzera”. La Sicilia, pur deprecata, è misura di tutte le cose.
Milano
È la più antica
città d’Italia, fondata da “Subres, bisnipote di Noè, attraverso Iafet l’Europeo
(un primato difficile da battere)”. Così scoperta da Galvano, letterato cortigiano
dei Visconti, nella sua “Cronica universalis”, primo Trecento, di cui ora Paolo
Chiesa fa la scoperta. Un illustre geografo d’invenzione, il Trecento è fervido
di viaggi, per lo più fantastici, come il più celebre Mandeville, che però non pretendeva
di scoprire nulla.
Aveva scoperto
l’America prima di Colombo. Anche lei come i vichinghi. Anzi, già un secolo e
mezzo prima, sempre secondo Galvano e la sua “Cronica universalis”. Tra le
altre facezie vi nomina la Marckalada, terra ferace abitata da giganti – gente cioè
che mangiava bene e tanto. Deformazione del Markland delle saghe norrene.
Roma è otto
volte Milano. Nasce da qui l’odio contro Roma?
O nella
burocrazia – i manager lombardi con la valigetta al quarto piano del ministero
del Lavoro, dietro via Veneto, per gli “stati di crisi” (che funzionari ex
sindacalisti gestiscono)?
Dal database “Le
religioni degli stranieri in Italia”, creato da “La Lettura” del 29 gennaio, si
vede che gli immigrati in Lombardia sono un quarto di tutti gli stranieri residenti
in Italia (1.155.393 su 3.561.540), e uno su otto lombardi (l’11,6 per cento
dei lombardi). Ai quali il rito ambrosiano concede ampia libertà di culto. Dove
si colloca dunque il leghismo, se non è razziale?
“In fondo, nella
borghesia del Nord solo gli Albertini e i Pirelli non si assimilarono
pienamente al fascismo”, Andrea Carandini, nipote di Luigi Albertini, ricorda
con Paolo Bricco sul “Sole 24 Ore Domenica”. Nel 1925 Albertini fu costretto a
lasciare la direzione del “Corriere della sera” e a cedere le quota alla
famiglia Crespi. Che nel dopoguerra diverrà, specie con Giulia Maria, ancella della
sinistra più sinistra. Bisogna cogliere l’attimo – perché no, se ne fa anche
poesia.
Mussolini lo storico Gentile
può dire “milanese di adozione”, nella “Storia del fascismo” che ripubblica illustrata,
in edicola con “la Repubblica”, nel volume 9. “Impero cattolico per un impero fascista”.
E anche per questo in sintonia col Lombardo papa Ratti, Pio XI. Ma, bisogna
dire, up to a point: il papa era lombardo vero e sapeva cosa conveniva.
Scrivendo a Vito Laterza da Caltanissetta, il 21 aprile 1964, per
proporre “un romanzo sul separatismo”, un progetto che presto però dismise,
Sciascia spiega giubilante: “È un’idea che mi è venuta all’improvviso, a Milano
(la città d’Italia più adatta a risvegliare sentimenti separatisti, anche in me
che sono stato decisamente unitario al tempo del separatismo)”.
Il giornale
mostra Letizia Moratti, sicura perdente al voto regionale domenica, in lieta
conversazione al teatro Parenti con i suoi sponsor politici,
Calenda e Renzi. E anche questo è parte del successo, non darsi per vinti, anche
se si è fatto un errore – una previsione sbagliata, un calcolo poco avveduto,
una scommessa. L’atto di dolore, se necessario, è breve, serve all’assoluzione,
e “non si piange sul latte versato”, “domani è un altro giorno” etc.. Quello che
oggi si dice resilience, bisogna pur adottare l’inglese,
come la città fa seriosa, un tempo nell’abbigliamento oggi nelle università.
Mussolini lo storico Gentile
può dire “milanese di adozione”, nella “Storia del fascismo” che ripubblica illustrata,
in edicola con “la Repubblica”, nel volume 9. “Impero cattolico per un impero fascista”.
E anche per questo in sintonia col Lombardo papa Ratti, Pio XI. Ma, bisogna
dire, up to a point: il papa era lombardo vero e sapeva cosa conveniva.
leuzzi@antiit.eu
La resistenza patriottica antifrancese
Il 1807 De
Micheli, uno dei capi della resistenza antifrancese del tratto cosentino attorno
al castello di Fiumefreddo (Longobardi-Belmonte-Amantea), muore fucilato, senza
processo, dalle truppe del colonnello Berthelot. Dopo di lui, che ha resistito
a lungo, più di tutti, forte del castello in altura di Fiumefreddo, una rocca
protetta anche da mura, tutti i suoi congiunti vengono condannati, i beni di
famiglia confiscati, la nomea di briganti appiccicata, eccetera. Una causa persa,
si direbbe, di un maggiorente borbonico. Ma non è così semplice – come si sa
anche da altre fonti, per es. i resoconti ammirati degli stessi francesi, di
Courier e di Duret de Tavel.
Un’opera di storia
locale, di cui risente le inevitabili approssimazioni, di contesto e anche dei personaggi
e gli eventi. Ma, indirettamente, nel racconto degli eventi minuti, documento
di un’opposizione largamente popolare al dominio francese. Che si confrontò lungamente
con armate francesi in successione, agli ordini di generali rinomati, Reynier,
Massena, Verdier. Che praticavano senza scrupolo saccheggi e massacri. Pur
basandosi su volontari non addestrati e di poco o nessun armamento: truppe,
definite “massiste”, cioè aggregate “in massa”, alla bell’e meglio in “battaglioni
volanti”, con poca disciplina e un soldo aleatorio - 25 grani al giorno ai volontari,
5 carlini al capo centuria (compagnia) e 10 al comandante di battaglione (quattro
centurie): 16 centesimi di euro per grana al conto odierno, e 1,60 per carlino.
In controluce, un
movimento che non si può non dire di resistenza. E non si può non dire patriottico. La storiografia non ne tiene conto poiché
dura sui Borboni di Napoli il pregiudizio risorgimentale e gladstoniano. E sul
cardinale Ruffo, che questa resistenza organizzò nel 1806-7 come già quella della
marcia del 1799 contro la Repubblica Partenopea del generale Championnet, la
persistente damnatio memoriae.
Indirettamente, una
testimonianza della capacità di lottare – di impegnarsi, con determinazione, pur
scontando la propria inferiorità – di borghesi e contadini calabresi. Specie
della Calabria Citeriore – il cosentino. Non per tornaconto ma per un’idea,
buona o sbagliata. In grado perfino, sull’altro versante della penisola, di
sconfiggere i francesi, a Maida – una battaglia che Londra ancora celebra.
Bruno ricorda che il capitano Geniale Versace di Bagnara gli ufficili inglesei
avevano soprabbominato “Genialitz”. Londra arruolerà per parecchi anni un
Calabrian Corps, in giro per il mondo – anche al comando dell’ammiraglio
Sidney-Smith, che sarà il carceriere di Napoleone a Sant’Elena).
Nicola Bruno, Giovan
Battista De Micheli tra cuore, penna e spada 1755-1807, Editoriale Progetto
2000, pp. 152, ill. € 12
domenica 5 febbraio 2023
Ombre - 653
Su Cospito corrono
le stesse frasi di cinquant’anni fa, all’origine del terrorismo. La storia non è
la stessa, qui c’è solo un balordo furbo – sfrutta il governo di destra per farsene
martire. Ma la fraseologia che un personaggio pure così modesto suscita è sempre
la stessa.
La vecchia fraseologia
su Cospito riemerge questa volta a sinistra, manca il coro di destra. I giovani
di oggi sono vecchi? A sinistra solo vecchi?
Sbalorditivo “ritorno
sull’equity” (profitto netto in percentuale del capitale) delle banche europee
delle economie minori, nelle tabelle oggi del “Sole 24 Ore”: ben il 18,80 per
cento in Slovenia, e cifre tra il 15 e il 10 per cento per i paesi Baltici, la
Grecia, il Belgio e l’Austria, con la Spagna. L’Italia capeggia la seconda colonna,
delle economie maggiori (Francia, Germania) o più finanziarizzate (Olanda, Lussemburgo),
con quasi il 9 per cento. Le crisi (covid, guerra, inflazione) fanno bene alle
banche.
E non è finita: la
bonanza bancaria continuerà nel 2023 e nel 2024, secondo la Banca d’Italia:
il roe, ritorno sull’equity, sarà attorno all’8 per cento per le principali
banche italiane. Si penserebbe che le banche vanno bene quando l’economia va
bene. Ma forse le banche italiane possono ancora guadagnare molto tagliando i
costi, semplicemente: chiunque va ancora in banca vede orde di gente che non fa
nulla – e non vuole fare nulla: come per Cospito girano frasi fatte, è
ritornato anche il rifiuto del lavoro?
Moto ottimismo sulle
banche mentre ancora naviga in incognito Mps. Che il Tesoro ha ricapitalizzato
ma per quale matrimonio? “Siamo troppo grandi e non possiamo più fare aggregazioni”,
dice Messina per Intesa. “Siamo troppo piccoli”, dice Castagna per Bpm, altro “sposo”
indiziato. Mentre Orcel di Unicredit, che ha già visto la “sposa” in faccia, se
ne tiene prudente lontano.
Si vota in alcune
Regioni e bisogna addottrinarsi come si vota. Ci sono stati negli ultimi anni
una dozzina di leggi elettorali diverse, per il Comune, per la Regione, per il
Senato, per la Camera, per l’Europa, per lo più confuse – a ottobre non
sapevano nemmeno gli eletti dove erano stati eletti. Per far sentite gli
elettori una merda, come ora usa dire?
Negli anni 1960 le
tecniche di depurazione delle acque erano solo su licenza inglese –
sperimentate col Tamigi. A esse ricorrevano per es. le coste romagnole, per
disinfettarsi. Lo stesso per ridurre lo smog, per es. a Milano, sulla scia di
Londra – bastava decentrare le fabbriche. Oggi l’Inghilterra non ha un piano
verde, la “transizione ecologica”, perché non ha industrie in grado di ripulire
l’aria. La geografia economica muta
rapidamente.
“Nonostante le
promesse, alle donne i talebani hanno tolto tutto: istruzione, lavoro, sport,
persino le passeggiate al parco senza accompagnatore”. Quali promesse, a chi?
Ignoranza, ipocrisia?
“Come può
rispondere la comunità internazionale”? Bisognerebbe chiederlo agli Stati
Uniti, che i talebani hanno creato e a cui hanno confidato l’Afghanistan.
Riconsegnandoglielo dopo aver “convinto” Paesi come l’Italia a spendere un
miliardo l’anno, per vent’anni, venti miliardi, a titolo di aiuto. Ai talebani?
“Il nonno vittima
e il nipote carnefice”, titola “la Repubblica” dopo l’eccidio alla sinagoga di
Gerusalemme Est, “capitale proclamata dello Stato di Palestina” (wikipedia). Il
nonno era stato ucciso venticinque anni fa a coltellate da un israeliano. E la
famiglia, bisnonno, nonna, padre e figlio assassino vivono nel “campo di Shu’afat”.
Che è un campo di rifugiati. Una storia di semplice terrorismo non è.
“Mi bloccarono due
volanti, gli agenti armati, pistole in pugno. Tutti in borghese. Nessuno parlava,
nessuno mi spiegava. Mi portarono in caserma: foto segnaletiche, impronte digitali”.
Sempre in silenzio. “Poi mi diedero i trecento fogli dell’ordinanza: «Tieni,
studia e capirai»”. È lo sfogo di Michele padovano, l’ex calciatore ora assolto
dal traffico di droga, dopo diciassette anni. Uno vorrebbe voler bene ai suoi
“tutori della legge”, ma a loro dispiace.
Ma forse gli agenti
non parlano per polemica contro le procedure, i giudici. Un’ordinanza di
arresto di trecento pagine è un assurdo. “Alle udienze di primo grado”,
continua Padovano a confidare a Crosetti su “la Repubblica”, “uno dei giudici
ogni tanto si addormentava”.
Uno dei pochi che
ha sempre difeso Padovano è il suo ex compagno di squadra alla Juventus, per una
sola stagione, Gianluca Vialli: “Venne a testimoniare”, spiega Padovano a
Crosetti, provarono a tirare dentro pure lui”.
Era il 2006, era Zeman che accusava Viali di usare droghe – Zeman contro
la Juventus.
La tragedia della stupidità
Pádraic bussa come
ogni pomeriggio alla porta del suo amico Colm per andare insieme al pub. Ma Colm
non gli rispnode. Non vuole più “perdere iltempo” col suol vecchio giovane
amico, che ha una conversazione melensa e non gli consente di dedicarsi al
violino, a comporre canzoni, che ne assicurino la memoria. Pádraic insisterà
per tutto il film, benché Colm abbia minacciato di tagliarsi un dito della mano
a ogni sua insistenza. Nell’Irlanda di un secolo fa, di campi aridi e case
isolate tra le pietraie, mentre in lontananza le opposte fazioni dell’indipendentismo
irlandese si sparano, unici affetti quelli con gli animali, il cane, l’asinello.
Del regista Oscar di “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” cinque anni fa, che con
questo film ci riprova.
Un film di poche immagini:
quattro o cinque visi - quello del protagonista Colin Farrell immoto. E tre ambientazioni, sempre le stesse, un interno
e due esterni. Sempre aspettando Godot, per la arboriana “pasqualite” – come andrà
a finire?
Forse una trasposizione
di un racconto del folklore gaelico – una vecchia strega c’è, saputa e malefica.
Il titolo originale, “The Banshees of Inisherin”, le streghe, rende meglio l’idea.
Se è una tragedia, è della stupidità.
Martin McDonagh, Gli
spiriti dell’isola
sabato 4 febbraio 2023
Caccia (islamica) al cristiano
Sono – sono stati
nel 2022 – 360 milioni i cristiani “fortemente perseguitati” a motivo della
fede, uno su sette. È la statistica di Portes Ouvertes, associazione belga dei
diritti umani. Sono stati 5.621 i cristiani uccisi, specificamente, a motivo della
fede. Più 5.259 rapiti, spesso scomparsi nel nulla. E 4.542 carcerati, spesso
seviziati.
Questi cristiani uccisi, rapiti, imprigionati sono tutti di area
islamica, dal Pakistan all’Egitto, dall’Egitto alla Somalia e alla Nigeria. “Vale la pena
chiedersi”, si chiede Filippo Di Giacomo sul “Venerdì di Repubblica” a proposito
della Nigeria : “A chi dava fastidio la nascita di una democrazia
islamo-cristiana africana, diversa da quella araba?”. Agli arabi: da cinquant’anni,
dopo la moltiplicazione del petrolio nel 1973, le petromonarchie hanno riempito
l’Africa sub-sahariana di soldi. A una condizione.
Sulla Nigeria pesa
anche la fallita secessione “cristiana” del Biafra, 1967-1970.
I numeri sono da guerra: non sono morti incidentali, o per raptus o
follie di pochi. Ci
saranno stati altrettanti martiri cristiani, in antico, nella sola Roma, in un
anno, i martiri di cui la Chiesa onora il culto? Straordinario
è il silenzio del papa Francesco, anche ora che in Sud Sudan non può non averne
saputo.
Se il futuro è di Casini
La morte di Enzo Carra, il “martire” di Forlani
sui roghi di “Mani Pulite” (che Di Pietro&Co hanno perseguitato, non potendo
mettere le mani su Forlani, di cui Carra era addetto stampa), ha fatto riemergere,
nelle tante rievocazioni, il ruolo subdolo di Casini. Che di Forlani era il
protetto e il delfino, ma “Mani Pulite” ha lasciato fuori. Che poi si è messo
con Berlusconi, di cui è stato vice-presidente del consiglio, poi con Monti
contro Berlusconi. E in questa posizione ha impedito a Carra, che dopo l’assoluzione
aveva ripreso l’attività politica, di continuarla, nelle liste
Margherita-Pd-Unione di Centro-Scelta Civica, di cui Carra era stato anche
animatore - gli ha impedito la ricandidatura al Parlamento: niente candidature per chi aveva
avuto “pendenze giudiziarie” risalenti a “Mani Pulite”, stabilirono Monti e Casini, praticamente un no a Carra.
Tutto questo Casini aveva fatto in sessant’anni. Meno, in poco più di cinquanta. Senza scandalo, poiché il potere democristiano è
così, cannibale. Ma questo stesso personaggio, Casini, non è diventato da ultimo candidato
del Pd, se non membro lui stesso del partito Democratico, la cosa non è chiara,
alla presidenza della Repubblica?
Si spiega che il Pd navighi sott’acqua, sia
come partito, fra quattro candidati incolori alla segreteria, sia fra i
partiti.
L'impero americano è violento
Mossadeq (Iran),
Arbenz (Guatemala), Nasser, Cuba, Vietnam, Nicaragua, Bosnia-Serbia (con
l’utilizzo Nato delle bombe a uranio impoverito), per la creazione del Kosovo
(idem, più la più grande base militare americana nel mondo), Afghanistan, Iraq,
Libia, Ucraina 2008-2014, Yemen, Siria. Su 18 capitoli, 12 sono di “guerre
illegali” come il titolo dichiara. Degli Stati Uniti da soli, o con la Nato. Ma,
andrebbe precisato, con la collaborazione dei “volenterosi” della Nato, non c’è
mai stata una “guerra Nato”.
Una “guerra dei
gasdotti” sarebbe stata da aggiungere. Di quello dall’Iran alla Siria, da
impedire a tutti i costi. E del Nord Stream 2, dalla Russia alla Germania via
mare, evitando l’Ucraina e i Baltici, ora sabotato da non si sa chi – cioè, si
sa ma non si può dire. Una “guerra”, di fatto, all’approvigionamento energetico
dell’Europa – alla sicurezza nella diversificazione. Ma poi, e soprattutto, c’è una guerra “legale”? La
promozione di una guerra, l’attacco, frontale o surrettizio, non la difesa.
Qualcuna di queste
“guerre illegali” è ancora più complicata. Saddam Hussein fu dapprima portato
al potere in Iraq e poi sostenuto contro l’Iran. Nella prima Guerra del Golfo
anche direttamente, con distruzione di molte piattaforme petrolifere e navi da
guerra iraniane. Fino a che fu invece armato l’Iran, l’Iran mangia-americani di
Khomeiny, nella triangolazione Iran-Contra in Nicaragua, contro Saddam Hussein.
Poi punito con la seconda Guerra del Golfo, con ampio schieramento Nato, e
infine con l’invasione nel 2003. Un cinismo non casuale, Ganser fa rilevare da
George Friedman, lo scienziato politico magiaro-americano fondatore e titolare
di Stratfor (Strategic Forecasting) e Geopolitical Futures: “Raccomando la
tecnica introdotta dal presidente Reagan nei confronti di Iran e Iraq: sostenne
entrambe le parti in conflitto! Così si sono combattuti a vicenda e non contro
di noi. È stata un’operazione cinica e amorale, ma ha funzionato”.
Si legge di corsa
poiché è tutto noto o segue uno schema noto. Nel senso che la pubblicistica
terzomondista per molti decenni aveva agitato questo dossier – che in quegli
anni si diceva manipolato dall’Unione Sovietica. La conclusione è un manifesto:
“Gli avvenimenti storici degli ultimi settant’anni mostrano chiaramente che
molte volte i paesi della Nato ne hanno aggredito altri, violando il divieto
dell’uso della forza sancito dallo Statuto delle Nazioni Unite. La Nato non è
un’organizzazione al servizio della stabilità e della pace nel mondo, ma, al
contrario, rappresenta un elemento destabilizzante”. E tuttavia, malgrado
tutto, se tutto è noto è anche vero, si può aggiungere.
La Cia ha fatto
molti colpi di Stato, non solo quelli contro Mossadeq e Arbenz – o Noriega, che
Ganser pure ricorda, il presidente di Panama trafficante di droga ma per
decenni servo utile della stessa Cia. Basta ricordare Allende, che Ganser non
menziona, il presidente cileno abbattuto dal golpe di Pinochet. O i tanti
rivolgimenti militari in Sud America e in Medio Oriente, negli ani 1960-1970,
quando l’America puntava sui regimi “bonapartisti” – compreso Saddam Hussein,
compreso Gheddafi.
Per alcuni
aspetti, però, è una disamina nuova. Sulla guerra “inutile” in Afghanistan già
quando Ganser scriveva, nel 2015. Contro i talebani che, non si ricorda
evidentemente mai abbastanza, furtono creati e armati, come tutto il
fondamentalismo islamico, dagli Stati Uniti e dall’Arabia Saudita nello stesso
Afghanisan contro l’Unione Sovietia. L’Is compreso indirettamente, lo Stato
Islamico, strutturato in Iraq e in Siria dagli iracheni sbandati di Saddam
Hussein dopo l’invasione. E sulla guerra per procura tra Stati Uniti e Russia
in Ucraina, che Ganser documenta già sui fatti del 2008-2014: delle
dimostrazioni organizzate contro un presidente restio alla Nato, Yanukovich,
terminate con un eccidio senza padri, ma con la cacciata dello stesso
Yanukovich, fino al contrattacco russo in Crimea e nel Donbass
(nessuno ricorda che l’Unione Sovietica cominciò a crollare nel bacino
minerario e metallurgico del Donbass, per proteste sindacali e politiche
russe).
Utile repertorio
dell’imperialismo del secondo Novecento e del primo Millennio, è un libro che
pone indirettamente il problema dell’imperialismo. Che è politico prima che
legale, qual è l’approccio di Ganser, che tutto riferisce all’Onu, alle sue
deliberazioni o mancate deliberazioni, e rispetto alle quali definisce
“illegali” le attività militari americane nel mondo.
È dell’America di
fatto che si tratta. Per la semplice ragione, spiega Ganser, che le decisioni
spettano non al segretario generale dell’Organizzazione, un uomo di paglia, ma
al Saceur, il comandante militare, che è sempre americano – al generale
Eisenhower per Mossadeq, al generale Lemnitzer per i missili sovietici a Cuba.
È indubbio che un
secolo è passato, o quasi, di impero americano mondiale. Non grande e
indiscusso come fu quello britannico nell’Ottocento ma dotato di ben 737 basi
militari sparse nel pianeta – tante ne conta Ganser. Sotto le insegne della
libertà e la democrazia. Nella sintesi di Obama, nel discorso alla Nazione
dell’11 Settembre 2014: “Come americani, avvertiamo la nostra responsabilità di
nazione-guida. Dall’Europa fino all’Asia, dall’Africa fino al Vicino Oriente,
ci leviamo in piedi per la libertà, la giustizia, la dignità. Questi valori
hanno guidato la nostra nazione fin da quando venne fondata” - con l’augurio
finale consueto: “Dio protegga la nostra Nazione”.
Un impero altrettanto
in buona coscienza come l’impero romano, si può aggiungere, lo fu sotto il
segno della legge – non c’è paese che onori tanto i Campidogli come gli Stati
Uniti - ma altrettanto severo.
Un impero di
diritto, come ogni altro impero – che fa il suo proprio diritto. E nel caso di
Clinton con Blair, andrebbe rimarcato, e poi di Obama (Yemen, Libia, Siria,
Ucraina), democratico, liberatore, progressista, di sinistra. Di Obama in
strana alleanza (Yemen, Libia, Siria) con le petromonarchie, Qatar, Arabia
Saudita, le più attive nell’ispirazione e il finanziamento del fondamentalismo
islamico di matrice wahabita. Con Hillary Clinton alla Segreteria di Stato, la
cui Fondazione è - era – ricca soprattutto delle donazioni delle petromonarchie.
Come a dare ragione alle farlocche fantasie della destra americana, che voleva
il presidente Obama un islamista occulto. Forse è il
concetto di imperialismo che bisogna rivedere, nel mondo “unito”, cioè
globalizzato.
C’è in queste
“Guerre illegali” un pregiudizio anti-americano. Ganser si fa spiegare dalla
Bbc, con due teorici di Princeton, Martin Gilens e Benjamin Page, che gli Stati
Uniti, la patria della democrazia, sono di fatto una oligarchia. Sorretta,
aggiunge incidentalmente, da ben 16 agenzie di intelligence. E opina per
un “complotto” nel crollo di una delle torri Gemelle l’11 Settembre, non colpita
dagli aerei kamikaze. Ma porta anche molta “evidenza”. Mette a fuoco cioè molto
materiale fattuale, semplicemente trascurato, in una sorta di ubriacatura
dell’opinione pubblica, da una “battaglia di libertà” all’altra.
Certamente è da
rivedere la Nato, in questo mondo unificato. Il concetto e l’organizzazione.
Ganser parte con la considerazione che Helmut Schmidt, il cancelliere
socialista tedesco, scriveva nel 2008, dopo mezzo secolo di attività politica
di vertice, della Nato: “In realtà, questa organizzazione non è necessaria.
Considerata oggettivamente, è solo uno strumento della politica estera
americana, della sua strategia mondiale”. L’Europa dovrebbe sapere se è alla
sua fine che sta operando. Tanto più ora, che si trova all’avamposto contro la
Russia, che pure, secondo la geografia e la storia, è parte di essa.
Di grande lettura la
ricostruzione minuziosa della crisi nucleare di Cuba nel 1962 - con l’iperattivismo
di Egidio Ortona, l’ambasciatore italiano all’Onu (ministro degli Esteri era Segni).
E della guerra nella ex Jugoslavia, di una serie spericolata di provocazioni Nato,
cioè americane, su tutti i fronti, Croazia, Bosnia, Kossovo. Specialmente
disumane, va aggiunto, in un territorio civilissimo usato per sperimentazioni
belliche come fosse un deserto: esercitazioni per l’affinamento dell’arma aerea,
con le bombe “a grappolo” e quelle all’uranio impoverito - che non sono state
catalogate, e non si catalogano, come armi chimiche, proibite, anche se tante
vittime hanno fatto di “fuoco amico”.
Oggi, nel pieno di
una guerra sicuramente di aggressione, della Russia contro l’Ucraina, la
lettura di Ganser solleva uno strano presentimento: di un déja vu, nelle
guerre jugoslave, guerre “illegali” in larga parte, della Nato, cioè degli
Stati Uniti, cioè delle 16 agenzie di intelligence in recondite manovre. Con
l’Europa in prima fila, a sua insaputa ma obbligata, con le sanzioni, cioè con
la disarticolazione della sua rete energetica, e col rischio ritorsioni.
Carlo Rovelli dice
tutto nelle quattro paginette dell’introduzione: siamo sommersi da “una
narrazione basata su un’impressionante ipocrisia”. Ma si spinge troppo a
delineare un Occidente ancora dominante militarmente, ma non più nell’economia
e nei saperi. Questo è vero dell’Europa. E non per ipocrisia, non sembra –
l’evidenza è persino arrogante: per incapacità, forse per viltà.
Il capitolo “La
guerra illegale contro l’Ucraina – 2014”, è completato in questa edizione da
brevi considerazioni sull “attacco” della Russia contro l’Ucraina il 24 febbraio
2022, “un conflitto geostrategico tra Mosca e Washington”: “Come se gli Stati
Uniti e la Russia, entrambe potenze nucleari, si fronteggiassero in una guerra
per procura”. Non si userà l’atomica, ma l’Ucraina è solo il terreno di un
braccio di ferro tra le potenze nucleari. Come Cuba lo fu.
Con una cronologia,
in fondo, di “Alcune delle guerre illegali avviate dopo il 1945”.
Daniele Ganser, Le
guerre illegali della Nato, Fazi, pp. 589 € 20
venerdì 3 febbraio 2023
Problemi di base - 732
spock
La prima vittima della guerra è la verità?
Il male nasce e si diffonde senza ragione?
E senza giustificazione – anche quando potrebbe averla?
Muto come il
destino?
La calunnia
non è un reato, ministro Cartabia?
La stupidità è
irrimediabile (organica)?
spock@antiit.eu
Giallo Roma
La vita quotidiana
a Roma in questo primo Millennio. “Ogni giorno, rappresentanti di ditte tra le
più disparate spuntavano sul pianerottolo per vendere servizi e far firmare
contratti per la fornitura di energia”. Ci sono anche i fatti specifici di Monteverde
- quantum mutatus ab illo, di Pasolini: il romanzo è di un assassinio, di
più assassinii, e indaga la squadra omicidi del commissariato Monteverde. Cone
le altre specialità del quartiere: le cacche dei cani, razze più diverse, compresi
i cirnechi dell’Etna, le ortiche, i tatuaggi, i lavori stradali interminabili,
il bigné di san Giuseppe.
Ma, poi, Roma prevale.
Dove “la squadra di calcio del cuore è un’unione mistica” – una di quelle
“religioni dalle quali è impossibile abiura. È una fede. Si può cambiare
moglie, lavoro, ma squadra di calcio … quello mai”. E qui il calcio c’entra
molto. Sotto la forma pulcini promettenti, di cui si fa
lauto mercato. Come da troppi casi recenti. Vincenzo Sarno, il “nuovo Maradona”,
a undici anni comprato per 120 milioni dal Torino, campione per questo immediato
in tv da Raffaela Carrà, per poi cambiare club ogni pochi mesi, una cinquantina
di trasferimenti in quindici anni o poco più di attività agonistica. O Pietro
Tomaselli, nazionale belga Under 15, il “nuovo Messi” di Trigoria, finito al Coruxo
in Spagna, quarta categoria, semiprofessionista.
Ma, poi, Roma è
l’Italia, col ministro (dell’Interno) che si aggira con la felpa della Polizia.
C’è anche Putin. E l’editoria a caccia di romanzi di Hitler, dopo i Rosacroce,
i tarocchi, e le violenze sui bambini: le assaggiatrici, le nipoti, gli orfani,
e i cani – dopo “La cucciolata del cane di Hitler” siamo a “I testicoli di
Hitler”.
Più che scrivere,
Morlupi, italo-francese di Roma, sembra divagare. Volere divagare – la trama,
sottile, sarebbe breve. I “cinque di Monteverde” sono caratterizzati senza
essere collegati - come di fatto avviene nei commissariati. E vincono leggeri
come i delfini contro i pescecani. Benché il capo, commissario Biagio Maria Ansaldi,
sia obeso e ipocondriaco, ma forte. Ma il risultato, alla fine, qualche
soddisfazione la dà.
François Morlupi, Come
delfini tra pescecani, Tea, pp. 414 € 5
giovedì 2 febbraio 2023
Secondi pensieri - 504
zeulig
Fede – Se è quella di
Tommaso, che doveva “toccare con mano”, si può non dare – ma è un controsenso,
fede è l’opposto del toccare con mano.
Dall’altra parte
c’è l’agnosticismo. Che però pone più problemi della fede – della fede
religiosa. “Credere o non credere in Dio non è affatto importante, sostiene Voltaire.
E invece no: non cambia il mondo, forse, ma la vita (destino) personale sì - a
meno naturalmente di non prenderla alla Scalfari, l’ultimo interlocutore agnostico
del papa, della vita per gurru - per avventura, mezzo divertita.
Diceva Borges, l’agnostico (quasi) perfetto:
“I cattolici cedono in
un mondo ultraterreno, ma ho notato che di esso non si interessano. A me accade
il contrario: mi interessa, ma non ci credo”. Ma non può essere: nel momento in
cui è una sua creazione mentale, anche solo poetica – fantasiosa, volutturia e
non strumentale - oppure di ricerca, in divenire, è il principio della fede. Si
crede per autorità esterna, come servitù volontaria e anche entusiasta, ma si
crede anche per curiosità o volontà propria – bisogno proprio.
Minoranze – La “dittatura delle minoranze” perpetua in epoca di pace lo stato d’eccezione di Agamben, la stasis. In epoca di pace militare, poiché la biopolitica sempre ci vuole in guerra - come in effetti avviene: la biopolitica è una grande scoperta (come tutte le scoperte, di ciò che c’era e non sapevamo). E la strumentazione del potere è anche della resistenza, solo cambia la qualità e il peso del potere, non la sua natura o scopo, l’affermazione di un diritto.
Alla biopolitica si è arrivati indagando le
tecniche di controllo sanitarie, demografiche, psicosanitarie. Ma questo è un
percorso che si vuole senza limiti. E non può essere. Dal controllo delle nascite
al diritto di aborto, alla diagnostica prenatale, alla ricerca sugli embrioni. E
quindi a tutta l’eugenetica? Con i diritti sule nascite si agisce prima e non
dopo, ma è la stessa concezione di buona società del primissimo Novecento
angloamericano, e poi di Hitler. Come penetra la politica nella vita, come il
potere sovrano si appropria della “nuda vita”, è il problema di Agamben. Di chi,
di che? Di tutto, dentro la scienza. La scienza come un potere? Follia. L’ecatombe
nucleare è nulla al confronto, come responsabilità morale e come potenziale distruttivo.
Quanto dista un moderno Stato Liberale, iperprotettivo, anche delle minoranze
minime, dalla dittatura - dalla dittatura fascista, totalitaria?
Occidente - La Notte d’Occidente, “che è
bionda, e il cui corpo s’impenna in nervose vibrazioni atletiche”, Savinio contrappone
alla Notte del Nord, “la cui bianca capigliatura incornicia un viso fresco e
roseo di fanciulla dai seni limoneschi”, la Notte d’Oriente, che è “donna bruna
e massiccia, pesante e inagile come una sultana”, dalla “pelle oleosa come
l’epidermide di un lottatore turco”, e ispira “coliche e nausee”.
L’Oriente
viene da Occidente, al contrario della storia che invece, si sa, viene
dall’Oriente: dalla Cina alla Mesopotamia – alla Persia, alla Grecia – e
all’Egitto. Bisognerebbe quindi che ci fosse un Occidente, con moto retrogrado
rispetto a quello della storia, che la storia per così dire sifonasse
all’indietro.
L’Occidente,
si sa, cominciò a Salamina, dove gli ateniesi sconfissero i persiani: agili e
potenti remarono gli iloti bifolchi, la feccia della città. O a Maratona. O
alle Termopili, ma allora è un’altra storia, tutto originerebbe dagli spartani.
Senza contare che le Termopili si pensano una gola stretta dentro
cui l’armata persiana stolidamente s’imbucò, ma sono in realtà un posto tra le
colline e il mare del golfo di Malis, oggi largo alcuni chilometri (ci sono in realtà più Termopili,
le ultime furono vinte da Catone il Censore, lo stratega romano nemico della
cultura greca, che la difese poi contro i Seleucidi, l’ennesimo nemico che oggi
la Grecia chiamerebbe turco). O era cominciato con Mosè, che non esiste, la
figura centrale dell’Occidente, al quale ha donato Dio e la legge. La cultura occidentale stessa non esiste, al contrario del vuoto:
Fanon ne fa la dimostrazione, lui che è venuto dal nulla. Sempre che l’Occidente non sia egiziano,
per Mosè e Gesù, e non solo.
Fino a
tutto il Medio Evo l’Egitto fu asiatico, orientale, l’Africa partiva dalla
Sirte. Ma c’è chi, Simone Weil, vuole che i primi undici
capitoli del Genesi, fino a Abramo,
siano il rifacimento di un libro sacro egizio, e dunque: sono gli ebrei
egiziani, e pure i cristiani. Le origini egiziane dell’Occidente emergerebbero allora via Africa,
come Anta Diop, laureato alla Sorbona, ha scoperto: gli egiziani erano bruni in
antico, con la stessa soma della fascia sudanica, fino ai peul senegalesi,
quali i Diop sono, e lo stesso vocabolario essenziale. Cristo c’è cresciuto, il miracolo di Cana avvenne in Egitto nella
vita di Gesù della tradizione maomettana. Senza trascurare le concrezioni previe: la
Grande Madre, che per Graves è bianca, potrebbe essere stata nera, ci sono
Madonne nere, e santi, San Benito di Palermo, venerato in Sud America,
con Antonio di Caltagirone e la nubiana Ifigenia, con cui fa trittico nelle
pale d’altare, santi schiavi, incolti, docili. L’Occidente quindi sarebbe propriamente
africano. Per molti degli stessi europei, del resto, paleontologi e non, il
paradiso terrestre è in Africa, con Eva. Per alcuni in Sud Africa, e questo è
strano, sono quelli dell’apartheid, o in Rhodesia che è come il Sussex,
per altri nel Kilimangiaro, dove si trapiantano i masai sempre eretti – al
cinema si può.
Si corre verso Occidente. Solo la Russia, che è a Occidente e a Oriente, quando si muove va a Oriente, verso la Siberia e l’Afghanistan – ora, con la guerra, sembra che vada a Occidente, ma in realtà l’Ucraina le sta sotto la pancia. Si corre verso l’America, che è sicuro Occidente, lo è nei documenti ufficiali e anche nei trattati, Emisfero Occidentale. E c’è in Perù la garua, come a Genova. È da tempo che l’Europa ha ripreso a correre verso Occidente, anche dopo la lezione del Toscanelli che per via di Occidente si finisce a Oriente. Per cui l’Occidente oggi si trova soprattutto in Cina: a San Francisco la Cina non è più a Oriente ma a Occidente.
Che l’Estremo Occidente si
sovrappone all’Estremo Oriente è l’uovo di Colombo, Colombo l’ha pure detto. E
Toynbee ha scoperto non solo che i britanni trafficavano nelle loro paludi con
le monete del ricco Filippo il Macedone, anzi le copiavano storpiandone i
caratteri, ma che l’arte cinese “attraverso il bacino del Tarim e il bacino
dell’Oxus e dello Jaxarte, attraverso l’Afghanistan, la Persia e l’Iraq, la
Siria e l’Asia Minore, si ricongiunge all’arte classica della Grecia nell’epoca
precedente la generazione di Alessandro” – prima che la Grecia andasse a
Oriente. La storia cioè si rovescia: “La fusione dell’onda greca con un’onda
indiana ha generato la civiltà buddista”. Di veramente orientale ci sarà
stato solo il cristianesimo, che, secondo Yourcenar, “fu importato dall’Oriente
tramite l’Italia” – anche secondo Maurras, per il quale i vangeli sono “violente scritture orientali”. Cristo, “il
suo nome è Oriente”, secondo una profezia messianica, e alla fine dei tempi
“dall’Oriente come folgore esce”. Per cui il cristianesimo, pilastro
dell’Occidente, si deve dire correttamente religione orientale cresciuta a
Roma.
A volte l’Occidente si mescola all’Oriente. Il cristianesimo romano lo fece con l’islam, per distruggere con le truppe di Allah l’impero e la chiesa d’Oriente. O per soggiogare questo o quel principe malfido di Occidente. Né manca chi vuole togliere all’Occidente il Cristo. Anzi, c’è già chi lo dice, più che un ebreo rinnegato, un orientale, alla pari dei Magi. Ma il vero Occidente sta a Occidente, com’è giusto per la geografia e i meridiani, la vecchia Europa è confusa per ingordigia e dice scemenze. Il Vangelo ha fatto l’Occidente come l’Occidente ha fatto il Vangelo. È possibile, anzi è probabile, che Gesù abbia appreso dall’Oriente, a Cafarnao, o a Balkh, di prima mano o attraverso i carovanieri, ma è l’Occidente che gli ha risposto. L’Oriente non ha risposto prima e non ha risposto dopo, da Zoroastro a Budda. È questa la storia di san Paolo agente dei Romani: se non avesse fatto i viaggi sarebbe rimasto un capitano in congedo appesantito in Siria. Lutero, per dire, non poteva essere che tedesco. Calvino è l’intellettuale francese che è riuscito a farsi re.
(continua)
zeulig@antiit.eu
L’amore nell’abbandono
Léa Seydoux fotografata in dolce, il viso, il corpo, i gesti, linee
e colori morbidi. Vedova con una figlia, accudisce il padre che perde rapidamente
forze e cognizione, vecchio insegnante di filosofia. Confrontandosi con la
madre, ex del padre, imperiosa, e con una sorella minore inutile. Senza mai
commiserarsi o perdere la pazienza. Nel tempo libero lavora come interprete. Con
difficoltà ma senza lamentarsi. Ritrova l’amore in una vecchia fiamma degli anni
adolescenti, e lo vive con slancio malgrado i tanti problemi – lui è ancora sposato.
Scritto dalla stessa regista, è volutamente un apologo della vita.
Una mano di serenità, nella elaborazione dell’abbandono, delle morti
successive, necessariamente triste. Un racconto al femminile come usava, senza
le asperità imperanti, d’obbligo.
Mia Hansen Løve, Un bel mattino
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