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venerdì 11 luglio 2025

Problemi di base democratici quater - 870

spock


L’unica politica popolare è del dispendio?
 
Anche democratica?
 
È anche buona?
 
Buona perché corporativa - quote rosa, povertà, debito??
 
E finisce che ha ragione sempre Lui?
 
Tutti poveri in Italia, ottavo paese più ricco al mondo – ma a un’incollatura dal quarto?

spock@antiit.eu

Kitsch sul Kitsch – Arbasino in viaggio

Arbasino al suo meglio e al suo peggio. La solita “vertigine della lista”. Con la solita storia sociale, anche politica, in filigrana, ma robusta (duratura) e netta. Sui toni per lo più - benché scopritore impenitente, per forma mentis - del “non c’è più religione”, rassegnato e anzi divertito: un viaggiatore conservatore. Globetrotter di formazione e vocazione, qui si applica ai luoghi, per lui remoti. Sempre col “gusto del Kitsch sul Kitsch”, ma qui molto spesso anche diretto, specie se ammirato. E con qualche attenzione  per le persone, oltre che per le cose – il solito occhio antiquario, alla Praz. Molte “liste” sarebbero utili al viaggiatore anche oggi, a trenta e più anni di distanza, in Sicilia, in Myanmar, se fosse accessibile, in Iran, e anche nel Chiapas.
Scopre la Sicilia nel 1995, quindi ai settant’anni o poco meno, e giusto per aver letto il libriccino invogliante che Berenson ne aveva ricavato tornando nell’isola cinquant’anni dopo la prima volta, ai suoi vent’anni. Non di malagrazia, seppure non di buona voglia. E tutto trova perfetto –ben guidato, si è portati a opinare, ma lui non dice da chi. A parte i soliti cerimoniali politici buffi, all’epoca il vezzo di ritenersi al centro del mondo (erano gli anni - Arbasino non lo dice, guarda tutto con occhio conservatore ma evita la politica - di Leoluca Orlando, che si proiettava a Roma, a Berlino, a Bruxelles, a Washington e ovunque).
Altra scoperta è la Birmania o Myanmar. Dove c’è “la leader democratica Aung San Suu Kyi, figlia di un eroe nazionale, premiata col Nobel e il Sakharov e il Bolivar per la pace , agli arresti domiciliari”, e il paese è poverissimo, ma la dignità è ovunque e l’arte vi è eccelsa, in ogni reperto, minuto e grandioso, religioso e profano, artistico e artiginale, tenuta in pregio e ben custodita, con naturalezza. Ma la Regina di Saba viene cercata nello Yemen. Dove invece si tratta di plastica ovunque, e delle parti basse dei giovani locali, e giovanissimi, su raccondazione di Pasolini, Genet e Bruce Chatwin. Che sarà anche l’argomento trabordante dell’ultimo viaggio, a Bueons Aires – con una delegazione del premio Grinzane Cavour nel 1997: le maialate gay più inverosimili. Accanto a un elogio di Borges quale forse l’aedo della pampa non ha mai avuto prima, dal gusto critico alle tecniche di autore e ai modi personali.
“Sotto due o tre vulcani”, il saggio che apre la raccolta, in Messico nel 1997, tra Chiapas e Yucatàn, è il più sorpreso e sorprendente - ispirato e ispirante. Un mondo agreste montuoso che è una sorpresa inebriante per il viaggiatore urbano. Il quale si industria di afferrare e dominare la complessa eterogenietà dei luoghi. Sempre sotto lo sguardo scettico-conservatore, ma con aculei ferrei, lampi, fendenti. Il “rivoluzionarismo” che fa la storia del Messico, all’epoca del famoso “sub-comandante Marcos”, nel Chiapas, quello che nessuno ha visto. E la tranquilla vita di ogni giorno, semmai funestata dal turismo. La grande ricchezza, antropologica, artistica, paesaggistica, delle due regioni. L’incombenza dello “sviluppo” turistico – dormitori e comitive, e plastiche.
Una tarda scoperta d’autore. Con i suoi elenchi e le costanti digressioni, anche due-tre per pagina. Di altri mondi. Tutto sommato ancora interessante. Anche sotto il profilo politico, per un colpo d’occhio liberalconservatore, poco o nulla praticato, all’epoca – 1994-1997 – e ancora oggi. Con lampi eccezionalmente illuminanti sul senso e il peso della storia, della tradizione, dei personaggi eroici, e non. Anche dove il viaggiatore non si sente in sintonia.
La critica può
 essere feroce. Ma sempe avveduta, informata, dal di dentro. Specialmente contro il bla-bla persistente, anche in quegli anni post-1989, di “riflusso”, su Progresso, Sviluppo, Democrazia e perfino Rivoluzione – dove solo affarismo c’è, e sporcizia, seppure “di sinistra”. Ma normalmente lo sfarfallante autore sa entrare nelle situazioni locali, per le antenne prensili: vi si ritrova, con vari accorgimenti. Per es. nell’Iran degli ayatollah, dove riprende, accanto alla  grande storia politica e poetica, polimorfa anche in regime islamico, il ruolo dei religiosi di alto profilo, gli ayatollah appunto, gente di saggezza e di pensiero, prima e sotto il khomeinismo – il radicalismo politico, tra sharia e jihad.

Un caso peraltro eccezionale di letteratura di viaggio, che in Italia non è genere praticato. Seppure d’impianto modesto, in “giacca e cravatta”, rispetto ai modelli inglesi – viaggi brevi, organizzati, e si deduce accompagnati: niente cavalli, niente deserti, niente fumo, mai nemmeno la sete, e montagne addomesticate.  
Molti i ricordi, anomali nelle scorribande di Arbasino, personali. In forma di aneddoti gustosi. Dei familiari, nonni, madre, padre, perfino le sorelle. Gli amici cari Manuel Puig e Rodolfo Wilcock – è con loro che ha elaborato “il gusto del Kitsch sul Kitsch”. Il terribilista Fortini professore nel Sud Africa dell’
apartheid. La madre di Feltrinelli che lo rimprovera: i templi Maya inaccessibili doveva visitarli facendosi calare da un elicottero – e il rientro? con l’elicottero, all’ora fissata. Moravia che a Palermo e in mezza Sicilia tampina il Gruppo 63, temendo ne abbattessero con qualche mozione irrispettosa l’autorevolezza. Saul Steinberg a Milano. Il mausoleo di Khomeiny – ripetutamente, questo senza mai una virgola d’irrisione, niente Kitsch sul Kitsch: il radicalismo lo intimoriva se religioso? 
Alberto Arbasino,
Passeggiando tra i draghi addormentati, Adelphi, pp. 271 € 12

giovedì 10 luglio 2025

E Putin restò solo

Non si è  “celebrato” il venticinquesimo di Putin al potere un anno fa e si è fatto male. Putin sta al Cremlino più di ogni altro uomo di potere della memoria recente. Più di Napoleone per dire. Ma anche più di Alessandro Magno. Certo, non tanto come Carlo Magno o l’imperatore Augusto, ma erano altri mondi. Negli ultimi due secoli più di ogni altro. Alla pari col presidente Mao, e con Stalin, con la prospettiva assicurata di superarli. Senza avere vinto nulla, e anzi avendo chiuso la Russia in un imbuto. Trump gli ha offerto una stampella fenomenale, ma lui evidentemente non ha capito.
La romana Ukraine Recovery Conference sarà stata male organizzata ma è un fatto. Putin non potrà mai cancellare l’Ucraina come vorrebbe – in questo dice giusto Trump, “Putin spara cazzate”. L’Ucraina non è la Cecenia - ma anche lì… Non potrà mai cancellarla, anche se lo facesse, p. es. con l’atomica (ma non può, i russi ancora esistono, malgrado Putin). Ha provato, lungamente e insistentemente, ad affiancarsi all’Occidente, è stato respinto dalla dottrina Brezinski del presidente cosiddetto pacifista Carter (quante guerre non ha armato), e si è fatto prendere al laccio – “non accettare provocazioni” è precetto basilare per lo statista. Ha isolato la Russia, senza più un vero amico – l’Iran islamico (finché lo sarà, il paese è profondamente “occidentale”), come si è visto nei bombardamenti Usa-Israele, e la Cina comunista non lo sono. Né può pensarsi adagiato sulle repubbliche asiatiche di mezzo, i vari –stan, che se sono qualcosa sono antirusse, anch’esse come tutte le vittime dell’impero russo, lungo qualche secolo - difficile cancellarne la memoria.

Il Pd vittima del giovanilismo

Incomprensibile è la resistenza di Schlein alla ricandidatura del presidente della regione Toscana Giani, sicuro vincente – ora Giani farà da solo, anche contro Roma e Schlein. Lo stesso che già per De Luca in Campania. Qui la segretaria del Pd aveva il nodo del terzo mandato non rinnovabile, ma poteva passare oltre De Luca senza polemiche e anzi tesaurizzando il suo indubbio ascendente politico, se non seguito di voti. Non per altre ragioni, si dice, se non l’età.

Ci sono altre ragioni in questa ostilità. Giani è un vecchio socialista, De Luca un vecchio Pci migliorista, un socialista travestito. E questo Schlein non lo tollera. Il suo nonno materno era un apprezzato socialista, il senatore (fu anche ministro) Viviani, e forse ci sono ragioni personali in questa insofferenza – anche se a Viviani Schlein deve il suo barlume di italianità, dopo l’America, preminente, e la Sizzera (e Bonaccini, che ebbe la bontà, a Bologna, di farla suo vice – altro “vecchio”?).

Ma il giovanilismo è la piaga del Pd. Renzi per es. era partito dal 25,4 per cento (2013) e lo lasciò al 18,8 (2018), dopo aver fatto bandiera della “rottamazione”. E come si spiega che il Pd prenda molti più voti, in percentuale e anche in assoluto, alle Europee che alle Politiche? Si spiega col voto abitudinario (orientato) dei “vecchi” di sinistra, che alle Politiche invece fanno i conti con le liste e con i candidati.

In un’Italia in cui cresce la popolazione anziana, e in un partito che delle vecchie militanze fa ancora tesoro, che senso ha dare la caccia al vecchio? Per non sapere che altro dire – che altro fa Schlein tutto il giorno, a parte “attaccare il governo”, come il “Corriere della sera” sornione la titola ogni giorno?

Più di Nvidia poté Orcel

Nvidia capitalizza 4 mila miliardi  e stabilisce una “pietra miliare” nelle valutazioni di Borsa. Partiva da 12 dollari, è ora a 140, si è moltiplicata di quasi dodici volte. Ma in venticinque anni, anzi ventisei – si quotata nel 1999. E cavalca l’euforia ultimamente per ogni cosa IA. UniCredit è un fuscello al confronto: opera nel credito, il settore maturo per antonomasia, e capitalizza solo 91 miliardi – anche se di euro e non dollari: niente al confronto. Ma incredibile è la “marcia” di questo niente, anche al confronto di Nvidia.

UniCredit è arrivata ai 91 miliardi in quattro anni, da quando  nella primavera 2021 Orcel ne è stato nominato ad, dopo un esercizio 2020 in perdita per quasi 3 miliardi, con ricavi ancora in calo nel nuovo anno. Allora UniCredit quotava 8,5 euro, oggi è a 62 - e guarda ai 70. Un balzo di 7-8 volte, in quattro anni. Dopo una storia recente - non solo 2020, tutti gli anni 2010 – terrificante. Di un paio di raggruppamenti di azioni 10 a 1, cioè di azzeramenti, e di mostruosi aumenti di capitale, da 7,5 e da 13 miliardi.

L’Europa deve unirsi o sparirà

“L’Europa è stata forgiata dalla crisi”, come disse Jean Monnet, uno dei suoi fondatori, e anche oggi la crisi è grave, per “l’interconnessione di tre dimensioni: geopolitica, economica e istituzionale”. Una sfida totale: “geopolitica” significa il suo isolamento, di fronte all’America - che non è “l’America di Trump”, non è una folata di vento pazzo, è un modo di essere e di porsi, concorrenziale. L’Europa è sola, contro tutti – come tutti.  “È” anche in “una crisi che non può essere risolta solo con nuovi prestiti,”, come dopo il covid, e poi per la NextGeneration e ora per il riarmo, “o con una valanga di nuove regole da Bruxelles” – sottinteso: come si è provato con le grandi corporation americane del web, della comunicazione.
Dopo Draghi e con più insistenza, se possible,  il Fondo Monetario insiste – per impulso della direttrice, la  bulgara Kristalina Georgieva? -  a spiegare in vari modi che senza l’integrazione finanziaria e politica l’Unione Europea ha esaurito la sua funzione propulsiva. È un mercato comune, poco di più per via della moneta, gli Stati membri lasciando soli (perfino la trattativa con gli Stati Uniti sui dazi lo comprova)  nell’agone internazionale – nei mercati e nelle geopolitiche. Dall’immigrazione ai rapporti commerciali e a quelli militari.
Simon Nixon, Europe’s Future Hinges on Greater Unity, Imf “F&D”, Finance&Development (leggibile anche in italiano, Il futuro dell’Europa dipende da una maggiore unità)

mercoledì 9 luglio 2025

Il mondo com'è (484)

astolfo

Gertrude Bell – La mostra in corso a Roma, all’Accademia Americana al Gianicolo, “Women&Ruins: Archeology, Photography, and Landscape”, la dice “la grande esploratrice inglese”. Ancora famosa nel Medio Oriente, il suo terreno di caccia, dapprima con T.E.Lawrence poi contro di lui, come “la madre dell’Iraq” nella Grande Guerra, ebbe a Roma una pausa colta, a suo modo anche avventurosa, ai suoi quarant’anni, già viaggiatrice un paio di volte in giro per il mondo, a Istanbul, in Persia, in Siria, nel Quarto Vuoto del deserto saudita, e sulle cime delle Alpi,  con lo zio diplomatico o con gli amici, e con carovane da lei organizzate e gestite. In qualità di fotografa documentaria di archeologia, dapprima per caso, in circostanze involontarie (“ho fatto male a lasciare a casa gli apparecchi fotografici”, scrive in occasione del primo viaggio, “devo farmeli prestare”), poi quasi professionale.

Fu a Roma a due riprese dal 1910. Lasciando una copiosa documentazione fotografica delle rovine prima della “sistemazione”. Specie del Foro Romano, dove contava sulla protezione di Giacomo Boni, che ne dirigeva gli scavi. Parte, la dice la mostra al Gianicolo, di un gruppo di donne, le archeologhe Van Deman, Blake e Pasolini Ponti, e i coniugi Bulwers, che s’incaricarono di documentare fotograficamente gli scavi e i ritrovamenti prima della risistemazione urbanistica. Parte “di una élite intellettuale e sociale che consentiva loro di viaggiare facilmente e di muoversi negli ambienti accademici”. A Roma le learned societies, gli ambienti intellettuali, “ruotavano attorno a personaggi come Thomas Ashby, Giacomo Boni e Rodolfo Lanciani”, cioè gli archeologi in titolo. Gertrude Bell (ricca e figlia di baronetto ma nessuna parentela con i Bell di Virginia Woolf, n.d.r.) non fu seconda in questa crema intellettuale, dice la mostra. Tenne anche lezioni di archeologia, “insieme con Ashby, Boni e Richard Delbrück” – benché sportiva, come si mostra anche a Roma in qualche posa, di profilo, su fondo agreste.

In guerra cercò la sua strada nella diplomazia, e fu addetta presto al Medio Oriente, per l’esperienza maturate a Istanbul, presso lo zio ambasciatore, e poi in proprio, ventenne, in Persia – a cavallo, esperta di farsì – e in Siria. A studiare fondamentalmente come portare dalla propria parte il nazionalismo arabo – e cioè le tribù - contro il sovrastante impero ottomano. Con successo. Gertrude Bell non ha la fama di T.E.Lawrence – non ha avuto un “creatore” analogo, il giornalista Lowell Thomas, che a “Lawrence d’Arabia” costruì una vita da eroe vivente, e lo propagandò in tutto il mondo. Ma con lui ha condiviso l’Ufficio arabo al Cairo dal 1915 in poi, per indurre gli arabi alla guerra contro i turchi. La mente vera della sollevazione araba, 1915-1917, e di Londra nel mondo arabo dopo la fine della guerra, che a differenza di Lawrence seppe portare sulla scena internazionale. In un percorso meno eroicizzante ma solido e di senso politico - che sarebbe stato molto più produttivo di quello che poi è stato se fosse stato seguito ovunque alla dissoluzione dell’impero ottomano.

Lawrence non protesse e non difese a Versailles il principe Feisal, al seguito del quale aveva fatto la cavalcata liberatoria in Siria: la Siria fu passata alla Francia, Feisal fu lasciato solo in albergo, con la sola assistenza di Gertrude Bell, che invece ne farà il re, eletto, dell’Iraq, il primo Stato arabo indipendente, uno appositamente costruito per abituare gli arabi alla concezione dello Stato e all’indipendenza, gli arabi dell’area più tribale – insieme a quella libica.

“Le tribù della Mesopotamia”, uno dei suoi contributi  per il manuale “The Arabs in Mesopotamia”, a uso dei funzionari inglesi, sulle tribù irachene, all’ingrosso e al dettaglio, fa testo ancora oggi - è quello che ci manca per la Libia di oggi. Per l’Iraq anche dopo la guerra a Saddam Hussein. Dettagliato, tribù per tribù, fattuale, realistico e acuto, come tutti i suoi scritti, preciso nei riferimenti, tutti veritieri e non inventati  - come T.E.Lawrence ha voluto dire di molti suoi scritti. Ancora oggi valido per l’Iraq, nella professione sunnita o sciita dei vari gruppi tribali. “I Sabei”, altro capitolo del manuale, è altrettanto valido e utile. Ma, soprattutto, sull’un tema e sull’altro, le tribù e i Sabei, nulla si sa oggi, un secolo dopo, più di quanto sapeva Gertrude, anzi non se ne sa nulla. Non in Europa, non nell’“Occidente”.

Altro contributo suo che ancora fa testo, dopo un secolo e molte guerre, è la “Review of the civil administration of Mesopotamia”. Come l’Iraq fu ricostruito dopo la liberazione dai turchi nel 1917. Quello che non è stato fatto, nemmeno tentato, in Iraq dopo l’abbattimento di Saddam Hussein – o in Libia dopo Gheddafi: ricostruzione materiale, ricostituzione dell’amministrazione, eliminando la corruzione endemica, quindi con un guadagno, del fisco, della sanità, della scuola, delle forze di sicurezza, creazione di uno Stato unitario. Proprio così: in pochi mesi, ascoltando a facendo valere le intenzioni di tutte le tribù, una per una, un referendum vero, per una creazione nuova per loro, uno Stato. Con un re a capo – un re stranieroeletto: un miracolo. Nel mezzo avendo superato un  jihad, anti-britannico, anti-europeo, in tutto l’Iraq. Nel 1919 la produzione era quattro volte quella sotto amministrazione ottomana prima della guerra, le entrate fiscali dieci volte.

Si dice Gertrude Bell perché è stata un personaggio eccezionale. Ma era la Gran Bretagna allora ad avere un occhio coloniale moderno: aperto, costruttivo, conciliatorio (la storia del colonialismo non è univoca, andrà rifatta). Era ancora il tempo in cui l’imperialismo poteva essere liberatore. Contro il jihad del 1920 nel futuro Iraq Londra – cioè Churchill, ministro delle Colonie - mandò a Baghdad un paleo colonialista, A.T.Wilson, che con le maniere forti stroncò il fenomeno. Ma già a fine anno lo sostituiva col vecchio governatore Percy Cox, di cui Gertrude Belle era aiuto e mentore. E in pochi mesi si ebbe un regno, costituzionale, con un parlamento e un governo.

(continua)

Ciriaco d’Ancona – Il primo archeologo. Ciriaco Pizzicolli di nome, di una famiglia di mercanti, che si dedicò a girare il mondo per cercare “reperti antichi”, il divulgatore di archeologia Theòdoros Papakostas, “Omero in ascensore”, lo dice il primo ricercatore esperto di antichità. Nato in Ancona nel 1391, morirà a Cremona nel 1452. “Viaggiatore, antiquario e umanista” lo dice la Treccani, appassionato di antichità, tanto “da eleggere a suo protettore Mercurio, e da rivolgere a lui, partendo da Delo, una preghiera in latino”.

Fu in viaggio, con al famiglia, fin da bambino, a quattro anni. Dal 1412 al 1414 viaggiò in Dalmazia, nell’Egeo e in Egitto, non a scopi commerciali. Dieci ani dopo girovagò per l’Italia. Vent’anni dopo fu ancora nelle isole egee e a Costantinopoli. Nel 1433 sarà chiamato per chiara fama a fare da guida all’imperatore Sigismondo in visita a Roma. È in Oriente ancora tra il 1435 e il 1438, in Dalmazia (Illiria, Epiro), Grecia, le Piramidi, poi di nuovo Atene, e per la prima volta il Peloponneso. Riparte per l’Oriente nel 1443, per un anno, e ancora nel 1447-1448, un anno dedicato al Peloponneso. È il riferimento maggiore, con le sue notazioni e i cataloghi, dei reperti greci prima dell’invasione turca.

Madame Des Houlières – Antoinette du Ligier de la Garde (1634/1638-1694), frequentatrice dei salotti del Marais, familiare di Madame de Scudéry e Madame de Sévigné, legata a Corneille, dotta in latino, italiano e castigliano, detta ”la Decima Musa”, e “la Calliope francese”, fu autrice apprezzata di idilli. Presto più nota in Russia, dove gli idilli ebbero successo un secolo dopo, a fine Settecento, che in Francia. A lei, lamenta Dostoevskij nel saggio “Russia”, del 1860, e ad Andrée  Chénier (oggi ricordato solo per l’opera di Cilea, n.d.r.), i francesi fanno risalire l’opera di Puškin“che forse, non si sa, l’ha pure letta”.

 Alexander Grothendieck – Un matematico russo, morto in Francia dieci anni fa, di padre ebreo e madre protestante di Amburgo,  genitori anarchici che presto dovettero emigrare, stabilendosi prima ad Amburgo poi in Francia. Sempre nomadi per la causa, il figlio affidando a parenti e amici – così negli anni della guerra di Spagna, che si fecero tutta. Con l’invasione tedesca nella drôle de guerre finirono in campo di concentramento – il padre passerà poi ad Auschwitz, uno dei primi morti del lager. Madre e figlio furono internati in vari campi, separatamente, ma sopravvissero. A fine guerra Alexander si fece rapidamente un nome come matematico, apprezzato in varie università.

Carofiglio, “L’orizzonte della notte”,147, lo ricorda: “Un genio. Ha scritto un testo di oltre mille pagine in cui descrive con precisione cosa accadeva nella sua mente quando faceva matematica…. Tra l’altro ammetteva di non essere in grado di leggere nessun testo sula materia, anche semplice, finché non riusciva a crearsi le giuste immagini mentali. E riconosceva la sua incapacità di seguire le conferenze tecniche perché andavano sempre troppo veloci per lui. Spiega poi che, per tutta la vita, ha dovuto affrontare la sensazione di non capire nulla di quanto studiava… Parliamo di uno dei più grandi geni matematici del secolo scorso, forse della storia”.


astolfo@antiit.eu

Le fiabe sono mobili

La fiabe non sono immutabili. I racconti popolari e le fiabe, come raccolti e raccontati dai fratelli Grimm, sono letteratura dell’era precedente la lettura silenziosa, prima della lettura singola, e muta: erano narrazioni. Ma anche dopo, benché scritte e stampate, non sono rimaste immobili: nei due secoli successivi i brutali, affilati racconti popolari pubblicati dai fratelli si sono riccamente arricchite di una patina di memorie, o impressioni, mutevoli. Nonché di revisioni o adattamenti, specie nel teatro musicale e al cinema, in ottica Disney, ma non solo.
Un saggio di dieci anni fa, in occasione della prima traduzione completa in inglese della raccolta originale dei fratelli Grimm. Ripreso nel numero in uscita, 24 luglio, del quindicinale, insieme con molti altri sulla fiaba e sui fratelli Grimm, in occasione dell’uscita della prima biografia dei fratelli in cinquant’anni.
Marina Warner, Rescuing Wonderful Shivery Tales
,  “The New York Review of Books”, 9 luglio 2015 (leggibile anche in traduzione, Salvataggio di storie meravigliose e paurose

martedì 8 luglio 2025

Secondi pensieri - 565

zeulig


Autorità – Il fondamento della politica resta oscuro in Max Weber, ultimo o penultimo grande pensatore della politica con Carl Schmitt– a parte la nozione certo eccellente di carisma: alla base dell’autorità pone l’inverso speculare del carisma, la “devozione affettiva”, verso il sovrano. In alternativa e in subordine ponendo il calcolo, la “motivazione razionale”, nella forma del riconoscimento di un valore, in una sorta di scala gerarchica, oppure per una propria finalità, uno scopo. E solo a questo punto, in questo quadro, connette l’autorità alla forza, al potere. Per un problema forse suo personale, di Max Weber cittadino tedesco. Che disprezzava profondamente il. Kaiser in trono, Guglielmo II, vanitoso e vaneggiante, ma quando a fine 1918 l’Intesa pretese, come precondizione dell’armistizio, che si assumesse la responsabilità della guerra fece campagna infaticabile contro la richiesta, a difesa non del personaggio ma dell’“autorità” imperiale – una forma di “devozione affettiva”?
Diverso, come i lettori del sito sanno, il fondamento in Passerin d’Entrèves (e poi in Hannah Arendt) – sistematizzato da ultimo nella “Dottrina dello Stato”, 1962: l’Auctoritas è il fondamento di ogni buon governo, anche democratico, non solo dittatoriale (monolitico, imperiale, totalitario). È la romana “legittimazione”, non la forza bruta. Passata nelle istituzioni moderne attraverso la chiesa, ed è la base della libertà. In forme comunitarie, la libertà si dà solo condivisa  – per il mazziniano Passerin d’Entrèves  nella forma della nazione, la famiglia di storia, lingua, modo d’essere (per questo una legittimazione che all’Italia sempre è mancata, argomentava l’illustre studioso, piemontese, esiliato della Repubblica, nell’ultima prolusione a Oxford - e il fatto emerge nodoso nell’incapacità di adeguare/interpretare la Costituzione, una sorta di cerbero ottuso, o un vecchio venerabile legno.
 
W. Benjamin – “Ignaziano” lo trova Martino Boni – accennando al suo mancato rapporto con Norbert Elias nella prefazione alla breve raccolta di inediti di Elias che intitola “L’illusione del quotidiano” (“avevano molto in comune, al di là delle origini ebraico-tedesche, entrambi erano innamorati della cultura francese, entrambi erano stati bistrattati dall’aristocrazia universitaria e cacciati dalla patria, entrambi consideravano necessario volgere l’attenzione a dettagli minimali della vita quotidiana per comprendere il senso della storia. Ma Benjamin aveva fame e sete di materialismo storico”) - nell’attenzione al dettaglio: “Oggi Elias andrebbe riletto tenendo in mente Benjamin e la sua accesa, quasi ignaziana, attenzione per i dettagli: come negli Esercizi spirituali del Loyola, tanto Elias quanto Benjamin, molto spesso, si ritrovano a comporre esperienze di «composizione del luogo»”.
 
Caducità – È il valore, ciò che dà un senso alla vita. Contro l’eternità, che sa invece di vuoto.
È una delle ultime riflessioni di Thomas Mann: “La caducità conferiva a tutta l’esistenza valore, dignità e amabilità. Solo l’elemento episodico, solo ciò che ha un principio e una fine è interessante e suscita simpatia, animato com’è dalla caducità. E così tutto – tutto l’essere cosmico è animato dalla caducità, mentre eterno e quindi inanimato e indegno di simpatia è solo il nulla” –“Confessioni dell’impostore Felix Krull”, 132.

Classico – Semplice, è ciò che è sempre nuovo.


Complessità – Si pubblica-pubblicizza “La sfida della complessità”, una collettanea di studi-ricerche sulla complessità, con una ventina abbondante di contributi, e non c’è, non autore ma nemmeno menzionato, Giorgio Parisi, che per la complessità e il disordine è premio Nobel. Ancora e sempre le due culture?

Femminismo - Cos’è, dove è, il disagio, in una vita, ormai, di femminismo, tre generazioni  e forse quattro, dagli anni 1960? Non è l’emprise, l’imposizione monotematica, prolungata – si dirà l’era del femminismo. Al corpo liberato duemila anni fa da Cristo le donne rimettono l’armatura. Lo rinchiudono coi ragni in cantina, ogni rapporto è Sade, tutto è peccato nel corpo, anche lo sguardo. Non solo in Sicilia, c’è nel poeta Michaux: “E mentre la guarda, le fa un figlio in spirito”. Un peccato laico, con codici quindi e tribunali.
O la verità che non si può dire è che nella liberazione della donna molte vergogne emergono della libertà, limiti e pieghe oscure. Per un residuo di vezzi fisici e mentali, ruoli, psicologie, ma anche per sofismi non tanto lievi. Quelli che portano alla disintegrazione anzitutto: che libertà è quella che fa scoppiare?
 
Mondo – Tracima, ovunque, in continuazione. “Il mondo è miliardi di volte più complicato della mente umana e, per questo motivo, tutte le «spiegazioni» del mondo contengono molta più «spazzatura» che verità. Ogni bambino, dalla nascita, è gettato in una lotta senza fine per dare senso al mondo, ma è una battaglia che non possiamo vincere. Semplicemente, non siamo abbastanza intelligenti”. Bill James, statistico, analista degli sport di squadra, lo spiega sul “Corriere della sera”:  “Platone lo ha spiegato con “l’analogia della caverna: creiamo immagini semplificate di realtà esterne complesse, come ombre sulle pareti di una caverna, per fingere di capire cose che non capiamo affatto”.

Natura – Ma è una proiezione umana. Mutevole più per la mutevolezza del punto di vista che per per la “natura” propria.
C’è il mondo, con i suoi materiali, con i loro processi, le cui leggi però noi stabiliamo – deduciamo, ma di fatto argomentiamo, seppure con flessibilità, adattandoli.
È una costruzione – umana. Interminabile e imponderabile  – anche se ora si pretende scientifica, quindi determinata e deterministica. È come la vita in comune, che pure da qualche tempo si ritiene\vuole progettata, materia di scienza, urbanistica, immobiliare: può andate bene e andare male – la velocità, o la mobilità, p.es., contro la CO2, e le polveri sottili.

 
Statue - Nietzsche vede i greci innalzare candide statue contro il nero abisso, per celarlo. Ma le statue facevano variopinte, i greci sopra l’abisso ci danzavano. Si divertono, sopravvissuti pure alla filologia: prima dei greci c’erano altri greci, non erano tedeschi.

Verità – L’epoca era del dubbio anche al tempo di Dostoevskij, del saggio “Russia”, 1861? “Perché la maggior parte delle moderne verità”, si chiede, “appena accennate, in tono patetico, non assomiglia più a un libro stampato? Da che dipende che nel nostro secolo per dire la verità si sente il bisogno di ricorrere allo humour, alla satira, all’ironia; occorre addolcire con esse la pura verità come se fosse una pillola amara, rappresentare la propria  convinzione al pubblico con la sfumatura di una certa spocchiosa indifferenza verso di essa, anche con una vena di irriverenza”.  

zeulig@antiit.eu

Michelstaedter felice a Firenze

Centoventi anni fa, “un venerdì sera del 1905”, Carlo Michelstaeldter sbarca dal treno a Firenze. Ci passerà quattro anni di felicità, coeme documentano la sue (scarsa) produzione lirica e le (tante) lettere, entusiaste. Si è iscritto pro forma a Matematica a Vienna, come vuole la famiglia, ma ottiene  di passare a Firenze, dove invece si fermerà, per un intero corso di studi, di Lettere, e lo completerà anche, con una tesi di laurea, con Girolamo Vitelli, il filologo classico che diventerà il massimo papirologo – “La persuasione e la rettorica”, che ancora si legge, subito a stampa, nel 1913, è la tesi.
Tellini, emerito di Letteratura italiana a Firenze,  non ha difficoltà a comporre un florilegio di commenti enristasisti, in ogni momento, per ogni occasione, di Carlo nel soggiorno fiorentino, come scrive ai familiari, e specie alla sorella Paula. Si è anche innamorato, di Jolanda De Blasi, compagna di studi, ma la famiglia da Gorizia gli proibisce il fidanzamento. Il ritorno a casa sarà determinante per il suicidio: gli amici degli anni di Firenze, Biagio Marin, Gaetano Chiavacci, Giannotto Bastianelli, lo ricordano non solo “bello e aitante”, anche attivo, fiducioso, inesauribile di entusiasmi, perfino pratico.
Ma, forse di più, forse inavvertitamente per l’autore?, questa celebrazione di Michelstaedter è un’evocazione di Firenze quale era, invece che l’hub turistico mordi-e-fuggi di oggi – si vende anche un  “Firenze in quattro ore”. Di quando “giovani studenti” come Carlo “accorrono a Firenze da ogni angolo della Penisola (da Trieste come Scipio Slataper e i fratelli Stuparich, da Grado come Biagio Marin, da Cesena come Renato Serra, da Molfetta come Gaetano Salvemini, da Matera come Giuseppe De Robertis, da Palermo come Giuseppe Antonio Borgese”).
Gino Tellini, Carlo nell’epicentro di libertà, “Corriere fiorentino”


lunedì 7 luglio 2025

Problemi di base democratici ter - 869

spock
 
Perché la democrazia è occidentale?
 
Declinante, lo dice la parola stessa?
 
Perché il capo-tiranno (la forza) e non la democrazia (il consiglio) sarebbe (stata) la prima forma politica?
 
Perché la povertà cresce sempre, se il mondo non è mai stato così bene?
 
E i diritti?
 
A danno di chi?

spock@antiit.eu

Se Berlinguer è vivo e combatte insieme a noi

Un’analisi dal vero – il sottotitolo è “La Sinistra italiana e la tradizione comunista”, da rivedere, cioè da rigettare.
La “grande novità”, nel 1996, impone un radicale presa di distanza alla politica e alla sociologia politica che è “alla base della teoria detta del «compromesso storico»”. Che è, “chiaramente”, la causa delle difficoltà della sinistra politica in Italia. Sbandata, alla ricerca di un ubi consistam che non trova.
Una riflessione forse coraggiosa trent’anni fa, poco meno, ma senza effetti evidentemente. L’anno scorre farcito di film, documenti, serie tv, testimonianze in vario modo intesi alla creazione di un “mito Berlinguer”, il “puro e duro” che sfasciò le sinistre politiche per un accordo qualsiasi con la Dc - il famoso “compromesso storico” che ora, da un ventennio, avvelena il Pd. Ma forse è la radice che è infetta: Mafai fa i conti col compromesso storico a fronte della 
“grande novità nella storia del nostro paese, costituita dalla prima esperienza di governo della sinistra erede della tradizione del comunismo italiano”. Che era il governo Prodi - Prodi comunista...

Miriam Mafai, Dimenticare Berlinguer, Donzelli, pp. 96, €4.95

domenica 6 luglio 2025

Ombre - 781

“L’Italia dei borghi a rischio”, scopre “Il Sole 24 Ore”: “In 10 anni persi 700 mila abitanti”, per effetto dello spopolamento. No, la demografia non si dispiega in dieci anni, ha tempo lunghi. Lo spopolamento è effetto delle “seconde case” di famiglia abbandonate, di cui i tanti emigrati che ne mantenevano la titolarità per affetto familiare si sono disfatti dopo le leggi Monti sulle “seconde case”: Imu, Tari, acqua (consumi minimi), elettricità (la sola connessione costa 400 euro l’anno).
 
Al novantenne Giannelli, una vita al Monte dei Paschi, direttore dell’Ufficio Legale e poi della Fondazione, non piace “questa fumosa ops su Mediobanca”. Ma la vignetta viene confinata al “Corriere fiorentino,”, il supplemento locale – in prima si deve inventare i dazi di Trump sui cocomeri. Non disturbare il manovratore, l’editore del “Corriere” è un democratico inflessibile.
 
Unicredit è in sospetto in Germania perché ha “in pancia” troppi Bot – gli odiati Bot, bisognerebbe per statuto non venderli ai tedeschi. E in Italia che fa? Aumenta l’esposizione, e la dettaglia nella trimestrale. Sono comunicazioni d’obbligo, ma con un forte sospetto di beffa: la banca che il ministro Giorgetti dice la meno affidabile, di proprietà straniera, è la più esposta su Bot e Btp.
È chiaro che si scherza. Ma sulle banche? E Giorgetti, oltre che il leghista non fa il ministro del Tesoro? E il golden power, che è affare serio, delicato, perché farne ludibrio?
 
Urbano Cairo presenta sul “Corriere della sera” il palinsesto di “La 7”: tutti nomi, e trasmissioni, Pd – non di sinistra, proprio di partito, Pd:  Saviano, Gramellini, Bianchi “Zoro”, Augias, Formigli, Gruber, Floris, Gratteri (Gratteri?), Parenzo. Ma fa da sponda al passaggio di mezza banca milanese, Bpm e Mediobanca, sotto la Lega. Mai una perplessità sul suo giornale, il “Corriere della sera”, la Polizzi anzi addetta a illustrare l’ops dei poveracci. Facendo finta di nulla: “Mediobanca ha il 6 per cento di Rcs? Prendono ottimi dividendi…”
 
In parallelo, l’editore Cairo mette in cascina anche un paio di pagine di pubblicità di Bpm contro Unicredit. Pubblicità benedetta, commerciale, ben pagata. Ma anche l’occhietto furbo al leghista  Giorgetti. Senza mai rilevare (una volta i giornalisti erano indipendenti dalla  proprietà, ora non più) l’insolenza dello stesso, che il golden power, strumento delicato a protezione dell’economia nazionale, ha imposto contro Unicredit nel caso Bpm, nel mentre che dello stesso Bpm ha sollecitato e realizzato il passaggio sotto il controllo francese. Per fare fronte con la Le Pen?
 
Mediobanca di oggi non è il centro di potere di Cuccia (Montedison, Pirelli, Generali, Gemina, Sme, Fondiaria, Falck. Fiat….). Ha quote solo di Generali – e di Rcs. Si può capire la fuga degli azionisti milanesi, meglio sbarazzarsene, le plusvalenze sono grosse, piuttosto che passare azionisti di una semifallita banca senese: Mediolanum (i figli Berlusconi), Gavio, Acutis, Monge, Pittini. Milano non ha principi.
 
Curiosissimo affare, questa ops Mps su Mediobanca-Generali, in cui il meno compra il più, a un prezzo da saldo, micragnoso, sprezzante, in un’operazione politica, e nemmeno un’ironia sui giornali, un sospetto, anche solo un epicedio sic transit gloria mundi, quelle cose. E il famoso “allarme in piazza Affari”? C’è anche “Il Sole 24 Ore” a Milano, oltre a Cairo, “Milano Finanza” (solo ha un sospetto oggi di 'rischio per il sistema'), una serqua di testate online, e niente. Non sanno più leggere?  
 
Mediobanca è forte nel wealth management – è forse il gestore più importante per la clientela più danarosa. È strano che passi di mano senza allarmi a una banca di pedigree povero, di clientela medio-piccola, in un’operazione palesemente politica, a nessun costo – azioni  Mps…., e pure poche. Tra gli eredi Del Vecchio il sospetto comincia a circolare – non hanno mai lavorato, ma ai soldi ovviamente ci tengono. Caltagirone lo dicono incontrollabile in famiglia, in fase di seconda o terza giovinezza. Ma “Milano”?
 
Non si dice dell’intervento del Massimario della Cassazione sui decreti Sicurezza e Albania che ha tracimato dalle competenze. Che sono elencate una per una. E sono la sintesi con spiegazione delle sentenze, “e solo molto limitatamente, e solo a scopo di segnalazione, delle novità legislative”. Lo dice solo Cassese, il decano dei giuristi italiani, di autorevolezza indiscussa. E può dirlo solo nel foro ridotto dei “QN”, non sul “Corriere della sera”, o sul “Sole”, di cui è “una colonna”. 
Un’attività, spiega, la “massimazione”, o “sintesi del contenuto prescrittivo delle sentenze”, che è “apprezzata da coloro che non leggono le sentenze e molto criticata dagli osservatori stranieri dei nostri usi giurisprudenziali”.
 
Si capisce però che Cassese non abbia spazio nei grandi giornali: senza “scontro per la giustizia” come si riempie il giornale? Cassese è infatti molto critico su questi scontri: “Quello che viene chiamato scontro sulla giustizia deriva da un ristretto numero di magistrati militanti, che, grazie all’organizzazione correntizia, si sono trasformati in una sorta di agitatori permanenti”. Per dimenticare “il problema fondamentale della giustizia in Italia, che è quello del grande ritardo, della scarsa produttività e dell’altissimo numero di procedimenti pendenti”.
 
È l’America di Trump che sblocca la costruzione della centrale nucleare ungherese di Paks, a opera della russa Rosatom. Perché il premier ungherese Orban è di destra, come Trump? Può darsi (ma non funziona così in America: la politica estera è un fatto serio). Ma non è questo il fatto. Il fatto è che l’America c’è sempre negli affari europei, anche se solo Meloni sembra capirlo – e il laburista Starmer.
 
Il placet americano alla Russia in Ungheria, nel settore sensibilissimo del nucleare, è arrivato mentre l’Europa si sbracciava nella diciassettesima o diciottesima infornata di sanzioni contro la Russia. Senza nessun senso del ridicolo.
 
Un milione di immigrati regolarizzati in cinque ani, 952 mila per l’esattezza, da un governo di destra, Meloni. Di cui forse si sottostima la capacità di governo. Le opposizioni lasciando alle ong e ai loro minitraffici umani, d’accordo con le mafie attive (e feroci) in Libia e in Tunisia, e ai giudici carrieristi – non gli basta nulla, anche se già in Cassazione, cioè al top della retribuzione: un Tribunale, una Procura, un posto al Senato?
 
Papa Francesco “andò a Lampedusa dopo il naufragio del 2013 dicendo che dovevamo accogliere i migranti. Piccolo particolare: non era lui che se ne faceva carico ma lo Stato italiano. E anzi: il Vaticano ha promulgato una legge  severissima sulla immigrazioni dentro il suo Stato” - Giuseppe Cruciani, “La Zanzara”, che pubblica ora un raccolta di “Ipocrisie”.
 
Intervista scontata di Natalino Irti, giurista novantenne, sul “Robinson”: “Il diritto è vuoto” – “non più legato a vincoli, né di sacralità religiosa né di tradizione profana”. E non aggiunge “di coscienza”. Che è invece il vero problema, oggi. Non si abiura, in Italia, in Europa,anche negli Stati Uniti, dall’uso dirompente della giustizia politica, della giustizia come arma, politica, di parte, personale del giudice. Altro che progressismo, altro che rivoluzione, è la barbarie. A opera per lo più di incapaci, e perfino – Mani Pulite – di ladroni.
 
Un capitale politico speso, fra Trump e gli ayatollah, per “liberarla” e poi Cecilia Sala su X inneggia alla libertà in Iran, questa era da vedere: che a Teheran le donne girano immuni senza velo, che in Iran ci sono molti più “rave” che in Italia (che vorrà dire?), e che le impiccagioni non sono più di tre al giorno. È una buona media? Che fosse in Iran non per “il Foglio”, per cui non ha scritto, ma per un rave – con l’oppio, gli ayatollah non l’avevano proibito?
 
Aveva l’aria scocciata (“che mi tocca fare”) Bezos nella kermesse veneziana, in posa per una, due, tre “uscite” giornaliere, da dare in pasto ai social. Prima lui, poi lei, in campo ristretto ma ogni volta in acconciature e outfit diversi, e col triplice saluto urbi et orbi,7 manina al centro, poi a destra e poi a sinistra. Una promozione per la vendita in contemporanea di 3,3 milioni di titoli Amazon – la prima di una serie, per 25 milioni di azioni - a premio del 9 per cento rispetto all’ultima vendita, a novembre, e del 12 per cento sulla quotazione annua, per un ricavo di  737 milioni di dollari (di cui 60 “donati” ai fini fiscali). Una vendita che “val bene una messa”, a Venezia poi.
 
Questa era sfuggita. A Gibuti sul mar Rosso, alla sezione elettorale del posto forse meno attraente dell’Africa, l’affluenza per i referendum del 7-8 giugno è stata del 102,41 per cento - con 39 schede invalidate. Da 15 anni è una base interforze, per fare che non si sa (a parte maturare l’indennità sede disagiata), ma ospita mediamente, tra Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri, un centinaio di persone. Ha votato anche chi non ci aveva diritto – non avendo altro da fare, certo? Ma, e lo 0,45?

La scrittrice desnuda

Curioso libro “da banco”, da lettura. Tanto più per essere ben anteriore al Nobel, quando Ernaux era solo la scrittrice de “Gli anni”. Raccoglie appunti, notazioni, idee, piani, abbandoni, riprese, mutazioni di idee o progetti di narrazioni. Un “laboratorio nascosto” o segreto. Anno dopo anno, dal 1982 al 2015. Anche molti appunti, le pagine sono dense. Che forse potevano servire a un lavoro filologico sulla scrittrice, sui suoi modi e i suoi progetti di scrittura.
Non una metodologia, o un modo di fare, di produrre, di scrivere. Una sorta di raccolta di “varianti”, che, si vede, attraggono solo se poche e brevi, per un verso, una sintassi, una parola, come curiosità. La raccolta confonde – si direbbe, ma non si può giurarlo, che non accende la curiosità mai.
Ernaux lo sa meglio del lettore, al quale premette: “Il lettore sarà colpito – perduto? - dall’incastro di progetti, adottati poi scartati, ripresi in seguito e che, per molti, finiranno per essere realizzati a più o meno lungo termine, ma sotto altri titoli e dopo avere conosciuto molte metamorfosi”. Su un tema peraltro ripetitivo, la propria vita della scrittrice: i genitori, con le zie e le nonne, il paese, le scuole, l’aborto, gli amori, gli amanti, anche non russi. Per raccontare, in definitiva, “tutta questa pena oscura, sprovvista della grandezza che si figura nella creazione letteraria”. Pur sapendo che “c’è qualcosa di pericoloso, se non di impudico, a svelare così le tracce di un corpo a corpo con la scrittura”.
O allora sarà che Ernaux è la scrittrice che si mette a nudo  - realmente, fisicamente, non figurativamente, come Colette p.es.: la famiglia, il paese, la costruzione sociale, lo stupro forse a diciott’anni, l’aborto, il sesso, nelle forme più spinte. E la scrittura. 
Annie Ernaux, L’atelier noir, L’Imaginaire Gallimard, pp. 76 € 10

sabato 5 luglio 2025

Letture - 583

letterautore


Boezio
– Rischiò di fare il Medioevo “europeo”, nel senso oggi del termine, culturalmente unito. È il guizzo che Boitani si prospetta rileggendo la riedizione di un vecchio libro di Sonia Gentili, “L’idea di poesia nel Medioevo”: “Chissà quale sarebbe stata l’idea della poesia nel Medioevo, se quel Medioevo fosse stato anche latino, romanzo, bizantino, germanico, inglese, scandinavo, slavo”. Cioè “volgare”, popolare? E con la poesia anche la comunicazione – il linguaggio comune, quello politico.
Boezio come quello che mediò il pensiero antico (aulico) con la sensibilità e i linguaggi cristiani (popolari).
 
Correlativo oggettivo – La poetica teorizzata da T.S. Eliot nel saggio “Hamlet and his problems”, del 1919, pubblicato l’anno dopo nella raccolta “Il bosco sacro”: “La sola maniera di esprimere l’emozione nella forma dell’arte sta nel trovare una «oggettività correlativa»” - da qui il “correlativo oggettivo”: “In altre parole, un insieme di oggetti, una situazione, una catena di eventi, che rappresenta la formula di quella particolare emozione; in modo tale che, quando vengano forniti i fatti esterni, che devono culminare in un’esperienza sensoriale, l’emozione è   immediatamente evocata”.
Una forma forse nell’aria del tempo, poiché ci si era mossa la “poetica dell’oggetto” di Pascoli, Gozzano, Sbarbaro - e poi Montale (1925).
A proposito di Montale è discusso se fosse a conoscenza di Eliot. Se non del saggio specifico, della sua poetica, che dall’ottobre 1922 diffondeva attraverso una sua rivista subito famosa, “The Criterion”. Montale disse di no. Ma dubbi sono stati avanzati perché nel 1928, quando Montale era ancora un debuttante in Italia, T.S .Eliot pubblicò su “The Criterion” una sua poesia, “Arsenio”.
 
Più importante, per la poetica sua e in generale, è la notazione che T.S.Eliot porterebbe così in estetica il concetto psicoanalitico di “inconscio collettivo”, che Jung aveva teorizzato qualche anno prima nella “Struttura dell’inconscio” . tradotto in inglese nel 2016: l’insieme di miti, credenze, attitudini e abitudini, mentali e non, che l’uomo si trova a possedere “per natura”, strutturati in archetipi comuni – una sorta di “libreria universale della conoscenza umana”.

Europa – Per i russi è la Germania – il cuore dell’Europa? Lo è per Nabokov,neo professore di letteratura in America nel 1952,  nelle “Lezioni sul Don Chisciotte”, il primo insegnamento al quale fu chiamato in America, nel 1952 - una decina d’anni dopo esserci arrivato, ma nella prestigiosa Harvard. Un incarico al quale si preparò con molta cura. Fra le tante osservazioni generali inserendo: “La grande letteratura del passato sembra essere nata nelle periferie d’Europa, al limitare del mondo conosciuto”. E queste “periferie” elenca nell’ordine: Grecia, Italia, Inghilterra, Spagna.
 
Femminicidi - “La quasi totalità degli omicidi è commessa da maschi”, Gianrico Carofiglio, “L’orizzonte della notte”, 66.
 
Nomi – Si legano ai luoghi, anche quelli di persona. Michelangelo Antonioni, spiega la nipote Elisabetta sul “Corriere della sera”, progettava “il catalogo dei nomi strani di Ferrara. Sì, i nomi propri delle persone. I ferraresi non amavano molto la chiesa”, e davano a fogli i nomi più strani - come oggi i ricchi e potenti, Elon Musk, John Elkann, Leone Mosé, Oceano Noah, Vita Talita, Arcadia, Lycurgus, Nevada, Kai, X AE A.12…. Non solo i ferraresi, gli emiliani in genere, e i romagnoli, si sono dati a lungo nomi speciali – e il catalogo è stato fatto: Agrifoglio, Alchermese, Anisetta. Antenato, Armistizio, Avvenente, Bianco (Del Monte)…, e Circoncisa. Una forma di liberazione?
 
Poesia – Quella moderna è frammentaria (Petrarca) - è la constatazione di Piero Boitani sul “Sole 24 Ore Domenica” - dopo la frattura con la filosofa, oppure realista (Dante. Boccaccio): “Se l’affermazione della filosofia coincide con la negazione della poesia, delle passioni….. cosa potrà fare l’autore di un canzoniere italiano come Guittone o Petrarca? Dovrà separare definitivamente l’unità degli opposti e inanellare frammenti, come fa Petrarca  («Rerum Vulgarium Fragmenta» è il titolo del «Canzoniere»), oppure virare decisamente verso un altro tipo di mimesis quella più intenzionalmente realistica, come fanno, in parte, Cavalcanti e, con maggiore determinazione, Dante e Boccaccio”. Semplice – semplicistico?
 
Romanzo – È Sette-Ottocentesco? È ancora l’opinione, asseverata, di Magris, in “Mondo, romanzo” (o “La letteratura è la mia vendetta”), in dialogo con Vargas Llosa sul romanzo: “Il romanzo è il mondo moderno. Non solo non potrebbe esistere senza di esso, come un’onda  senza il mare, ma per alcuni aspetti s’identifica con esso, ne è la mutevole espressione, come lo sguardo o la piega di una bocca  sono l’espressione di un viso”. Ma miglior romanzo di quelli di Omero? Di Virgilio, di Cesare volendo – affabulatore più che  condottiero, basta vedere come è finito. E perché si legge ancora Cicerone, anche se era bugiardo (un avvocato)?
 
Statue – La “Venere dei Medici” – quella in copia di Canova - innamorò Ugo Foscolo, che ne scrisse (Silvano Brandi lo cita lungamente sul “Corriere Fiorentino” giovedì): “Io dunque ho visitata, e rivisitata, amoreggiata, e baciata, e, ma che nessuno il risappia, ho anche una volta accarezzata, questa Venere nuova…. Se la Venere dei Medici è bellissima dea, questa ch’io guardo e riguardo è bellissima donna: l’una mi faceva sperare il paradiso fuor di questo mondo, e questa mi lusinga del paradiso anche in questa valle di lacrime”.
 
Gaetano Tumiati – Autore di un premio Campiello, uno dei primi, 1974, “Il busto di gesso”, lo ricorda solo Elisabetta Antonioni, la nipote  di Michelangelo, come grande amico dello zio. Che a un certo punto “s’innamorò della sorella di Tumiati. Voleva sposarla. Era innamorato perso”. Ma ebbe un rifiuto spiccio dal padre di lei: “Non hai né arte né parte”. Michelangelo se ne risentì, “ma con Tumiati rimasero amici e continuarono frequentarsi”- con lui e con Giorgio Bassani, tre coetanei,  amici.
Gaetano Tumiati, detto “Gae”, ufficiale in guerra, fu fatto prigioniero in Libia e confinato negli Stati Uniti nel campo di Hereford, con Berto, Dante Troisi, Alberto Burri e Ervardo Fioravanti.  Un nome dimenticato, ma scrisse molto, fu fratello di Roseda, premio Bagutta, e nipote di tre zii, fratelli del padre, tutti “senza arte né parte”: Gualtiero attore e regista, di teatro e di cinema, Domenico scrittore e drammaturgo, e il più noto Corrado, psichiatra, che dell’esperienza di medico nella grande diede testimonianza che ancora si fa leggere, “Zaino di sanità”, benché rarità bibliografica, nel 1931 premio Viareggio (il secondo premiato, il primo era stato Lorenzo Viani, altro dimenticato) con l’esperienza ospedaliera, “I tetti rossi. Ricordi di manicomio”.
 
Vecchiaia – “Un tipico segno dell’età che avanza è pensare sempre più spesso ai presunti, tipici segni dell’età che avanza”, G. Carofiglio, “L’orizzonte della notte”, 67.
 
Viaggio – “I veri viaggiatori partono per partire… i loro desideri hanno la forma delle nuvole”, Baudelaire, “Il viaggio”.
Però: “Com’è grande il mondo al lume della lampade!\ Com’è piccolo il mondo agli occhi del ricordo!” - quello del ragazzo “amante delle mappe e delle stampe” e quello dell’esperienza.

letterautore@antiit.eu

Solitudine da cani

Una vecchia fidanzata del Marlowe di Roversi, il giornalista hacker - e collaboratore (onorato) di polizia  - Enrico Radeschi, faceva la escort. Ma lui lo sa solo ora che è stata uccisa.
L’assassino è chi sapere voi, senza leggere (il “dettaglio” rivelatore non c’è - il whodunit non funziona, è acceso ma solo per il rigaggio): siamo nell’età dei diritti, per le ragioni sessuali da età dei diritti.
Un noir - la suspense c’è, ma soprattutto c’è la violenza. O, meglio e di più, un omaggio all’amatissimo Rimbaud, appena deceduto – dopo Buck, sembra di capire, il precedente amatissimo amico dell
uomo. Sveltamente, come si vuole la narrazione “milanese”, con caratterizzazioni giusto abbozzate, di stereotipi - Radeschi è chi sapete voi, anche i nomi si vogliono pop.

Paolo Roversi, L’ombra della solitudine, Feltrinelli-Marsilio, pp. 223 € 5,95