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sabato 12 dicembre 2020

IO non sono

Scrive IO letterine affettuose, la app del ministero dell’Innovazione che dovrebbe registrare le carte di debito e di credito per il cashback e la lotteria sui pagamenti digitali. Le scrive al modo della Silicon Valley, di google, apple etc., molto lunghe, che dicono tutto e il contrario. Di logica, si direbbe, asiatica - “se non è questo, è quello” - o pre-baconiana. Consolanti – e in italiano, bisogna riconoscerlo, non in inglese. Ma, poi, il fatto è che IO non fa quello che dovrebbe: caricare le carte di credito e di debito che la legge, il governo, l’antiriciclaggio, l’antievasione chiamano a utilizzare, e quasi impongono. Complica lo ghiommero invece di sbrogliarlo.
Non è il primo caso. Anche Immuni era necessaria e risolutiva, e non è servita a niente: non ha disposto nessun tracciamento e nessuna quarantena, la seconda ondata di coronavirus è perfino peggiore della prima, per contagi e decessi. Per non dire dei flop minori, ma altrettanto micidiali: il bonus bici, o gli accessi all’Inps per i “ristori”, o alla stessa IO per il bonus vacanze. Quanto tempo sprecato, e quante energie.
La ministra Pisano da due anni tempesta di app sfolgoranti, che tutte non funzionano, e complicano la vita. È vero che è una ministra nuova, 5 Stelle, ma è l’improntitudine 5 Stelle? È anche vero che gestisce un ministero per l’Innovazione, e non l’innovazione, sotto nessuna specie. Ma non potrebbe almeno dare un indirizzo, programmare? Il cashback non è arrivato all’improvviso, come il virus, se ne parla da un anno, è legge da un mese, non ci poteva pensare prima? Pensare, certo, non è facile.

Cronache dell’altro mondo - chi ha pagato chi (84)

Al voto del 3 novembre il riccastro Trump è arrivato con una campagna elettorale costata poco più della metà di quella di Biden, 963 milioni di dollari contro 1,4 miliardi. Doppia anche la “spesa elettorale complessiva” (presidenziale, per i governi statali e locali, e per il Congresso) del partito Democratico rispetto a quella del partito Repubblicano, 6,9 miliardi di dollari contro 3,8.
Nelle elezioni precedenti le spese dei due partiti si sono più o meno equivalse (eccetto la campagna elettorale presidenziale del 2016, per la quale Hillary Clinton aveva surclassato Trump).
Hanno soprattutto contribuito alla campagna elettorale Democratica i settori knowledge  e entertainment, in percentuali attorno al 90 per cento a favore di Biden, per un totale di circa 300 milioni. Dietro i media, Hollywood e Silicon Valley, vengono gli studi legali, con contributi per 210 milioni di dollari a favore del partito Democratico, l’84 per cento del totale dal settore. Al terzo posto Wall Street, con 162 milioni, il 63 per cento dei contributi elettorali totali del mondo finanziario.
Trump ha perso e ha vinto. Dai 63 milioni di voti ottenuti nel 2016 è passato a 73,1. Biden è passato dl precedente record (Obama, 2008) di 69,5 milioni a 78.7 milioni di suffragi. Ma ha vinto alla stessa maniera come Trump aveva vinto nel 2016, per uno scostamento elettorale minimo in alcuni Stati - bastanti ad assicurare il blocco elettorale presidenziale di questi Stati. Nel 2016 Trump aveva vinto quattro Stati, Pennsylvania, Florida, Michigan e Wisconsin per pochi voti, meno dell’ per cento. Biden ha vinto il 3 novembre in Pennsylvania e il Wisconsin per lo 0,6 per cento  e in Michigan per il 2,6: in tutto 237 mila voti, l’1,6 per cento dei votanti nei tre Stati.
Malgrado la sconfitta di Trump, il partito Repubblicano non ha perso in nessuno Stato dove aveva la maggioranza. Ha anzi guadagnato un governatore, e più deputati alla Camera dei Rappresentanti. Potrebbe anche mantenere la maggioranza di 52 senatori: ne ha rieletti 50 e potrebbe avere uno o due sei seggi senatoriali ancora da votare, in Georgia, il 5 gennaio.

La prima Instapoet

La poesia al tempo di Instagram. Pensierini, arguzie, consolazioni. Con molto amore, ordinario, sotto forma di sesso. E alcune notazioni probabilmente etniche, su zii e cugini dalle mani lunghe. Rupi Kaur, indiana sikh naturalizzata canadese, è celebre, oltre che per questa raccolta nata su  Tumbir e poi Instagram, con disegni suoi, per un “saggio figurato” sulle mestruazioni, firmato “kaur, donna del sikhismo”.   
Un regalo editoriale ai lettori teen-ager. Rupi Kaur lo licenziò nel 2014, a ventidue anni. Ed è stato best-seller mondiale, da milioni di copie, per un anno e mezzo in classifica tra i più venduti del “New York Times” – negli Stati Uniti il mercato degli adolescenti è tra i più frequentati, con sceneggiati tv e molti film. “Chi mai potrà misurare il furore e la violenza del cuore di un poeta in un corpo di donna”, pare minacciasse Virginia Woolf. Kaur non se ne dà per inteso.
Pensierini saggi - “parole d’amore, di dolore, di perdita e di rinascita” è il sottotitolo. In quattro sezioni: “il ferire, l’amare, lo spezzare, il guarire”. Del genere: “L’arte d’esser vuota\ è semplice”, e “se non basti a te stessa\ non basterai mai\ a nessun altro”. Più l’amore: “Sto imparando\ ad amarlo\ amandomi”, “sono un museo pieno d’arte\ ma tu avevi gli occhi chiusi”, o “ero musica\ ma tu avevi le orecchi mozzate”, “non è cattivo l’amore\ siamo cattivi noi\ l’amore non è un gioco\ siamo noi ad aver reso\ l’amore un gioco”, e “com’è che l’amore, perfino quando se ne va, non se ne va”, o “come fa a morire il nostro amore\ se sta scritto\ in queste pagine”. Ma più di tutto, lei lo sa, “fare l’amore\ alle parole\ è eroticissimo”.
Rupi Kaur, Milk and Honey, Tea, pp. 207, ill. € 5


venerdì 11 dicembre 2020

Problemi di base - 610

spock

Non potendo contagiarsi in Corea, Kim Ki Duk è andato a morire in Lettonia?
 
L’Occidente fa male all’Asia?
 
L’Asia fa male all’Occidente?
 
La nuova guerra che si voleva batteriologica, è virale?
 
Fa differenza?
 
E Milano, che vuole togliere alla Cina il primato del contagio?
 
O è la Milano infiltrata dalla Cina, dell’Inter, Pirelli, Chinatown?
 
Il mercato fa male alla salute?

spock@antiit.eu

Al tempo di “Paolorossi”, un’altra Italia

Un altro linguaggio, un altro mondo. Dentro e fuori del campo. Non un secolo fa, e nemmeno mezzo secolo. Il “sognatore che non si arrende” si è ora dovuto arrendere, ma ha lasciato una formidabile lezione di ottimismo, di bellezza. Nel suo piccolo, anche sociale e civile.
È – era - un altro calcio. Il gol famoso di Tardelli al Mundial di Spagna, che il film ripropone,  vede in azione Scirea, Bergomi, e lo stesso Tardelli, mezza difesa e il centrocampo: nulla a che vedere col ticchettio afono di oggi. E un’altra passione.
Il Mondiale di Spagna prende naturalmente più spazio, il torneo di “Paolorossi”, come il minuscolo centravanti sarà famoso nel mondo. Una vittoria meritata, contro i migliori del mondo, Argentina, Brasile, Germania, e non dimenticando la Polonia di Boniek. Che chiudeva un periodo durissimo, di terrorismo, inflazione, mafia. Roma il giorno dopo il Mondiale, e anche una settimana dopo, era ordinata, perfino pulita, nel traffico, nei rapporti. Il paese si diede un’altra dimensione, arrivando a essere la quinta, o quarta, economia mondiale più ricca.
Il ritorno della squadra campione fu festoso e dignitoso - il film non lo documenta, ma lo ricorda: la dignità è il fattore che più unifica, per il meglio. Una festa, che si compara nella memoria col triste, polemico ritorno dopo il Mondiale di Germania nel 2006: il calcio era anch’esso avvelenato dai giudici, come tutta l’Italia.
Michela Scolari-Gianluca Fellini,
Paolo Rossi – il campione è un sognatore che non si arrende mai, Rai 2

giovedì 10 dicembre 2020

Cronache dell’altro mondo (83)

Il big business (“donatori dalle grandi tasche che hanno fatto fortuna a Wall Street, nella Silicon Valley e in altri potenti settori dell’America finanziaria”, inclusi gli Emirati Arabi Uniti, per una somma tra 1,5 e 3 milioni di dollari – “The Wall Street Journal”) ha finanziato la campagna elettorale di Biden. Attraverso il Cap, Center for Economic Progress. La cui direttrice, Neera Tanden, dirigerà l’Office of Management and Budget – l’amministrazione - alla Casa Bianca. Il direttore dell’Office of Public Engagement  nominato da Biden, il deputato Cedric Richmond, ha esordito assicurando i top manager che essi avranno sempre ascolto alla Casa Bianca, e un rapporto privilegiato.
In vista della proclamazione lunedì a Washington del vincitore al voto presidenziale, la Procura dello Stato del Texas ha aperto un procedimento presso la Corte suprema per frode elettorale: quattro stati, Georgia, Michigan, Pennsylvania e Wisconsin, avrebbero “modificato illegalmente le procedure elettorali”. Trump sostiene che altri 17 Stati hanno sottoscritto il ricorso del Texas, e insiste: “Ho ricevuto centinaia di migliaia di voti in più del mio rivale in tutti gli stati chiave. Tutti i dati raccolti dopo il voto dicono che per me era impossibile perdere se non in un’elezione truccata”.
Chiuse le elezioni presidenziali, il figlio di Biden va sotto processo per reati fiscali – il presidente eletto viene solitamente “azzoppato”. In precedenza  gli affari dubbi di Biden figlio avevano alimentato molti pettegolezzi. E sono costati a Trump un processo di impeachment al Congresso, per aver sollecitato dal presidente ucraino, ascoltato dalla Cia, un’indagine sulla corruzione di Biden figlio in quel Paese – cosa che il presidente ucraino, un comico come Grillo, trovò sconveniente fare. Altri affari chiacchierati Biden figlio ha trattato in Cina.
“Freud considerava l’America «un aborto della civiltà», e Clemenceau «l’unica nazione della storia passata direttamente dalla barbarie
 alla decadenza, senza la fase intermedia di viltà»” – Antonio Monda, “la Repubblica”.

La scoperta di Pompei

La giovane Marcella, figlia di Arrio Diomede, “invisibile agli occhi grossolani”, è sensibile al minimo segno di attenzione: lo sguardo del giovane Ottaviano sulla polvere rappresa degli scavi con le forme del suo giovane seno. “Non si è veramente morti”, gli dice una notte di luna, “che quando non si è più amati”. E viceversa: “Il tuo desiderio mi ha reso la vita, la potente evocazione del tuo cure ha soppresso le distanze che ci separavano”.
Una novella romantica, con molta storia, e cose viste. Un incantesimo, una notte di luna, passeggiando per gli scavi dopo avere assistito nel teatro della città sepolta alla commedia “Casina” di Plauto. Del desiderio, o voglia di vivere, che gli dei non saprebbero conculcare o cancellare. Ma sì nel caso di Marcella, che il padre Arrio, neofita cristiano, condanna col peccato alla dissoluzione.
Un racconto modellato sull’esperienza vissuta da Gautier a Napoli nel 1850 - ne fu espulso per motivi politici - ma di più sui “Souvenirs de Pompéi”, di Nerval, 1845. E su alcuni temi dello stesso Nerval, il poeta narratore visionario che sarà un paio d’anni dopo suicida: la morte delle religioni, l’amore che vince la morte, la conoscenza attraverso le passioni.   
Un racconto del soprannaturale, di Pompei dal vivo. Ma di un mondo, Napoli, il Vesuvio, gli scavi, oggi e ieri, tutto declinato al sublime. Che incanta per la malinconia che suscita. Non per Arria Marcella, ma per il mondo che evoca, compresi i “ciceroni” che vi s’impongono, apprezzato, ammirato, rispettato, e non insolentito come ora usa.

Théophile Gautier, Arria Marcella, Flavius, pp. 64, ill. € 12
Livre de Poche, pp.96, ill. € 2

mercoledì 9 dicembre 2020

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (442)

Giuseppe Leuzzi

Dal 2007 al 2020, calcola “Il Sole 24 Ore”, per i due cicli europei settennali di programmazione delle politiche di coesione sociale, cioè, in Italia, per il Sud, è stata spesa la metà del pacchetto di aiuti disponibili, 89 miliardi invece di 178. È una costante, l’incapacità italiana di avvalersi delle risorse europee – che l’Italia finanzia. Che si suole imputare alle Regioni del Sud. Mentre esse ne sono vittime, di “Roma”.
È vero, però, che al Sud non si ribellano.
 
“Se qui da noi, e in genere al Sud, funzionasse la sanità finirebbero i viaggi della speranza verso altre regioni, e strutture private del Nord dovrebbero chiudere”: “Famiglia Cristiana” sintetizza così medici e operatori sentiti nella sua inchiesta sulla sanità in Calabria. Questo è vero di tutta la sanità, in tutta l’Italia, disegnata dalla riforma Bindi per la privatizzazione surrettizia – a spese del servizio sanitario nazionale, ma delle regioni come la Calabria, certo, in particolare.
Non si capisce altrimenti perché non vengono realizzati gli ospedali da tempo appaltati – uno, a Vibo Valentia, dal neo commissario alla Sanità in Calabria, cinque anni fa.
 
È meridionale prevalentemente, in assoluto e in in rapporto alla popolazione, il fenomeno degli scomparsi - residenti di cui è stata denunciata la sparizione. Dal 1 gennaio 1974, da quando se ne tiene il conto, a fine 2019 sono state denunciate 245 mila scomparse. Su base regionale (i dati disponibili sono di fine 2018, quindi su un totale di circa 230 mila denunce) il fenomeno interessa in primo luogo la Sicilia: 26.635 denuncia su 230 mila. Seguivano il Lazio, con 8.023 casi, la Lombardia, 6.103, la Campania, 4.699, la Calabria, 4.659, e la Puglia, 4.080.
 
Svanisce l’Italia con la memoria
Si gira per Roma come nel vuoto. Un’impressione più forte che in primavera. Anche se c’è più gente. Romani, presumibilmente, incupiti, curvi sul cellulare. In primavera s’incontravano meno persone in giro, ma erano turisti, attardati. Visitatori. Perplessi, ma non scontenti, anzi col sorriso di sempre, della gente che visita Roma – e Firenze, s’immagina, Venezia. È questa presenza che “fa” le nostre città, le città simbolo dell’Italia?
La lettura in contemporanea della “Cerimonia degli addii”, in cui Simone de Beauvoir racconta gli ultimi anni di Sartre, corrobora questa impressione. Nell’orrida serie di decadimenti corporei che colpirono il filosofo, la vacanza d’agosto a Roma – con Capri, una volta, un’altra Venezia, o Firenze – rappresenta sempre una pausa e uno svago: quattro, cinque, sei settimane di felicità.
Non c’è in effetti, a ripensarci, altra immagine dell’Italia che quella del turista: del bello, dell’antico, del decoro - non un paese senza una piazza, una piazza senza una fontana, una fontana senza un putto, o un tritone - e della luce, del colore, perfino della natura – quello che comunemente s’intende per natura, i pini, i cipressi, le ville padronali, le colline, le montagne, le spiagge accoglienti. Era ritornante, negli anni Sessanta, Settanta, negli incontri fra industriali, imprenditori, politici, la messa a fuoco di una immagine Italia modernizzante, tecnologica, innovativa, per poter competere fra i giganti del mercato mondiale - era ancora il tempo di una Italia quinta o quarta potenza economica. Ci resta lo sguardo del turista.
E un incubo ritorna, nel semi-lockdown, dagli anni 1980, che in “Fuori l’Italia dal Sud” si poteva così esternare già nel 1992: “Sempre meno stranieri vengono in Italia. Troppo cara. Troppo sporca. Spiacevolmente disordinata. Vengono sempre meno anche per le città d’arte. E se un giorno non venissero più, perché alla pittura e all’architettura della Pietà di Michelangelo debbono preferirsi i grigi gessi del pietismo nordico? È possibile, il gusto cambia Anche l’asse del mondo sta cambiando, c’è insofferenza verso il Sud e l’Ovest. Del resto, se ha bisogno di serietà, è al Nord pensoso che il Sud deve rivolgersi. I greci antichi già lo sapevano: è tra gli iperborei che Atlante accigliato regge sulle spalle il mondo. La stessa attrattiva della civiltà romana la dobbiamo al culto che le hanno votato gli inglesi e i tedeschi. Agli inglesi, che non hano più soldi per farlo, sono subentrati i francesi. Ora la Germania torna a dare, come già ai tempi di Wagner e di Hitler, segni di disaffezione, tentata dal Nord e dall’Est, Grecia compresa. Domani potrebbero disinteressarsene anche i francesi, e Roma resterebbe una delle tante città del mondo. L’età di mezzo, Comuni e Rinascimento, deve molto a svizzeri, francesi e americani, della piccola parte d’America che sta a nord di New York. Ma gli svizzeri da tempo non se ne occupano più, e l’America è sempre meno New England. L’Italia, insomma, potrebbe scomparire”.
 
La Sicilia abbandonata
Si girava per la Sicilia, negli anni 1980-1990 in solitario. Niente traffico, niente file, niente prenotazioni. Da Capo d’Orlando, la villa dei Piccolo, a Cefalù, a Segesta, a Selinunte, a Tindari, tutto per noi, soli. A Trapani, a Siracusa, a Catania, perfino a Taormina lo spazio era ampio, e l’attenzione delle persone.
Cresciuti con le immagini dei treni delle “svedesi” che arrivavano o partivano, si scopriva un’altra Sicilia. Centinaia di poliziotti, carabinieri, giudici, politici trucidati, con centinaia, forse migliaia, di mafiosi, avevano desertificato l’isola.
La liberazione è avvenuta poi per mano di siciliani coraggiosi, giudici, giurati, polizie, anche mafiosi pentiti, a partire dal maxiprocesso di metà anni 1980. Ma ancora nel 1998, o 1999, si poteva assistere a Catania alla premiazione dell’ex capo della Procura di Palermo Caponnetto in un  Palazzo Municipale chiuso, da cui fuoriuscivano applausi sordi, mentre la piazza era occupata da un centinaio di torve macchine delle autorità e delle scorte, con nugoli d’inquieti, sospettosi, autisti. Ma questa era già l’antimafia.
 
La scoperta della mafia, antipatica
Non ha richiamato grande pubblico il film Rai sul maxiprocesso alla mafia, 1985, che poi stroncò la mafia stessa. Niente al confronto con gli altri film siciliani della Rai, quelli di Montalbano, o della Piovra. Si direbbe che se la mafia non è vincente non attira.
Può essere. Il film di Micciché, “Io, un giudice popolare al processo”, oppone filologicamente un netto “noi e loro”, le tre civilissime giurate donne al processo, tuttora sensate, giuste, e i barbari in gabbia, assassini vilissimi, bruti e brutti, stupidi, non si dice bestioni per non vilipendere le bestie. Con i giudici, Giordano, Grasso, Ayala, come sono i giudici, appassionati di procedure. Senza trionfalismo, insomma, ma con mano corretta, ferrea.
Il pubblico non è avvezzo alla verità della mafia, solo alla terribilità – che è spettacolarità. Perfino Camilleri, lo spregiatore forse massimo della mafia (l’unico scrittore siciliano che non abbia un “suo” mafioso in pregio – la sindrome Robin Hood), la ipostatizza, inaccessibile.
I momenti di verità del film sono numerosi. Delle donne giurate che non hanno paura. Del palazzo-tribunale costruito in pochi mesi. Delle gerarchie mafiose nelle stesse gabbie. Del silenzio che accoglie la testimonianza di Buscetta: è un capo. Mentre Contorno, altro pentito, è contestato: non è un capo. Ma nessuno viene impiccato, o fucilato, non c’è neanche una storia d’amore, come si fa con la mafia?, è quindi non è spettacolare? La mafia non è spettacolare, è un corpo freddo. Brutto anche, sporco.


Napoli

“Era una di quelle giornate felici così comuni a Napoli, dove per il brillare del sole e la trasparenza dell’aria gli oggetti prendono colori che sembrano favolosi al Nord, e sembrano appartenere piuttosto al mondo del sogno che a quello della realtà” - Théophile Gautier, che non era tenero con i luoghi visitati, in “Arria Marcella”: “Chiunque ha visto una volta questa luce d’oro e d’azzurro ne riporta al fondo della sua bruma una incurabile nostalgia”.
“Arria Marcella” è un racconto del 1852 - dopo un viaggio a Napoli del 1850: non molto prima dell’anatema che si abbatterà sulla città, ormai da centosessant’anni.
 
È stata a lungo, Napoli come il Golfo, trademark speciale, del bello e del ricco. “Kississana” è nel racconto “Rumori” di Nabokov (il racconto di un infelice amore dell’autore per una cugina, Tatiana  Evghenievna Segelkranz, bella, colta, snob, e sposata), il nome di “un celebre ristorante frequentato dagli intellettuali”, nei dintorni di San Pietroburgo. 
 
“A Napoli si dice che siano morti ventimila al giorno”. Morti di peste, riporta Daniel Defoe, che pure è uno accurato, ma qui è distratto, in mezza riga, là dove esalta l’organizzazione londinese, nel “Diario dell’anno della peste” a Londra, 1665. Un diario noioso, in versione integrale, tanto è preciso. Ma i si dice corrono sempre allegri.  
 
“Se vi è un paese dove i furti e gli assassinii siano frequenti, questi è Napoli.
“Se vi è un  paese dove i furti e gli assassinii restino impuniti, questi è Napoli”, è l’attacco si A . Dumas, “L’assassinio di rue Saint-Roch” – Dumas raccontava il malaffare di Parigi ma scriveva da Napoli.
 
“Certo il nome di Spaventa è un bel nome per un prefetto di polizia, ma un nome non basta per far paura ai ladri”, è il seguito di Dumas. In effetti. Silvio Spaventa, poi, non era un prefetto di polizia tra i tanti: futuro ministro e senatore, primo hegeliano d’Italia e protoliberale, prozio di Croce, fu ministro di Polizia a Napoli nel governo luogotenenziale, fino cioè all’annessione, nell’inverno 1860-61 – per conto di Cavour, in lite con i garibaldini. Dumas dice che la storia non ferma i ladri, il crollo del regno millenario, Garibaldi, l’Italia. 
 
Giletti su “La 7” mette in scena il contagio in Campania con un’immagine del Vesuvio, su un mare blu che sputa covid. Proteste. Giletti si giustifica: “Il grafico è un meridionale”. In effetti, non c’è nulla per cui protestare, ma il “complesso meridionale” non è solo del Sud.
 
Al referendum  istituzionale del 2 giugno 1946 la circoscrizione Napoli-Caserta votò al 79 per cento per i Savoia. Non male per una dinastia che aveva “invaso” Napoli ottant’anni prima. 

leuzzi@antiit.eu

Quando c’era ancora Natale

Il film di Natale, un anno fa di Ficarra e Picone. Un aneddoto non male, svolto col garbo consueto: Ficarra ladro di professione, di oggetti sacri preferibilmente, e Picone parroco impegnato, con acribia filologica, nel Presepe vivente, sono trasportati per magia nella Palestina di duemila anni fa. Dove la storia viene ricostruita così come avvenne e si dimentica. Assisteranno a molti parti, in cerca del Bambino. E alla rivolta contro Erode Antipa, servo dei Romani. Per ritornare infine al loro tempo su un barcone, sfuggendo alla caccia del re di Giudea.
Un film, inconsapevolmente, della nostalgia.
Valentino Picone-Salvatore Ficarra,
Il primo Natale

martedì 8 dicembre 2020

Ripensare la globalizzazione

Il boom stratosferico delle Borse, nel mezzo di una crisi, senza precedenti che si ricordino, della produzione e del reddito, non è certamente sano, ed è il segnale più macroscopico che il mercato così com’è funziona male. È eccezionalmente selettivo a favore di pochi fortunati: Ed è distruttivo: di reddito, quindi di produzione e consumo, e anche di tecnologia.
Un mercato, si direbbe, autodistruttivo. Per un disegno fallimentare della globalizzazione. Sia per quanto concerne la produzione e il reddito sia per quanto concerne le aspettative (la finanza). Le due crisi, del 2000 e del 2007-2008, e una terza ora temuta, con una frequenza senza precedenti nella storia dei cicli economici, ne sono l’effetto.   
La globalizzazione intesa come delocalizazione verso gli sterminati mercati del lavoro asiatici, del lavoro non protetto, è suicida. Per le economie che delocalizzano e, in seconda battuta, per gli stessi mercati che ne beneficiano.
Una forma di imperialismo della merce si è imposta, a vantaggio di ceti non produttivi - importatori, finanziatori - che la le stesse debolezze dell’imperialismo politico-militare: l’improduttività. Alla sommatoria, certo, di passivi e anche di attivi, ma sempre l’imperialismo è tendenzialmente controproduttivo. Anche ad addobbarlo di disegni di potenza.
La Cina, che sotto la presidenza Xi ha avviato un progetto imperialista, dichiarato, ne comincia a tirare somme negative, in Africa e sulla stessa via della Seta. In entrambi i dispiegamenti: nella spesa ostensiva, e nella borghesia compradora, affaristica, che ne affianca l’espansione e ora non controlla più l’opinione, non se ne cura – con ripercussioni negative sulla parte più solida, tecnologicamente, e più concorrenziale, come la nuovissima telefonia mobile.

Su un mare, minaccioso, di liquidità

Tesla ha superato i 400 dollari di quotazione a Wall Street, e si fa già l’ipotesi di quota 800. Una valutazione che consentirebbe a Musk, il patron di Tesla, di comprarsi senza problemi la Mercedes – anche Volkswagen volendo, non ci fosse la proprietà pubblica. E che dovrebbe essere un richiamo per la liquidità in cerca di collocazione, e invece fa paura.
Il 25 novembre Wall Street (l’indice Dow Jones) ha sfondato quota 30 mila punti (oggi è 30.070). Sarà stato l’ultimo trionfo di Trump, nel 2016 il Dow Jones era poco più della metà, a 18 mila punti. Non è infatti un boom campato sul nulla, come quello che sfociò nella crisi bancaria 2007-2009, con i mutui spazzatura, alla sesta o alla settima ipoteca. In parallelo, e di poco meno, il 50 per cento, è cresciuto nei quattro anni anche il debito pubblico americano, da 18 a 27 mila miliardi – dodici volte il temutissimo debito italiano.
Quello delle Borse – sulla scia di Wall Street, anche se con meno euforia, si muovono le Borse europee e asiatiche – non è un crescita basata sul nulla: ha a fondamento il quantitative easing  delle banche centrali, la creazione illimitata – ha statuito la Federal Reserve americana – di liquidità. Che però ha un fine, e quindi una fine: stimolare la domanda, rianimare i prezzi al livello di galleggiamento del sistema, l’inflazione al 2 per cento. Ma è lo steso una liquidità drogata. Fino a quando?
È anche vero che molte quotazioni sono spropositate. Google a 1.810 dollari, Amazon a 3.133 - con variazione giornaliere di 30 e anche di 40 dollari, quanto basta per farsi una fortuna in poche ore, sapendo o potendo manovrare, ma senza altro senso economico. Sono quotazioni che non hanno base, e quindi come finirà?
La paura è quella del crack dot.com, vent’anni fa. Il 10 marzo 2000 il Nasdaq, il listino a Wall Street delle novità,  aprì al massimo storico, e chiuse con una perdita di 84 punti, l’inizio di una valanga. Amazon crollò da 107 a 7 dollari – Bezos è un mago della capitalizzazione di Borsa, più che della logistica (naturalmente è uscito dal crollo più ricco). Si sgonfiò in poche settimane, drenando le risorse di molti milioni di risparmiatori, il boom delle dot.com, le mille germinazioni della nuova era digitale, pompate a livelli stratosferici - Soru quotava con Tiscali più degli Agnelli - e d’improvviso ridotte a zero o poco più.

Accademia alla Scala

Titolo un po’ dopolavoristico per la non-prima alla Scala alla vigilia dell’Immacolata. Anche la scelta, di un recital di «arie», sapeva di accademia di fine corso. Con poco balletto. Con molti buoni sentimenti - Michela Murgia l’opera ha voluto vendicatrice dei poveri, i servitori e le donne... Le scene di Livermore, i suoi filmati evocativi, sono state l’unica animazione.
Si poteva fare di meglio? Ma Milano non per caso è stata al centro della pandemia. Una prima del lutto – singolare la scena dei fili del telefono, sui quali eravamo abituati a vedere riposare le rondini migranti, sostituite dalle cornacchie.
A risentir le stelle, Teatro alla Scala, Rai 1

lunedì 7 dicembre 2020

Secondi pensieri - 436

zeulig


Amore - Dice bene Lou Salomé, l’amore dura finché ognuno resta se stesso nella coppia, non si adatta, si piega, si uniforma. Ma ci vorrebbe un giardino per questo, e almeno un paio di saloni. Nelle tre stanze le differenze urtano. Tanto più che non c’è più l’osteria al rientro dal lavoro, il biliardo, le chiacchiere con gli amici al bar, attorno a una birra, ma casa e lavoro, lavoro e casa, invariabilmente, accumulando i malumori e non disperdendoli.
L’amore finisce con la rendita urbana.
La coabitazione dovrebbe insegnare a esser senza essere. Un nuovo tipo di umanità. Una sorta di campo di concentramento senza recinzioni né cani lupo. Riscaldato. In muratura solida. Magari col telefono, e un letto con la porta, ma per il resto sempre a urtarsi, in cucina, al gabinetto.
 
Anima
– Non è cambiata dopo l’invenzione di Platone. Che la inventò senza l’aiuto di Socrate (Socrate ne sarebbe stato contento?), anche se la fa spiegare a lui, nel “Fedone”: è la memoria del tempo. All’interlocutore Cebete, il Socrate-Platone risponde: “Tu dici che l’anima è qualcosa di forte e simile al divino, e che essa esisteva già prima che noi fossimo uomini; ma tutto questo proverebbe non già che l’anima è immortale ma solamente che essa ha lunga durata, che è esistita in qualche luogo per un tempo lunghissimo, e che sapeva e faceva molte cose”.
 
Citazione
- Thomas Bernhard, “Perturbamento”, 1967: “Siamo chiusi in un mondo che cita continuamente tutto, rinchiusi in una citazione continua che è il mondo”. E: “In fondo tutto ciò che viene detto è citato”. E in “Correzione”, 1975: “Tutto il resto è correzione della correzione della correzione”.
Parliamo per citazioni, tutto ciò che diciamo è stato detto, infinite volte. Il miracolo è che si possa dire di nuovo, come se non fosse stato detto.
 
Complotto
- Un Grande Complotto non si installa contro una comunità, contro l’opinione, neanche come ipotesi o sospetto.
Tanto vale non elaborarci sopra.
 
Gesù Bambino
- La Madonna col Bambino esposto in braccio, che si veda che è un maschio, è già nelle ceramiche micenee – anche a Cipro. Quindi del secondo millennio a.C..
 
Ideale
– Come antitesi del reale, lo esclude? S’intende comunemente l’ideale come una meta, un gradus ad parnassum della condizione umana verso l’ideale originario, totalizzante, del Bene, il Bello e il Giusto coniugati. Ma è – è anche – l’opposizione del reale, quello che il reale non è, o non può, non vuole, essere. Una forma, per quanto compatta (estrema, totale), vuota.
Funziona come un richiamo per uccelli? Allora falso – un falso reale.
Il cammino del Bene (Bello, Giusto) sarebbe più arduo o più facile (possibile, agevole) senza l’ideale? La stessa pedagogia sarebbe più o meno produttiva senza l’ideale, l’irraggiungibile perfezione? Un metro ci vuole, una misura delle cose.
 
Io so
– Quello di Pasolini forse no, se era persona angelica, ma è l’Io inquisitoriale. Sciascia – che di Pasolini si diceva “fraterno e lontano” – lo ha spiegato: è il procedimento infernale dell’Inquisitore, quello-che-sa-ma-non-ha-le-prove. E imponeva, quello storico, la tortura senza magari essere un sadico - alcuni inquisitori ne soffrivano: per il dovere della verità.
La verità ha molti nemici tra i suoi sostenitori accesi. Tra gli imbroglioni come tra gli sbirri.
 
Morte
– “Niente muore di ciò che ha colpito l’intelligenza” è il Faust di Goethe. Che Gautier, leggendo “Faust” nella traduzione di Nerval, può parafrasare così: “Niente muore, tutto esiste sempre; nessuna forza può annientare ciò che fu una volta”.
Nerval introduce la traduzione, su questo puto, così: “Per lui come per Dio, senza dubbio, niente finisce, o almeno niente si trasforma se non la materia, e i secoli passati si conservano tutti interi  allo stato d’intelligenze e di ombre”.
 
“Ciascuno porta la sua morte in sé, come il frutto il nocciolo”, è Rilke. Una constatazione.
 
San Paolo
– Un santo, si direbbe, da filosofi – da pensatori, Pasolini compreso. Da Heidegger a Agamben, con Carl Schmitt, Taubes, Foucault, Derrida, Badiou, e anche, da ultimo, Vattimo. Da filosofi del Novecento, secolo marciante ma insoddisfatto, che volle riscoprire il sacro.
Si direbbe non il calvo sudaticcio di tanta iconografia, un semita indaffarato, ma il vichingo rossodorato, barba fluente, ricci in abbondanza, del Prado, il San Paolo di Rubens, e molta autorevolezza, un Mosè riflessivo.
 
Parola
– Divise invece di unire? Lo scrittore Houellebecq così la sintonizza nel linguaggio, per esempio, dell’amore: “La parola non ha per vocazione di creare l’amore, ma la divisione e l’odio, la parola separa a misura che si produce”. Paradossalmente, ma non del tutto, nella relazione d’amore: “È male che gli amanti parlino la stessa lingua, è male che possano realmente capirsi, che possano comunicare con le parole”. Mentre “un informe balbettio amoroso, semi-linguistico, parlare alla propria donna o al proprio uomo come si parlerebbe al proprio cane, crea le condizioni di un amore incondizionato e durevole”.
 
Peccato - È una condizione (una colpa) soggettiva. Ci sono leggi e ci sono catechismi, ma è il peccatore che decide cosa è peccato, nella confessione: l’adultero pubblico e anche l’assassino potrebbero sfuggire a questa colpa, nel senso del peccato.
Si è discussa la raccomandazione del papa Bergoglio di non considerare automaticamente peccatori, quindi non ammessi ai sacramenti, nemmeno ai riti, i divorziati. Tra i quali invece, ha ragione il papa, ci possono essere dei buonissimi fedeli.
Preliminare è la confessione, in caso di peccato, cioè il riconoscimento della colpa: è in capo al peccatore decidere se e quando ritenersi in colpa. Il comandamento non è la legge, l’applicazione autonoma, automatica, della legge, con aggravanti e attenuanti. Il confessore giudica il peccato dopo che il peccatore l’ha riconosciuto, in confessione.
Lo stesso che per il divorzio si può arguire della convivenza, anche dello stesso sesso. Ogni proibizione, anche oggettiva, dello stesso diritto canonico, è peccato solo in soggettiva. Il confessore non può dichiararlo autonomamente. Lo stesso il comunicatore – il diacono o il sacerdote che dà l’ostia consacrata: non può escludere dalla comunione, il sacramento più diffuso insieme con la confessione, e il più immediatamente correlato al peccato.


zeulig@antiit.com

L’amore melenso – di genere

Il titolo italiano echeggia la trilogia comica di Ben Stiller e Robert De Niro. Il titolo originale è “The Happiest Season”, le feste di Natale. Ma non è né una commedia né una satira. È un incredibile pasticcio di una figlia confusa sessualmente, che torna in famiglia per le feste di Natale con la fidanzata, quasi moglie, si rimette col suo vecchio ragazzo, e infine sceglie lei. Scandalo. Liti. Riconciliazioni. Nuova vita felici e contenti.
Un soggetto da tempo visto in tanti film italiani, senza drammi e con una buona dose di umorismo. Qui scolastico, sulla morale del coming out, del dichiararsi. Tra gli stereotipi delle vecchie storie di amori contrastati. Non saprebbe essere più melenso.
Clea DuVall, Non ti presento i miei, Sky Cinema

domenica 6 dicembre 2020

Appalti, fisco, abusi (191)

Mustier va via ma non per Mps, il presidente di Unicredit Padoan sente il bisogno di dire a Fubini sul “Corriere della sera”: Cioè: l’operazione Mps si fa, Unicredit se la deve comprare. Ma perché non dirlo? Perché il governo affossa così Unicredit, capitale (azionisti) e redditività.
 
Le assicurazioni aumentano la Rca. Benché abbiano avuto un anno di zero incidenti, o pressappoco, con la circolazione più che dimezzata - vedi i tanti fallimenti del settore autonoleggio, la Hertz, la più grande, per prima. Possono aumentarla nel nome della trasparenza e della chiarezza. Che sembra un controsenso, e lo è. Ma non per l’Ivass, l’Istituto di sorveglianza.
 
Succede all’Ivass come con tutte le altre Autorità di controllo del mercato: che non agiscono a garanzia dell’utente, come dovrebbero, ma delle aziende di settore. Intervengono, quando lo fanno, nell’interesse di un’azienda, ma non del consumo, dell’utenza in generale, per assicurare il miglior bene al miglior costo.
 
La legge sulla trasparenza e chiarezza delle polizze è del 2012. Si è dovuto attendere otto anni per avere il regolamento attuativo. Che non ha posto problemi di stesura – è, a leggerlo, perfino comprensibile. Ma non piaceva alle compagnie assicuratrici. 

La assicurazioni sono un settore con una miriade di soggetti. Tanto è remunerativo. Assicurazione a delinquere è vecchio gioco di parole, ma non uno scherzo – capitalizzare sulla fiducia.

La sparizione della libido occidentale

“Ero capace di essere felice nella solitudine”. Senza più desiderio sessuale – se non l’immagine di una ragazza castana intravista a Al Alquial. Senza più desiderio. Giusto quello di nascondersi, anonimo, in città. Un Mattia Pascal aggiornato – se non che pretende di avere cambiato banca in quindici minuti, e domiciliazioni bancarie in poche mail: in che paradiso? Ma è vero che internet aiuta, non c’è più necessità di un domicilio fisico.
La storia di un deragliamento, minimale, urbano, da pianerottolo. Seguito passo passo, come fosse organizzato, dalla vittima-soggetto della narrazione. Un filo tenue per un reportage in realtà, della Francia, dell’Europa, come è oggi, come Houellebecq la vede. Una volta creata con poco, il ricorso a uno degli antidepressivi oggi in gran spolvero, che inducono l’impotenza, una nicchia, un posto d’osservazione marginale, esterno, comodo, per l’osservatore-soggetto. Non un romanzo - o allora uno come ora usa, di narrazione documentaria.
Houellebecq capitalizza sulle proprie fobie, quelle riconosciute o coltivate, che ne fanno personaggio. Il suo narratore, scorretto per principio, fuma, beve, e procede tematico, per una serie di catilinarie come da scaletta. Il sesso - unico tema ricorrente, in tutti i modi (obbligato in Francia il successo vent’anni fa di Catherine Millet, già direttrice della Biennale d’arte di Parigi, con il racconto illustrato della sua vita sessuale di gruppo). La fine delle albicocche del Roussillon o dei formaggi di Normandia. Gli amori, uno a uno, storie di quello che è stato o avrebbe potuto essere. Il governo nazionale delle cose inesistente, quello europeo impotente. La “libertà di fumo” anch’essa è ritornante, contro “l’oppressione legale”. Una lunga serie di arrabbiature le prende da Cioran, dai pensieri di Cioran, dando loro forma narrativa: sul peccato, il futuro, gli ogm, il porno, le donne, i nerd. Da “perdente, quarantenne”. Contro Blanchot, la scrittura inedibile, e contro Laurent Bafie (Binet?), la scrittura facile.
Sempre felicemente scorretto, ma meno spiritoso. Da femminista antifemminista – qui sa di resa dei conti, anche cattiva: le uniche donne che salva sono le puttane, per la “generosità”. Da bio antibio. Da (sartriano) razzista antirazzista – disprezza le “identità”, quelle degli altri, dall’Olanda al Giappone, dal ministeriale al trafficante, dal cattolico al buddista, mentre lamenta la sparizione della Francia, dell’Europa. Da consumatore anticonsumista. Da antifranchista, perfino, franchista: il deragliamento inizia col genio di Franco, che ha creato i paradores – il restauro e riutilizzo degli edifici storici – per i turisti di lusso, e gli apiari di Benidorm e Torremolinos come seconde case per i macellai del Nord Europa. Dopo la Francia governata dal mussulmano, “Sottomissione”, la Francia - l’Europa - dei formaggi e le albicocche impossibili, come degli amori, scaduti a youporn. Una lettura che deve avere stancato i recensori – o Houellebecq è antipatico, essendo scorretto? – poiché nessuna lettura collima.
L’impotenza come una metafora della Francia, dell’Europa, dell’Occidente. Lo sguardo critico è di uno che si è voluto impotente e si è cancellato alla società, se non all’anagrafe. Giusto un amico torna a incontrare, di gioventù: un nobile che vuole preservare l’allevamento e l’agricoltura biologici, e per questo viene abbandonato dalla moglie e spogliato da banche e creditori, da cui il narratore si fa insegnare, sempre depresso ma d’un tratto volitivo, a sparare. C’è anche questo, una sorta di raptus trumpiano. In parallelo con un curioso straparlare – curioso per un autore solitamente controllato, misurato. E molto alcol, oltre che sesso, in ogni piega, fino al vecchio pastis. Un racconto forse da disappetente, più che da depresso.
Il tema non è semplice: è “la sparizione della libido occidentale”. Sotto il “catenaccio ideologico” della mondializzazione. E il personaggio non è antipatico, benché ci ripensi per quattrocento pagine. È contro le “dittature legali” – niente fumo, limiti di velocità “ridicoli”, 120 km\h, che sull’autostrada piatta e diritta inducono il sonno. Per il “turismo di charme”, con frigorifero fornito. Contro Daikichi Amano, il fotografo lutulento. Ma coltiva la bravura. Per liberarsi dalla compagna giapponese, che ha invitato da Parigi sulla Costa Brava in una colonia naturistica, scrive una frase di tre pagine. Bissata, a seguire, da due pagine per Franco, l’inno alla gloria – ironico ma non del tutto. 
Un Houellebecq sempre più identitario. Che annienta alla fine Proust e Thomas Mann, i giganti del secolo – il suo, il Novecento. Solo salvando Conan Doyle…: il più leggibile – page turner - “senza dubbio il migliore della storia letteraria mondiale”, ma “soprattuyto un animo nobile, di cuore sincero e buono”.   
Michel Houellebecq,
Michel Houellebecq, Serotonina, La Nave di Teseo, p. 332 € 19