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mercoledì 3 settembre 2008

Se la destra porta crisi - consolidare?

Si potrebbe ritenerla una maledizione - a meno che, questa è sfuggita all’antiberlusconismo, l’uomo non porti sfiga... Ogni volta che la destra stravince le elezioni per trasformare l’Italia, una crisi economica irrimediabile la ingessa. Nel 2001 fu l’11 settembre, ora la gelata finanziaria: il paese lavora poco, il denaro costa caro, e i conti pubblici saltano. L’effetto è già stato registrato con evidente soddisfazione dai giornali padronali, le trombe dell'opposizione: le entrate sono minori, le uscite maggiori, per gli interessi maggiorati sul debito, i conti sono già saltati.
Ma è pure vero che il governo di destra non fa quello per cui è stravotato: una decisa liberalizzazione. E un taglio reale alla spesa pubblica improduttiva. Sull’esempio magari della Spagna socialista, di Felipe Gonzales e ora di Zapatero. O della Gran Bretagna laburista. Quanta spesa improduttiva c’è nella sanità e nella scuola, ognuno lo constata giornalmente, i due maggiori canali di spesa. E negli appalti pubblici, che sono ormai principalmente tecniche di corruzione: l’appalto è solo l’inizio di una infinita revisione prezzi tra compari. Il metodo di dare una mancia a tutti non paga, anche perché è intenibile, vuole sempre più giri di vite o più tasse.
La crisi ricorrente è insomma anche l’esito di un governo di destra che fa la sinistra. Per dare magari ragione, seppure rovesciandolo, all’Avvocato Agnelli, che cinico sosteneva essere necessario un governo di sinistra per fare le cose di destra. Tra salvataggi, protezioni e stabilizzazioni, accrescendo la spesa pubblica invece di ridurla.
Consolidare il debito
Berlusconi, la bella copia di Gianni Letta, la permanenza democristiana al potere, non ha ricette. Ma non le ha neppure Tremonti, il socialista che è diventato leghista, cioè il modernizzatore per eccellenza. Il ministro dell’Economia ha tentato di scardinare l’Ue quattordici anni fa, con l’ausilio del ministro degli Esteri Martino, figlio del primo europeista italiano, Gaetano Martino, ma ha capito presto che la cosa non era possibile. Ha tentato il protezionismo nella secondo esperienza sette anni fa con la stucchevole polemica anti-Cina. Ora è senza parole. Ma prima o poi dovrà mettere mano a quelle che, malgrado tutte le riforme e le cessioni di sovranità europee, sono le incombenze tradizionali del ministro del Tesoro: le politiche del debito e monetarie.
Sono sedici anni che l’Italia sta col fiato sospeso, stretta al diaframma dal contenimento della spesa pubblica. Che è obiettivo necessario, ma irrangiungibile: l’Italia non avendo più il controllo della politica del cambio e monetaria, deve però pagare interessi onerosissimi. La politica del debito virtuosa è in una morsa asfissiante. Una qualche forma di consolidamento del debito era necessaria dopo la svalutazione disastrosa del 1992 e prima dell’euro. Ora è inevitabile, prima del soffocamento.

L'ottusità della Fortezza europa

Gli Stati Uniti, dopo avere prosperato con l’assets inflation, la straordinaria speculazione su titoli, derivati e immobili finanziata dai mutui facili, ne hanno scaricato l’insolvenza sull’Europa attraverso il dollaro debole, e se ne sono surrogati i mercati di esportazione. Gli Stati Uniti continuano a prosperare, l’Europa paga il conto.
Si può vederla così, come l’ennesimo sgambetto della perfida America del perfido Bush. Invece che come l’ottusità del governo monetario europeo e la stupidità dei suoi fondamentali. Il fatto però è certo, confermato dall’Ocse: la recessione, prevista e vagheggiata per gli Stati Uniti, si abbatte invece sull’Europa. Nessuno compra più i buoni prodotti tedeschi, la Germania non compra più dall’Italia, e così via.
La risposta al dubbio è nelle cose. C’è una grande area della globalizzazione, del commercio mondiale, ed è il dollaro. E c’è al suo interno un’area, l’Europa, che si ritiene più virtuosa, più solida, più protetta contro l’inflazione, la tassa dei poveri, più avanzata tecnicamente, insomma “più migliore”. Ma le cose non stanno così. Il dollaro offre talmente tanti vantaggi, in termini di grandezza del mercato, e di flessibilità e convenienza, o contenimento globale dei costi, da assorbire le spinte inflazionistiche della sua debolezza, specie sulle materie prime, e rilanciarsi. L’euro sovrano invece è una palla al piede, che imprigiona l’economia: se assorbe in parte l’inflazione del dollaro, lo fa al costo d’insterilire la produzione. Come uno che è virtuoso perché si è castrato.
È però vero in un certo senso che l’America vince la partita a scapito dell’Europa. L’America di Bush. Incapace in tutto l’arco della crisi politica, nel Libano-Palestina, in Irak, in Iran, in Afghanistan, in Pakistan, e contro il radicalismo islamico, l’America ha invece riuscito un capolavoro nella politica monetaria e dello sviluppo. Ma questo perché l’indigenza dell’aloofness europea non ha paragoni.

martedì 2 settembre 2008

Roll back anti-Nato, con multipolarismo

Si chiamava roll back la politica americana e della Nato, al tempo di John Foster Dulles e della guerra fredda, che doppiava il containment del comunismo con azioni di disturbo e di riconquista dov’era possibile, sovvertendo la spartizione postbellica in sfere d’influenza. Ora è la Nato a essere sottoposta a un intenso roll back, anche se da parte di un nemico composito, in tutti i fronti dove si è avventurata, quello islamico, dal Libano al Pakista, Iran e Iran inclusi, il Caucaso e il mar Nero, l’Afghanistan. Ovunque la Nato è in difficoltà. All’apparenza le difficoltà sono militari. Ma, data l’indiscussa superiorità Nato di mezzi e armi, la debolezza è politica e di progetto.
Se il nemico è composito il fronte è unico: è la leadership occidentale del mondo da vent’anni a questa parte. Che l’Occidente ha esercitato in solitario, forte del predominio militare e monetario. E per l’Occidente gli Usa, di cui l’Europa è a tutti gli effetti un compagno di merende. Finché si trattava di azioni di disturbo sulle retroguardie della Russia in ritirata, nei Balcani e alla frontiere storiche, e di bombardamento della sabbie irachene e afghane, l’Europa s’è illustrata, ora che la Russia si mostra riorganizzata, e gli uomini Nato sono scesi dall’elicottero, le schiere europee si rompono. Ma la partita principale si gioca, in Asia o ai suoi confini, tra gli Usa e le ex superpotenze.
La globalizzazione si decentra?
Russia e Cina hanno accettato per vent’anni l’egemonia americana, riconoscendo la sconfitta del comunismo. La Cina anzi se n’è fatto baluardo nella sua nuova proiezione mondiale e il suo nuovo “modello di sviluppo”, attraverso l’operosità e gli scambi. Ora qualcosa si sta modificando sotto l’egemonia americana. La rinuncia della Russia alla Wto, se non cambia quasi nulla degli scambi internazionali, potrebbe essere l’indicazione di una stagione conclusa, quella del libero scambio, o del condominio Usa-Cina sull’economia mondiale. E sicuramente avrà effetti sull’americanismo dell’Europa, la quale con la Russia deve convivere sotto tutti gli aspetti. Mentre parte il roll back della Russia alle sue frontiere contro l’aggressione Nato.
La Russia che snobba l’America, e anzi la sfida, insomma, apre una falla nel monolitismo della glogalizzazione, e potrebbe resuscitare la vecchia dottrina di Kissinger del multipolarismo – la dottrina americana che ebbe vita breve, nei quindici anni tra lo scacco del Vietnam e il crollo del comunismo. Altri soggetti stabilizzatori sono comunque necessari nell’arco della crisi, del radicalismo islamico (Libano, Israele, Irak, Iran, Afghanistan) di cui la Nato non sa venire a capo, e dell’ex Unione Sovietica.
Anche sul fronte monetario assetti diversi sono necessari. Per governare la globalizzazione, qualsiasi altra forma essa possa prendere dopo la crisi finanziaria euroamericana, stante il perdurante benign neglect del dollaro, che ne era il fondamento. Nuovi centri propulsori della globalizzazione sono nei fatti, il dollaro non basta più, e si riflettono nelle politiche. L’euro dovrà assumersi un ruolo, e lo yuan e lo yen potrebbero volerlo: la politica americana del dollaro debole accentua le incertezze e le oscillazioni, specie delle materie prime. Il ritorno dell’inflazione nell’ultimo biennio non ha altra ragione che la debolezza del dollaro, che prolungandosi ha sconfitto le difese delle monete forti, ora esse stesse causa d’inflazione. Non solo la Russia, anche l’Asia vorrà un suo ruolo, e l’Europa potrebbe esservi costretta.

L'Occidente li vuole belli, purché incapaci

La foto storica di Berlusconi e Gheddafi che chiudono la triste vicenda del colonialismo li vede bellissimi, ripresi dal loro angolo migliore se non ritoccati, e con almeno trent’anni di meno, senza rughe, senza pieghe, entrambi cotonati, anche se Gheddafi prudente tiene il capo coperto. Anche al contemporaneo vertice europeo, sembrava un defilé, ieri come del resto a ogni vertice europeo da qualche anno: c’è sempre il bellissimo Zapatero, con le sue belle ministre, i prestanti baltici dai nomi impossibili, il bello e atteggiato Brown, anche se politico incapace, l’ex bello Solana, e il ministro degli Esteri tedesco di cui nessuno sa il nome, anche se in età, ospitati da Sarkozy, che non dubita del suo fascino, e dal bello Kouchner che sempre si pettina. È, come tutto, una moda americana, la ragione principale per cui abbiamo avuto Clinton, e poi Bush, raddoppiato dall’inutile Rice, e avremo Obama.
Una volta dovevano essere saggi, e per questo un po’ arcigni. Quelli che vinsero la guerra, e poi il dopoguerra erano anzi decisamente brutti: Roosevelt, Churchill, lo stesso Stalin, de Gaulle, De Gasperi, Adenauer. Ora è il tempo della fitness e dell’immagine, l’Occidente i suoi buoni li vuole soprattutto belli. Anche in Italia: Rutelli e Veltroni, belli e aitanti, ancora non si capacitano perché perdono sempre, con uno che è basso, grasso, e col riportino.
Anche i greci antichi li volevano “belli-e-buoni”. Ma ora è diverso, non è necessario che siano intelligenti. È anzi meglio che siano incapaci, l’Occidente non si fida della politica. L’Occidente ne ha appena fatto le prove nel fatidico giorno di apertura dell’Olimpiade, con la Cina dei vegliardi politicanti che ha celebrato il suo trionfo, mentre il bello Saakashvili si prendeva due ceffoni da Putin – che si atteggia pure lui a bello-e-buono ma sappiamo che non è vero. È nell’irrilevanza della politica che l’Occidente pone oggi la sua superiorità.

Secondi pensieri (17)

zeulig

Coscienza – Si cambia, ma sempre per aggiunte al già noto, se non c’è il vizio di scaricarsi la coscienza. La quale, dice Freud, è “angoscia sociale”, e secondo Hamsun “fu inventata da quel vecchio maestro di ballo, Shakespeare”. S’impara anche a trent’anni, superata cioè l’età scolare. Anche ciò che è volatile. “La cosa al mondo più difficile da conservare è la coscienza”, Camus annota nel diario: “Di solito le circostanze vi si oppongono, che spingono alla dispersione”. Di solito la dispersione s’intende dell’io, con o senza la rima in Dio.

Coscienza di che? Anzitutto la coscienza si deve definire. Psiche fu a lungo vittima di Amore. O meglio, perseguitata da Venere e protetta da Amore. Per Venere intendendosi la materialità dell’atto, sesso era la femmina, sentimento il maschio. E Psiche chi è?

Locke forgiò e diffuse consciousness, per distinguere tra inconscio e consapevolezza, la misura della coscienza con la realtà. Sono catabasi, ecco cosa avveniva e ora non avviene più, se ne facevano sempre in antico, per trovare l’amore e ogni altra.

Per i ladri è la morte, nel Dictionnaire di Vidocq. Se non è lo Stato. Sempre Hegel afferma che “lo Stato è lo spirito che risiede nel mondo, e si realizza nel mondo attraverso la coscienza”. La coscienza anima della repressione. Per la tecnica, perché no, del flusso di coscienza, la letteratura del Novecento.
Del racconto senza interruzioni è maestra Vernon Lee, frasi di una pagina, modellate, senza ripetizioni né anacoluti, o soffi al cuore, un gioco d’incastri senza fatica. Il flusso di coscienza invece si vuole debordante. E dunque è la coscienza uno sciacquone?

Non è nel Vangelo, non c’è pentimento richiesto nel Vangelo, con la malinconia dell’esame di coscienza. Si facevano l’esame pitagorici, stoici ed epicurei. La chiesa lo imbarcò pare con la confessione obbligatoria del Concilio Lateranense II, quindi nel secolo dodicesimo – è con l’anno Mille che si forgia la chiesa (e l’Occidente) sessuofobica, colpevolista, autoritaria.

La compassione non è una virtù, dirà Kant. Né la compiacenza. Già Erasmo se lo diceva con Lutero. Ma, aggiungevano, l’esame di coscienza largamente restringe, o almeno modera, la na-turale turpitudine. Fare tesoro dei propri errori, dicono i maestri di scuola. Ma questa è la maniera d’essere, per tentativi ed errori, e non la lezione della storia. La storia dice che bisogna guardarsi poco indietro, una volta preso il passo, e senza supponenza, con semplicità, procedere.

Laicismo – Era la filiera “Mondo-Espresso-Repubblica”, dalla quale è stato dichiarato morto trenta’anni fa, in favore di Berlinguer e De Mita (le “subculture” comunista e confessionale). Dopo essere stato a lungo le leggi eversive per l’appropriazione della manomorta, con un po’ di teismo massonico, che s'intende sulfureo. Non è il radicalismo di Pannella: il laicismo non è eversivo, totalitario.
È l’approccio non prevenuto e curioso all’esistenza e agli altri. I primi e soli laici nell’Italia unita sono stati a lungo, fino ai popolari di Sturzo, i cattolici. Che il laicismo fangoso dei Savoia, ex clericali, lasciava ai margini.

Leggere - È viaggiare, si dice. Ma è operazione attiva e non passiva quale il viaggiare, leggere si può solo da fermi. È il panorama che cambia.

Marx - Sarà stato l’ultimo cappello europeo posto sul mondo. Più radicale a volte, sicuramente più esteso, della stessa rivoluzione francese, dei diritti dell’uomo e dell’individuo. Non tanto per i diritti della classe – ma l’invidia sociale conta – quanto per quello della giustizia, che è fortissimo. Ma si è lasciato manipolare dai russi. E l’Europa avrà trascinato all’ultima rovina.

Morale – La questione morale è l’arma decisiva per depotenziare la politica e sottrarla alla democrazia. In tutte le epoche - il controllo democratico è attivo in tutta la storia: da Cicerone-Catilina in poi, e evidentemente anche da prima. La questione morale è il paravento e l’arma del segreto.
A lungo è stata agitata dai liberali (“laici”) che non riconoscevano la democrazia. Ceti caratteristicamente arricchitisi non con l’impresa ma con la manomorta – l’esproprio e le soppressioni napoleoniche e risorgimentali – elevata a diritto: gli assertori e difensori del diritto di proprietà si sono imposti con l’appropriazione indebita.

Natura – In buona misura è umana.

Ottimismo - È energia nel malessere. È la ragione.

Pentimento – Statisticamente, i criminali sentono il bisogno di confessare. A chiunque, pare, qualsiasi cosa. Non di pentirsi dunque, o di punirsi, ma di raccontarla. Il pentimento è narrazione.

Come fatto attivo – denunciare, quindi giudicare – è in realtà non pentirsi. Il vero pentimento è autoannullamento – è la metafora della prigione.

Scritture – Sono sceneggiature. Non si leggono altrimenti, come una saga, per esempio, né sono libri profetici, o teologici, e nemmeno filosofici, e la storia che c’è vi è mascherata. Sono una serie di immagini, scene e persone in movimento: Giobbe, Abramo, Salomone, Noè, lo stesso Gesù e Maria nei Vangeli, non sono “comprensibili”, ma sono visibili, visibilissimi, e vivi, compagni di viaggio che abbiamo sempre avuto, di quella realtà complessa o umanità che il cinema sa riprodurre. Sono narrazioni, a scena scontornata, che si susseguono e si sovrappongono.
Non diversamente è nei sogni, a saperli, e volerli, ricostruire.

Scrivere – È esplorare. Più spesso con le fattezze malaticce di un Livingstone, o con l’avidità di un Colombo, di uno Stanley, ma con curiosità inesauribile. Magari sull’uscio di casa, se non dentro, ma con fantasia. Ogni esplorazione è una creazione dell’esplorato.

Il fatto è che, per non essere immortali, ci siamo abituati a storie con un fine, a cui tutto corre, e questo fa il disadattamento dell’occidentale. Si dice che sia per il razionalismo, ma è per una narrativa distorta, costruita. Come quella di Gide, che ha scritto la sua Resistenza, nel “Diario”, dopo i fatti, tacendo che il “Diario” era stato già pubblicato nella rivista di Drieu La Rochelle – e nessuno glielo rimprovera: Gide può non essere onesto. Le virgole sono essenziali alla storia, sia alla scrittura che al senso. È spostando le virgole al libro di “Daniele”, spiegò famosamente Lutero, che i rabbini escludono e irridono il Cristo. Virgole e citazioni sono insidiose non solo nei testi sacri, necessariamente vaghi. Lo stesso l’uso della congiunzione. In certe traduzioni della Bibbia, o dal tedesco, non si sa se una persona è vissuta due volte, cinque anni e cento anni, oppure centocinque anni. Lo scrittore dev’essere incompleto.
Dickens voleva creare una nuova forma narrativa, il superromanzo, che sarebbe consistito di diversi romanzi intrecciati. Ma un romanzo è già un intreccio, più o meno forzato. Bisogna adottare la calligrafia cinese, della storia come viene, meglio rispondente al suo carattere fluviale, i caratteri si modulano dopo, con le vicende. E pur non possedendo i linguaggi, quello della musica per esempio, si può avere l’orecchio assoluto, per esempio per la musica delle idee. Non per gli echi, i ritmi, le assonanze, le consonanze, ancorché melodiche, della retorica, ma per la capacità evocativa che alcuni scrittori hanno, anche dissonante. Montaigne per esempio, che, ragionando, è filosofo di trivialità, fa musica interminabile, per fughe, contrappunti, danze popolari, apre valli e colline. Shakespeare è un altro, rispetto all’eccessivismo elisabettiano, che mette in versi l’incredulità barocca, per le idee che ingenera a ogni immagine. Anche Dante a una dizione: senza le note erudite è pieno di risonanze.
C’è in inglese una funzione e una parola che non c’è o non usa in italiano, il dimmer. Che, venendo da dim, dovrebbe evocare l’idea di pallido, indistinto, oscuro per luce insufficiente o percezione insufficiente, ma è in realtà uno strumento che adatta la luce, dal faro solare all’ombra, giusto quel grado che è necessario, per un’esigenza di risparmio e di uso ottimale dell’energia, evitando gli sprechi della luce costante, e l’intromettenza. Un narrante che non sia io e non sia terzo – i quali, si sa, sono falsi – e non sia sempre uguale, impostato come un cantante d’opera, oppure umile ma ripetitivo, costante in qualsiasi evento o piega della narrazione. Che sia invece modulabile, umile se si vuole ma per esigenza e non per ruolo, o stentoreo.

zeulig@gmail.com

Ombre - 4

Epifani per l’Alitalia detta le condizioni, sul “Corriere della sera” di oggi. A un’azienda che è
fallita, economicamente e tecnicamente, e che non fa esuberi ma chiede il salvataggio.
Può darsi che si un riflesso della vecchia Cgil, dei vecchi tempi. Ma sono ormai passati trenta e più anni, da quando il salario era una variabile indipendente. No, il segretario della Cgil gioca all’anti-Berlusconi, e così è giocato dal giornale – “io sono più bravo, Berlusconi è un cretino”. Che è l’unica cosa che la sinistra vedova evidentemente sa dire. Non si capisce altrimenti perché tanta incapacità.
È anche una conferma, purtroppo, che il sindacato è inesistente, se il leader della Cgil sa solo fare il “napoletano”, con tanto rumore, tammurriate, capriole, e occupazioni di suolo pubblico.

Paginate sui maggiori giornali, anche due e tre, sulla governance di Mediobanca, sui dissidi non detti tra il management e gli azionisti, tra Nagel e Geronzi. Che malinconiche non interessano a nessuno, anche il non detto: Mediobanca non fa più paura. Si scioglie l’equivoco Cuccia. Del patrimonio di Mediobanca e Cuccia solo Generali resistono. Anche perché la loro storia negli ultimi dieci anni si è allontanata dal patrocinio milanese. Le altre curatele di Cuccia-Mediobanca sono finite in clamorosi e costosi fallimenti, dalla Olivetti del post-Adriano e di De Benedetti a Montedison a Gemina-Rcs. La Fiat, che per un trentennio si è barcamenata “facendo” i bilanci, per le arti di Romiti, poulain di Cuccia, una volta libera dall’asse Avvocato-Mediobanca, è tornata una casa automobilistica che sa stare sul mercato - a opera di un manager, peraltro, che niente sapeva di automobili: bastava così poco?

Un’Associazione Culturale Epizephyri Onlus di Locri spende in pubblicità mezza pagina del “Sole” di domenica per comunicare che premierà a Palermo col Pinax d’argento Vincenzo Consolo, nonché con una borsa di studio il migliore allievo dei licei classici, scientifici e artistici di Palermo e provincia e di quelli di Trapani. “Una scelta quest’ultima”, dice la pubblicità, “non casuale ma dettata dalla voglia di «omaggiare» il dott. Giuseppe Gualtieri, calabrese, che con le sue brillanti operazioni in terra siciliana si è conquistato sul campo il grado di Questore” – di Trapani?
Il tutto in prosa postsovietica, col presidente onorevole avvocato, il vice presidente dottor ingegnere, eccetera. A conferma che le due subculture al Sud e all’Est, sono purtroppo simili, e entrambe sono burocratiche. Ma poiché la mezza pagina del “Sole” costa almeno ventimila euro, uno non può che invidiare tanti mezzi. A Palermo saranno anche distribuiti ai dirigenti scolastici e agli studenti i libri “Fratelli di sangue2 e “Il grande inganno”, del magistrato Nicola Gratteri, teorico del tutto ‘ndrangheta e Locri e dintorni. E questo effettivamente va a diffusione della cultura.

Carlo Maria Martini telefona da Gerusalemme, dove si è ritirato malato e in contemplazione, all’“Unità” per congratularsi con la direttrice De Gregorio. È un vecchio lettore del giornale? Ma è stato cardinale a lungo, papabile, e si è dimesso da tempo per l’età e i connessi limiti.

“Se la sono cercata”, dice il sindaco Alemanno dei poveri olandesi in bicicletta violentati a Roma. Come Prodi dei rifiuti in Campania, Scajola di Biagi, i leghisti di chiunque. È il segno più evidente della mediocrità della classe politica che ha preso il potere nel 1992: la colpa è degli altri.

Shevchenko, calciatore cresciuto a livelli mondali con il Milan, di cui è un po’ la bandiera, decide per motivi familiari di trasferirsi a Londra, al Chelsea. Dove, per motivi tattici, benché atleta integro e serio, non gioca. Dopo un paio d’anni d’inattività, costosa per il Chelsea, chiede di poter tornare al Milan, o comunque andare in una squadra dove possa giocare. Ma questo per il Chelsea non è possibile. Per consentirgli di giocare deve intervenire il capo del governo italiano.
È tutta qui l’immoralità del calcio, non c’è bisogno d’intercettazioni o antidoping: la distruzione degli atleti. Per nessuna ragione – quelle ventilate sono anche peggio: il Milan concorrente del Chelsea, o l’atleta ucraino perseguitato dal padrone russo.

La ministra dell’Istruzione Gelmini, nel mentre che dissolve l’università italiana in favore di quella confessionale, dice una cosa giusta: che la scuola al Sud non è formativa. Per questo è sommersa dalle critiche e deve fare marcia indietro. Prepotenza del Sud? Stupidità? È anche un diversivo: la ministra marcia avanti nel suo programma, tanto del Sud a chi gliene frega?

Per un mese un articolo di “Newsweek” favorevole a Berlsuconi ha tenuto occupati i maggiori giornali italiani, compresi “Il Sole 24 Ore” e “L’Unità”. E ancora non basta: nell’ultima settimana di agosto “L’Unità” ci è tornata su, “Repubblica” e il “Corriere” ci sono tornati su, mentre Enrico Letta del Pd si annette l’autore dell’articolo, Jacopo Barigazzi. Chiedendo di mettere fine al “provincialismo”.
Per fortuna, è aria fritta tra cervelli fritti – in Italia come si sa non ci sono vere tragedie ma “tragediatori”, attori che mimano. Prendendo la vicenda sul serio, ci sarebbe il fascismo di questa assurda sinistra, di che impensierire la pia “Famiglia Cristiana”. O la mafiosità: i Furio Colombo in veste di Totò Riina, che mette in guardia ogni atro corrispondente o collaboratore di testata straniera.

Il Ros di Reggio Calabria, nella persona del colonnello Valerio Giardina, fa un’indagine sulla gestione dei beni confiscati alla mafia, che ritiene carente o omissiva. Buon numero di amministratori e politici della provincia di Reggio Calabria, di centro, di sinistra e di destra, apprendono dal quotidiano “Calabria Ora”, nel quale l’indagine si pubblica, di essere iscritti nel registro degli indagati. Il Procuratore Capo di Reggio Calabria Pignatone si limita a precisare che si stanno valutando le posizioni caso per caso. È così che si fa la lotta alla mafia?