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sabato 12 dicembre 2015

Ecobusiness a Parigi

Inverosimili copricapi d’inverosimili capi indiani e vecchi beatnik col codino declinano la morte del pianeta a Parigi. Ma la kermesse non è stata di parata, dietro il folklore c’è un business solido. E oggi sono tutti contenti coi cento miliardi da spendere nei paesi del “Terzo mondo” – a Parigi c’è ancora il Terzo mondo…
La morte del pianeta sarebbe evitata nell’immediato, e di colpo, abolendo il motore a scoppio: basterebbe l’idrogeno, o altra miscela non fossile, e l’aria torna subito pulita, il surriscaldamento stpopato. Ma questo non era in agenda, non si fanno ricerche di combustibili alternativi. Si investe – soldi pubblici – per ridurre le emissioni nocive dopo averle prodotte e non per evitarne la produzione. Il resto – la deforestazione, le mascherine, etc. - serve a duper le bourgeois, sempre tenero di cuore, perché apra il portafoglio contento.
Gli obiettivi restano vaghi, gli impegni imprecisi, tutto ciò che serve è creare un po’ di panico che giustifichi presso l’opinione pubblica l’impegno di ingenti risorse pubbliche per il business. Obama lo ha detto all’apertura: “Mostriamo agli affari e agli investitori che l’economia globale è sul cammino stabile per un futuro a basso carbonio. Ci sono centinaia di miliardi di dollari pronti all’uso in giro per il mondo se avranno il segnale che abbiamo intenzioni serie. Mandiamo quel segnale”. Era questo il messaggio del primo presidente americano che lanciò l’industria dell’antinquinamento: Nixon, appena eletto, fine 1968.
A Obama ha fatto eco il giorno dopo Ban-ki-moon, il segretario dell’Onu: “Affari e investitori si aspettano un forte accordo a Parigi che mandi al mercato i giusti segnali”. E il segretario di Stato Kerry il giorno successivo: “Quello che stiamo facendo è mandare al mercato un segnale straordinario”.

Recessione – 44

Ancora brutte notizie:
Il pil rallenta, la crescita sarà dello 0,7 e non dello 0,9 per cento – poi l’Istat ha detto dello 0,8, ma con tendenza allo 0,7.

Dal 2012 al 2014 il calo del reddito familiare, nell’indagine della Banca d’Italia, è stato dello 0,2 per cento. Minimo, ma ancora attivo. Anche per il 2015 il reddito familiare del campione, 8 mila famiglie, subisce un’erosione. 

Ma il reddito reale è diminuito molto di più, come ognuno può constatare, sia lavoratore o pensionato o redditiero. Seppure in un equiibrio dei prezzi detto di deflazione. Tra il 2006 e il 212 la caduta del reddito familiare è calcolata da Banca dItalia al 15 per cento

Continua ad aumentare la quota di individui “a basso reddito”  - a fine 2014 al 22,3 per cento. Sono in questa categoria le persone con un reddito inferiore a 800 euro al mese.

Vanno meglio i pensionati-pensionabili, peggio i giovani: “In termini reali, la ricchezza media delle famiglie con capofamiglia tra i 18 e i 34 anni è meno della metà di quella registrata nel 1995”, vent’anni fa. “Mentre quella con capofamiglia di almeno 65 anni è aumentata di circa il 60 per cento”. Ma in riduzione anch’essa nell’ultimo quinquennio.

Si moltiplicano a Roma le piazze vuote, quella aperte dall’ex sindaco Marino nella sua forse ingenua ecologia – si sgombrano le piazze delle macchine per aprirle in al commercio.  Bar, ristoranti e atri esercii non le occupano, gli affari sono in netto calo.

Ma quelli dei call center che chiamano due e tre volte al giorno per conto di Telecom sono occupati o disoccupati?

Sotto la pelle, Boccaccio a Napoli

Si può dire Malaparte, nazionalista e molto fascista, un disfattista. Sono suo i tre libri in assoluto più disfattissti delle guerre italiane, “La rivolta dei santi maledetti”, “Kaputt” e “La pelle”. Da “antitaliano”, il prototipo. Ma questi racconti della “Pelle”, riletti, sono poco politici e non antitaliani. Non compassionevoli e anzi oltraggiosi, la prima Napoli ferita a morte, subito, alla Liberazione. Vissuta come una peste. Un decameroncino obbrobrioso, di turpitudini. Allora. Che oggi fanno sorridere.
Liliana Cavani, che ne fece il film nel 1981, trovava “La pelle” veritiera e per nulla grottesco e volutamente oscena, spregiativamente. Ma alla rilettura resta solo il divertimento. Tutti si vendono o sono venduti, donne, ragazze, bambini, adulti. Ma niente di tragico. Nemmeno di drammatico. Una sorta di umorismo ubuesco, anche nelle fanfaronate da piccolo spaccone, la familiarità col generale Clark, eccetera. Da unico italiano, quasi, che marcia con l’esercirto liberatore, “dal 1943 al 1945”.
Malaparte scrive “La pelle” dopo il successo di “Kaputt”, nella stessa vena, seppure ambientato alla Boccaccio attorno alla “peste”, figurata e non, e in una Napoli che per Malaparete è sempre lo sfondo di Boccaccio, non inconsapevolmente. Solo che gli aneddoti non sono sorridenti, ma tristemente osceni e forse disperati. Di uno scrittore che voleva esere un protagonista e quasi un capopolo, e alla fne si ritrova solo brillante. Mentre prapara un volume di polemica “antipretesca, antiborbonica, antinazionale”, che vorrebbe imporre all’editore col titolo “Batticulo” – poi sarà “Battibecco”.
È la riedizione Adelphi del 2010 nei tascabili. Con una nota al testo dei curatori, Caterrina Guagni e Giorgio Pinotti, che è un altro racconto: di un dopoguerra in cui nulla è cambiato, senza soluzione di continuità, anche se ci sono stati una guera civile, una guera perduta e il fascismo. È su questa tela di fondo, forse, che i racconti di Malaparte si rileggono surreali, volutamente eccessivi: è successo qualcosa?
Curzio Malaparte, La pelle, Adelphi pp. 369 € 13

venerdì 11 dicembre 2015

L’Europa vincolo ostile

Intervistato da Daniele Manca, il direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, traccia un’Europa al di sotto di ogni sospetto. Balorda più che rigorosa. Senza attaccarla, semplicemente mostrando cosa è divenuta. Le banche in crisi? L’“Europa” ha proposto tre alternative: 1) farle fallire, uno sproposito, 2) salvarle privatamente, ma esponendo l’Italia a una causa (procedura) per illegalità; 3) salvarle con aiuti pubblici, ma esponendo l’Italia a una multa di eguale ammontare.
Poiché altri paesi hanno salvato banche per 250 miliardi di euro, e non per 350 milioni, è però evidente che questa Europa solo in Italia è temibile. Questo per effetto di un certo tipo di informazione, che ipostatizza “Bruxelles” come un potere ordinante  incontestabile. Ma questa Europa è quella che l’Italia democristiana ha teorizzato come “vincolo esterno”. Anche la Banca d’Italia: da Carli fino a Ciampi e Draghi, e ora a Rossi. La burocrazia può essere confusionaria e incapace ma non è ostile. La Commissione di Bruxelles siamo noi.

Fisco, appalti, abusi (80)

Operazione chiaramente in dumping, quella dei supermercati 24 ore. Localizzati in centri commerciali, vaste superficie, per le quali bisogna spendere molto per la vigilanza, parcheggi inclusi, l’illuminazione, gli straordinari notturni.  A fronte di vendite irrisorie. Ma per mettere fuori gioco piccolo commercio e autonomi. Una liberalizzazione oligopolista.

Si fanno firmare diecine di volte diecine di fogli illeggibili in banca per la sottoscrizione di un fondo o di obbligazioni subordinate. Senza specificare i costi, in commissioni, spese, deposito. Con questo solo fine: mettere in parallelo un profilo utente che non combacerà mai col profilo di rischio della sottoscrizione, per quanto questa sia a reddito zero e anzi negativo, considerati i costi ricorrenti, per poi per argomentare, come sta succedendo per le banche fallite, se il profilo investitore e l’attestato di rischio della sottoscrizione non combaciano, che la colpa è del risparmiatore in negligendo. E per esimere la banca da qualsiasi responsabilità perché vi dichiara in anticipo che è in conflitto d’interessi.
L’imbroglio è legale, con l’approvazione delle varie Autorità, del risparmio, della privacy, della vigilanza bancaria, della magistratura.
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Piazza di Spagna a Roma è recintata e chiusa da due mesi per un restauro di cui non c’era bisogno e di cui non si vede traccia. Senza nemmeno un cartello indicatore: non si sa a opera di chi e a che fine. Una enorme struttura nuda, transennata e variamente ricoperta di “opere provvisionali”. L’appalto è di queste opere provvisionali, l’affitto di qualche tubo innocenti e trave di legno?

Il commissario al Comune di Roma blocca la circolazione per i mezzi privati a causa dello smog il giorno in cui scioperano i mezzi pubblici. Con la ztl chiusa, al contrario della norma che la prescrive aperta i giorni di sciopero di mezzi pubblici. Con segnalatore spento, per moltiplicare le multe. Senza peraltro un vigile per strada.  

Il commissario al Comune di Roma Tronca si era appena insediato, i suoi subcommissari non avevano ancora assunto le loro competenze, ma già nei quartieri di periferia era riapparso l’aggiustatore, il vecchio signore delle tessere, un politico-avvocato-ragioniere-mediatore, che gratuitamente media e facilita le pratiche. Assistenza, sussistenza, sanità, accompagno, Inps, social card.

Sono alcuni anni che la Juventus, la squadra di calcio quotata in Borsa, fa il record degli incidenti muscolari tra i suoi atleti. Colpa del centro sportivo di Vinovo, che è troppo umido. Ma questo non si dice, in colpa è la preparazione atletica, l’uso sbagliato degli atleti in gara, l’alenatore. Come fanno i bilanci le squadre di calcio quotate in Borsa?

Letture - 238

letterautore

Dante – È stato all’Indice dei libri proibiti dalla chiesa, col “De Monarchia”, prontamente nel 1559, appena l’Indice fu creato a Roma da Paolo IV – ma già era all’Indice a Venezia, a Parma, in Spagna, e in generale da sempre sospetto a canonisti e teologi. E c’è rimasto fino a recente, fino all’abolizione dell’Indice stesso. Prima dell’abolizione c’era stata una riabilitazione del “De Monarchia”, ma senza la cancellazione del libro dall’Indice. L’aveva pronunciata il papa Benedetto XV nel 1921, anno dantesco, per i seicento anni dalla morte. E a fine 1965, altro anno dantesco, dopo la conclusione del Concilio Ecumenico, da Paolo VI, con contorta prudenza.
L’Indice ha lambito anche la prima cantica della “Commedia”, l’“Inferno”. Non direttamente, e tuttavia insistentemente. Mettedo all’Indice vari saggi che trattavano dell’“Inferno” - tra essi “La commedia illustrata” di Ugo Foscolo, pubblicata a Londra nel 1825. E con qualche ombra sul canto IV, il castello degli “spiriti magni” del passato classico nel limbo.

È un imperialista repubblicano. Nella “Commedia” e nel “De Monarchia”. Con lodi perfino esagerate di Catone, il grande oppositore di Cesare nel nome della patria repubblicana, ma senza condannare Cesare. Di cui anzi Giustiniano nel “Paradiso” tesserà l’elogio – dopo esse4rfsi presentato quale “Cesare fui e son Giustiniano”. Come un prima e un dopo, ma non in antitesi, anche se si sono combattuti.
Una concezione politica apparentemente bislacca: la società e la storia repubblicane che preparano l’impero. Ma non superficiale: il tema dell’unità (impero), dello stato o nazione mondiale, era stato e sarà oggetto di molte utopie.

D’Arrigo – Il suo opus di una vita, “Horcynus Orca”, concepisce come un nostos, il ritorno. Nella dedica alla riedizione, nello “Specchio” Mondadori, 1978, della raccolta poetica “Codice siciliano”: “A Jutta\ da questo lontano principio\ del nostos horcyniano”. Da “siciliano emigrato”, sia pure solo a Roma, Un richiamo di fonemi, odori, sapori, luci, venti, miti, così in effetti si potrebbe leggere “Horcynus Orca” - “In sogno volo\ sul mare ventilato dalla luna”.

Lettura  - “Aborro quasi tutto ciò che leggo”, Leibniz ebbe a scrivere a un amico. E non viveva in questo millennio. Può essere esercizio faticoso.

Mogli – Anche Kurt Vonnegut era sua moglie, l’intrepida Jane, rivela il “New Yorker. Da cui forse per questo lo scrittore poi si separò. Dopo il successo, a lungo cercato senza esito, finché Jane non s’inventò la formula narrativa del “Mattatoio n.5”. Ginger Strand, cui si deve “The Brothers Vonnegut: Science and Fiction in the House of Magic”, cultrice quindi della materia, spiega che Vonnegut fu infine  scrittore con e grazie a Jane. Specie per il suo primo coinvolgente racconto, il “Mattatoio”.  Jane è anche la Alice di “Slapstick – Alice storica era la sorella di Vonnegut, di cui Jane e Kurt adottarono i quattro figli alla morte prematura, in aggiunta ai tre che già avevano - la “troppa famiglia” portò subito dopo Kurt all’allontanamento da Jane fino al divorzio.

Mussolini imperatore È opera satirica di Marco Ramperti, futurista, fascista, benché sarcastico con gli “intellettuali di regime”, e repubblichino, fino alla condanna per collaborazionismo – sedici anni (non espiati grazie all’amnistia di Togliatti qualche mese dopo). Opera del 1950. Contro Mussolini – “mai avuto amor pel dittatatore  d’Italia” - e contro i converiti all’antifascismo dopo la Liberazione.

Dopo l’amnistia, Ramperti poteva fare il giornalista per Rizzoli, ma scelse di vivere barbone alla stazione Trmrini, vendendo sigarette di contrabbando.


Napoleone – Non ha avuto buona stampa, eccetto che in vita. Né celebrazioni: gli scrittori che più lo ammirarono, in un secondo momento si sono pentiti. Stendhal si provò più volte a scriverne la vita, anche per ragioni di bilancio, nella Restaurazione il genere andava, ma no se la sentì. Lo ammirava in vita, ma poi ebbe qualche ripensamento. Manzoni ne fu entusiasta, nel quadro del suo francesismo di gioventù. Il “Cinque Maggio” non pubblicò per non insospettire gli austriaci a Milano, e poi lo fece sotto pseudonimo, tanto lo riteneva elogiativo. Ma già al tempo dei secondi “Promessi sposi”, 1840, se ne era deluso: non un liberale né un rivoluzionario, solo un generale della “guerra lampo”, si sarebbe detto poi. E lo accomuna a  Cesare, che non ha in simpatia, come tutti i dittatori.  Tostòj lo ridimensiona già mentre ne scrive, nei quattro-cinque anni di gestazione di “Guerra e pace”. I grandi letterati, arrivati a lui sul’onda del’entusiasmo popolare, finivano per scoprirne le debolezze. 

Pasolini  - Non ci sono stati studi per il quarantennale, tra i tanti che ingombrano le librerie, e non si pubblicano ricordi e ricostruzioni (per esempio “Come non ci si difende dai ricordi” di Nico Naldini), sulla sessualità di Pasolini, che pure  ebbe tanto peso nella sua vita e lo ha nell’opera. Una sessualità ossessiva ma limitata a rapporti a pagamento. Che peraltro sembra esaurire tutta la carica erotica: niente amori, niente amicizie.  Con una distinta propensione sadica da ultimo, come rifiuto (vergogna, peccato) della sessualità stessa, ridotta a potere, nei film “Salò Sade” e nel progettato “Porno-Teo-Kolossal”.

Salò-Sade” fa una parodia del nazismo, della forza come castrazione, della degradazione dei giovani e del corpo, che però ne è un elogio. Violento. Al modo, tolta la merda, di Leni Riefenstahl, che è proibito vedere: le vittime fa bei santi Sebastiani, mentre il nazismo era feroce, con i deboli. E gioca con la magia, intima al nazismo, il numero quattro che ha preso da Zolla innocente, il simbolo della croce. Monumentale prospettando come sacrale, altro nazismo.  E turgori che solo si animano tra cuoio e misteri. Per l’assonanza Salò-salaud, da dannunziano modesto? Ma c’è compiacimento.

Verosimiglianza – “Uno sguardo dal ponte”, sia al cinema che in teatro, anche nella ripersa in corso a Roma, “aggiornata”, è storia improbabile. Anche quando è molto ben recitata, sia nel film di Sidney Lumet sia in questa rappresentazione di De Capitani. Improbabile un dramma centrato sulla gelosia di un portuale italo-americano verso i giovani immigrati suoi ospiti. Geloso del rapporto di uno di essi con la sua giovane nipote, che sospetta inteso strumentalmente, per ottenere la cittadinanza americana. Una gelosia talmente acuta da restarne vittima. E tuttavia Arthur Miler si è basato un fatto di cronaca.

leterautore@antiit.eu

Il romanzo freddo di Darwin

Un’avventura, anche questa, ma fredda. Da manuale scolastico, del darwinismo: “Questi sono i nostri antenati, e la loro storia è la nostra storia. Ricorda che, come sicuramente un giorno siamo scesi dall’albero e abbiamo camminato eretti, con la stessa certezza, molto tempo prima, abbiamo strisciato fuori dal mare e affrontato la nostra prima avventura sulla terra”.Con una presentazione molto accurata, una sorta di sacra rappresentazione laica del catechismo darwinistico. Di un Jack London trentenne, nel 1906, ma già famoso con le avventure della foresta – “Prima di Adamo” uscì a fogliettone, nell’“Everybody’s Magazine”, nel 1906-907. Un ragazzo si fa raccontare, come in sogno, da un alter ego umanoide, Orecchio Pendente, il passaggio dal popolo delle Caverne al popolo del Fuoco, fra tranelli e violenze, e poi dal popolo del Fuoco al popolo degli Alberi. Una lotta per la sopravivenza in cui vince il più evoluto, a mezzo dello sterminio. Un darwinismo po’ terrificante, dopo gli stermini recenti.
Jack London, Prima di Adamo, Leone, pp. 160 € 12
In lingua originale free online

giovedì 10 dicembre 2015

Contro l’Is sunnita ribaltamento delle alleanze

Dentro la Russia e l’Iran, fuori, se necessario, le petromonarchie del Golfo, con la Turchia di Erdogan  C’è qualcosa di drammatico nell’annuncio americano della guerra all’Is, che i mercati hanno recepito immediatamente: non è una guerra contro una guerriglia, per quanto munita, è un diverso schieramento internazionale, e quasi un rovesciamento delle alleanza stabilite da lungo corso. Su questo presupposto: la crociata sunnita che i re e regnicoli della penisola arabica hanno alimentato, e Obama ha finora sostenuto, non funziona ed è pericolosa. È la presa d’atto che l’Is non è una banda di guerriglieri ma uno schieramento e una politica, come tutto da tempo indica, finanziamenti, armamento, comunicazione.
L’annuncio americano è sicuramente di una svolta. Il “discorso importante” fatto attendere dalla presidenza per tutta la domenica. Il tono e l’occasione solenni scelti dal ministro della Difesa Ashton Carter per dirlo al Congresso. E la reazione molto negativa dei mercati, appunto, per gran parte  alimentati dalle petromonarchie. Più di un segnale concorre a definire la scelta di Obama una svolta. L’attivismo sunnita avendo creato scompensi rischiosi nel Medio Oriente, Turchia inclusa, e il Nord Africa, e un terrorismo inaccettabile in Europa e in America.
Le ragioni per una svolta sarebbero economiche, oltre che politiche. La decisione saudita di ridurre i prezzi inondando il mercato di petrolio, al fine di conservare le quote del mercato stesso, ha messo in difficoltà la Russia e gli Usa – l’importante industria del petrolio da scisti bituminosi, che avrebbe dovuto dare l’autonomia energetica al Nord America. I petrodollari, che da quarant’anni sono un pilastro dei mercati finanziari mondiali, non avrebbero più lo stesso peso a fronte della crescita asiatica, e della convertibilità dello yuan cinese – i capitali arabi hanno un peso rapidamente  decrescente nella finanza globale

I mercati finanziari hanno reagito all’annuncio con quattro giorni di flessione. Pur in presenza di dati monetari espansivi: la Bce ha ridotto i tassi, la Fed non ha pratica l’annunciato aumento. Il semicrollo si ritiene l’effetto dei timori di sganciamento politico in Europa e negli Usa dalle petromonarchie.

Il falso problema Assad

La coalizione anti-Is non prende corpo attorno a Assad: si ha bisogno della Siria, come logistica e hinterland di manovra, ma senza Assad. Razionalmente, sarebbe un modo come un altro per dire: non vogliamo la coalizione – quando si fa la guerra s’imbarcano gli alleati, se utili o necessari, non si scelgono. Di fatto, è uno dei tanti segni della confusione pre e post-attentati, in Europa e negli Usa.
La persona di Assad non conta niente: comunque vada a finire per lui è già finita. Resta come garante delle forze antidivisione della Siria e antisunnizzazione della Siria stessa. Con i soldi e sotto la ferula saudita. Che la Siria guata come porta alla sunnizzazione del Libano, contro la minoranza cristiana e la maggioranza sciita. Di cui farsi una Svizzera araba, più a portata di mano che Ginevra, Londra, Montecarlo e Marbella, non più cristiana ma sunnita.
Attorno a Assad resta quel poco che resta del partito delle forze armate che ha governato la Siria per
sessant’anni. Che volentieri, se riuscirà a sconfiggere il temibile Is, farà a meno di Assad – Assad non è altro che il segno del bonapartismo siriano.

Ritorno al bonapartismo

In Libia e in Siria, come già in Egitto, si cerca un generale - un risolutore. E se necessario anche in Irak, se il regime eletto non sarà in grado, come sembra, di superare le sue divisioni paralizzanti, le fazioni etniche, religiose, e tribali.
Dopo le primavere arabe, si torna al regime politico paramilitare che ha stabilizzato il Medio Oriente per mezzo secolo, a partire dal nasserismo in Egitto, 1954-1956 - e prima ancora del kemalismo in Turchia, la prima modernizzazione di un paese islamico. In assenza di una forza politica affidabile, si cerca nelle forze armate il fulcro di uno Stato in grado di contenere le spinte faziose e imporre la modernizzazione politica dell’islam stesso.
Non ce n’è una dottrina, ma le coalizioni per la Siria e la Libia si muovono in questa prospettiva. Non c’è altra soluzione che militare, e non c’è all’interno una forza politica su cui fare affidamento. Obama, che è all’origine del rigetto del bonapartismo in favore delle primavere, accede al ritorno al bonapartismo nel momento in cui fa dichiarare dal Pentagono la guerra necessaria. Il rinnovato intervento Usa in Irak va anch’esso in questa prospettiva, benché legato per la facciata a un invito del governo iracheno. 

L’islam fa paura all’ortodossia

La Russia ha lunghi tratti di frontiera con popolazioni e stati islamici: lo sterminato Kazakistan nella parte asiatica, l’Azerbaigian nel Caucaso, la Turchia nel Mar Nero, l’Iran e il Turkmenistan sul Caspio. Una frontiera che nella sua storia recepisce come aggressiva. E ha al suo interno la più alta percentuale di popolazione islamica dell’Europa: fra l’8 e il 16 per cento, a seconda delle stime, fra dieci e venti milioni di praticanti.

L’ortodossia per lunga esperienza, prima e dopo la caduta di Costantinopoli, non gingilla con l’islam come fa il Vaticano col dialogo delle fedi (sorde). Sia quella russa che quella greca. Il fiato dell’islam avendolo sempre avuto sul collo, non misericordioso. 

Problemi di base - 256

spock

Pensare è essere (Heidegger)?

Pensare è una tragedia greca (id.)?

Tutto quello che inventiamo è vero (Flaubert)?

Tutti vedono la differenza tra bene e male, ma alcuni agiscono male (Kant)?

O non lo diceva Petrarca: “Veggio ‘l meglio et al peggior m’appiglio”?

Oppure Ovidio: “Video meliora, proboque, deteriora sequor”?

E poi l’Orlando innamorato: “Io vedo il meglio ed al peggio m’appiglio”?

Non lo dirà anche Foscolo: “Conosco il meglio ed al peggior mi appiglio”?

I mussulmani non potrebbero aspettare qualche annetto, se tra due generazioni ci saranno solo loro in Europa?

spock@antiit.eu

Renzi alla sfida con la Ue, e la Banca d’Italia

Palazzo Chigi fibrilla, la sfida di Salvini  è temuta (“l’Etruria ha pagato la Leopolda?”), i 10 mila obbligazionisti subordinati montano a  forza schiacciante. All’improvviso, quello che sembrava un problema secondario, il salvataggio delle quattro banche commissariate, è cresciuto tra i collaboratori di Renzi a boomerang politico di prima grandezza. Tanto più per l’accostamento, che non mancherà, della famiglia Boschi a una delle banche salvate, l’Etruria.
Si fa anche un calcolo dei costi. Gli obbligazionisti subordinati, quelli che perdono tutto senza averci nessuna colpa, avrebbero titoli per 350 milioni. Più o meno, si dice, la somma in bilancio per il regalo di 500 euro ai diciottenni – una decisione di Renzi che non piace nel palazzo del governo.
Resterebbe il veto europeo. Ma anche questa sfida si dice che Renzi potrebbe lanciare con esito favorevole: o ha ragione la Banca d’Italia e torto la Ue, e l’Italia si prende una rivincita sui due pesi e le due misure di Bruxelles che Salvini continua a denunciare. Oppure ha ragione la Ue, e allora Renzi si libera di una Banca d’Italia che ha vigilato poco e male, come vuole la Ue, e non ha trovato la soluzione giusta

Il giubileo dell’assenza – 2

Si fa strada infine nelle cronache romane la verità del giubileo, che pochi sono venuti – mentre i romani si sono eclissati, nelle seconde case o a domicilio. Solo “il Messaggero” aveva scritto le cose come stavano: “Giubileo senza folla”, “Via della Conciliazione, solitamente un prolungamento della piazza S.Pietro, era vuota”, e la stessa piazza del colonnato, benché dimezzata dalla messa all’aperto e i posti riservati .
Oggi i grandi giornali prendono atto dell’assenza, anche se come improbabile “effetto Is sul Giubileo”; “Il giorno dopo è peggio del debutto”. “In fuga dal Giubileo”, “Tanta polizia e pochi fedeli”. Poche migliaia all’udienza del mercoledì che papa Francesco ha voluto in piazza San Pietro invece che nella sala Nervi , troppo lussuosa?, senza file ai metal detector.
“Il Messaggero” è il solo giornale che per il ponte aveva impegnato un cronista? Le cronache purtroppo si fanno sulle agenzie, le quali si fanno sui comunicati stampa.Nessun giornalista cammina più, e il tassì i giornali non lo pagano più.

Ma c’è anche una pervicace insistenza dei grandi giornali, suppostamente laici, a ridimensionare il flop. Oggi è il giorno delle lamentele dei commercianti. “Meno 60 per cento di vendite rispetto all’anno scorso”, tuona “il Messaggero”, a piena pagina. “La Repubblica” ci fa poche righe e dà la flessione “tra il 5 e il 30 per cento”. 

Il culo borghese

È dunque un problema di sedere all’aria che ha diviso i registi della “Giovanna d’Arco”, Moshe Leiser e Patrice Caurier, dal maestro Chailly alla Scala. Un’accurata inchiesta di “Repubblica”, che ha schierato Natalia Aspesi, Leonetta Bentivoglio e Paola Zonca, l’ha accertato: “I registi volevano far sdraiare sul letto il tenore  col sedere in alto bello esposto”.
Licenza d’artista, certo. Anche un manifesto, forse: l’attempata coppia di registi è sempre fumantina. Ma non si può non essere d’accordo con Chailly: la posizione era incomoda per l’emissione boccale.
Ma c’era certamente di più nella scena rivoluzionaria dei registi, non solo un manifesto di genere. Volevano irridere al giovane re Carlo VII. Che invece fu valoroso e si meriterà l’appellativo di Vittorioso, avendo riconquistato il Nord della Francia dagli inglesi. Per demolire in realtà Giovanna d’Arco, che invece Verdi e la Scala volevano riverire – la ripresa dell’opera, dopo 160 anni, è un risarcimento postumo al compositore, che ha causa della “Giovanna d’Arco” abbandono sdegnato il teatro per molti anni.

Ma c’è di più: i due parlano, e si comportano in scena, come due sessantottini in ritardo. Con la mossa del culo volevano irridere al decoro borghese, supposto del pubblico – il decoro è sempre borghese. Ma c’è di più borghese, oggi, di quella mossa? 

La repubblica di Dante è monarchica

Dante, uomo di sicura fede, vi annette anche quelli che non poterono conseguirla: “Collocare il «nobile castello» all’interno del Limbo è peculiare invenzione dantesca pur nutrita com’è di spunti virgiliani e senecani”. Il castello degli “spiriti magni” dell’antichità, in ideale percoso cristiano ante litteram. E la repubblica concilia con l’impero, Catone con Cesare – cui Dante fa ascendere il ritorno di Roma al regno di uno solo.
Un’esercitazione sulla concezione dantesca della storia romana, da repubblica a impero. E sui suoi ispiratori, Tito Livio, Svetonio, Sallustio, Orosio, Tacito. Attraverso l’analisi del canto IV dell’ “Inferno” e del VI del “Paradiso”, e del “De monarchia”. Sollazzevole.
Con digressioni ancora più golose. Il “Manzoni si diverte”, il suo Napoleone, quando gli cadde in disgrarzia, ricalcando sul Cesare di Dante – e sul Lear shakespeariano. Alessandro Magno sollecitato a invadere Roma da delegazioni di “Cartagine, tutta l’Africa, la Spagna, la Gallia, la Sicilia, la Sardegna e la gran parte dell’Italia”. Dante a Montecassino, che spulcia Tacito e, legato al manoscritto tacitiano, “L’asino d’oro”. Boccaccio che compra o trafuga da Montecassino “L’asino d’oro”, di cui fa un calco nella novella di Peronella, per portarlo in biblioteca pubblica a Firenze – con legato Tacito. La storiografia greca antiromana, che dava per scontata la sottomissione di Roma alla Macedonia, a Alessandro Magno, non fosse questi morto. Canfora torna fa fare un uso adeguato – disciplinato, pulito – dei suoi attributi, retorici, di indagine, di conoscenze, sterminate.
Luciano Canfora, Gli occhi di Cesare. La biblioteca latina di Dante, Salerno, pp. 97 € 8,90

mercoledì 9 dicembre 2015

Le guerre di Obama

Sono un numero record le guerre che Obama ha continuato o intrapreso, il presidente democratico e Nobel per la pace: quella che dichiara all’Is è l’ultima di una serie lunga, con la continuazione della guerra in Afghanistan e Iraq, la guerra alla Libia, la guerra alla Siria, e quelle di cui si tace in Georgia e in Ucraina.  
A malincuore, ma le guerre Obama le ha fatte e le fa. Senza uno smacco dichiarato, poiché della Georgia si fa colpa ai georgiani, e dell’Ucraina smembrata non si sa. Ma senza successi. E anzi con uno smacco continuato, da parte dello stesso nemico, l’estremismo islamico.
A malincuore è forse la ragione principale di tanta proliferazione. E degli insuccessi. Ogni guerra va combattuta come guerra, senza pregiudizio, altrimenti si ripropone. Nella stessa forma o in altra forma, ma se vogliono “farci la guerra” ce la fanno anche se non la vogliamo. Farla a malincuore, o in modi e armamenti ridotti, non porta forse a sconfitte clamorose (“un altro Vietnam”), ma non porta a soluzione i problemi. 

Il problema francese è nella presidenza

Il problema è cornuto, dicevano un tempi i professori a scuola – risata. In Francia sembra a tre punte, gollisti, socialisti, lepenisti, ma anche lì è cornuto. Due presidenti inetti hanno indispettito i francesi, non importa che uno sia gollista e l’altro socialista. Cioè importa, ma non per il segno, per l’addizione: sono quasi dieci anni ormai che le cose non vanno – o di più: il presidente precedente, Chirac, non era meglio. E in Francia quello che fa il presidente è tutto, non c’è atra politica.
Il regime costituzionale francese si chiama semipresidenziale ma è il più monocratico che ci sia in campo democratico: il presidente è tutto. I partiti non contano, il Parlamento non conta, i media sono largamente soggetti al potere, il giudiziario e le polizie rispondono al presidente – che risponde alle Forze Armate, si può aggiungere, ma sarebbe una (mezza) cattiveria. Una dittatura, benché legale e aperte all’opinione libera.  L’altra dittatura democratica, quella americana, ha fortissimi contropoteri: una struttura federale, e un Congresso dotato di larghe competenze, in ogni materia.
Come Grillo in Italia, il Front Natiomnal non semina, raccoglie. Non semina odio, malgrado quello che si dice, e nemmeno discredito, ma ha un raccolto sempre abbondante da alcune elezioni per la deficienza dei partiti tradizionali. Se non ha un presidente capace, De Gaulle, Mitterrand, la Francia non funziona.

Il mondo com'è (241)

astolfo

Francescanesimo – “Tutta l’Africa è indipendente, eccetto le colonie portoghesi: per quale peccato?”, si chiedeva e chiedeva 45 anni fa ad Algeri Marcelino dos Santos, il poeta angolano allora in esilio. E si rispondeva: “C’è chi ha avuto i francesi, chi gli inglesi, chi i gesuiti. Noi abbiamo avuto i portoghesi, i poveri d’Europa. E i cappuccini, gli ignoranti, che dopo due settimane montavano come conigli, insabbiati nella brousse. Siamo la loro carne”. Tutto vero, se si depura la battuta del velo di anticlericalismo. C’è, non solo in Africa, uno scostamento e anzi una distinta divergenza, storicamente anche approfondita e molto dibattuta, tra san Francesco, parole e opere, e il francescanesimo: un movimento della povertà, della povertà dei bisogni e quindi dello spirito – lo spirito si vuole ricco di bisogni – che va con l’ignoranza, il più spesso piena di sé. E rifluisce nell’opposto di quanto dichiara, in un disegno di potere.
Nel 1246, appena vent’anni dopo la morte del santo, che ne sarebbe inorridito, i Frati Minori brigarono e ottennero da papa Innocenzo IV la licenza inquisitoriale. Un’estensione della licenza che nel 1235, dieci anni prima, Gregorio IX, il cardinale di Rieti Ugolino, già vescovo di Ostia, aveva affidato ai domenicani.
Inquisitore, sia pure “pentito”, e francescano è Guglielmo di Baskerville, il detective del “Nome della rosa” di U. Eco – eccezionalmente anche colto.

Gregorio IX, pur essendo protettore sollecito di san Francesco, e poi dei francescani, ne ebbe notevoli problemi. Dapprima da parte dei rigoristi, qualche decennio dopo detti Spirituali, che si volevano mendicanti e nulla più, contestando in particolare l’apertura e l’intestazione di conventi.  Nel 1239 dovette rimuovere dalla carica di ministro generale, o superiore dell’ordine, Elia da Cortona, il secondo successore di san Francesco, che si sospettava di ghibellinismo, e in effetti prese poi partito per Federico II contro il papato. Gli Spirituali, o Fraticelli, contesteranno anche loro l’autorità del papa. Gli Osservanti, che ne presero il testimone nel Trecento, si articoleranno in una serie interminabile di sette, gruppi, ordini, Amadeiti, Capriolanti, Clareni, Colettani, Guadalupensi, Villacreziani, Cappuccini.

Francesco – È certamente un papa sui generis. Molto massmediatico: si vuole ogni giorno sui giornali, ama le conferenze stampa, dice le battute. E molto argentino, di una dialettica politica portata cioè alla demagogia.
Ha preso il nome di san Francesco, ma il suo messaggio non è rivolto alla chiesa, e nemmeno alla comunità dei suoi fedeli, bensì all’uomo-massa, il più sprovveduto possibile. Non per ignoranza, essendo religioso molto coltivato e di grande esperienza pastorale, ma per un disegno. Il suo “popolo” ha tutte le virtù, tanto più se povero, la saggezza inclusa. Mentre la chiesa, che certamente è popolare, è anche magisteriale: sa che la democrazia deve avere una funzione pedagogica. E ha tutta l’innocenza. Alla periferia di Nairobi ha elogiato “la saggezza dei quartieri popolari”, lamentando che “i “discorsi di esclusione” la ignorino perversamente, giacché la periferia perpetua “i valori evangelici che la società del benessere, intorpidita dal consumo sfrenato, sembrerebbe aver dimenticato. Cosa improbabile, che la periferia perpetui i valori evangelici, forse il papa l’ha frequentata da lontano - senza contare che quella di Nairobi era una periferia per modo di dire: era una parrocchia gesuita, con annessi sociali che in Africa sono un lusso , la scuola, il dispensario, i campi da gioco. Il papa ha perfino voluto far cominciare la predicazione di Cristo dalle periferie, mentre si sa che cominciò da Cafarnao, centro carovaniero - le tribù beduine di Israele vi venivano a contatto con le grandi culture religiose e morali dell’Oriente.
Lui stesso vuole essere povero e dimesso, come il Poverello, ma di fatto ha solo creato un doppione di sedi, funzioni, servizi.  La residenza di Santa Marta è “più” dei palazzi vaticani dove i predecessori risiedevano: impegna più persone, è più dispendiosa. La libera uscita dall’ottico per gli occhiali in una vecchia macchina scassata ha moltiplicato le funzioni di sorveglianza, come se girasse la scena di un film.

“E per fortuna che non c’è la Lucrezia Borgia”, Francesco enumera gli scandali in Vaticano ai giornalisti sull’aereo papale dall’Africa, e poi ride di gusto alla sua battuta. Il papa Francesco non è un francescano. San Francesco soffriva, il papa ride.
 “Non rideva mai a Buenos Aires”, nota Lucchetti, il regista del docufilm sul papa Francesco.

Mussolini – È – si voleva – un incongruo Bismarck, a capo di una dittatura.
Il fascismo era un regime, e Mussolini solo nominalmente chiamato al governo dal re. Ma, pur scontando lo scarso o nullo peso della corona, Mussoloni lavorava per il re. Lo fece perfino imperatore.
“Mussolini imperatore” è solo un’opera satirica, di un futurista fascista, Marco Ramperti, e non celebrativa – contro gli intellettuali che criticavano il regime. Mussolini non proponeva il Reich millenario di Hitler, un altro mondo, e non creava una dinastia: si voleva un facitore dei destini della nazione, che la monarchia avrebbe dovuto impersonare, i Savoia. Non progettò una repubblica - se non alla fine, dopo essere stato spodestato. È i questo senso ancora molto risorgimentale.

Napoleone – Fuor che “di quel securo il fulmine”, non vanta altra agiografia: giusto la rapidità, delle azioni e le reazioni, marce, schieramenti, manovre, decisioni, ripensamenti. Vinse molte battaglie, ma altre ne perse. Si vuole che fosse solo contro le sei o sette coalizioni che infine ne ebbero ragione, ma ebbe sempre ai suoi ordini alleati e contingenti di altre nazioni. Ed era un pessimo politico: le popolazioni che in teoria liberava non le ebbe mai con sé, i contingenti militari che furono obbligate a fornirgli obbedirono fino a un certo punto. Lo stesso Manzoni del “Cinque Maggio”, ode che giudicava sovversiva sotto gli austriaci a Milano e tenne nascosta, poi, ripensandoci, se ne professò deluso – Napoleone non era un liberale.  

Populismo – Dilagando, confonde e si confonde. È anche l’unica categoria residua sulla scena politica del Millennio: niente più liberalismo, socialismo, nazionalismo. Si spiega che tutto sia “populista”, da Salvini, o Le Pen, a papa Bergoglio. Visto da sinistra e visto da destra analogamente. Ma più corretto sarebbe dire: visto dai vecchi partiti, di sinistra o destra è indifferente.
Fondamentalmente il populismo è eccitare l’opinione pubblica, un sinonimo di demagogia. Ma può essere anche rispondere all’opinione pubblica, per rappresentarla e governarla (indirizzarla).
Allargata a papa Bergoglio, la categoria viene anche sbalzata di natura e confini. Liberata dalla melassa anti-Berlusconi – ogni aggettivo è buono come invettiva – opportunamente. Ma alla chiesa non si può imputarla come colpa: la chiesa è populista. Lo è sempre stata, lo è per natura: del popolo, per il popolo. È in questo populismo che la chiesa ha maturato le istituzioni democratiche che governano le nostre democrazie: la comunità, il voto, il comando temporaneo, la parità o uguaglianza di condizioni all’entrata, il rispetto delle minoranze, la difesa dagli estremismi.

astolfo@antiit.eu 

Il lato angelico di Céline

L’unica faccia di Céline che si può guardare senza fremere: per le donne, di ogni specie, professa sempre un culto, anche nella disgrazia. Il suo panorama di profittatori, vampiri, ladri, vigliacchi, è maschile. Le donne Céline in vario modo angelica, anche qualche prostituta. Nei libri, i pamphlet inclusi, e nelle altre prose - lettere, interviste, dichiarazioni.
È una posa? È un bisogno. De Bonneville è un pubblicitario – titolare dell’agenzia De Bonneville Orlandini, creatore del marchio Swatch e altri. Uno che si propone di “vendere la differenza contro l’indifferenza”. Quindi anche di creare il “marchio Céline”. Ma, a parte il debito di spacconeria al ruolo, è uno ferrato in psicologia - procede per frammenti, ma su una traccia ben delineata. Che in  Céline ha trovato più pascoli aperti, malgrado tutto.  Questo “Céline et les femmes” è il lato adolescenziale eterno dello scrittore. In libriccini precedenti ha accostato Céline a Villon (“Villon et Céline”), o delle derive inarrestabili, anche contro la propria volontà. E ha mostrato l’autore al lavoro, consciamente e no, a crearsi un personaggio, a fare di se stesso un personaggio (“Et Céline créa Céline”), e a restarne prigioniero.
La sensazione, dice De Bonneville dei suoi trattatelli, è che di Céline si parli troppo e invece no, si parla solo di una cosa. Questo non è un libro serio, la prefazione è di Éric Mazet, dj. E tuttavia dice cose vere, bisognava pernsarci.
Pierre de Bonneville, Céline et les femmes, L’éditeur, pp. 221 € 15

martedì 8 dicembre 2015

La difesa europea è francese

Cameron vuole bombardare in Siria per non restare indietro alla Francia. Le gelosie degli Stati Maggiori e l’industria degli armamenti glielo chiedono - la Francia ha superato la Gran Bretagna come fornitrice delle petromonarchie del Golfo, e bisogna recuperare terreno. Non è una bizzarria, è lo stato delle cose.
Hollande ha cercato un accordo militare con Obama, un altro con Putin, e un altro nel quadro Ue. Poi, passato il primo momento, non ne ha fatto nulla: in Siria e altrove bombarda da solo. Anche questa non è una bizzarria, è una politica militare e di difesa. Fra le tante asimmetrie dell’Unione Europea questa politica è anzi una delle più antiche e consolidate: la Francia, che assolutamente non vuole una difesa europea, la supplisce con le proprie iniziative
La Francia supplisce la politica di difesa europea sul campo<<<<<<<<. in Siria come in Mali (e in Costa d’Avorio, nel Ciad, ovunque nell’Africa occidentale) o in Libia. E nelle politiche commerciali, di forniture di armamenti. L’una cosa regge l’altra, la difesa europea confidata alla Francia e la vendita di armi, e sta bene così. Non da ora: il primo progetto di Europa Unita, prima del mercato comune, era la difesa - la Comunità europea di difesa - ma la Francia la fece fallire ul nascere, sono ormai sessant’anni.
Si è detto che per questo la Francia è esposta di più al terrorismo. Romano Prodi è il più tenace assertore di questa tesi: l’Is attacca la Francia in quanto vera potenza militare dell’Europa. L’argomento è controvertibile. È probabilmente più vero che l’Is attacca la Francia perché può pescare (volontari, fiancheggiatori, simpatizzanti) sulla massa di islamici che vi risiedono, sei milioni. Una massa che i servizi d’informazione francesi e la polizia politica non possono controllare e non riescono forse neppure a penetrare. 

Il Giubileo dell’assenza

Ponte inconsuetamente vuoto a Roma. Gli albergatori denunciano presenze dimezzate rispetto agli altri anni. Chi ha circolato domenica e ieri non credeva ai suoi occhi: si arrivava a minuti, si parcheggiava perfino. Fatto inconsueto per una città che da decenni non ha più stagione, è sempre piena al massimo della capacità ricettiva.
Si circola e si parcheggia anche oggi,. Che dovrebbe essere invece una giornata ingombra. La mattina si è aperto il celebrato Giubileo. Il pomeriggio la città è tagliata in due dalla visita del papa all’Immacolata in piazza di Spagna.
Paura del terrorismo? Ma non c’è posto più garantito di Roma in questi giorni. Il terrorismo del resto non ha scoraggiato il ponte in massa a Napoli, o a Firenze.
C’è stato un cortocircuito col Giubileo? Molte famiglie avranno rinunciato al ponte a Roma considerando la città assediata dai fedeli. Ma era vuota anche piazza San Pietro stamani – non proprio: alcune diecine di migliaia di fedeli c’erano, ma radi, tanto da sconsigliare una panoramica tv, in tre ore di cerimonia. Anche il Giubileo sarà ricordato per le assenze..

Il santo nudo

Non sono opera del santo, e va bene – sono compilazioni di mirabilia. Ma sono il francescanesimo, l’immagine che il francescanesimo ha e proietta di sé e del santo, e allora lasciano perplessi. La sensibilità e i miracoli vanno bene, conversare con gli uccessi, o (sant’Antonio) con i pesci, cantare il sole, il primo grande poema in italiano, convertire il lupo, salvare il lebbroso. Ma tutto il resto, e l’impianto stesso, no.
I Minori dell’Umbria mettono in guardia: è una raccolta anonima, di ignoto toscano, di storie tramandate e leggende dichiarate, messa assieme a fine Trecento. Due-tre generaazioni dopo, cioè, la morte del santo. Un “volgarizzamento”, a uso della pietà popolare. Non tutto inventato, sono fioretti tra storia e leggenda, ma “per una loro utilizzazione occorre tuttavia molta cautela”.
La cautela dei Minori dell’Umbria si riferisce agli ultimi capitoli, per la presenza di “motivi caratteristici della letteratura degli Spirituali, anche se raramente in termini esacerbati” – l’edizione popolare francese li omette e basta, fermandosi al cap. XL. Gli Spirituali volevano la povertà totale, in una visione minacciosa dell’umanità, apocalittica, e contestavano il papa – specie Bonifacio VIII, anche loro.
Una lettura problematica. Trovandosi san Francesco equiparato subito a Gesù Cristo. E al debutto con la scelta degli “apostoli”, dodici come quelli dei Vangeli. Gli “apostoli” del santo comparati uno per uno a quelli del Cristo. Il traditore compreso, che s’impicca. E un san Giovanni che s’innalza, “come un’aquila”, alla saggezza divina. Questo san Giovanni è frate Bernardo di Quintavalle, su cui i “Fioretti” molto s’intrattengono nei capitoli iniziali e che ha tutte le virtù: è contemplativo (mistico), uomo d’azione, uomo d’ordine. Il santo viene deriso per strada, colpito con sassi e fango, da vicini e compaesani, chiede l’elemosina, si veste poco – un santo nudo.
Un “altro” poverello di Assisi, masochista, e sadico – l’insistenza sul masochismo è perfino vizosa. I “Fioretti” sono anche all’origine dell’oleografia del santo perennemene malato e assorto in preghiera, mentre fu gigantesco organizzatore e costruttore, viaggiatore intrepido e uomo politico avventuroso.  
Un’aneddotica molto inventata e alla buona, come i francescani si pretendono. Che però non lo sono. Litigiosi al massimo, su questioni grandi e piccole – naturalmente sempre di religione
È un san Fracesco comunque di sbieco, in questi suoi “Fioretti”. Come uno che “è stato”. Ha preso discepoli, ha fondato conventi e, soprattutto, ha creato una gerarchia, di per sé vivendo sempre ritirato e in preghiera. I “Fioretti” stabilizzano i suoi “successori: Bernardo, Leone, Masseo, santa Chiara, e Rufino. Con tutta l’idoleogia stolida, non sovversiva in realtà, del francescanesimo. Il successore Elia, che fu deposto nel 1239 - da papa Gregorio IX, fedele di san Franecsco, protettore dei francescani - e si schierò con Federico II contro il papa, viene riconvertito in morte.
San Francesco d’Assisi, I fioretti, edd. vv., free online
Folio, pp. 123 € 2

A nozze con la semplicità

Un film incredibilmente semplice. E bello: tirato via per la tv, ma forse è meglio, non sembra recitato. Facce tutte espressive, dialoghi non di maniera, in dialetto se ci vuole, situazioni reali, quali avvengono quotidianamente. In un apologo a lieto fine, sullo sfondo fatato dell’Alto Jonio cosentino. La ragazza di paese che studia a Roma ma non impara e non ha mestiere. Sprovveduta sentimentalmente - s‘innamora non corrisposta - fino a restare incinta.  La zia vedova, e con un figlio pazzo, che è un rifugio, e un deposito di saggezza. Il giovane matto, che gli amici difendono coi denti, altra storia di paese veritiera, normale, sarà l’angelo della storia, per la fede che lo agita, e il deus ex machina: la cugina, figlia di un ricco agricoltore, potrà sposare il giovane africano che lavora sfruttato nei campi del padre.
Una fiaba dall’impianto pretestuoso. Di angeli neri e ricchezze vuote, quasi a tesi. Che però Avati, con più smplicità che in altre sue storie del piccolo-reale mondo di provincia, incarna in persone e situazioni vive.

Pupi Avati, Le nozze di Laura

lunedì 7 dicembre 2015

La destra femminile, giovane e bionda

Due donne, giovani, bionde: cambia sesso la destra al potere in Europa. Non solo in Francia, dove da qualche anno è vincente. È quindi un’altra destra: non violenta, e nemmeno muscolare. Culturalmente non cospicua, a differenza della destra classica, che era piena di “valori”, sul petto e in testa. O forse di un’altra cultura, dell’ascolto. Di un rinnovato interscambio con gli umori popolari – della piccola gente, della povera gente, della gente, insomma dell’opinione pubblica.
Voto di protesta? Dopo venticinque anni non più. Per una ventiseienne si direbbe di sì, ma forse sono cambiati i tempi: i giovani, esclusi dalle leggi in materia di lavoro, previdenza, diritti, dalla famosa “ìnclusione”, se la riprendono alla radice.
Destra populista? Sì è no. No, perché ha una marcia regolare, senza sbandamenti – quelli, per esempio, della Lega. Necessariamente, non avendo pratica di governo. Ma questo per un difetto della democrazia “repubblicana” francese. L’accordo “repubblicano” contro l’estremismo ha senso se si esercita contro le frange, e se si esercita politicamente e non d’autorità. Mentre non ha senso contro un partito del 40 per cento. Che per giunta è venuto crescendo da un quarto di secolo, senza che nessuno si occupasse di disinnescarlo. 

La guerra destabilizza

Le choc”, “Le choc”, “Le choc”, “Le choc, almeno quattro grandi giornali francesi hanno questa copertina. Su un fatto noto da tempo, la vittoria elettorale della destra, e scontato. La stessa copertina che avevano il 14 novembre, dopo i massacri di Parigi. Si direbbe la stampa senza parole.
Effetto della guerra, sotto choc è la stampa? In parte: la guerra destabilizza l’informazione. Ma come effetto dell’ignoranza. La guerra destabilizza l’Europa, che si scopre ignorante prima che incapace – incapace anzitutto per essere ignorante. Del mondo arabo – strabiliante nel caso della Libia, che pure è vicina di casa, e per alcuni decenni fu dominio italiano. Della Russia naturalmente. E naturalmente dell’islam, a parte qualche eco del nebbioso dialogo delle fedi. Del proselitismo e militantismo, a uso esportazione, delle petromonarchie della penisola arabica, nello stesso mondo arabo e in Africa. Alleate e anzi pilastro dell’Occidente, in petrolio e in dollari.
Lo choc non è solo della stampa parigina. C’è ignoranza perfino corposa, tattile, a Bruxelles, nella burocrazia e fuori. Nell’Europa senza studi, capacità di analisi, capacità di decidere. 
L’Europa sembrava ferrata al tempo delle ideologie, superdotta, informata. Il Muro crollato la mostra in costante affanno: ora chiede una “guerra di civiltà” mentre sospetta e anzi accusa amici e alleati di doppiogioco; si è fatta imporre una crisi spaventosa dalle banche americane e dopo otto anni rischia ancora di restarci dentro soffocata; è aggredita da milioni di immigrati e non lo sa – finge che le serva un mercato schiavista del lavoro mentre starebbe molto meglio senza.  

L’islam è violento

Non è terrorismo. Non è nemmeno fondamentalismo, una visione radicale ed esclusiva della propria religione. O meglio sì, questo è proprio l’islam: terrorista e fondamentalista. Esclusivo, implacabile, e sempre in guerra. Dove è tenuto in punta di bastone, è servo obbediente e compiacente. Mantiene sempre viva la riserva mentale, non c’è mussulmano di cui fidarsi, ma ha il senso della convenienza, perché ha forte ed esclusivo il bisogno del guadagno, più che un beduino è un commerciante. Se accettato in casa se ne impossessa. Se la casa non è difesa se ne impossessa. Adonis va come un bulldozer sull’islam. Sessant’anni fa se ne era liberato, lasciando Damasco per Parigi, e ora se lo ritrova di nuovo in casa: è indispettito e implacabile. Una religione e una lingua che non hanno la aprol libertà, e nemeno repubblica. Una religione violenta “per natura”. “Anche Dio parlò col diavolo”, l’islam si vuole puro e duro. Un mondo che ha semrpe perseguitato, condannato, esiliato, crocefisso i suoi poeti, filosofi, legisti, uomini di fede.
Una requisitoria, in forma di intervista, con un interlocutore peraltro possibilista, implacabile, senza mai una concessione, neppure minima. Che si rigetta sul presupposto che tutti siamo uguali, ma che, con minime eccezioni, non si riesce a controbattere. Non c’è da obiettare a un mondo arabo in cui, oggi scopertamente, “si politicizza la religione e si sacralizza la politica”. Le violenze non sono inventate, e sono senza limiti, a Adonis basta elencale: stragi, a preferenza di inermi, scuole, mercati, luoghi di culto, assassinii, sempre a tradimento, di persone indifese, saccheggi, sradicamento della memoria, e il libero commercio delle donne, al mercato e in famiglia. Si rapiscono di preferenze le donne bambine perché si vendono più care, dice Adonis, ed è vero, non è propaganda di guerra.
Le primavere arabe sono state un atto generoso. Ma la mancata coscienza della necessaria laicizzazione della politica le ha votate al fallimento: gli interessi religiosi, interni ed esterni, ne hanno approfittato: “Non si può, nel contesto di una società come quella araba, fare una rivoluzione se questa non è fondata sulla laicità. Il secondo errore, poi, è stata l’alleanza organica fra i ribelli che si sono intestati questa sedicente rivoluzione e le forze straniere. Perché invece di considerarsi indipendenti, i ribelli erano strettamente legati a forze straniere”. Amiche e alleate dell’Occidente –
Adonis non lo dice ma si sa.Risultato: anziché destabilizzare i regimi dittatoriali, hanno distrutto i loro paesi”.
Adonis procede con netto spirito laico ma rispettoso della religione e della storia. Nell'islam c’è un'ortodossia, come no, quella dei sunniti, “che accettano soltanto una lettura letterale del Corano. Senza interpretazioni metaforiche o simboliche. Per questo non c’è spazio per arte e poesia tra gli ortodossi, c’è soltanto la giurisprudenza. La cultura del potere e della sua conservazione, a qualunque costo” . Perché il monoteismo nel Medio Oiente? Un solo potere in cielo e un solo rappresentante in terra. Questa tesi, che è la tesi del monoteismo, riflette il trionfo dell’economia e del potere terreno. L’islam ne è l’ultimo esempio. “Un solo potere in cielo e un solo rappresentante in terra. Questa tesi, che è la tesi del monoteismo, riflette il trionfo dell’economia e del potere terreno. L’islam ne è l’ultimo esempio”. Perché l’islam? “L’islam è nato in una città commerciale, La Mecca. Questa società di mercanti aveva bisogno di un solo capo per far trionfare lo spirito del commercio. Era una società che desiderava unificare le tribù sotto il vessillo di un solo potere”. La jihad non è una vera guerra, la Conquista fu facile per un  insieme di circostanze favorevoli: “il mondo antico era superato. I bizantini avevano lasciato un mondo prosciugato. La Siria aprì le proprie porte ai musulmani. Esasperato dai bizantini, il popolo di Damasco, composto in gran parte da nestoriani oppressi, vedeva i musulmani come salvatori e li accolse a braccia aperte. Di pari passo con le loro vittorie, cresceva la ricchezza dei musulmani, che grazie al denaro accumulato divennero potenti. Si può persino dire che furono fortunati, perché non incontrarono mai dei veri nemici, né dei grandi eserciti. Gli arabi, all’inizio, non dovettero mai combattere una vera e propria guerra , in ogni caso non una guerra nel senso greco o romano del termine”.
A 85 anni “Adonis”, il poeta e saggista siro-libanese nato mussulmano, Alì Ahmed Said Esber, in esilio dal 1957, dopo sei mesi di prigione, dapprima a Beirut poi, dopo l’invasione del Libano nel 1980, a Parigi, oppositore del regime baathista al potere da allora in Siria (un regime “socialista” finito presto sotto il controllo del generale Assad, che lo ha lasciato in eredità al figlio Bashir), ha l’occasione per farlo e le dice tutte, tutte insieme: l’islam è un altro mondo, ed è invadente. Adonis è nato politicamente nazionalista arabo, e lo è tuttora, ma non vede salvezza in questo suo mondo sotto la sferza dell’islam. È stato ed è poeta dell’ingiustizia, la guerra, la dittatura, la miseria, uno sempe presente al suo popolo, e tuttavia senza più speranza. Il suo è un atto di difesa, il rigetto di un uomo e un poeta sopraffatto: “Una rivoluzione che si propone di cambiare le cose non può distruggere il suo paese”.
Un attacco in forma anche di scoperta, con effetto sorpresa. Con un altro senso che quello di Oriana Fallaci, perché viene dal di dentro, e perché, soprattutto, sa di che parla. Forte cioè dell’ignoranza dei fatti altrui che può ributtare sull’Europa, l’Italia, il nostro stesso mondo di intellettuali. Incapaci di studiare o anche soltanto di viaggiare, arroccati in difesa sotto l’ombrello dei diritti uguali per tutti.
Adonis, Violenza e islam, Guanda, pp. 200 € 14

Ombre - 295

Il partito Socialista francese ritira i candidati dove c’è la certezza che non vinceranno per frenare la corsa del Front National. Per frenarla? Col voto a favore di qualche militante – meglio Le Pen che Sarkozy? O con l’astensione?

Disarmante Jean-Marie Colombani: “La lotta all’Is non è come la guerra contro Gheddafi, Roma intervenga”. È peggio della guerra contro Gheddafi: oltre che sovversiva (guerra a nessun fine), è anche scoordinata e sciupona. E questo è chiaro a tutti. Ma Colombani è stato direttore di “Le Monde”.

C’è “disagio dentro la Consulta per il «mercato della politica»”, informa sollecito Giovanni Bianconi sul “Corriere della sera”. I giudici costituzionali sono a disagio per la mancata nomina dei tre che mancano da parte del Parlamento. Loro che sono i più lottizzati di tutti, durissimamente.

“L’Italia della papessa” troneggia in copertina su “l’Espresso”, con un’improbabile Maria Immacolata, benché in versione smart. Messa finita, l’Italia liberal molla il papa argentino che l’aveva eletta a interlocutore privilegiato?
Un micidiale (magistrale?) commento di Sandro Magister all’interno ne demolisce il populismo, del papa.

Con papa Francesco i “pellegrini” sono diminuiti, lo sanno tutti a Roma. Rispetto al pur pacifico pontificato di papa Ratzinger. Ma si vuole che Francesco faccia sfracelli, tra penitenti e catechizzandi, i caduti da cavallo, l’invidia del mondo, etc. Lo vogliono soprattutto i laici, i commentatori di “Repubblica”, “Corriere della sera”, “La stampa”. C’è un motivo?

Schwazer a Rio e tutti gli altri dell’atletica a casa per doping, presunto. Non sarebbe male, prime pagine e talk show a gogò per tutti, medici e avvocati dell’antidoping in prima fila. Pronti alla dirigenza dell’atletica, pura e incorrotta.

La Nato vuole il Montenegro, che non ha un esercito. Per trasferirvi la base di Aviano? Ma si creerebbe una crisi occupazione nel Veneto. Certo, bisogna pure portare gli investimenti nei paesi sottosviluppati, lo dice pure il papa.

Il Pentagono si precipita a bollare di “assurde” le foto delle autocisterne che trafugano il petrolio siriano in Turchia per conto dell’Is. Assurde le foto? Assurdo il commercio? Assurdo il Pentagono?

Marco Ansaldo critica Erdogan ma lo riconosce benevolmente “puritano”. Perché non ha amanti? Il Corano glielo consente.

Armi facili, non passa giorno senza una strage in America. E ogni giorno registriamo l’irritazione di Obama. Avrà una gastrite?

Scoppia lo scandalo diesel, e le vendite Vokswagen precipitano. In Usa e in Germania. In Italia invece esplodono. È record di vendite a ottobre, e anche a novembre: Volkswagen incrementa le vendite più della Fiat, che pure ha nuovi modelli in lizza.

“Tecnici americani e russi”, scrive sul “Corriere delal sera” il corrispondente da Mosca Dragosei, “sono impegnati a chiarire quali siano i gruppi da considerare «opposizione» e quelli da inquadrare come terroristi”, in Siria. Fino ad ora con quali combattenti della libertà abbiamo combattuto per la libertà?

Ipereccitata cronaca laicista sul “Corriere della sera” del Natale cancellato alla scuola di Rozzano. Con un decisivo rinforzo critico: “Ieri il clou dell’affollamento (e della tragicommedia). «Una pagliacciata», l’ha definita senza mezzi termini Francesca Puglisi, responsabile scuola del Pd”. Responsabile locale. La “linea” non c’è più, ma il giornalista non se n’è accorto.

Non ha requie il tribunale di Perugia finché non riesce a collegare le telefonate minacciose di Francesca Immacolata Chaouqui con Berlusconi. Sono colpevoli – entrambi i fratelli -  di non aver  denunciato le telefonate della vaticanista. Ma allora è una questione di logge - Perugia, dai tempi di Andreotti assassino di Pecorelli, è salda loggia.

Francesca Immacolata Chaouqui sarà pure una santa – non è difficile, tra tanti pescicani. Ma perché innalzarla a collaboratrice di un papa, una che parla tanto? Connivenza argentina? Di loggia, anche lei?

domenica 6 dicembre 2015

Il cellulare al bisogno

Bionda, discinta ma non devastata, e anzi distinta, bionda naturale, tedesca, forse americana, sta la donna sul marciapiedi, le spalle al muro, seduta su una panchetta, ai piedi una ciotola, curva sul cagnetto di razza irriconoscibile, che si spulcia al modo delle scimmie. Sta assorta, incollata al telefonino. Il giovane nordafricano, invece, che davanti al bar triste chiede insistente un’elemosina, col berretto rovesciato sulla mano protesa, è interrotto da una chiamata, ma si apparta per rispondere lieto.
La pompa di benzina al centro del quartiere è automatizzata. Un volenteroso nordafricano accudisce i clienti alla complessa macchina: bancomat, carta di credito, contanti, e il resto? Sorridente, mentre parla in continuo al cellulare con l’auricolare. Qualcuno gli lascia una piccola mancia.
Un ragazzo rom aspre sistematico i cassonetti della differenziata, quello della plastica e delle lattine, fissa il coperchio con un’asticella, rovista, estrae, esamina, ributta, si riprende l’asticella e continua la ricerca in altre isole ecologiche. Distrattamente, sempre incollato al telefonino. 

Emigranti con animo sgombro

Va molto il genere emigrazione fine Ottocemto, dopo il successo di “Vita”, il premio Strega di Melania G. Mazzucco a inizio millennio. Quindi annate di “com’eravamo”, in genere in forma di selfie familiari, per quanto approssimativi, di maniera, e infine monotoni. Fino al produttore di cinema Valsecchi, che ora s’inventa una famiglia siciliana non mafiosa a Brooklin. E alla “torsione” che Enrico Lamanna fa dei “Uno sguardo del ponte” di Arthur Miller, pieando i protagonista alla similitudine e alla solitudine. Questo “Emigramti” di Perri, che è stato il primo e a lungo l’unico del genere, invece si segnala per l’onestà. E per una felice vena narrativa, sfaccettata e non uniforme. Lo scrittore calabro-lombardo parla del suo paese, Careri, sotto altro nome: un minuscolo borgo alle falde dell’Aspromonte che sa animare di un’umanità viva e vivace.
I compaesani in procinto di occupare le terre, l’autore-narratore dice “gente d’ordine”. Di seguito aggiungendo: “Come tutti del resto in Calabria. La Calabria è il paese classico dei briganti, ma in nessuna regione d’Italia si ha tanto rispetto, o almeno tanta paura, dei poteri costituiti”. E così via, niente è scontato. Un altro Aspromonte, oltre che un diverso spirito migratorio, rispetto a quello successivo di Corrado Alvaro, che invece avrebbe fatto la maniera - dolorifica.
Alla fine anche Rocco Bléfari, il “segnato” di “Emigranti”, ha una resipiscenza, sotto forma di skaz col suo autore: “L’anima calabrese è piena di contrasti. Profondamente, e quasi direi violentemente, buona, ha delle singolari aridità. Tutti i buoni frutti del cuore, dalla ospitalità alla fedeltà, dalla devozione al sentimento della famiglia, dalla resistenza al dolore all’abnegazione, all’eroismo, in essa fioriscono spesso con un profumo di poesia soavissimo. Eppure la vita dei Calabresi è triste, dolorosa, angusta. Come il paesaggio, che, pur avendo tanti elementi di bellezza, non sembra bello, o la sua grazia vela di una profonda e dolorosa malinconia”.

Francesco Perri, Emigranti