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sabato 5 dicembre 2015

Il terrore siamo noi

Si trasecola leggendo il decalogo del governo francese contro il terrorismo. Possibile? Ma è vero, i consigli assurdi ai cittadini ci sono. E non sono un caso: sono uno dei tanti assurdi della lotta all’Is. Tanto più se provengono da qualche studio di consulenza: la sicurezza come business.
A San Bernardino l’Fbi si conferma del tutto incapace contro il terrorismo. Come i servizi d’informazione francesi, ormai per troppe sviste, da tre o quattro anni a questa parte – per non dire dei belgi. Due paesi dove non si trama nell’ombra ma su facebook e per telefonino. Tra vicini – a San Bernardino – che si giustificano: “Non abbiamo denunciato i terroristi per non sembrare razzisti”.
In Siria tutti bombardano, ma l’Is prospera senza perdite. Le autocolonne di petrolio dell’Is si fotografano ma viaggiano indisturbate. La Turchia invade il Nord dell’Irak con la scusa dell’Is, ma  per disarmare i curdi iracheni – che forse aiutano i curdi turchi, ma di sicuro sono l’unica forza affidabile contro l’Is.
Poi c’è l’America, col buonista Obama. Che – sempre alla ricerca del padre, “I sogni di mio padre”, il suo libro di “prima”? – fatica a riconoscere un atto di terrorismo come quello ferocissimo di San Bernardino. “Sembra che si tratti di terrorismo”, ha detto al terzo giorno, “ma potrebbe essere una vendetta”. Lo stesso che un paio d’anni fa, sempre a proposito dell’Is, aveva detto. “Aspetto che il Pentagono mi fornisca un piano d’azione”. Che in America è sacrilegio: il piano d’azione militare è politico. 

Secondi pensieri - 242

zeulig

Anima – È senza cuore – un centro, un punto o un meccanismo di riferimento. Descartes la pensava nella ghiandola pineale, ma nessuno ce l’ha trovata. A Francis Crick morente piaceva supporla nel claustro, striscia di cellule nervose sotto la neocorteccia – nei due claustri per essere precisi, uno alto destro e uno sinistro, appena sopra le orecchie, nel centro del cervello. Ma i neuroanatomisti non ce l’hanno trovato.
Ma c’è: non è una cosa ma un luogo. Il claustro ne è il luogo. L’anima è il luogo della volizione, sentimenti compresi quando non sono passionali, compulsivi.

Bellezza - Per Choderlos de Laclos, per il quale “è la maniera d’essere che fa sperare il godimento più delizioso”, uno che se ne intende, la bellezza è delle donne, ed è bella la donna vergine, alta, forte. Per Heisenberg la bellezza è la conformità delle parti l’una all’altra e al tutto, e un teorema tanto più è bello quanto più è semplice. Ma Francis Bacon, che anche lui se ne intende, è risoluto: “Non c’è bellezza eccellente che non abbia qualche stranezza nella proporzione”. E dunque? “Nulla di più stupido che concludere”, dice Flaubert, l’“idiota della famiglia”.

Corruzione – “Latifundia perdidere Italiam atque provinces”, è la lezione di Plinio: Roma si perde quando si adagia sugli usi delle province – la tribù, le rendite, le riserve. La civiltà – la storia – muore se cessa l’irrigazione dal basso verso l’alto, di uomini e forze nuove. Ma la spinta va incanalata: in basso è barbara – più barbara.

Destino – Ineluttabile forse, e inflessibile, come lo vuole Seneca – “siamo tutti schiavi del destino” - ma è la storia: non avviene prima, né dopo.
Si chiama destino quando è un “errore” della storia, uno sviluppo non voluto? Di fatto, la storia è lo stampo che l’uomo libero appone al destino – un suggello mobile, un cartiglio caleidoscopico.
Il “ducunt fata volentem, nolentem trahunt” di Cleante-Epitteto-Seneca non impedisce la rivolta. La massima si può tradurre “chi vuole compie il suo destino, chi no lo stesso”, ma non necessariamente secondo un disegno preordinato.

Dio - Fare il professore e vivere in Dio non è possibile a nessuno, è insegnamento di Meister Eckhart.

Erodotaggio -  O curiosità per l’eccentrico. Lévi-Strauss è contro, in quanto esotismo facile. Ma lo ritiene utile come pietra d’inciampo, antenna, avviso.

Femminismo  - Il destino della donna è di essere di più, in ogni forma conosciuta, affabulatrice, cacciatrice, incantatrice, samaritana, meretrice, e madre, in terra e in cielo. È l’idea stessa della bellezza, cioè della vita: così è dall’“Iliade”, il poema della forza, dove sempre si combatte per questa malia sovrana. Oggi è diverso, la donna è immolata al femminismo e alla cancellazione dell’NN. Sparisce con l’NN la legittimità, con la figliolanza legittima svanisce la madre e la donna, in quanto essere unico: dalla custodia della legittimità, la purezza del sangue, la donna traeva misteriosa la sua forza. Ma i fondamentali restano, vanno solo riorganizzati. “Lasciatemi morire!”, cinguetta Arianna abbandonata da Teseo con Monteverdi, e si sa che intendeva il contrario.

Galileo - “Provando e riprovando”, il motto dell’Accademia del Cimento che intende rinnovare con Galileo il pensiero scientifico, è di Dante, “Paradiso”, III, 3

Lost in translation – Fa senso – è un’altra realtà – leggere sul “New Yorker” l’introduzione di Jhumpa Lahiri alla sua prima raccolta di narrazioni in italiano, “In altre parole”. Le stesse considerazioni assumono in inglese, a New York, su quella rivista, altre connotazioni. Il senso della metamorfosi per esempio. Il senso della realtà-irrealtà – in fisica si direbbe della “complessità” - di una lingua acquisita, in cui viene spontaneo esprimersi, seppure con difficoltà. E anche, per la scrittrice, figlia di una poetessa bengali emigrata negli Usa e rimasta estranea all’inglese e all’America, la convivenza che si penserebbe impossibile tra una lingua materna che parla ma non padroneggia, l’inglese con cui è cresciuta, ha studiato e ha scritto, e l’italiano che ha voluto adottare, quasi un campo di vita e di esercizio neutro. Ma non c’è il campo neutro. Non c’è una lingua neutra. Lahiri, che ha vissuto questa impossibilità (peraltro non cercata), lo dice meglio: si vivono più vite contemporaneamente. La metamorfosi, che adotta a schema del suo prologo, implica non una successione di vite o modi di essere, ma la loro contemporaneità.
Nel remake di sé, in questa rinascita voluta da lei stessa, la scrittrice non sa o non vuole vivere le due lingue-vite intercambiandole. Anzi non lo ritiene possibile – il suo libro italiano si pubblica inglese tradotto da un traduttore. Ed è vero: lo stesso testo è diverso in italiano e in inglese.

Mutamento – È l’unica costante dell’anima – come anche l’immutabilità. È la costante della vita in realtà, su un fondo di persistenza, che continuamente si rinnova: si ricostituisce, talvolta variando. Si può dire il mutamento il meccanismo della persistenza..

Personaggi – “Sono come Melchisedec, senza padre né madre, anche se si occupano intensamente di genealogia”: Zolla lo dice dei personaggi di Tolkien, introducendo “Il Signore degli Anelli”. Ma è vero di ogni “personaggio”, che è una scultura.

Ragione – Più dissoluta della concupiscenza, la vuole Montaigne. Per le tante scorribande che si è concessa e si concede, mentre la concupiscenza è a senso unico. Ma è vero pure in astratto, per essere la ragione un metro, di se stessa oltre che delle passioni.  

Selvaggio – Selvaggio è sempre il diverso, notava Montaigne. O non siamo noi stessi, da cui rifuggiamo?
È lo stato in cui storicamente siamo. Ancora, dopo tanta civiltà, come notava Frazer: “Le maggior parte delle istituzioni essenziali della nostra civiltà, se non tutte, hanno radici profonde nello stato selvaggio”. Che però può dirsi la condizione umana, se è la religione, il pensiero mitico, e lo stesso pensiero - oltre agli stati emotivi: passioni, sogni, visioni. 

Testimonianza – Si assume in giustizia come la prova principe, ma la procedura a Roma voleva che anche delle cose viste il testimone dicesse: “Mi sembra”.

zeulig@antiit.eu

L’inconscio era tedesco

L’editore di tutto Schopenhauer, compreso il romanzone epistolare (dal vero) “La famiglia Schopenhauer” vent’anni fa, nonché di tutto Nietzsche, in concorrenza con Colli e Montinari, autore del classico della masturbazione, “La solitudine del piacere”, aveva in serbo anche qusta chicca, precedente a tutto, che ora viene tradotta: su Freud prima di Freud. Molto Schopenhauer e Nietzsche naturalmente, ma anche Goethe e Jean Paul, Schelling, Hartmann. Tutti tedeschi, dell’Ottocento. L’inconscio è dunque “problema” tedesco, dell’Ottocento?
Sì: approda a Freud dopo lunga gravidanza nel pensiero e la poesia germaniche. La psicoanalisi avrà un deciso penchant ebraico, ma la gestazione è tedesca – o allora ci sono molti fili fra germanesimo e ebraismo. Questa di Lütkehaus è un’antologia. Ch o studioso fa precedere da una disamina di svariate concezioni dell’Unbevusste nella filosofia e la poesia tedesche dell’Ottocento.  Di diverse concezioni, e anche di diversi termini, per la stessa “cosa”. Ma con un fondo comune: senza cesura tra pensiero cosciente e inconscio.
Il titolo viene dal genio incompreso del primo Ottocento Jean Paul, purtroppo contemporaneo di Goethe che tutto offusca: “Facciamo misurazioni troppo ridotte e limitate del patrimonio territoriale dell’Io se escludiamo l’enorme regno dell’inconscio, quanto un’Africa interiore” – l’Africa come terra incognita allora per eccellenza.
Ludger Lütkehaus, L’Africa interiore. L’inconscio nella cultura tedesca dell’Ottocento, L’Asino d’Oro, pp. XII-319 € 22

venerdì 4 dicembre 2015

Santa Sede vacante

Giorno per giorno due anni fa, un mese prima, il 4 novembre 2013, questo sito l’aveva scritto:
"Dal 15 ottobre è segretario di stato mons. Parolin. Il quale però è impedito fisicamente. Non da ora, da prima del passaggio dei poteri. Anzi da prima della nomina. Ciononostante il papa Francesco ha voluto il passaggio dei poteri: per eliminare il cardinale Bertone.
“Colpe di Bertone? Nessuna ufficialmente. Francesca Immacolata Chaouqui, consigliera finanziaria del papa, in estate lo disse un ladro – con Tremonti frocio. Poi si rimangiò l’accusa. Ma è vero che Bertone era da tempo inviso al partito degli affari in Vaticano, oggi puntato sulla sanità, il ramo di attività più cospicuo, e più ricco, del Vaticano stesso. Essendosi opposto alla liquidazione del ramo romano (Idi, Fatenebefratelli, Gemelli). Dopo avere a lungo tentato di opporsi, senza successo, alla liquidazione del San Raffaele a Milano, caduto preda di avidi interessi confessionali, del gruppo Rotelli-Banca Intesa.
“È caduto nel limbo anche il nuovo Ior. Che papa Ratzinger aveva avviato. Per disinnescare altri appetiti, anche qui, di gruppi confessionali antivaticani. Papa Francesco è artefice o vittima di questa liquidazione. Potrebbe essere l’una cosa e l’altra, dato che di tutto si occupa meno che della Santa Sede.
“Al tempo delle accuse di Chaouqui, due mesi fa, Massimo Franco argomentò l’ipotesi di un complotto per screditare, attraverso l’accusatrice, il papa che le vuole bene. Esperto democristianologo, Franco si era fatto accreditare provvisoriamente come vaticanologo dal suo giornale, il “Corriere della sera”, per spiegare che il papa stesso era per l’idea della congiura.”

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (267)

Giuseppe Leuzzi

Nell’utopia di Auguste Comte, dell’Umanità positiva o della Chiesa universale, 1851-1854, l’Italia veniva considerata alla pari della Francia e prima di Germania, etc. L’Italia era rispettata come e più di altri paesi europei prima del’unità. Prima della squalifica a opera del Nord: del Nord Europa contro il Mediterraneo, e del Nord Italia contro il Sud Italia.  

Le città più povere – meno ricche – pagano le patrimoniali locali più pesanti: Reggio Calabria, Napoli, Salerno, Messina, Siracusa, Catania, etc. Sono anche le città  dove l’amministrazione pubblica è la peggiore, al riesame dei servizi offerti.

Nella classifica delle patrimoniali più pesanti si infila anche - tra Messina e Siracusa – la capitale, Roma, ora commissariata. Inefficienza e vessazione vanno insieme.

Si è mai sentito di un gruppo mafioso che per ottenere risultati paga? Di una mafia che distribuisce mazzette? Sarebbe un unicum, la prima volta in assoluto. Corrado Carnevale, l’ex giudice di Cassazione patito della forma, va alla sostanza della cosa con “Panorama”. Dell’abuso di mafia in Mafia Capitale, l’inchiesta romana: i giudici si divertono, i giornali pure, ma la mafia? Quando tutto è mafia niente è mafia.

La poetica del brigante
“Lélio”, parole e musica di Hector Berlioz, si apre con l’omonimo protagonista deluso da Parigi, dalla critica, dagli amici, dalla superficialità. Meglio, dice “andarsene nel regno di Napoli o in Calabria, a prendere servizio con qualche capo dei Bravi, dovessi ridurmi a un semplice brigante”.  Ed eccolo partito: indossa un cartucciera, una carabina, la sciabola, le pistole, e un “cappello da brigante romano”, ma è in Calabria che si trasporta. Alla scena III è già brigante, all’ordine di un Capitano che dialogi così col coro:
“Meglio essere briganti\ che un re o il papa da adorare,\ saltiamo rocce e torrenti,\ oggi è giorno di munificenza\ andiamo a bere alle nostre ganze\ nel cranio dei loro amanti!”
Di suo, però, il protagonista-autore riconosce: Sì! poetiche superstizioni, una madonna protettrice, ricche spoglie ammonticchiate nelle caverne, donne scapigliate, palpitanti di terrore, un concerto di grida d’orrore accompagnato da un’orchestra di carabine, sciabole e pugnali, sangue e lacryma-christi, e un letto di lava cullato dai terremoti, andiamo via, ecco la vita!”.
Il quadro non è filologicamente corretto – il brigante calabrese col cappellaccio romano, e il lacryma-christi con la lava di Napoli, ma la poetica sì, è ben romantica.

Immacolata, la donna del Sud
Molti i ritratti di Francesca Immacolata Chaouqui, sotto processo in Vaticano, su “la Repubblica”, “l’Espresso”, “Corriere della sera”, “il Fatto quotidiano”, Formiche.net”, ma tutti mancano un punto decisivo. “Repubblica”, lamentando che si divaga al solito sul personaggio, dicendola tutto e il contrario di tutto, massona, Opus Dei, Cia, maneggiona di Bisignani, corvo, conclude sbrigativa: “Voci che nascono da una domanda senza risposta: perché il Vaticano la chiamò? In quel momento lavorava ad Ernst & Young, ma nessuno la conosceva”. Questo non è vero, si era segnalata almeno per un fatto, che questa rubrica aveva trattato l’l1 giugno 2013, un mese prima della nomina papale, sotto il titolo “Donne d’onore”:
Qui si passa dalla mafia analfabeta e violenta, graveolente anche se allicchettata, al capitalismo iperavanzatissimo. Cui introduce Francesca Chaouqui, trent’anni non ancora compiuti, direttore delle Relazioni esterne di Ernst & Young in Italia, la società americana di contabilità. Che ha scritto al “Corriere della sera”, indignata per l’assassinio della quindicenne di Corigliano Calabro, una serie di abomini contro una terra, la sua dice malgrado il nome, che si vergogna di avere figlie femmine, e appunto le uccide.
Una lettera “estrema”, che ha avuto naturalmente l’effetto di moltiplicarne la lettura e i commenti. Ma, per un volta, non il solito pro-contro, no, Francesca ha contro tutti. Per una reazione anch’essa naturale, che Renate Siebert, la sociologa che da quarant’anni studia la condizione della donna in Calabria, così ha sintetizzato al “Quotidiano di Calabria”: “Una storia come questa potrebbe essere accaduta in qualsiasi altro posto d’Italia. Trovo assolutamente razzista e aberrante che si possa parlare, in questa vicenda, di specificità calabrese”. Elementare. Ma la sociologa non tiene conto di una specificità calabrese, che pure ha contribuito a mettere in luce, contro lo stereotipo donna del Sud: il temperamento femminile.
Francesca Chaouqui è giovanissima dirigente di un’azienda che ha questo vangelo: “Persone che dimostrano integrità, rispetto e spirito di collaborazione. Persone con energia, entusiasmo e il coraggio di essere leader. Persone che creano delle relazioni fondate su valori condivisi. Persone che dimostrano integrità, rispetto e spirito di collaborazione. È in proprio una che sa quello che ha scritto al quotidiano milanese. Potrebbe aver voluto “scrivere” il paradigma del rifiuto, come esercizio di bravura. “Mi occupo di comunicazione”, si difende in rete, come a dire mi tocca lavorare. Ma è regina di twitter. Dove passa il tempo in attesa della notte: “Vivo come se non avessi più tempo, sorrido sempre”, così si presenta, “ogni tanto m’arrabbio, di notte scrivo. Felice”. Anche Kierkegaard scriveva di notte, ma era più lungo, si voleva infelice. Francesca Immacolata, detta Francy, si diverte e ritwittare un Khalid Chaouki, fra i tanti, col kappa. Insomma, anche se si arrabbia è spensierata. Oppure ha scritto la letteraccia perché ci crede – ha solo “amicizie” femminili, dice. In ogni caso un bel temperamento.
Ma non è sola. Un bel combattimento tra matriarche, come solo in Calabria se ne trovano, la sua lettera ha suscitato. I tanti calabresi che sono intervenuti per zittirla, giovani e meno giovani, parlano come “figli di mamma”. Tra le tante risposte merita una citazione quella che Rachele Grandinetti, 29 anni, ha scritto a Corrado Augias, a “Repubblica”: “Mia nonna è rimasta vedova a 29 anni con quattro figlie femmine cui non sono mancati amore, educazione, istruzione. Oggi sono tutte professioniste perché hanno scelto di studiare e di seminare. Mia madre è una donna in carriera, ha iniziato a lavorare a 19 anni e si è laureata che aveva già due figli…”. Indistruttibili, altro che figlie abbandonate.

Menzogna e verità – prima della delazione
Luigi Lombardi Satriani progettava nel 1990 un libro sulla delazione come fenomeno antropologico italiano. Ne parlò con Denise Pardo de “L’Espresso”. A proposito della lettera anonima, e della più generale vigliaccheria quando è garantita dall’impunità. Poi ci furono i pentiti di mafia e l’antropologo non scrisse più il libro. Ma in realtà lo aveva scritto già nel 1974, “Menzogna e verità”. Della menzogna come artificio della verità “nella cultura contadina del Sud”. Una rilevazione attraverso i modi di essere e di dire e le pratiche fatiche: narrative, conversative.
C’è indistinzione tra verità e menzogna. La verità non è menzogna, certo, ma entrambe corrono sullo stesso filo: a che chilometro l’una diventa l’altra non si può stabilire con metro lineare. “Menzogna e verità”, dirà lo stesso Lombardi Satriani in “Dialoghi metropolitani”, di poco posteriori all’intervista, sono “varietà variegate e intersecantisi”. La verità è più propriamente “la ricerca umana di verità”, mentre la menzogna “occulta con difficoltà l’essere anch’essa una ricerca, a volte disperata, di verità”.
Bene, al Sud di più. In un quadro sociale segnato, con lunghe – storiche - dipendenze, che hanno creato vaste zone di riserva mentale. Come delle camere d’aria in un ambiente altrimenti irrespirabile. Delle trincee in un fronte sotto tiro. In attesa di tempi migliori: più liberi, meno incerti.
Resterebbe da indagare il confine tra menzogna e delazione, la quale è invece non una ricerca ma un atto deliberato, e al fondo violento. Ma qui la connotazione classista è probabilmente inderogabile. C’è chi sa – per istruzione, censo, formazione storica – quello che fa, e chi confonde i due campi. La menzogna come scudo o campo trincerato di difesa ha anch’essa confini indistinguibili con la delazione. Con la menzogna come offesa, come atto criminale.
È però dubbio che l’antropologo oggi considererebbe la delazione una vigliaccheria, come faceva venticinque anni fa. In questi pochi anni, che per questo sembrano un’eternità, come se l’Italia avesse sempre vissuto così, la delazione è divenuta eroica e premiata.

leuzzi@antiit.eu 

La guerra per ridere

Il ridicolo della guerra. Rappresentato da un nazionalista, prossimo a diventare mussoliniano. Tragico a volte, ma per essere grottesco. La guerra come un seguito di situazioni assurde, non fosse la morte di soldati inermi. Raccontata a distanza doppia. Dopo la sua conclusione, bene o male vittoriosa, e quindi fuori dalle polemiche politiche che avevano accompagnato il conflitto, ma senza la facciata del patriottismo che tutto vela. Da uno scrittore in età e di Catania, lontano anche fisicamente dalle beghe di palazzo e nei comandi militari. E dopo, forse, non ce n’era altra, non c’era altra guerra – niente eroismi, imprese ardite, la memorabilia.
La guerra come “smisurato contenitore di storie”, nota Gabriele Pedullà, che cura questa raccolta. Tema di uno smisurato numero di scrittori, di cui rifà l’elenco. Compresi quelli che non vi poterono partecipare perché riformati. E quelli come De Roberto che avevano passato l’età. Una cinquantina quelli che restano nella storia della letteratura - e manca all’elenco la memoria migliore di tutti, alla rilettura, per drammatizazione e verità storica, quella del giovane Hemingway di “Addio alle armi” (migliore per la vita di trincea, e l’anamnesi della ritirata e dell’inadeguatezza dei comandi, della loro violenza cieca, incapaci di ordinare e solleciti a “giustiziare”, ad addebitare sommariamente Caporetto ai soldati - non c’era ancora stato l’8 settembre, ma Hemingway aveva capito venticinque anni prima, e con lui, in parte, Malaparte).
Una raccolta di racconti. Lunghi la gran parte, ma di lettura, di buona tecnica: caratteri, situazioni, dialoghi. Documentati, documentatissimi: De Roberto sa la geografia fisica e la toponomastica, la vita di trincea, e le mentalità o linguaggi. Che diversifica anche col sussidio dei dialetti, sempre appropriato, nell’ortografia, la sintassi, le caratterizzazioni. Racconti a intreccio, a differenza dell’autobiografismo della letteratura di guerra. Ma non “raccontini con lo sparo finale”, di quelli agiografici che Italo Calvino lamentava, i suoi compresi, della Resistenza. Alcuni drammatici, ma disincarnati e quasi spassionati, disincantati. Se non frivoli, anche quelli “neri”, “La paura” del titolo, “L’ultimo voto”. Costruiti su aneddoti gai per lo più, brillanti.
“La cocotte”, il primo racconto della raccolta, e titolo della prima raccolta “di guerra” dello scrittore nel 1919, sberleffa i regolamenti che vietavano alle mogli di avvicinarsi ai mariti al fronte, ma vi mandavano, protette, le signorine. Il secondo, “All’ora della mensa”, mette in scena gli improbabili ufficiali riservisti dei Comandi di Tappa, il maggiore rinsecchito alla don Chisciotte, l’aiutante maggiore più tondo che alto, il tenente di “appena il metro e cinquanta” di rigore, attorno a un sabotaggio che è solo fame.“La retata” irride ai sacri valori del conflitto. “Il rifugio” mette a improponibile confronto le regole della guerra con l’umanità dei singoli.
Una raccolta a suo modo memorabile, di un’“altra” guerra: con un fondo sempre ilare, più spesso sapido. La introduce del resto una monografia critica di cento pagine. Un evento, questa fatica di Gabriele Pedullà, se non altro perché anomalo, fuori voga - che forse per questo ha lasciato muta la stessa critica. Una monografia in realtà sulla letteratura di guerra, della Grande Guerra – corredata di vasta bibliografia ragionata. Partendo da una parentesi: “(la famosa tesi di Walter Benjamin, secondo cui dalla Grande guerra i reduci tornarono senza alcuna esperienza da raccontare, è clamorosamente smentita dal numero delle pubblicazioni degli anni successivi)”. Ma la tesi era già smentita, come numero di pubblicazioni, quando Benjamin scrisse questa osservazione, in “Esperienza e povertà”, il 7 dicembre 1933, che vale citare per intero: “Una cosa è chiara: le quotazioni dell’esperienza sono cadute e questo in una generazione che, nel 1914-1918, aveva fatto una delle più mostruose esperienze della storia mondiale”. Mostruoso è l’aggettivo più calzante per De Roberto - il volume delle rievocazioni conta poco.
Anche il seguito di Benjamin merita: “Forse questo non è così strano come sembra. Non si poteva già allora constatare che la gente se ne tornava dal fronte ammutolita? Non più ricca, ma più povera di esperienza? Ciò che poi, dieci anni dopo, si sarebbe riversato nella fiumana dei libri di guerra, era tutt'altro che esperienza che scorre dalla bocca all’orecchio. No, non era strano. Poiché mai esperienze sono state smentite più a fondo di quelle strategiche attraverso la guerra di posizione, di quelle economiche attraverso l’inflazione, di quelle corporali attraverso la fame. Una generazione che era ancora andata a scuola col tram a cavalli, si trovava, sotto il cielo aperto, in un paesaggio in cui nulla era rimasto immutato tranne le nuvole, e nel centro - in un campo di forza di esplosioni e di correnti distruttrici - il minuto e fragile corpo umano”. Una guerra che è stata una “smentita”, dunque. Della retorica, della demagogia. Ma anche di un modo di essere, o di concepirsi: una sovversione.
Anni prima, nel 1926, in “Strada a senso unico”, lo stesso Benjamin ne aveva dato il senso, della Grande Guerra come esproprio dell’esperienza e riduzione della persona a massa, che caratterizzeranno la contemporaneità: “Masse umane, gas, energie elettriche sono state gettate in campo, correnti ad alta frequenza hanno attraversato le campagne, nuovi astri sono sorti nel cielo, spazio aereo e abissi marini hanno risuonato di motori, e da ogni parte si sono scavate nella madre terra fosse sacrificali”. Ogni esperienza individuale, e quindi la capacità di farsi la storia, di raccontarsela, di raccontarla, la guerra ha dissolto come in un “bagno di acido solforico”. Se non - a distanza, alla doppia distanza di De Roberto - criticamente.
La trattazione di Gabriele Pedullà  è articolata sulla tripartizione di Oliver Stone, il regista: “Chi c’è stato, chi non c’è stato, chi avrebbe voluto esserci”, sottinteso in guerra. Sul racconto della guerra  anche da parte di scrittori che per l’età ne sono stati esclusi, Svevo, Pirandello, Di Giacomo, Panzini. In aggiunta ai riformati che non se ne diedero pace, Papini, Gozzano, Boine, Arturo Onofri. E i troppo giovani, Gallian, Brancati. De Roberto appartiene alla seconda categoria. E quindi d’ufficio ascrivibile agli “inventori” della guerra che uno degli agiografi, Paolo Monelli, depreca in “Le scarpe al sole”. Ma rispettoso e corretto, sebbene ardente patriota - e documentato. Il racconto del titolo, “La paura”, Pedullà dice “l’essenza profonda del primo conflitto”. Gran nmero di critici e studiosi se ne sono occupati: la rappresentazione del sacrificio inutile in guerra, della morte inutile, o della guerra come successione di ordini assurdi, con l’unico effetto di mandare i soldati a uno a uno alla morte.
Federico De Roberto, La paura e altri racconti di guerra, Garzanti, pp. 430 € 13

giovedì 3 dicembre 2015

Roma al Centro

Sarà un uomo di Alfano il candidato del Pd al Campidoglio a maggio. Forse nella stessa persona di Marchini. Il Pd presenterà un candidato di facciata, il voto dei renziani confluirà sul candidato di Alfano. In una sorta di divisione delle capitali: Milano a Renzi, Roma a Alfano.
È il senso del rifiuto dei Democratici di punta a Roma, da Zingaretti in giù, a candidarsi. Del mancato accordo fra Marchini e il centro-destra berlusconiano. Della nomina di Tronca, alfaniano di stretta osservanza, a commissario della capitale. Delle nomine di Tronca, tutte legate al ministro dell’Interno: non c’è angolo, anche il più in ombra, dell’amministrazione romana che Tronca non abbia occupato con vice-commissari, anche molto mediocri, dell’Ncd.
Roma ha un precedente di voto Pd disgiunto: nel 2008, quanto Rutelli perse con Alemanno perché la parte ex Pci del Pd non lo votò. Ora è la parte ex Popolari che fa una diversa scelta, scottata dal tentativo di Marino di spossessarla dei poteri che detiene. Ma invece di astenersi voterà il candidato di Centro, per evitare il rischio Grillo.

Recessione - 43

Le cattive notizie che non fanno notizia:

Il pil cresce meno del previsto, e nel terzo trimestre meno dei primi sei mesi.

Il pil cresce (poco) solo per i consumi, niente investimenti.

Il pil torna a crescere, ma sotto la medie dei paesi più industrializzati: negli ultimi dodici mesi è stato dello 0,8 per cento, contro l’1,2 in Francia, l’1,7 in Germania, l’1,6 della media Ue, il 2,3 degli Usa.

Gli occupati erano 23 milioni 200 mila ad aprile del 2008, sono a fine novembre 22 milioni 443 mila.
I 900 mila occupati in più degli ultimi tre anni sono ultrasessantenni: tutti quelli cui la riforma Fornero ha innalzato l’età pensionabile.

I 750 mila nuovi posti di lavoro nel 2015 sono regolarizzazioni di antichi rapporti, grazie agli abbuoni fiscali e parafiscali.

In questo quadro i posti di lavoro fissi sono aumentati di poco: da 14 milioni 587 mila a dicembre, prima degli sgravi, a 14 milioni 715 mila - di 128 mila unità.

Il tasso di occupazione in Italia – persone sul mercato del lavoro rispetto alla popolazione in età lavorativa – è in Italia di dieci punti sotto la media europea.

Le agenzie di rating non promuovono il debito italiano..

Continua la falcidie degli esercizi commerciali diffusi, in parte per la concorrenza delle grandi superficie interamente liberalizzata (privilegiata), in parte per una ripresa lenta dei consumi: una media di trenta chiusure giornaliere.

A settembre e nel terzo trimestre la produzione industriale registra un incremento dello 0,2 per cento, malgrado il calo di agosto. Ma è tutto effetto della produzione, peraltro limitata, delle auto Fiat-Fca.

I prezzi alla produzione dell’industria sono in calo ancora a ottobre. Di uno 0,1 per cento rispetto a settembre, di un - 2,9 rispetto a ottobre 2014. La situazione è di deflazione.

Letture - 237

letterautore

Alice – “A cosa serve un libro – pensava Alice – senza figure né dialoghi?”.
La magia di Alice secondo Wittgenstein (“Note sul «Ramo d’oro»): per asciugarsi si dà lettura della cosa più arida che ci sia.

Elemire Zolla porta Carroll lontano, sulle tracce del coniglio. Nella introdozione alla “Imitazione di Cristo”, p. 10, ricorda: “In una vignetta dell’“Amphitheatrum”, il secentesco (cinquecentesco, n.d.r.) libro di figure alchemiche del Khunrath si vede il Ricercatore che insegue un coniglio bianco che s’è infilato in una buca del terreno da cui si passa ai regni arcani e mistici”. Il rev. Dodgson alchimista e teosofo, potrebbe essere una soluzione. 

Capitalismo – “Il padrone di Esopo, per guadagnare tempo, orinava camminando” – Montaigne, (“Saggi”, p.1495 degli Oscar) trae la notizia da una delle tante vite immaginarie di Esopo. M è vero che Esopo fu uno schiavo.

Céline – È il dottor Semmelweiss, l’unica cosa che sarà stato, l’unica identificazione possibile in positivo. L’uomo che sa – di cui Bardamu-Céline ripete la lezione fondamentale: “La miseria perseguita implacabilmente e minutamente l’altruismo, i gesti più gentili sono impietosamente castigati”. Che non è misantropia, ma sano realismo

Dante – È eretico. Lo è stato in varie epoche, ora non più, ma non del tutto. È eretico per i mussulmani, avendo messo Maometto all’Inferno. Ed è scorretto politicamente. L’accusa di antisemitismo, omofobia e islamofobia, lanciatagli contro tre anni da Gherush92 , è per ora in sonno, ma non decaduta. Gherush92, “organizzazione di ricercatori e professionisti”, fondata e presieduta dall’architetto romano d’interni Valentina Sereni, che per questo fu attiva, è da allora anch’essa in sonno. Gherush è in ebraico Cacciata, una celebrazione degli ebrei sefarditi, in ricordo della cacciata degli ebrei dalla Spagna nel 1492, e successivamente dai domini spagnoli in Italia – la data scelta per la festa, che si vorrebbe pubblica, è il 31 ottobre, in ricordo del 31 ottobre 1541, quando Carlo V firmò l’espulsione degli ebrei dal vicereame di Napoli, Sicilia compresa.
In un certo senso, anche questa interdizione va a lode di Dante: che nel Trecento anti edesse l’antisemitismo e l’islamofobia.

La spiritualista Maria Soresina, “Dante era uno yogi”, o “Dante tra induismo ed eresie medievali”, lo vuole un praticante dello yoga, mediato attraverso il catarismo. Ma, di più lo vuole anche mezzo eretico e mezzo mussulmano. Perché, dice, Dante è averroista. Non solo mette Averroè nel limbo, quasi in paradiso, madell’opera di Averroè su Aristotele Dante dice che è un gran comento”. Un’affermazione decisiva, dice, “perché da quel commento nacque il cosiddetto averroismo cristiano, osteggiato aspramente soprattutto da Tommaso d’Aquino”. E non è tutto: “L’esponente più rilevante di questo averroismo cristiano era Sigieri di Brabante, che Dante mette in Paradiso nonostante fosse considerato eretico”.  Anzi no, c’è un’altra prova, ben più decisiva.
Tracce “neoplatoniche o averroiste” sono state trovate nella “Divina Commedia”. Neoplatoniche o averroiste? Non importa, perché “averroista è soprattutto l’essenza della «Divina Commedia»”. Per un motivo semplice: “Per Tommaso d’Aquino (nonché per tutta la teologia cattolica fino ad oggi) non è possibile «vedere» Dio se non dopo la morte, mentre per Averroè e gli averroisti è possibile arrivare a «vedere» Dio prima della morte”. E Dante, conclude Soresina, vede Dio “da vivo, ovvero prima della morte: “Questo insegnamento è l’essenza della «Divina Commedia», il suo significato più vero, più grande, più profondo: si può arrivare a incontrare Dio, a vedere Dio da vivi! Messaggio splendido, meraviglioso, ma è quello che dicevano Averroè e gli averroisti. Non Tommaso, non la Chiesa”. Sicura?

 

La cosa coi mussulmani sta come dice U.Eco nella “Bustina di Minerva” del 12 dicembre 2014: “È assodata l’influenza di molte fonti, anche musulmane, su Dante. Ma oggi, turbati dalla violenza fondamentalista, tendiamo a dimenticare i rapporti profondi tra la cultura araba e quella occidentale”. Ma questo non importa, un Dante mussulmano o eretico è solo uno in più, dei tanti Dante.


Dick, Philip K. – Un gran lavoratore, anche per la fatica che ci ha messo a impersonare l’alcolizzato e il drogato. Autore di 45 romanzi, alcuni a grappoli di due, tre e quattro in un anno, quasi tutti memorabili, e di almeno 133 racconti, due raccolte di saggi e un epistolario immenso, in una trentina d’anni. Il suo zibaldone che ora si traduce, col titolo “L’esegesi, 2-2-74”, prende 1.300 fitte pagine in estratto. E di una scrittura non da buttar via, che si rilegge ancora con gusto dopo cinquant’anni. Una febbrilità che lo portò alla morte per ictus a 54 anni, nel 1982.
L’autore made in Usa doveva farsi una biografia di lavoratore manuale: l’ethos del paese, il self-made man, era manualistico. La generazione post-beat, di beati nullafacenti, a cominciare da lui e fino a Foster Wallace, non più credibile con le mani callose, in un mondo peraltro sempre più di servizi e meno di manifatture, ha puntato sul “maledettismo” – in chiave americana sul vittimismo.
Il lettore di Dick si ritrova nel suo biografo in wikipedia: Temi centrali dei suoi visionari romanzi sono la manipolazione sociale, la simulazione e dissimulazione della realtà, la comune concezione del «falso», lassuefazione alle sostanze stupefacenti e la ricerca del divino”.
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Kierkegaard – Fu anche italianista? Cioè, non lo fu, e per questo faticò molto coi suoi riferimenti. Un caso è il proverbio toscano “chi troppo s’assottiglia si scavezza”. Che viene anche in altra forma: “Chi troppo assottiglia (o “assotiglia”, con una t-) si scavezza”. Kierkegaard lo trovò in Montaigne nella prima forma. Ma in tedesco, nella traduzione con originale a fronte, nella seconda, con due tt-. Kierkegaard però trascrive “assotiglia”, con una t-, e allora? Allora, forse, ha preso la citazione direttamente da Petrarca, “Rime”. 105.
Per capirne il significato, oggetto di una nota piuttosto elucubrata della Crusca, Kierkegaard annotò nei diari anche la traduzione inglese, di Giovanni “John” Florio, uno dei tanti “Shakespeare”: “Who makes himselfe too fine, doth break himselfe in fine”. E quella tedesca, che non ha capito il senso del proverbio: “Wer spinnt zu fein Haspelt sich ein”.

Morbidezza – Montaigne la registra come parola italiana per dire di un attributo malsano della voluttà. La voluttà si vuole rigida?

Santità – Il personaggio di ser Ciappelletto, usuraio, sodomita e santo, non ha valso una scomunica a Boccaccio. Si direbbe la santità poco seria, o la letteratura.

letterautore@antiit.eu

Il canone perverso del naturalismo

Non è trovatella, ma per il resto Maggie subisce tutte le digrazie. Compresa anzi quella di non esserlo: Maggie è brutalizzata dai genitori, prima che dal fratello e dall’innamorato. Per finire, forse, sul marciapiedi, e sicuramente morta di stenti. Nella Bowery, la suburra di New York fine secolo.  
Già proposto vent’anni fa da Publigold in una collana al femminile – la stessa che si ripropone con Mursia – “Maggie” è in effetti il racconto di un disagio di “genere”. Ma secondo il campionario scontato del naturalismo, solo voltato in lingua inglese. Un canone di cui non si misura la bizzarra perversione, specie per la ripetitività. Di suo, Crane ha la battuta finale. La madre degenerata, cui il fratello dice che Maggie forse è morta, risponde: “Beh, la perdono”.
Crane è quello che introdusse il naturalismo (Zola) nella letteratura in inglese:. Ma“Maggie”, il suo primo raconto a 22 anni, 1893, è di una durezza imbattibile anche per Zola. Due anni dopo, nel 1895,  Crane si farà un nome col finto reportage della Guerra Civile americana, “Il segno rosso del coraggio”. E riscrive “Maggie”, per renderla meno indigesta. Ma resta  nella critica come colui che interrompe il sonno della narrativa anglo-americana con le scene di vita. Che poi erano due, vizio e malattia. Avidità e prostituzione, in genere, per i personaggi femminili. Sifilide, con tisi, per gli uomini - anche per le donne.
Un modulo così penetrato nel vissuto occidentale che Crane se ne fece stile di vita, nei pochi anni, 28, che la visse. Dopo aver riscritto “Maggie”, nel 1896, fece scandalo testimonianzo in tribunale a favore di una prostituta, Dora Clark. Inviato di guerra nello stesso anno a Cuba, sposò a Jacksonville, Florida, la tenutaria di un bordello per ricchi, Cora Taylor, sposa, in secondo nozze, del capitano inglese Donald Starr. La sposò common law (il capitano stordito dagli eventi non concedeva rapidamente il divorzio) e con lei si stabilì a Londra. Dove furono la coppia più di successo, fra nobili e letterati – tra i tanti Conrad, Wells e il grande ammiratore di Cora Henry James. Finirà di tisi in un sanatorio della Fioresta Nera in Germania.
Stephen Crane, Maggie, ragazza di strada, Mursia, pp. 100 € 12,90

mercoledì 2 dicembre 2015

Turchia in Europa? Laica no, islamica sì

Una foto molto cliccata in rete mostra Erdogan tra Putin e Berlusconi in una triplice stretta di mano, con sorrisi soddisfatti. È di dieci anni fa, all’inaugurazione del gasdotto Blue Stream nel Mar Nero. Ora tutt’e tre la stanno in qualche modo pagando, ma questo non è un problema. Erdogan era un altro allora, un politico di centro molto liberale, che puntava all’ingresso rapido del suo paese nella Unione Europea. Francia e Germania dissero di no, e l’Erdogan liberale europeista subì uno smacco.
Ma Erdogan è un politico flessibile. Era entrato in scena dieci anni prima con un incitamento alla jihad, all’odio religioso, che gli aveva valso anche una condanna. Si è rifatto rilanciando l’islamismo, sempre presente nel suo partito – una sorta di Democrazia Islamica, parente delle Dc europee (l’Akp di Erdogan è nel Partito Popolare Europeo). Il risultato è stato un passo indietro, della Turchia e forse dello stesso Erdogan, rispetto alla laicità dello Stato turco e all’applicazione dei diritti civili e politici. Rapido e incisivo, in appena dieci anni.
Smirne, Bursa, Istanbul, Ankara, che ne erano immuni, ora pullulano di donne velate, al guinzaglio del padre-marito. Giornali e giornalisti che non condividono l’islamizzazione diventano affare di polizia, per lo più in borghese. La caccia alla minoranza curda è ripresa con impegno di missili e cacciabombardieri. Ma questa Turchia ora va bene a Merkel, e forse anche al socialista Hollande.
Erdogan non lo chiede più, ma Bruxelles insistente lo invita.

Tutto su Immacolata, eccetto la verità

C’è aria di voyeurismo attorno a Francesca Immacolata Chaouqui, in virtù del nome e dell’età, forse, più che dell’intrigo. C’è voyeurismo sempre nelle intercettazioni, l’ex Ufficio I della Guardia di Finanza si è imposto fra le tante polizie grazie al buco della serratura. Ma qui in senso proprio: di lei e lui, il marito, che adescano e ricattano questo e quello. Che sembra inverosimile e lo sarà, ma alla fine della storia – lei non se ne fa un cruccio.
È la conferma della natura delle intercettazioni: dire tutto ma non la verità. In questo caso come e perché Maria Immacolata fu una delle prime scelte, se non la prima, del papa argentino. Una donna giovanissima, che si era segnalata per la spregiudicatezza. Tanto più censurabile in un mestiere che vuole sobrietà e riservatezza, le relazioni pubbliche e il lobbying. Con una carriera precedente altrettanto inspiegabile, praticante di studio legale internazionale non laureata, quindi pr e lobbysta per studi prestigiosi, di avvocatura e contabilità.
È la filiera argentina? Del populismo-peronismo-esoterismo? Questa e altre carriere lasciano presumere di sì. Ma non possiamo saperlo. La prudenza di Denise Pardo-L’Espresso e D’Agostino-Dagospia attorno all’Immacolata, e l’intervista seduta di Massimo Giannini a “Ballarò” dicono che c’è attorno un’aria di protezione. 

Ignoranza multiculturale

Fra i teatrini degli uni e degli altri nella scuola di Rozzano si è rappresentato soprattutto un buco: una specie di morte fredda. Un buonismo laico o laicismo buono che non sono niente. La cancellazione della tradizione in nome di questo niente.
Da una parte si sono visti a Rozzano i partiti di destra per una comparsata in tv. Dall’altro maestre ignote mute, sotto la guida di un preside furbo grillino, con un progetto di scambio del Natale con una Festa dell’Inverno. Il vuoto, in aggiunta al freddo, non era effettivamente nel mezzo, era in questa parte, nei muri della scuola, disanimati.
Ogni anno la scuola celebra alcuni rituali vuoti. A ottobre le sfilate contro la finanziaria. A novembre l’occupazione. A dicembre il Natale che non s’ha da fare. Non impunemente: ogni anno la scuola – la scuola pubblica – si perde un pezzo, si mutila, si deprime. Prima con le lotte, ora soprattutto col multiculturalismo. Che la scuola, più che praticarlo come da programma, mostra di non capire. Eppure è semplice: il multiculturalismo è una moltiplicazione delle conoscenze e le tradizioni non una mutilazione. Il multiculturalismo vuole la messa in valore della propria  tradizione, accanto alle altre, non la sua escissione.
L’ignoranza è anche della geografia, della geografia politica. Si vuole abolire, si è abolito di fatto, il Natale a scuola perché, si dice, urta la sensibilità dei mussulmani. Mentre è al contrario che avviene. Al mussulmano dà fastidio questo cristiano untuoso con le mani alzate: è il carogna che si arrende per non combattere e soprattutto non è un credente. Un cristiano è già miscredente di suo, se poi nasconde la sua fede è un doppio miscredente.
Ora, non bisogna pretendere che le maestre vadano a scuola di islamismo. Ma bisogna che sappiano  che la cultura si fonda sulla tradizione, e che la religione non si esclude dalla vita politica, tutt’altro – i maggiori pensatori laici dell’Otto-Novecento sono su questo unanimi. Ma, poi, basta una conoscenza minima del mondo arabo e islamico, da turista, anche soltanto al mercato, per sapere che  questo camuffarsi, celarsi, scancellarsi non viene letto come un segno di benevolenza ma di debolezza: non c’è francescanesimo nel mondo arabo e islamico, tanto più se senza stimmate né altri segni divini.

La rivolta di destra

“È piuttosto sorprendente che la maggior parte degli scrittori tentati dal fascismo venga considerata composta di individualisti accaniti, mentre la dottrina fascista e quella nazional-socialista sono strettamente anti-individualiste”, riflette a un certo punto lo studioso. Non è la sola incongruneza. I grandi scrittori che erano stati fascisti dopo la guerra furono dichiarati pazzi: Hamsun, Pound e, indirettamente, Céline. Non c’era altra etichetta possibile. L’anticapitalismo, “antimaterialismo morale”, forse. E la sfiducia nel progresso, che poi diventerà comune, a destra e a sinistra: l’incertezza della condizione umana, metafisica, fisica e materiale - ma non sempre: ci sono anche utopie in questo realismo, in Pound e in Hamsun, per non dire del progressismo di Marinetti et al.
Si riedita l’analisi dei “dieci scrittori attratti dal fascismo”, che lo studioso finlandese approfondì come tesi di dottorato – dunque molto annotata - e pubblicò in francese nel 1972. I dieci sono in realtà tre: il titolo originale è “Drieu, Céline, Brasillach et la tentation fasciste”, sgrossati nell’ordine - più Drieu,  meno Céline e meno Brasillach. Gli altri sette entrano a puntellare qui e là l’argomentgazione: Hamsun, Pound, Gottfried Benn, Jünger, Marinetti, Evola, Chateaubriant. Più un certo numero di tedeschi poi dimenticati. La platea dei simpatizzanti è peraltro più vasta,  in Francia e in Italia – Kunnas ne analizza ultimamente un’ottantina, in un’opera appena uscita in finlandese di cui annuncia la traduzione, “Il fascino del fascismo”.
Il fascismo ha attratto molti intellettuali. Anche chi (Céline, Drieu) era antinazionalista. Anche chi non era antisemita – Gottfried Benn anzi si riconosceva ebreo. Anche qualche antimilitarista (Céline). Socialisti (Céline, Drieu) e tradizionalisti, conservatori (Jünger) o rivoluzionari (Evola). È difficile trovare una ragione comune di appartenenza. Kunnas ne trova molte, e alla fine nessuna. E il motivo è forse l’approccio che sceglie per venirne a capo, e che sembra meritorio: interpretare il pensiero politico degli scrittori nelle loro opere letterarie, di creazione. Un complemento letterario alle tante “radici” del fascismo che la storiografia è venuta svolgendo nel secondo Novecento.
C’è il tema spengleriano della decadenza, specie in Germania. Ma anche in Evola, e in Pound. E in Drieu evidentemente, lo scrittore che più minutamente Kunnas analizza. C’è la violenza creatrice, in molti, compresi l’antimilitarista Céline e il naturista Hamsun. Accanto a molto pacifismo, per esempio di Céline: la guerra in lui, e in Drieu, che l’hanno vissuta, è sempre brutta. C’è il nazionalismo. Ma più spesso in forme paradossali, antinazionaliste: Pound naturalmente, e Céline. C’è il vitalismo, al solito mescolato col nichilismo. L’anti-intellettualismo, forse il dato più comune e costante – ma pur sempre opera di forti intellettuali, fortissimi (Evola, Jünger, Marinetti, lo stesso “spontaneo” Hamsun). La decadenza dell’Europa, tema mistico. E il fascismo naturalmente, ma di pochi e a tratti, Pound, Brasillach, e il solito Marinetti.
Kunnas procede anche con spreco di Nietzsche, che invece è difficile rintracciare nei dieci - non in Jünger, né in Pound, Céline, Hamsun, solo in Evola, in parte. E di “machiavellismi”, che – checché la parola voglia dire – non si possono certo imputare al fascismo, esplicito e diretto fino alla brutalità. Una novità, ancora oggi, è la sensibilità religiosa – cristiana – del nazifascismo, che impregna Drieu, Brasillach, Chateaubriant, Hamsun, e pure Céline: “l’ideale del sacrificio, l’ideale dell’oblio di sé, l’ideale della povertà”.
Queste categorizzazioni non si applicano però a Céline. Scrittore tragico, pamphlet inclusi. Dal lato nero della vita, non solare. Di cui ha però tanta nostalgia. Né a Pound, che ha, e si propone nei “Cantos”, un forte senso della storia, omerico, eroico – cantore del genio e della forza, dell’eccezionalità della vita, di cui fu operosissimo artigiano. Tra le due guerre e dopo, due età dominate senza soluzione di continuità dall’ideologia, che ne ha fatto dei rivoltati. Romantici in ritardo, più che altro, nell’età delle ideologie - dei partiti politici e le false coscienze..
Di Céline molte tracce sono sbagliate. Nel suo primo scritto, la tesi su Semmelweiss, il giovane medico mostra un disperato bisogno di razionalità: “La ragione non è che una piccola, piccola forza universale”. È così. “Non si insiste sufficientemente sulla misantropia di Céline”, subito dopo, è invece una falsa pista: Céline ha un senso sempre acuto dell’ipocrisia ma anche dell’amicizia, non maltratta mai i poveri che cura, è forse lo scrittore del Novecento più attento alla femminilità, in forma di persone e personaggi, affascinato senza riserve. Ma anche agli altri le categorie si applicano male. Drieu, per esempio, è un europeista nato, da prima ancora della delusione nella Grande Guerra – fino a credere all’occupante tedesco come a una promessa d’Europa (che sembra ridicolo ma non lo è).
Una ricerca datata. Lo stesso Kunnas ha ora approfondito la ricerca – oltre ad averla allargata ne “Il fascino del fascismo” - con un “L’ambiguità del male”, appena tradotto in francese. E tuttavia ancora inesplorata. In Italia. In Italia il tema è tabù, e il libro ancora oggi, a quarant’anni dalla prima pubblicazione, quasi esoterico, benché apprezzato dagli studiosi, Serra, Gentile, De Felice e molti altri. De Felice lo dice nella “Intervista” addirittura “il più bel libro mai scritto su quel tema difficile e irto di trabocchetti che è il discorso sull’ideologia fascista”. Per i molti la destra “non esiste”, alla romana, non è mai esistita.
Tarmo Kunnas, La tentazione fascista, Settimo Sigillo, pp. 308 € 25

martedì 1 dicembre 2015

Problemi di base – riediz. straordinaria

Il risveglio della Forza

Senza seguaci, il male non può diffondersi (Spock).

Il mutamento è il processo essenziale di ogni esistenza (Spock)

Fatti carenti sempre richiamano pericoli (Spock)

I computer sono servi eccellenti e efficienti, ma non ho alcuna voglia di servirli (Spock)

Una volta eliminato l’impossibile, quello che rimane, per quanto improbabile, dev’essere la verità (Spock) – o non la realtà?

La logica è l’inizio della saggezza, non la fine (Nimoy)

Spock è sicuramente uno dei miei migliori amici. Quando mi metto quelle orecchie, non è mai un giorno come gli altri: quando divento Spock, la giornata si fa speciale (Nimoy)


Non ho mai capito l’attitudine femminile di evitare una risposta diretta alla domanda, qualsiasi domanda (Spock)

spock@antiit.eu

Il lato nascosto di Hitler

Scienziato politico folgorato dall’occulto, Giorgio Galli insiste sulla traccia aperta dieci anni fa, con “Hitler e il nazismo magico”. Ma su una traccia meno incerta. Allora fecave di Hitler il portavoce e quasi la marionetta di gruppi segreti, massonerie, carbonerie, gruppi di potere. Qui rintraccia simbologie, formule e perfino riti anticipatori del nazismo nelle culture che il razionalismo del Cinque-Settecento aveva messo all’indice. In realtà, nulla cambia: Hitler non obbediva a una setta, né era fermo al Quattro-Cinquecento. Il suo è stato un movimento politico, con radici culturali surrettizie.

Giorgio Galli, Hitler e la cultura occulta, Bur, pp. 275 € 10

lunedì 30 novembre 2015

Ombre - 294

“L’islam nasce come religione di conquista”: non si fa scrupoli il poeta siriano Adonis a dire la verità, nel libro-intervista “Islam e violenza”. Forse per questo è accusato di essere filo-Assad, mentre è stato oppositore degli Assad, e per questo esule a Parigi, da oltre cinquant’anni.
È stato accusato dai migliori giornalisti dei migliori giornali.

Adonis dice la verità anche sulla Siria: “La politica occidentale si è mostrata assai poco perspicace nei paesi arabi. Mossa principalmente da interessi economici e commerciali”. Cioè, dice, dal petrolio saudita e degli Emirati.

“Prevale la sfiducia nei partiti”, titola “Il Sole 24 Ore” in prima pagina l’ultimo sondaggio.  Nel “termometro della credibilità” assegnando largo credito, nei favori popolari, ai grillini. È uno scongiuro o un auspicio - certo il sondaggio non dice la verità?

Non solo “Il Sole”, ovunque in tv e nei giornali si dà Grillo alla pari col Pd, e più spesso sopra. Mentre è un  movimento in perdita costante di credibilità, malgrado il favore dei media – a elezioni non infette dall’astensione si ridurrebbe all’8 per cento, il voto ormai consolidato dell’antipolitica.
Perché i grillini sono magnificati? Per indebolire la politica.

La famiglia Erdogan traffica con l’Is, curdi sono assassinati impunemente in Turchia, bombardati anche, nelle regioni curde, su ordine di Erdogan, che fa abbattere un aereo russo in Siria, mentre ordina arresti e processi di giornalisti, e l’Unione Europea lo premia. Senza fiato.

E il pilota russo “salvato” dai combattenti della libertà turcomanni? Scomparso, con tutto il video in cui i fedeli liberatori inneggiavano ad Allah. 

Non si fa scrupoli l’Unione Europea sulla Turchia di Erdogan perché sta a cuore a Angela Merkel. La Germania, che prima non voleva la Turchia in Europa, quando non era islamizzata, ora ce la vuole, questione di delocalizzarvi alcune attività. Angela Merkel ha tenuto su questo una lezione ai vassalli, scrive Ivo Caizzi sul “Corriere della sera”: Austria, Belgio, Finlandia, Grecia, Lussemburgo, Olanda, Svezia e baltici. Semplice.

L’una tantum di 80 euro si poteva pensare una misura anticongiunturale. Ma ora Renzi fa proprio Lauro: 500 euro ai diciottenni, prima del primo voto, e 80, mensili, alle polizie. Ai dipendenti pubblici no, niente contratti da dieci anni e blocco dell’anzianità, a Carabinieri, Finanza e Polizia si.  Una volta si sarebbe detto per preparare il colpo di Stato, ora non abbiano neppure questo diversivo, aere plumbeo.

Nella gerarchia delle notizie la sera del 26 viene prima Angela Merkel che aiuta Hollande, poi Putin con Hollande, e per terzo Renzi. Che porta forse l’impegno più  immediato alla lotta al terrorismo, e anche sostanzioso: i militari sul campo. Provincialismo? Odio-di-sé.

“Reazione diversa se avessimo saputo  che il jet era russo”, dice Erdogan, l’aereo abbattuto in pochi secondi, senza nemmeno un avviso, sulla Siria. Era un jet dell’Is? O se sapeva che era russo avrebbe bombardato il Cremlino? Erdogan, però, è uno sicuro di poter dire quello che vuole.

“Con monumenti mozzarespiro e una cucina da leccarsi le labbra, la città è un posto perfetto per passarci nell’illusione della felicità le poche ultime ore”. La città è Roma, le ore quelle prima del divorzio. Niente di meglio, per il blog che offre “consiglio e ispirazione” alle coppie al break-up, alla divisione.
Il consiglio ingolosisce il “New Yorker”, rivista snobbina, una cosa tipo  “vedi Roma, poi muori”. Poi uno legge “il Messaggero”, con gli eterni Tredicine, e  addosso a Marino, e si dice: ma io in che città sono?

La “New York Review of Boks”, rivista ancora più intellettuale del “New Yorker”, propone cinque libri per le feste: due su New York, uno su Parigi, e due su Roma: “Ricette della cucina dell’American Academy in Rome” (“verdure, biscotti, zuppe, pasta”, sottotiolo in italiano) e uno d’autore, “Italianissimo”, sottotitolo “The Quintessential Guide to What Italians do Best”, di Louise Fili e Lise Apatof. Quasi quasi ha ragione Renzi.

Il Pd vuole fare le primarie per il sindaco di Napoli col Nuovo Centro Destra, nomen omen. Per andare a destra o per portare la destra a sinistra? No, solo per bloccare un candidato del Pd. È vero.

Liberismo, liberismo,  l’Italia è sempre indietro di un passo sul liberismo, di liberismo non ce n’è mai abbastanza, etc., ma se l’Irlanda fa pagare alle imprese il 17 per cento di tasse, e l’Italia il 43, un’impresa che si trasferisce in Irlanda evade il fisco. Altri ci possono andare con merito, tedeschi, francesi