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sabato 25 giugno 2016

Le banche non se ne vanno e rilanciano

I servizi finanziari non ci mollano, il Brexit per loro non vale. Banche commerciali, banche d’affari, assicurazioni, fondi inglesi sono da tempo al lavoro, soprattutto in Germania, per mantenere lo status di libera attività. In Germania soprattutto perché le decisioni tedesche saranno poi quelle europee.
Il beneplacito di Angela Merkel è peraltro scontato, la finanza inglese non è molto preoccupata. La decisione tedesca potrebbe comportare un allentamento di tutti i vincoli che il governo Merkel e la Bundesbank hanno posto sui coefficienti di capitalizzazione e di esposizione delle banche, dovendo liberalizzare del tutto le attività finanziarie.

Quanta anglofilia

Non si sa se apprezzarla o disprezzarla. Se ritenerla manifestazione di cosmopolitismo o debolezza, da piccoli snob. L’anglofilia che dilaga dopo il Brexit, l’angoscia, quasi, all’abbandono di Londra: che ne sarà di noi? O è un’ubbia di giornali?
È più probabile un caso di soggezione culturale: è la forza dello snobismo. Gli inglesi, pur aggrappati ai fondi europei, hanno snobbato l’Europa e quindi sono l’asse del mondo. Mentre contano per lo zero virgola, e tra qualche mese per lo zero virgola zero zero.
Scrocconi terribili, ma con la puzza al naso. Buffoni anche, tipo Boris Johnson e Farage, che si vogliono i veri europei. Ma vorranno mantenere i benefici di Bruxelles. Nell’agropecuario soprattutto. E nella ricerca scientifica, in attivo per 600 milioni di fondi comunitari – mentre l’Italia è in passivo di altrettanto.

Brexit sarà una brutta storia

Un atto di guerra. Senza risposta possibile. Molto inglese – molto furbo. E non è finita, la guerra sarà lunga.
Dopo aver bloccato l’Europa dall’interno – qui non si fa politica – l’Inghilterra la bloccherà ora dall’esterno. Con pratiche interminabili per andarsene – questo già si sa. Perché non vorrà rinunciare ai benefici europei su cui ha emesso tratta – per l’agricoltura, per la ricerca scientifica per esempio (le università inglesi sono monopoliste dei fondi Ue per la ricerca: sarà effetto dell’inglese parlato e scritto?). E non mollerà sullo statuto privilegiato per le sue “banche”, che sono il suo maggior settore economico: le attività finanziarie e le filiali europee delle multinazionali, cinesi, indiane, Usa, etc. .
Privilegi che dirà obbligati, perché l’Inghilterra è ben europea, è l’Europa che non è europea. Sarà un braccio di ferro interminabile, ammesso che a Bruxelles qualcuno ci sia che voglia difendersi. Il Brexit è solo l’inizio di una brutta storia. 

Renzi come Cameron

Tutti lo pensano nessuno lo dice. Per scaramanzia? Per non disturbare il manovratore? Pensano che Renzi abbia fatto col referendum sulle riforme l’errore analogo a quello di Cameron.
Cameron ha voluto il referendum sull’Europa per mettere a tacere la sua opposizione interna, all’interno del partito Conservatore. Renzi prova l’analogo col suo referendum: liberarsi dei vari Bersani. Ha voluto provare quando l’ha chiamato, ora ne sarà quasi certamente vittima.
L’esito più probabile del referendum sulle riforme è analogo al Brexit. Il no coalizzerà, oltre all’opposizione interna, tutte le opposizioni politiche, anche quelle che ne hanno votato una parte. Mentre il voto di opinione, ammesso che sia per il sì, avrà difficoltà  mobilitarsi, il tempo è al disimpegno.

Il diritto del giudice

La giudice Melitta Cavallo e la Corte di Cassazione hanno adottato la stepchild adoption che il Parlamento aveva bocciato. Non  molti anni dopo la decisione del Parlamento, poche settimane dopo. Quindi non per adattare il diritto alle mutate condizioni socio-conomiche-politiche ma per “libero convincimento” di giudice. Sempre più i giudici usurpano l’attività normativa: bene o male che abbia fato il Parlamento, è ad esso che compete la formulazione delle leggi, almeno in base alla Costituzione.
La giudice Cavallo e i giudici della Cassazione sono di Napoli e questo è un altro strano capitolo del diritto italiano. Tutti i giudici, nei ranghi dirigenti, sono di Napoli o dintorni: la Corte Costituzionale, il Csm, la Cassazione, i Tribunali, le Procure. Napoli dunque si arroga, pur non avendone nessun  titolo specifico, quello di patria del diritto. Ma in senso deteriore.
Viene da Napoli, da Mario Pagano, fine Settecento, il giudizio come “convinzione morale” del giudice. Non basato su prove e verità dei fatti. Il diritto del “libero convincimento del giudice” si vorrebbe filosofico e quasi teologico (Sciascia ci ha scritto sopra pensose pagine, dal “Giorno della civetta” in poi, salvo ripensarci da ultimo in “Porte aperte”), ma è nei fatti l’arbitrio del giudice, e la liberazione dall’obbligo di studiare le carte e entrare nel caso.
A lungo la giustizia a Napoli è stata fatta dagli avvocati, dai “paglietti”. Per questo sono state divisate e adottate procedure non formalistiche, per disinnescare il pagliettismo. Ma la “convinzione del giudice” e la “creazione del diritto” sono della stessa natura: roba avvocatizia. Il legislatore romano, e quello napoleonico, avrebbero da ridire. La giustizia del giudice non è “più” morale, è  arbitrio e neghittosità.

Alla faccia del romanzo

Cento romanzi di una pagina – cento quelli originari, poi ci sono state aggiunte. Aneddoti per lo più alla Campanile. Dell’epoca dei romanzi di romanzi, esercizi di stile.
Una curiosità. Un distillato tardivo  dell’epica della morte del romanzo, da celebrare quindi antifrasticamente, con una moltiplicazione-irrisione: cento, mille romanzi alla faccia del romanzo. Di poco senso in quanto ricerca linguistica, letteraria. Di poco gusto per il lettore: molti i bianchi e le righe inerti, nessun aneddoto memorabile.
Giorgio Manganelli, Centuria, Adelphi, pp. 316 € 13

venerdì 24 giugno 2016

Che brutte facce

Chi se ne frega è la prima reazione al Brexit. La seconda è: Grecia dentro, Gran Bretagna fuori, dove andremo a finire – ma questa è solo da ridere.
I vecchi inglesi di campagna ci sono riusciti, ridono, perché si ritengono migliori, pace all’anima loro. Senonché, nel cordoglio continuo e generale di questa e le prossime giornate, tutte le tv e i giornali,impegnati 24 ore su questo non-evento, c’è da pensare: l’Europa non ha di meglio da pensare. Un attentato dell’Is, anche limitato, sarebbe peggiore, ma l’Europa trema solo al pensiero che i vecchi inglesi di campagna l’abbandonano perché si ritengono migliori.
E questo è solo l’inizio dei problemi, quelli veri. Si parta dal mattino, con Renzi che fa sapere di essere in vertice con Visco e Padoan, e con Calenda, Minniti e Gentiloni, nella Situation Room, sic. A fare che? E la memoria corre alla loro inadeguatezza. Sulle banche in primo luogo, contro le quali si sono fatti fare dei regolamenti di cui non hanno capito nula finché non sono entrati in funzione. Nulla al confronto con le banche tedesche, che erano e sono un colabrodo, ma al riapro dai regolamenti. E nulla fanno per il debito, che è il costo del debito stesso: basterebbe dimezzarlo, dimezzarne il costo, come può fare la Germania a spese nostre, per sgonfiare il problema.
La Borsa di Milano che perde il 12 per ceto? Una speculazione. Cosa c’entra Mps con le banche londinesi, che perde il 16 per cento O l’Enel, che perde il 10? Queste è l’Europa fuori del Brexit. Del resto Milano si è venduta a Londra da tempo proprio per servire da piazza di facili speculazioni, incontrollate. Quando la Borsa era a Milano si potevano ricostruire i movimenti, chi comprava e chi vendeva, ora si può farlo al buio. Era, avrebbe dovuto essere, il luogo dove raccogliere il risparmio, è invece il luogo dove si dissipa, per favorire la speculazione. Semplice, chiara, quasi dichiarata.
Mediocrità ovunque. Si trema al pensiero di cosa faceva Hollande a mezzogiorno in seduta d’emergenza all’Eliseo – da De Gaulle e Mitterrand a Hollande, è cambiata più la Francia o sono cambiati i suo presidenti? O i capò “in riunione” che Merkel ha messo alla guida dell’Europa, Juncker, Schultz, il polacco, Djisselbloem: gente incapace non solo di pensare qualcosa di giusto e di attuale, ma anche di dire le solite formule. Aspettavano che parlasse Merkel, e hanno ragione, in questo sì.
E che avranno da dire domani Renzi  e Hollande al vertice? Per tacere di Cameron, un genio, che il terremoto non voluto ha provocato per liberarsi dei Bersani del suo partito.  E ora passerà la mano allo svolazzante ex sindaco di Londra. Una Gran Bretagna che i flussi di migranti dalla Francia già regolava, in territorio francese, dal 2003, dagli accordi di Le Touquet. Un partito conservatore che si era perfino liberato della Thatcher per essere più europeo.
 Ma questa è l’Europa che la Germania ha voluto. Merkel ha ridotto al silenzio la Francia, irridendo Sarkozy, trattando da incapace Hollande. Che forse lo è, ma ci sono opportunità in politica cui converrebbe non derogare. Merkel non ne è capace. Ha impoverito l’Italia, di cui ha fatto e disfatto i governi. Ha distrutto la Grecia. Capitana un codazzo di Est-europei che era meglio aver lasciato fuori (ahi, Prodi!): polacchi, baltici, rumeni, bulgari, slovacchi, gli slavi del Sud, gli stessi ungheresi. Ha ereditato una Germania che vuole fare da sé e fa a meno dell’Europa, che lamenta come un peso: col suo personale seggio stabile al Consiglio di Sicurezza, parte di ogni decisione bellica senza metterci un soldato, monopolista in Europa, dato che ci si trova in mezzo. E l’ha gonfiata più della famosa rana. Con un codazzo di sicofanti che ne celebrano l’egemonia riluttante, mentre è solo distruttiva: gelosa e egoista.

Secondi pensieri - 267

zeulig

Dio – È creatore in senso proprio, artifex, nell’iconografia cristiana - altrimenti è l’Essere, senza identità personalizzata. È un Dio umano, l’uomo divinizzato. Nella figura del Cristo-Dio.
È su questo fondo che si è persa la concezione della religione come relazione reciproca tra l’uomo e Dio, e si arriva al “Dio è morto”. Originariamente, nelle religioni primitive, la divinità è opera dell’uomo. Mentre la religione è più complessa, la fede riponendosi piuttosto nella riposta della divinità. Per un processo di archetipizzazione e immedesimazione.

Droga –Isola. Non tanto dal punto di vista sociale, in epoca non permissiva, ma nella esperienza-conoscenza personale. Per la stessa sua proprietà dominante psichicamente. Quando si assume droga in gruppo è come avere tutti lo stesso corpo e quindi le stesse sensazioni, la droga unica essendo passata al comando. Invece ognuno la vive in modo proprio, fisicamente e mentalmente: l’effetto è divisivo sul gruppo. L’azione sociale non è chimica, presuppone la volontà.

Heidegger – La traduzione dei “Quaderni neri” si è fermata ai due volumi fino al 1939. Mentre i successivi sarebbero i più pregni, a quel che se ne sa da chi li ha letti in originale, anche se a loro modo anch’essi asistematici. È una decisione editoriale che probabilmente nasce da una strategia di comunicazione. Di vendita anche – non accumulare i “Quaderni neri”. E di moltiplicazione dei pareri, degli interpreti, più o meno leali, un business editoriale secondario.
Di che inverare ampiamente il disprezzo del filosofo per l’opinione pubblica, o le verità cucite al filo grosso.

Sorge”, care sono più che “cura”, “soin”. Sono la cura che si prende di qualcuno, e insieme la preoccupazione, il sentimento di partecipazione, che si ha per questa persona (comunità, evento).

Inquinamento – È scienza “inquinata”. Grigia, in qualche modo putrescente e non immacolata come dovrebbe, della stesa materia che tratta, i rifiuti e le polluzioni. Ogni scienza si materializza col suo oggetto. Inquinata e inquinante quella anti-inquinamento.

Nuovo – Si legava al rinnovamento, come nelle età della vita, e alla speranza. S’immedesima ora nel rifiuto: violenza verbale, esibizione dell’ignoranza.
È una speculazione: s’investe nel nuovo senza più. Senza un sigillo di qualità, una garanzia di lavorazione, che sarebbe tradizione: il campo non arato e non coltivato sarebbe il più produttivo. In politica e nell’arte. In economia e in letteratura invece si rinuncia: si sfruttano le posizioni di rendita residue. 

Opinione pubblica – Non raccordata alla volontà generale, è giornalismo – più o meno. Ne segue quindi le oscillazioni del gusto, e del business – il giornalismo è anzitutto un commercio: un veicolo per la vendita di pubblicità. Da qui probabilmente la povertà della riflessione in materia, che si può dire limitata a Lippman e Habermas. Mentre è il fatto che condiziona, via voto, le nostre scelte maggiori di vita, quelle sociali e politiche.
La volontà generale di Rousseau si può sintetizzare come la verità in sé, di ogni evento o atto, che si approssima con esercizio costante e comunitario, e di adotta nelle sue varie approssimazioni con decisione comune, il più possibile condivisa. Oggi, invece, per esempio, compito della politica è dividere, col proposito di meglio rappresentare. Che non è consequente ma non imoporta. È consequente al bisogno del giornalismo dominante di scandalo e complotto, per la “copia in più”, e questo basta.

L’assassinio di Jo Cox ha rovesciato per qualche giorno le intenzioni di voto in Gran Bretagna al referendum sull’Europa: dai favorevoli all’uscita ai favorevoli alla permanenza. L’effetto è durato poco, ma il ribaltamento è stato immediato, senza altri fatti nuovi, né ripensamenti o ragionamenti politici: d’istinto. Poi hanno prevalso gli stamina britannisti, delle generazioni del “buon tempo antico”, che sono anche le più refrattarie all’emotività.
L’opinione pubblica è più che mai instabile, e anzi volatile.

Nei “Quaderni neri” dell’immediato dopoguerra, dagli estratti che si possono leggere, specie nel “Quaderno” 1942-1948, Heidegger medita intensamente sulla pubblicità. Quasi un corpo a corpo. Contro la “dittatura della pubblicità”.Del “si pensa” e “si dice”. Cit. qui, dopo il volume 1942-1948 dei Quaderni neri, p. 82 di Di Cesare.
A partire dal 1940 la globalizzazione viene considerata attraverso il prisma dei media. Il “planetarismo” (globalizzazione) è un idiotismo”, dal greco idion, cioè proprio. Un proprio che è
l’uguale, in cui chiunque si ritrova e a cui consente e acconsente. La radio (la tv?) dice Heidegger di “essenza idiota”, emblema della coappartenenza di planetarsimo e idiotismo.

Razzismo – C’è, in parallelo col razzismo, la sua forma che Sartre ha chiamato in “Orfeo Nero” del razzismo antirazzista. Dell’orgoglio – di pelle, di tribù, di nazionalità, perfino di continentalità, africano contro europeo – di appartenenza come sfida all’altro. È alla radice del disagio corrente sul fenomeno dell’immigrazione di massa in Europa. Risentita come un’aggressione perché è sentita coma tale, come una rivalsa. Specie in Italia, un paese che non ha – o non oppone – una forte identità nazionale: comportamenti irrituali e anche illegali si esercitano come una sfida, nei centri di accoglienza e anche fuori – matrimoni forzati, velo forzato, poligamia. Forme che spesso sono desuete (la poligamia) e comunque non rispondono più al senso comune, nonché religioso, delle stesse comunità immigrate ma vengono esercitate come opposizione, a una forma culturale. È remoto il tempo dell’immigrato in cerca di assimilazione, il cui scopo principale era di impadronirsi degli stessi strumenti giuridici, sociali, culturali, del paese di accoglienza: ora si emigra con una riserva mentale, che più che identitaria è di ostilità.
La riprova è nel rifiuto dei tanti giovani, tra Francia, Gran Bretagna, Belgio e Olanda almeno diecimila, di seconda e anche di terza generazione europeizzati, che si sono fatti volontari del’Is., pur non possedendo i più nessuna nozione di islam, né alcun senso di fede.

Volontà generale - I referendum, supposti doverla affermare, sono in realtà antidemocratici. Incanalano la volontà generale entro le tracce di minoranze di minoranze, le élites. Modernamente intellettuali invece che di censo o di potere, ma sempre ristrette e maneggione.
L’opinione è al limite un effetto immagine, o di slogan. Comunque di gestione dei mezzi di comunicazione: la volontà generale è più che mai espressione dei media. Che hanno un padrone, hanno a cuore solo l’affare, e come obiettivo di escludere la politica.
La politica ha peraltro perso la funzione di mediare. Non nel senso democratico, di spuntare le punte estreme, le minoranze assolutiste. Non ci sono più corpi intermedi né istanze sociali o culturali a mediare i vari interessi nell’ambito di una collettività più ampia. Nazionale o, nel caso, continentale.

zeulig@antiit.eu

A Calais non ci sono i migranti

Letto il giorno del volgarissimo Brexit, l’opuscolo di Carrère, che dovrebbe essere un reportage sulla “Giungla”, il campo per migranti a Calais verso la Gran Bretagna, ma l’autore poi ci rinuncia, misura l’indigenza dell’Europa più che l’invasione temuta dai nostalgici inglesi. Rinunciare è un gesto di debolezza. Ma anche iniziare dicendo: “Vi sembrerà strano ma l’hotel Meurice di Calais è nato prima del celebre albergo parigino”. Hotel? Meurice? E non la Giungla dei settemila in attesa, preda dei facinorosi e farabutti, che nella massa dei migranti non mancano: manodopera criminale, avanzi o evasi di galera. Con un po’ di autoironia, sugli “inviati speciali” che rimestano nei soliti caffè e ristoranti dove tutti vanno. Ma anche qui senza infierire. Anche del Beau Marais, i quartieri di “urbanizzazione prioritaria”, Carrère accenna a dire che sono violenti senza paragone con la Giungla. E subito smette. Come dei calesiani: i pro e i contro i migranti sono malintesi, non le insufficienze di un’informarzione e un’azione politica.
L’indigenza dell’Europa è culturale. Malgrado tutto, il continente è ancora il più ricco del mondo – piange miseria, che è diverso. La Giungla di Calais è d’altra parte ciò che ha fatto vincere il Brexit: quale che sia il giudizio sul Brexit – ma è povera cosa, da alzheimer incombente – i “siriani” della Giungla di Calais saranno stati il detonatore. Settemila persone, non un esercito. Perlopiù in attesa di ricongiungimento familiare, per le storture delle leggi europee.
Il problema dell’immigrazione di massa è il degrado dell’opinione. Dei mediatori dell’opinione, dei giornalisti. Oziosi e svogliati, troppo spesso ignoranti. E quando sono ispirati accrescitivi: mostruosizzare, demonizzare, pro o contro. Uno storico futuro che volesse documentarsi sui giornali su questo fenomeno degli anni 2010 troverebbe poco o niente, nemmeno i numeri. Nulla sui trafficanti, in Africa, in Asia e in Europa, sulle motivazioni, sulla stessa organizzazione del traffico, che è organizzato, sui costi, economici (contanti, cessione di passaporti e altri documenti, indebitamento – quanto e a favore di chi deve lavorare un migrante per pagarsi il viaggio) oltre che umani.
Carrère indulge anche alla solfa degli afroasiatici che preferiscono la Gran Bretagna alla Francia. Che non si sa se è più stupidità o lazzo insolente (“che ce ne fotte a me degli immigrati!”). Sottosezioni del tema: preferiscono la Francia all’Italia, e la Germania alla Gran Bretagna.
Emmanuel Carrère, A Calais, Adelphi, pp. 49 € 7

giovedì 23 giugno 2016

Ombre - 321

Emanuela Audisio dice giustamente che non bisogna credere a Schwazer, quando dice che lui è pulito. Ma poi, tra una cosa e l’altra, dice che Schwazer ha ragione: che l’atletica non è pulita, e la Iaaf neppure. È così: c’è di peggio di Schwazer? Sì, l’antidoping. Succede come con le mafie e le antimafie.

Ora bisognerà processare di nuovo Conte, che fa andare avanti l’Irlanda, a scapito magari dell’Albania - Di Biase e Tramezzani avrebbero da ridire? Non subito, quando l’Italia sarà stata eliminata. Avrà di che occuparsi la Procura di Cremona.
Una pista: quanti irlandesi giocano nel Chelsea?

Una cinquantina di indagati del Pd a Bologna, compreso il presidente della Regione Errani, e – finora, dopo cinque anni – solo quattro condanne, non definitive. Contagio Grillo, i giudici si sfilano?
Dopo un quarto di secolo di giustizia come anti-potere, sarebbe ora di considerarla per quello che è: un potere assoluto.

Un dottore tedesco al Quirinale, il giorno della festa per gli atleti olimpici, pretendeva di far fare la pipì a Elisa Rigaudo. Un cretino – ci sono dottori cretini, anche tedeschi?

Accolto dai corazzieri, il dottore tedesco ha insistito. E quando Rigaudo è scesa ha bofonchiato  indispettito che quello non era un palazzo presidenziale. Nella guerra tedesca all’Italia dobbiamo mettere in conto pure l’antidoping?


È il laboratorio tedesco della Wada-Iaaf che ha trovato il testosterone dopo alcuni mesi nelle urine di Schwazer. E si sa che i tedeschi non sbagliano mai i referti, né i reagenti. Come l’invidia per l’Italia, anche quella è costante.

Strano senso del decoro al Quirinale, di Mattarella dopo Napolitano. Un dottore italiano che si fosse presentato a tempestare a palazzo Bellevue l’avrebbero messo dentro, come minimo, invece di panicare e starnazzare.

Il dottore tedesco è una spia? Fa controlli antidoping per la Wada, l’agenzia svizzero-canadese di cui sono soci ambienti non immacolati. Per conto della Iaaf, la federazione delle federazioni dell’atletica, presieduta dall’ultramassone Lord Coe. E naturalmente nessuno gli ha chiesto come mai fosse al Quirinale – si sa che tutti andiamo al Quirinale a chiedere che si faccia fare la pipì a questo o a quello.
Dappertutto ci chiedono “documenti!”, nessuno li ha chiesti al tedesco.

I fondi elettorali di Hillary Cinton sono quaranta volte quelli del miliardario Trump. Potenza della democrazia contro la timocrazia?

Vettel insiste e ci crede: “La Ferrari sta cambiando”. Dopo aver conquistato un secondo posto da solo, finalmente trasgredendo alle strategie e agli ordini della scuderia. Il potere ai piloti, abbasso le macchine!

Il pentito chiave contro Carminati a Mafia Capitale ritratta in aula. Lamentando “cose orchestrate col mio avvocato dell’epoca”. E spiegando: “Ho inserito quel nome (Carminati, n.d.r.) per ottenere ciò che mi era stato promesso e non ho visto”. Che cosa gli era stato promesso e da chi, e non ha ottenuto, il giudice non lo chiede.

Alla ritrattazione del teste anti-Carminati l’accusa oppone la registrazione di un colloquio dello stesso con un carabiniere che lo vigilava, in cui paventa ripetutamente, che il milite intenda, che Carminati lo farà fuori. Cioè, in cui accresce il prezzo della sua “collaborazione”.
Non un harakiri della Procura romana? Forse. Sicuramente la conferma che non si indaga sul solido ma sulle chiacchiere.

Luca Vullo è uno della fuga dei cervelli, “emigrato” da tre anni in Inghilterra, Dove è “gettonatissimo insegnante di gestualità italiana nelle università”, assicurano i giornali. Però, se l’Inghilterra può permetterselo, significa che tanto male non sta, che c’entra prendersela con l’emigrazione dall’Italia?

Trump ha detto “good luck!” a Salvini in uno dei suoi innumerevoli selfie, e Salvini  ha tradotto: “Ti auguro di diventare primo ministro in Italia”. L’inglese di Salvini sarà come quello di Renzi. Non potrebbero far finta di non saperlo?

Ma si conferma, certo, l’ignoranza di Trump: non sa che in Italia non c’è un primo ministro ma un presidente del consiglio. Salvini lo sa?

“C’è odio e violenza in politica”, scoprono a Londra dopo l’assassinio della parlamentare laburista. C’è altro?
C’era, ma non più con le reti, il mare degli sprovveduti – incapaci, invidiosi, folli.

Una foto di un russo con Putin rivela il complotto: gli hooligan russi a Marsiglia sono agenti segreti russi. Lo spiega Fabrizio Dragosei sul “Corriere della sera”, esibendo anche la foto, che dice del 2011. Dragosei si è fatto surgelare trent’anni fa?

Molto più interessante sarebbe sapere come la foto di un giovane, in secondo piano, con Putin nel 2011 riemerge. Di un giovane che ora sarebbe, ingrassato, uno degli hooligan russi a Marsiglia. Non l’avrà postata lui stesso, il giovanotto, fingendosi agente di scorta? Gli hooligan si divertono. O gliel’hanno postata? E perché non ci sarebbero fotomontaggi su Fb, o sulla rete in genere?
Ma i giornali non ci danno soddisfazione: loro sono per la guerra.

Volevamo le città più illuminate per la sicurezza, ora le dobbiamo spegnere per vedere le stelle dell’Orsa e la Via Lattea. Siamo irrequieti.

La storia dell’inquinamento luminoso è di una rivista un po’ sconosciuta, “Science Adventures”. Ma nella versione italiana non manca il confronto con la Germania: là l’illuminazione notturna è minore. Morale: i tedeschi sono più intelligenti e previdenti e non sprecano l’elettricità. Ma come vedono le galassie, se hanno tante nuvole in cielo?

Il femminicidio come vuoto attorno all'amata

Superpremiato e superelogiato, da sempre, dal debutto cinque anni fa, Bussi si vuole all’altezza. “Niente è stato lasciato al caso in questo affare, al contrario”, fa assicurare a p.100 alla vecchissima regista del noir: “Ogni elemento è al suo posto esattamente al giusto momento. Ogni pezzo di questo ingranaggio criminale è stato sapientemente disposto”. Purtroppo no, il puzzle si ricompone solo a ritroso, il lettore è tenuto costantemente fuori dal plot, con deviazioni improvvise e aggiuntine. In una architettura barocchissima, di tempi e nomi (persone). E non tutto quadra. Ma è grazioso, e il tema è acuto.
La Normandia c’è tutta, paesana e turistica, con i fiori. Grazie anche all’occhio dell’inquirente, un occitano in punizione al Nord. Aragon ricorre con i suoi versi più celebri sugli amori, “Non c’è amore felice” etc. E il femminicidio che oggi ci angoscia è visto nel suo aspetto forse più sinistro: il vuoto che il geloso dispone attorno all’amata - qui letteralmente, alla fine è come un macello.
Bussi fa aggio anche sulle ninfee di Monet, oggetto di un docufilm in proiezione in questi giorni molto apprezzato, “Le ninfee di Monet”, della serie “Da Monet a Matisse, il giardino nell’arte moderna”. Se non che ne dettaglia molte. Monet non ha dipinto altro per ventisette anni, gli ultimi della sua vita, alcuni “ettari” di ninfee, giudica un suo esperto, e Bussi ne risparmia poche al lettore. Il problema con questi gialli, Bussi come Vitali, è se non conviene limitarsi a duecento pagine, invece di raddoppiare, al lettore, all’autore e anche all’editore: più che leggere si “salta”, molto.
Michel Bussi, Ninfee nere, E\o, pp. 394 € 16

mercoledì 22 giugno 2016

Il gioco dei 4 cantoni

Abbiamo votato, la verità non sta nel voto?, e nulla: il giorno dopo è come prima. De Magistris fa Podemos, e anche Varoufakis - non Syriza, troppo moderata, anzi reazionaria. Berlusconi si prende le sindache di Grillo, uno spettacolo: “Volti strepitosi e discorsi responsabili”. Le grilline sindache per prima cosa si litigano le aziende. Tutti aspettavano lunedì un commento da Appendino, sindaca a Torino, ed è stato: “Profumo deve dimettersi”, il presidente della Fondazione di San Paolo. Che è un organismo privato. Questa più di tutte sembra inventata, ma è vera. Il primo commento dopo, è vero, dopo i suoi teneri sentimenti per il marito. A Roma il non ancora assessore architetto Berdini ha stabilito: “Stadio (della Roma) e Olimpiadi, progetti da rifare”. Non da cancellare, da rinegoziare con lui, all’uso antico. La sindaca Raggi, invece, bisogna dargliene atto, non si è effusa sulle nobili esternazioni del suo coniuge.
Abbiamo votato per il rinnovamento, ma è il solito gioco dei Quattro Cantoni, che evidentemente la playstation non ha sostituito: tutti vogliono il posto dell’altro, e se ne appropriano.

L’assalto a Roma

Non c’è dubbio, vivendo tra Milano e Roma, che Roma non è amministrata bene, ma è meglio amministrata di Milano. Pur essendo una città tropo complessa rispetto a Milano, anzi di complessità unica al mondo: religiosa e politica, amministrativa, industriale, d’arte, turistica. È più pulita, più decorosa, ha un buon sistema scolastico, ottimo per le materne, una buona sanità, e ha parcheggi, se non un trasporto pubblico adeguato.
Non c’è però dubbio che ha fama di volgarità. Di corruzione. Che è diffusa, ed è anche  tradizionale. Fino a non molti anni fa si pagava una mancia pure per avere l’allacciamento della luce o del telefono, all’uomo della Stet, dell’Acea o della Romana Gas. Ma non c’è corruttela. E anzi c’è abbastanza sdegno per portare a galla le situazioni di degrado morale. Nulla al confronto, facendo le somme, con la grande corruzione di altre città, Milano soprattutto, Venezia, Torino, Genova, sugli appalti pubblici. È una corruzione focalizzata sul cosiddetto terzo settore, o del “volontariato”, cioè sull’appalto privato dei servizi pubblici. Che riguarda Roma come tutta Italia: il terzo settore va rigovernato, non da ora, da quando si è messo a crescere gigante, nato una ventina d’anni fa.
Da che deriva la pessima fama di Roma? Dal suo giornalismo. Effettivamente corrotto – di un interesse contro l’altro. Oppure no, solo scadente: sa solo fare la predica - se non denuncia qualcuno, sia pure un sacrestano che ruba le elemosine, o un ambulante senza licenza, non sa fare altro. Si vedano al confronto le cronache degli stessi giornali di Palermo, per esempio, rispetto a quelle romane, o di Firenze. Una stampa scandalistica, che altrove è separata da quella d’informazione e in Italia invece la domina.

La giustizia del truglio

Una vecchia storia, quella dei delatori in quanto pentiti o collaboratori di giustizia. Della procedura giudiziaria a Napoli, dei Borboni come pure della Repubblica, nella sua breve vita. Una storia al punto, questa di Perrone, semplice e significativa, del rito abbreviato (“truglio”) o sommario in presenza di testimoni accusatori, meglio se correi. Con il caso speciale del processo politico, “per “reità di Stato”, contro Emanuele De Deo e la Società Patriottica Napoletana nel 1794, e col diritto e la pratica della Repubblica cinque anni dopo. Filo conduttore il grande giurista Mario (Francesco Mario o Francesco Maria) Pagano, avvocato e “regio cattedratico”. Le cui opere, tradotte anche in francese, influenzarono la rivoluzione del 1789. In dottrina avverso al “correismo”, in pratica poi favorevole, in quanto presidente della commissione legislativa della Repubblica – della cui caduta resterà vittima.
Un abbozzo foucaultiano di storia della giustizia oltremodo attuale, avviato da Perrone a fine Novecento e rimasto purtroppo senza seguito. Utile, oltre che attendibile, ma caduto nell’epoca dei denunciatori di massa, pentiti e cronisti giudiziari, e dei giudici d’assalto. Utile in quanto problematico.
Il sottotitolo è “Infami, delatori e pentiti nel Regno di Napoli”. Ma anche nella breve Repubblica Napoletana di fine Settecento. Filo della storia è Mario Pagano “Platone della Campania” (Dumas), da Cuoco e Croce equiparato a Vico, che “l’indiziaria pruova” dice “contraria alla ragione”, allora anche “opposta alle leggi”. Ma poi la fa adottare dalla Repubblica. Con l’aggiunta della censura preventiva.
Pagano è anche l’autore della teoria del giudizio come “moral certezza” del giudice. In un “aringo” del 1785 in un processo d’appello aveva ironizzato sul criterio legale romano-canonico, dell’“aritmetica legale”, appellandosi a “la moral certezza”. “Sia persuaso il Giudice, e sulle formalità si cali un denso velo”. La procedura romana escludeva espressamente l’arbitrio del giudice, obbligandolo a mirare all’accertamento della verità dei fatti, vincolandolo alle prove e a criteri di giudizio predeterminati.
In questo senso la legislazione borbonica aveva confermato la procedura penale dieci anni prima dell’“Aringo”. Salvo, subito dopo, e più tardi nei processi politici, rimangiarsela col “truglio”. Che non escludeva la prova dei fatti, ma la sovrastava con le testimonianze e gli accordi, “secondo la convinzione intima della conscienza de’ giudici”.
Il libero convincimento del giudice è stato introdotto nella procedura penale dalla rivoluzione francese, nel 1791. Ma deriva dalla dottrina del Pagano, di cui l’Assemblea Costituente già al suo esordio a metà 1789 aveva fatto onorevole menzione. Robespierre e altri giacobini era molto contrari:, “la moral certezza” bollavano come “arbitrio” e “dispotismo”. Ma il decreto passò e ebbe fortuna in diritto. Era stato anticipato dalla normativa del “truglio”. E sarà applicato dal Pagano nella Repubblica Napoletana.
Nico Perrone, Il truglio, Sellerio, remainders, pp. 147 € 4

martedì 21 giugno 2016

Problemi di base - delle indipendenze (281)

spock

Avevamo il sole delle indipendenze africane, avremo quello delle indipendenze europee?

Torneranno gli inglesi a una sterlina di 20 scellini?

E raddoppieranno o dimezzeranno la ricchezza?

Ma ora che il Galles è arrivato primo, non dovrà chiedere l’indipendenza?

Con la Catalogna indipendente, il Barcellona vincerà sempre?

È per questo che il Belgio non vince? Ma vuole essere fiammingo o vuole essere vallone?

E quando gli africani chiederanno l’indipendenza dalla Nazionale francese? E da quella belga?

La Gran Bretagna fuori dalla Ue, la Scozia fuori dalla Gran Bretagna, il Galles forse pure, la Catalogna fuori dalla Spagna, e la Galizia, e i Paesi Baschi, la Wallonia fuori dal Belgio, dove andremo a finire?

Niente più secessione padana, invece, con Inter e Milan in bassa fortuna?

spock@antiit.eu

Nessuno all'infuori di me - Berlusconi perfido 24

Raggi eletta a Roma con 750 mila voti, due terzi dei voti espressi. Appendino vincente a sorpresa contro uno che aveva già vinto. Sono l’effetto delle strategie elettorali di Berlusconi: evitare che il proprio candidato vada al ballottaggio, e al secondo turno incitare al voto in massa contro un incolpevole Pd. Pronto il suo elettorato ha obbedito, e ha plebiscitato le due 5 Stelle. Che nella logica di Berlusconi sono effimere, e gli restituiranno presto i voti, se e quando lui tornerà eleggibile.
Non c’è dubbio che Appendino e Raggi sono state elette da Berlusconi, i numeri lo dicono. Dopo le strategie elettorali apparentemente contorte, ma chiarissime nell’obiettivo: perdere. Il come è anche palese: frantumare il voto per tre a Roma, ed evitare che il centro-destra, che a Roma è maggioritario, vada al ballottaggio. A Torino boicottare il candidato leghista del centro-destra. E al secondo turono,  a Roma e a Torino, votare massicciamente “contro il Pd”, cioè per le 5 Stelle – è un fatto che a Torino al secondo turno c’è stato più voto del centro-destra per Appendino di quanto ce n’è stato al primo turno per il proprio candidato. Sono i regali perfidi di Berlusconi. Del suo “nessuno all’infuori di me”, ora che è ineleggibile. Per dare lustro alla sua gloria passata.

Una strategia coronata a Milano, altra città a maggioranza di centro-destra, con la tardiva candidatura di Parisi, poi sostenuto solo a mezza bocca – con l’altra mezza boicottato. 

L’amore è cieco all’analisi

“Il gallo cedrone durante la stagione degli amori non s’accorge neppure del cacciatore”. L’amore è cieco. L’amore è la via più breve alla felicità – l’amore romantico. Quasi un massimario: “L’amore è il sostituto di un altro desiderio, della lotta verso l’autocompletamento”. “L’amore non trae origine dall’impulso sessuale, ma appartiene al dominio degli impulsi dell’ego”. L’amore è una reazione agli “ambigui fantasmi come l’insoddisfazione verso se stessi, l’invidia, la cupidigia, l’ostilità”. Anche l’amore materno, che non è amore per l’altro, è un transfert – come l’amore paterno. Quando si farà un processo di Norimberga alla psicoanalisi?
E la lussuria? Ancora di più, è migliore scorciatoia alla felicità: “Più che l’amore, il desiderio sessuale si rivela più forte della paura della morte”. Col supporto del dottor Freud, naturalmente, “secondo il quale il sesso include l’amore, la tenerezza, la carità e la simpatia”.
Un libro del ’68. Non d’occasione né instant, il dottor Reik vi condensa la sua esperienza di psicoanalista. A nessun fine pratico, se non l’imbuto nel quale il sesso libero ci ha infilati.
Theodor Reik, Amore e lussuria

lunedì 20 giugno 2016

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (290)

Giuseppe Leuzzi

Le tabelle Istat sui reati per 100 mila abitanti vedono in testa Milano - seguita da Bologna e Torino. Ultime in classifica Palermo e Napoli. Si tratta del complesso di reati denunciati alle autorità giudiziarie dalle forze di polizia, non pesate per gravità. Molte denunce devono anche ritenersi indotte dalla copertura assicurativa. Ma il divario resta enorme, quasi il doppio fra Milano e Napoli: 8.088 denunce per 100 mila abitanti a Milano e provincia contro 4.365 per Napoli e la sua terribile provincia – idem per Palermo e famigerati dintorni, dove i reati sono stati 4.519 per 100 mila abitanti.

Malgrado la Prammatica Sanzione di Carlo III di Borbone del 1759 – nessun Borbone deve unificare le due corone, di Madrid e di Napoli – il re di Spagna Filippo VI è anche Re delle due Siclie. Ha una cinquantina di titoli regali, ma quasi tutti di entità geografiche non più esistenti. 

Si studiava la Storia Diplomatica, la Storia dei Trattati, la Storia dei Paesi Afroasiatici, la Storia d’Europa, ora le cattedre diffuse tra i contemporaneisti sono la Storia delle Mafie, la Storia della Mafia siciliana, la Storia del Crimine Organizzato. Non si può dire che non abbiamo nessun primato culturale.

L’antimafia delle banche
Monti ha costretto – ci ha tentato – tutti in banca, anche i pensionati sociali. Dopodiché c’è stata una corsa, di anziani e congiunti, a pagarle di meno. Ma come minimo la banca costa 200 euro l’anno. Che sembra un pizzo piccolo ma è grande, se si moltiplica per milioni di conti - la banca retail è furba. Nel nome dell’antiriciclaggio.
Anche l’uso limitato del contante serve all’antiriciclaggio Di chi? Non si capisce, ma bisogna crederci. Serve però anche a passare sempre dalla banca, carta di debito e di credito comprese. Monti e chi per lui vogliono farci credere che hanno un occhio per tutte le operazioni di spesa – miliardi ogni giorno? Magari ce l’ha per davvero, ma nessuno lo usa – la tracciabilità può darsi che ci sia, ma non si ritraccia niente. E dunque, quando si viene al dunque, l’antimafia è spuntata. Se ne parla molto ma per altri scopi, l’antimafia è utile a molti.

I pentiti alla guerra fredda
Alex Schwazer va all’Olimpiade a Rio dopo la squalifica per doping - con disonore: troppi tentativi d’imbrogliare le carte. Yuliya Rusanova pure, dopo una squalifica di due anni per doping. In una “squadra di rifugiati”, sotto il patrocinio Cio.
È giusto, chi è condannato può riabilitarsi. Non fosse che c’è il perdono per Schwazer, spergiuro e recidivo, e si è inflessibili con Carolina Kostner, che non è colpevole di nulla ma era innamorata di Alex. Kostner vene punita più di Schwazer erché non lo ha denunciato: non si è “pentita”.
Rusanova, invece, è premiata perché è una “pentita”. Una pentita russa, gestita dall’Fbi, in un sito segreto. Per fare meglio la guerra alla Russia, allargandola allo sport.
Rusanova è moglie di Vitali Stepanov, tecnico russo dell’antidoping. Dopo che la moglie è stata squalificata per due anni nel 2013 per doping, Stepanov ha preso contatto con la Wada, l’agenzia mondiale antidoping, e si è detto disposto ad accusare la Russia di doping sistematico nell’atletica, e forse in tutte le discipline, in cambio di protezione. Detto e fatto. Interviste clamorose sono state preparate per Stepanov. Dopodiché l’autoesilio dei coniugi Stepanov è avvenuto senza problemi, con visto turistico, e i coniugi, sotto la protezione dell’Fbi, sono i testimoni d’accusa che hanno portato all’allontanamento dell’atletica russa dalla gare internazionali e dall’Olimpiade brasiliana.
Lo sport non è stato immune alla guerra fredda. Nemmeno l’Olimpiade. Nel 1980 l’Occidente boicottò l’Olimpiade di Mosca per l’invasione dell’Afghanistan. Nel 1984 la Russia boicottò l’Olimpiade di Los Angeles per rappresaglia. I pentiti dello sport nella guerra fredda sono invece una novità totale, e nobilitano enormemente la professione.
Si può dire che ormai non c’è storia che non sia fatta dai pentiti.

La mafia degli incendi
Disattenzione, scoordinamento, incapacità, scirocco? No, è il complotto perfetto, la Sicilia si assolve così.
Di chi è chiaro: dei mafiosi. Che coalizzati e coordinati hanno appiccato il fuoco alla Sicilia. Sessanta bande mafiose hanno appiccato sessanta incendi in tutta la Sicilia, con l’esclusione del catanese – bisognerà rifletterci? Tutti insieme contemporaneamente, come nelle migliori operazioni di guerra.
Come se i mafiosi si occupassero di appiccare incendi. Oppure credessero ai giornali, secondo i quali dopo gli incendi si costruisce. Fessi non sono.
La stupidità invece no, di chi brucia stoppie e butta cicche accese, voluttuosamente, al vento caldo. Il piccolo grande business no, degli spegnimenti e dei rimboschimenti.
Però, è vero quello che la Sicilia pensa di se stessa, di avere intelligenza superiore. Quello mafioso sarà stato il più grande business mai inventato: basta dire “mafia!”, e si guadagna. Magari poco, ma è gratis.
Basta un po’ di vento caldo, che la Sicilia non si fa mancare di questa stagione, e sessanta incendi scoppiano indomati. Come farli fruttare? La mafia è d’ausilio.

Napoli si piace lazzarona
Tra terzomondismo e tratti filoborbonici, l’ex Pm narciso ora corre da favorito”, è il ritratto di De Magistris sul “Corriere della sera”. Di Marco Demarco, che non sarà un simpatizzante ma conosce l’uomo e la città - del resto, avendolo avuto giudice territoriale, non se ne può coltivare immagine diversa. De Magistris le elezioni poi non le ha vinte, le ha stravinte. Uno che dovrebbe stare ar gabbio, per le tante indagini false che s’è inventate a Catanzaro, quando l’hanno costretto a lavorare – perché lo riportassero a casa.
È troppo facile partire da qui per individuare il malessere di Napoli inguaribile. Ma non è possibile non tenerne conto: la città non rinuncia al suo lazzaronismo.
Questo è quello che più colpisce, più dei macelli quasi quotidiani al mercatino della droga: la voglia satanica non di migliorarsi ma di peggiorarsi. Quando il presidente Ciampi vent’anni fa ne tentò la rinobilitazione, sindaco Bassolino, si fece presto a parlare di Rinascimento, le qualità c’erano. Ma anche gli istinti brutali: la città peggiore reagì con immediatezza e violenza, inabissando il Rinascimento e Bassolino, sprofondandosi nei rifiuti – nel ridicolo più ancora che nelle puzze e i veleni. Il successore di Ciampi, il napoletano Napolitano, più che altro la eviterà.
Città inurbana
Era lazzarona Napoli un tempo con un filo di vergogna. Se non altro, era critica. Lo è ora compiaciuta. Troppo facile anche l’accostamento di de Magistris a Masaniello, ma che altro se ne può dire. Il de minuscolo, si raccomanda.
La città italiana di maggiore e più antica conformazione urbana non ha nulla dell’urbanismo. Della capacità dell’habitat urbano di amalgamare e socializzare. Si prenda al confronto Roma, con le sue baraccopoli ancora al tempo di Pasolini e di Paolo VI, che ne impose il risanamento, quindi non più di cinquant’anni fa. Che ora sono periferie urbanizzate, alcune anche trendy, con ritrovi, parchi, chiese, scuole, edifici pubblici e privati curati, piazze, eventi - hanno locali perfino gourmet, segno che il reddito medio non è inferiore. Con “la periferia riannodata al centro cittadino”, come chiede Renzo Piano.
Napoli no. Non aveva borgate. Aveva un centro storico intasato, Quartieri Spagnoli, Forcella, etc., è stata provveduta di ampi quartieri nuovi, trenta, venti anni fa, dopo il terremoto, e li ha degradati, subito, tutti. Fatto unico in tutta Europa, a livello del peggior Terzo mondo, ha in questi quartieri un abbandono scolastico del 30 per cento. Napoli, tutta la città, un milione di anime, ha secondo Save the Children un abbandono scolastico del 20 per cento – se anche in realtà è la metà è sempre enorme.
La povertà affluente
Si dice la povertà. I “disoccupati organizzati”, gli ambulanti, etc. Ma Napoli è pur sempre la capitale delle lavorazioni à façon nel tessile, e dell’industria della copia. L’applicazione non manca: il “napoletano” è ingegnoso e sa essere costante. In evasione fiscale e anche legale, ma sempre indice di capacità, industriosità - e tanto più per dover operare nell’illegalità. E di reddito, seppure nero. Nel carcere di Poggioreale entrano ogni anno otto milioni di euro di aiuti ai detenuti.
Questa Napoli infangata nella popolosità peraltro non emigra. Molto meno, e con più resistenze, che non i calabresi, o i siciliani, o i pugliesi. Anche il napoletano che lavora a Roma: si sobbarca al pendolarismo, non lascia. Ma è inetto in casa. A meno di non teorizzare un vizio del male congenito, una tabe ereditaria.
Emigra l’“altra Napoli”. Che qui non è da intendere come marginale e subordinata, ma d’eccellenza e di comando. Prefetti, questori, giudici di ogni tipo e grado in tutta Italia sono o sono stati napoletani. Specie ai gradi di comando: capi della Polizia, capi dei ministeri, Corte Costituzionale, Cassazione, Tribunali, Procure, giornali. E anche questo non si capisce.
C’è un pulviscolo mafioso, che si riproduce come gli acari? Può essere, la partenogenesi è operosa in natura. Ma molto è pauperismo sterile: sono ladro perché sono povero, vecchia solfa, vecchissima. Mentre è solo violenza. E sempre di sottoproletari: i cadaveri di oggi come quelli degli altri giorni parlano chiaro. Perché si vuole negarlo? Napoli è una città probabilmente ricca, se emergesse tutto il grigio e il nero. Che però si vuole in mano a poche decine di sottoproletari rozzi e brutali – tanto più perché si vergognano di se stessi.
Gomorra
La serie tv “Gomorra” nobilita la malavita. La porta al livello dei Supereroi, seppure del male. Fredda ma inflessibile, consequenziale. Fa sempre quello che si propone, non c’è caso o forza avversa che non glielo consenta. Mentre quella reale è incapacità, stupidità, brutalità: distruttiva per essere autodistruttiva. Più ancora la nobilitano le critiche, tv e di costume: si parla di fascino della malavita, di un’attrazione satanica alla moda dell’Is, come se le reclute fossero migliaia, o anche centinaia. Mentre sono poveracci, le camorre sono solo sottoproletariato, e dei più sguarniti. I lazzaroni di un tempo. Che però vengono proposti come genia inestinguibile. Guardando Napoli da fuori sembra di scansionare un libro di fantascienza.
Da tempo ormai immemorabile si mostra Scampia come simbolo del degrado. Ma questo è un altro discorso, dell’indigenza del giornalismo, ripetitivo, disinformato. Scampia è un’ottima periferia, ben connessa (tangenziale, autostrada, mezzi pubblici, compresa la metro), non un mondo a parte. Dopo la “Gomorra” del libro, una dozzina d’anni fa, che ne fece il centro della malavita, si è voluta animata da un civismo locale forsennato, con un centinaio, forse duecento, associazioni o iniziative sociali locali. Non c’è molto civismo locale nelle città italiane, non nella tradizione inglese o americana, a Scampia c’è. È stata una delle prime periferie di Napoli, città che era tutta centro: cresciuta negli anni Sessanta post-boom, e più dopo il terremoto, a elevata intensità costruttiva, a iniziativa pubblica. Con un intento buono: urbanizzare il sottoproletariato in simbiosi con la piccola borghesia. Con qualche pecca: l’amianto incorporato nelle Vele, le piramidi abitative – ma era un peccato comune. E con distrazioni assurde: ben collegata, la “città” non aveva – e non ha: non ha una banca – praticamente servizi privati. Non c’era nemmeno il tabaccaio, le sigarette si compravano perciò di contrabbando, che a Scampia ha ripreso a fiorire.
A Scampia ci sono le mafie – c’erano. Sì, i Licciardi, i Di Lauro. Ma nessuno purtroppo se ne occupava, prima delle faide. È sempre così al Sud, quindi anche a Scampia. Di Lauro era personaggio noto a Napoli, lo chiamavano “’o milionario”. E fino alla faida, assicura lo storico Isaia Sales, “non ha mai avuto imputazioni legali di nessun tipo”.
Deindustrializzazione
La città ha avuto e ha problemi grossi. Per primo la deindustrializzazione. A Napoli è stata radicale. Pomigliano d’Arco occupava 40 mila metalmeccanici, ora arriva, i giorni giusti, a cinquemila, tra Fiat-Chrysler e Alenia, indotto compreso. Bagnoli è stata chiusa. L’industria conserviera è emigrata.
L’economista Mariano D’Antonio lasciava la città trent’anni fa indignato che si pensasse di farne “un polo di camerieri”. Ma anche questo disegno, se c’è stato, latita. Oltre che le bellezze naturali e la cucina, la città ha un patrimonio culturale – quello che assicura il turismo più ricco – incredibilmente vasto e attraente. Che però è solo testimone dell’incapacità dei sindaci di gestire la deindustrializzazione: la città e dintorni, così adatta ai servizi, è una enorme miniera a cielo aperto  non sfruttata, di bellezze naturali, archeologiche, artistiche, culinarie, musicali, per il tempo libero, etc.. Che però avrebbe bisogno di un po’ di coraggio.

leuzzi@antiit.eu

L’amore non è cavalleresco

Un giovane russo in fin di vita prova a rimemorarsela. Fissandosi su un amore che non è stato: egoista, e non corrisposto. La colpa aggiungendo al dolore – anche se: chi non è superfluo? In una società russa di metà Ottocento che, benché a Turgenev risultasse insopportabilmente arretrata, pure non lo è nei racconti. Sempre oblomoviana, delle cose che avrebbero potuto ma non sono. Ma articolata, spedita.
Da lontano, il flaubertiano Turgenev restò sempre un autore russo, della Russia. Il suo “uomo superfluo” ne è una categoria dello spirito..  
Ivan Turgenev, Diario di un uomo superfluo, Il sole 24 Ore, 79 € 0,50

domenica 19 giugno 2016

L’Occidente sunnita - saudita

Fate la guerra, per amore dei sunniti. Sembrerebbe una richiesta dell’Arabia Saudita, o di un altro dei potentati della penisola arabica, ma è la richiesta di Robert Ford, ex ambasciatore americano a Damasco. Dimessosi due anni fa per protesta contro Obama, e da allora consulente di non si sa bene quali interessi, Ford difende la posizione saudita sulla Siria, senza mai dirlo, in un’intervista al “New Yorker”.
L’intervista si collega all’“ammutinamento” di una cinquantina di diplomatici americani, con una lettera di critica al governo pubblicata dal “New York Times”: gli Stati Uniti devono fare la guerra in Siria. Non una posizione diplomatica, dopo le troppe guerre avventurose in cui gli Usa hanno impaludato l’Occidente da quindici anni, specie in Afganistan e in Irak, il terremotaggio dei bonapartismi arabi laici o poco rispondenti alla crociata islamica reazionaria, e la “creazione” del  radicalismo islamico con distinta funzione anti-occidentale. E dunque?
Ford ripete che Obama “sbaglia” in Siria, solo trascurando di dire che sostiene la posizione saudita: “Il messaggio dice chiaro che concentrarsi sull’Is non vincerà cuori e menti di abbastanza arabi sunniti siriani per fornire una soluzione sostenibile, a lungo termine, alla sfida dell’Is in Siria”. In chiaro: o Obama fa la guerra in appoggio ai sunniti siriani, ai sunniti arabi, oppure l’Is continuerà a fare sfracelli. Continua l’ex ambasciatore: “La comunità araba sunnita siriana vede il governo Assad come un problema più grave che l’Is”.
Senza vergogna Ford argomenta con la propaganda di guerra: “Il governo siriano ha ucciso sette volte più civili dell’Is”, etc.. E con una minaccia: “Il rischio è che, proprio come il Centro palestinese è crollato, così collasserà il Centro moderato in Siria. Dobbiamo avere la fiducia della comunità sunnita siriana araba per sconfiggere l’Is”. Cioè: o la guerra coi sunniti, a favore dei sunniti, oppure l’Is.
Ford ripete “araba” per dire che non vuole di mezzo i curdi.
Niente strategia e tattica, solo ufficio stampa saudita.
Con qualche errore – se non è, levantinamente, una messa in guardia e un ricatto. L’ex ambasciatore si rifà costantemente a Hillary Clinton: lei sì, quando era segretario di Stato – fino al 2012 - “aveva capito” la situazione. Cioè alla destinataria di fondi colossali dell’Arabia Saudita e del Qatar, via la Fondazione di famiglia, alla sua campagna elettorale.

Letture - 262

letterautore

Acido (Lsd) – Lindustria farmaceutica ne tenta il rilancio a usi creativi, dopo la liberalizzazione della marijuana negli Usa. Ma non ha lasciato segni estetici di creatività di qualche rilievo, né letterari (poesia, narrazioni), né artistici. Malgrado abbia avuto un decennio buono di culto a partire dal 1961 e fino al 1969, al massacro di Manson a Cielo Drive, alla elezione di Nixon, e alla carcerazione di Leary. In contemporanea con le sperimentazioni Sandoz, e numerosi testimonial entusiasti, da Timothy Leary, già professore di psicologia a Harvard, a Cary Grant e John Lennon. Eccetto qualche composizione di Lennon. E alcuni romanzi di Philip K.Dick. Che però non ne fece buona esperienza, una volta sola, e lo usa come negatività - una sorta di principio del male, schizoide o manicheo.
Si attribuisce all’Lsd la creatività, oltre che di Lennon, che però probabilmente imbrigliò, di un elenco fantasioso di addict: Warhol, Fellini, Burroughs, Pynchon, Foster Wallace. Nonché dei Rolling Stones, che invece Jagger ha tenuto al riparo dalle droghe, sopratutto dopo la fine di Brian Jones, anche se con difficoltà, volendosi il gruppo opporre ai Beatles come il western di Leone a quello originale, il gruppo dei brutti, sporchi e cattivi, disarmonici, catastrofici. Non si contano invece le morti indotte dall’acido, volontarie o accidentali.

Anni – Balzac è morto di 51 anni, avendo scrtto forse più di Dumas. È morto di 53 anni Pasolini, operoso (romanzi, racconti, poesie, tragedie, film, articoli) forse più di Balzac.

Blade Runner – Il film, “thriller fantascientifico”, l’Emmanuel Carrère delle origini, studioso di Philip K. Dick, e quindi dell’originale del film, “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?”, dice “un trattato di teologia cibernetica”, e uno “a parlare con proprietà vertiginoso”. È il presupposto di Ridley Scott, che lo ha rimontato più volte, in varie versioni. Forse perché è difficile la teologia in immagini.

Candidati - “Il piccolo Principe” per Raggi, nella scelta di letture che Amazon ha chiesto ai candidati sindaco di Roma e Milano, il diario di Pavese, il primo Malaussène di Pennac, con Terzani, Canetti e Pessoa per Giachetti. Letture vere – plausibili – contro un titolo di maniera. La vecchia politica e la nuova, illetterata. Raggi ama pure tre libri giornalistici di malvivenza a Roma. Il genere tutto è mafia, tutto è corruzione, tutto è merda - mood più confacente?
Letture attendibili invece dei due candidati a Milano. Solo scarta il grillismo, il “nuovo”.

Dialogo delle fedi – In piccolo vi ha contribuito anche Lewis Carroll – senza effetto. Nel 1867 fece un viaggio in Russia, insieme con Henry Liddon. E ne trasse anche ricordi scritti. Era una missione della Chiesa Anglicana per stabilire rapporti con la chiesa Ortodossa russa. Ma Liddon sarà il Coniglio Bianco, e anzi tutta l’idea di “Alice” sarebbe germogliata, secondo i surssi orgogliosi, a Pietroburgo, la “città dei giganti”..

Futurismo – S’incornicia ora come passatismo? eSmbra un’ingiuria, ma è il destino delle avanguardie. Succede in cucina, che questo sito segnalava il 10 giugno come la causa del “ristagno” socio-economico-culturale dell’Italia secondo Marinetti: troppa pasta. Ora lo chef modenese Bottura è incoronato miglior chef del mondo 2016 come “futurista”, assicura il “Corriere della sera”. Cioè per aver “restituito la cucina italiana alla cucina italiana ricostituendo un passato glorioso”. Un futurista passatista.

Proust – Fece principalmente selfie, con tutti i parigini noti – e per questo sopravvive, benché verboso?
Come Céline, del resto. A differenza degli inventivi del secolo, Stein, Joyce, Pound, Beckett.

Solo un amore che non trova soddisfazione può durare”, dice Flannery O’Connor (“D iario di preghiera”9. “Insieme a Proust”, aggiunge la sua prefatrice Mariapia Veladiano. Che invece non lo pensava – non che l’abbia scritto: non c’è consistenza né durata negli amori di Proust, non in quello di Swann, né in quello per “Albertine”, che si dice ambiguo ma è inconsistente, malgrado la lunghezza (non durata). Menrre del personaggio Proust le uniche tracce sono di masochismo.

È la “gioia del sesso” denudata, con un secolo d’anticipo. Si sa dalla biografia, Edmund White nel “Ritratto di Proust” ne traccia la scoperta nell’opera: “La coercizione del desiderio di Proust non poteva non consistere nel considerarlo il punto più alto dell’esistenza – cosa che è – ma senza alcun approdo soprannaturale. Esso sprofonda sempre più nell’inconscio, nel fondo più fondo, che è l’inferno”.

Robot – Si pensa, se ne scrive, lo si rappresenta come l’amico furbo o il furbo imitatore del suo creatore uomo: un cattivo, come se questa natura l’avesse sviluppata da solo e non mediata dal creatore a cui deve tutto. Come una forma di estraniazione schizoide del male. Per la fantascienza da sempre, per il pubblico generico da Kubris, “2001. L’odissea dello spazio”, 1968. Spielberg, che invece l’ha fatto buono, con “E.T.” ha avuto però un successo forse maggiore. Anche ovvio: non si crea a fini di male. Ma è rimasto solo, anzi un caso unico.

Se ne è sviluppata l’alterità, più che nell’intelligenza artificiale, scienza a tecnica, negli anni 1960 della ribellione generazionale: Il robot impersona, nella narrativa sci-fi, il figlio ribelle. Non lusinghiero, ma il concetto di ribellione ha fatto premio su tutto, bene e male. .

Spia Ha connotazione positiva nella letteratura e l’opinione inglese, da Conrad a Graham Greene, Fleming, Le Carré, etc.  – mentre ne ha una negativa, negativissima, la spia degli altri, un tempo i tedeschi ora i russi. Anche le spie vendute allo straniero, nella guerra fredda al comunismo sovietico, purché inglesi (Blunt e soci), sono in qualche modo eroicizzate, benché spesso più ricattabili che comuniste.
Non ne ha di nessun genere in Germania o Francia, né in Italia: le spie ci sono, sono anche “collaboratori di giustizia”, numerose, ma non fanno scena. Negli Usa ha connotazione piuttosto negativa, derivata dai fallimenti, più che dalle “azioni speciali”, della Cia. Con qualche spiraglio, ma senza eulogie, per l’Fbi, in funzione antispionistica.

letterautore@antiit.eu

L’America di corsa

A 26 anni Oscar Wilde era in America, per una serie di conferenze, celebrato autore e già personaggio. Invitato dappertutto, ci passò un anno. Chiacchierato, dice l’editore, ma non per quello che s’immagina: perché brillante e modaiolo, poco puritano – era già un iperdandy.
Di suo, semplice come al solito, trova gli americani puliti, nel senso dell’igiene e dell’abbigliamento, vestiti per la comodità, e sempre di corsa, troppo.
Interviste rapide, naturalmente di corsa.
Oscar Wilde, Interviste americane, Lindau, pp. 240 € 23