Cerca nel blog

sabato 9 luglio 2022

Johnson, o del jingoismo inglese

Johnson non è un cavallo pazzo. Cioè, lo è ma non la figura degli scacchi, ben delineata alla vista e inclusa in un quadro di regole. È stato eletto dal suo partito, prima che dall’elettorato. Lo stesso che ora se ne sbarazza fingendo sdegno, in quanto opportunista, imbroglione, ubriacone, e  imprevedibile – dopo averlo mulutato con 50 sterline, un divieto di sosta, per i festini nel lockdown. Ma non lo è diventato, lo era.

Ha passato le ultime ora a brigare contro l’accordo da lui stesso firmato a Bruxelles sull’Irlanda del Nrod, sulla (relativa) autonomia dell’Irlanda del Nord dalla brexit radicale con l’Unione Europea. Una Brexit nella Brexit, per la quale vuole restare in sella altri tre mesi. In linea con la sua attività di corrispondente da Bruxelles negli anni1990, faceto inventore di scemenze anti-europee che però facevano l’opinione del “Times” e del “Daily Telegraph”, e poi dello stesso partito Conservatore.

Johnson nasce europeista. Figlio di un diplomatico europeista, cresciuto a Bruxelles, dove il padre prestava servizio, giornalista, come il bisnonno ottomano Ali Kemal, si dichiarava europeista lui stesso ancora nel 2016. L’anno dopo si candidava a far fuori Theresa May da Downing Street, come il duro della situazione, capace d’imporre a Bruxelles nella fuoriuscita tutto ciò che serviva all’Inghilterra – al partito Conservatore inglese. Il partito Conservatore inglese doveva inseguire e disinnescare Farage, l'atterraggio del populismo estremista? Ecco, qui è il problema: del jingoismo inglese, nell’anno 2022 – proprio inglese, nemmeno britannico.

Al Parnaso la poetessa inesistente

La riproposta di una smilza raccolta, una quarantina di pagine, per 600 di paratesto, per dire che, forse, Louise Labé non è Louise Labé. A opera della stessa studiosa che quindici anni fa ne mise in dubbio, se non l’esistenza, la maternità della raccolta. La francesista, specialista del Cinquecento, Mireille Huchon, della Sorbona, non ha elementi per dire che una Louise Labè non è esistita, a Lione, fra il 1524 e il 1566, figlia di un cordaio, sposa di un ricco mercante di cordami, bella donna, musa dei petrarchisti in città, numerosi, raccolti attorno a Maurice Scève, ma non le piace che una donna con questo nome, e capace di buona poesia, sia esistita. Ha opinato che fosse un nome d’invenzione, uno scherzo dello stesso Scève, con la collaborazione evidentemente di Marot e di Ronsard, che a lei hanno dedicato poemi. Il nome sarebbe un sollazzo, per ironizzare sul femminismo che a esso si lega. Suggerito peraltro dall’esistenza di buon numero di poetesse del genere, ma italiane – Vittoria Colonna, Veronica Gambara, Gaspara Stampa, Tullia d’Aragona quelle dell’epoca e subito famose in Europa, molte molto petrarchiste, che Huchon non tratta, anzi non nomina. Per il resto esercitandosi nel petrarchismo.

Huchon non ha più ragioni di dire che Louise Labé è uno pseudonimo collettivo, maschile, un Wu Ming d’epoca, di quante ne abbia per dire che una poetessa con quel nome è esistita. Anzi ne ha di meno, e arrampicate sugli specchi – per l’essenziale consistono di analisi comparate dei testi, di Labè e dei “lionesi”, come se tutti (non) copiassero da Petrarca, e tra di loro: nequizie della filologia. Ma ha ottenuto subito, senza ripensamenti, l’avallo di Marc Fumaroli, e questo basta – Fumaroli non porta alcun argomento all’inesistenza, se non il richiamo al vezzo latino della “puella scripta”, dei tanti versi amorosi di fanciulle desideranti inventati dai marpioni Catullo, Ovidio et al. La cosa non esime Gallimard dall’elevare Louise Labè, dopo quasi cinque secoli, alla consacrazione editoriale, per avvantaggiarsi dell’effetto scandalo.

I documenti noti su una Louise Labè a Lione sono pochi, una dozzina. Ma precisi, soprattutto il testamento redatto il 28 aprile 1565, da tempo allettata, di cui nomina esecutore un Tommaso Fortin, ricco commerciante tessile italiano, che si presume suo amante o protettore – una teoria ottocentesca, in chiave antifemminista, vuole la poetessa una cortigiana, come usava in Italia. Il canone la considerava una donna colta, che sapeva il latino e l’italiano, praticava la musica e l’equitazione, e teneva un salotto frequentato da letterati.

L’opera si compone di 662 versi in tutto. Un “Dibattito di Follia e d’Amore”, con tre elegie e 24 sonetti, sull’amore come lo provano le donne, e sui suoi tormenti. Con una sua freschezza, malgrado la maniera - “l’amore vuole follia”, “il maggior piacere, dopo l’amore, è parlarne”. Il primo sonetto, in endecasillabi, è in italiano – gli altri, in francese, sono decasillabi. I temi sono del canone petrarchesco: l’amore (desiderio, passione), tristezza (lacrime e sospiri), sofferenza (paure, disgrazie), pericoli (morte, partenza, assenza). Con figure tratte dalla mitologia greca e da quella latina, e le conoscenze geografiche dell’antichità, fino al Caucaso e all’impero Parto. Il liuto è “compagno della sua (della poetessa) calamità”. Un sonetto, il XXI, prova anche a immaginare le pene d’amore maschili.

“Non avria Ulysse o quanlunqu’altro mai\ Più accorto fu, da quel divino aspetto”, recita il primo sonetto, “Pien di gratie, d’honor et di rispetto,\ Sperato qual i sento affanni e guai”, etc. : “O sorte dura, che mi fa esser quale\ Punta d’un Scorpio, et domandar riparo\ Contr’ei veleni dall’istesso animale….”.

Louise Labé, Oeuvres complètes, Bibliothèque de la Pléiade, pp. 664, ill. € 49

venerdì 8 luglio 2022

Problemi di base bellicosi 4 - 706

spock

“La guerra madre di tutte le cose”, Eraclito?

 

O non padre – polemos?

 

Polemos ha a che farc con Polifemo, ci vede male?

 

Perché i generali comandano da remoto e non alla testa?

 

Da lontano ci vedono meglio, ma ci sentono?

 

Perché il soldato va in guerra, a uccidere o a morire, e non sa nemmeno perché?

 

Che guerra è quella dei missili: vince chi ha più soldi?

 

spock@antiit.eu

Nostalgia del sindacato

Il film che ha meno incassato in sala probabilmente in tutta la storia del cinema, 14 mila dollari, nemmeno  il costo di una copia, allora si facevano in celluloide, dopo essere andato, osannato, al festival di New York, restaurato dal Moma’s Film Preservation Center, acquisito al National Film Registry, è ora in rete evidentemente a grande richiesta. Come per un bisogno o una compensazione: immagini di un mondo in cui il lavoratore poteva lottare per i suo diritti, poteva difendersi.

Wobblies, o Wobs, sta per International Workers of the World, un’associazione socialista e anarco-sindacalista fondato nel 1905. Aperto anche alle donne, anche agli immigrati, e a ogni attività, taglialegna o cerealicultore, tessitori, minatori, edili, “camalli”, etc. Fu protagonista di molte storie importanti nel sindacalismo e nell’opinione americani. Finendo però per sciogliersi quando il film usciva, nel 1979 – alla vigilia dell’avvento di Reagan, che introdusse in  America e nel mondo la fine del sindacato a cui operosamente aveva lavorato Thatcher (e la fine del servizio pubblico in economia: chi ha ha, e chi non ha sì arrangi), col licenziamento in tronco degli 11.500 controllori di volo che avevano scioperato – membri di un sindacato, Patco, che aveva lavorato per la vittoria elettorale di Reagan sul presidente uscente, il democratico Jimmy Carter (il Primo Maggio resta in America la Festa del Lavoro, o la festa del’IWW, ma il sidacato ora non esiste nemmeno come burocrazia).

Non un film, piuttosto un documentario. Nemmeno vivace – niente a fronte del racconto appassionante della storia “wobbly” di Vivian Gornick, “The Romance of American Communism”. Intervallata da immagini d’epoca, in epoche diverse, di personaggi, di attività, di luoghi, di pubblicità, una raccolta di storia orale: le testimonianze dei vecchi membri dell’IWW a futura memoria.

Un (piccolo) spaccato di una storia invece importante: determinata, anche a fronte di un padronato violento. Che però s’impone oggi, quando nessuno sa più nulla dell’Iww, non tanto in sé quanto per un bisogno, o il senso di una mancanza, in questo mercato del lavoro a senso unico, senza garanzie, senza prospettive, e di sfruttamento, di paga, orario, ritmi. Evidentemente la nostalgia è forte anche in America, o il bisogno, di una qualche forma di protezione in comune del lavoro di fronte al padrone assoluto – con Trump portato a estremi ridicoli.

Il futuro grande giallista Dashiell Hammett, che sarà peraltro condannato condannato dalla commissione McCarthy alla prigione perché “comunista”, operò quasi sicuramente contro i “wobblies” quando lavorava per l’agenzi di polizia privata Pinkerton:

http://www.antiit.com/2010/03/hammett-ammazzasindacalisti.html

Stewart Bird-Deborah Shaffer, The Wobblies, tutte le piattaforme

 

giovedì 7 luglio 2022

Ombre - 623

Giorgia Meloni: “È stato surreale vedere Draghi rientrare dalla riunione con la Nato per parlare con Giuseppe Conte”. In effetti – rientrare precipitosamente, abbandonare.

 

È anche surreale Sala, il manager sindaco di Milano, la capitale finanziaria d’Italia, ex morale, che si affida a Di Maio per fare un partito. A Di Maio?

 

O il profugo curdo che diventa (forse) primo ministro della Regina, dopo esserne stato il ministro del Tesoro? In un governo che deporta i rifugiati che non gli piacciono in Africa, in una ex colonia? La politica delle sorprese. Da spettacolo. Mancano i comici, e le ballerine.      

 

E Draghi, sempre lui, che fa visita a Erdogan, che l’altro ieri ha detto spregiativamente “un dittatore”, per scambiare pacche, sorrisi, e accordi sulla carta?

 

Chiara Ferragni e Giorgia Soler vanno al ristorante in reggiseno: “A forma di fico la moglie di Fedez, in pizzo la modella\poetessa fidanzata di Damiano dei Maneskin”. Per vendere, le due sono modelle pubblicitarie – influencer. Ma è strana la ricorrenza, subito dopo le celebrazioni di Mary Quant, della minigonna e del no bra, insieme moda e liberazione del corpo femminile. Ogni epoca ha la sua liberazione, o la nostra è reazione? Ne ha l’aspetto, è pubblicitaria, commerciale.

La gip di Brindisi,la stessa che aveva condannato il regista Haggis ai domiciliari per violenza sessuale su denuncia della sua ultima partner, una “aspirante consulente cinematografica” di trent’anni, lo ha liberato dopo tre settimane perché il rapporto era consensuale. Come si sapeva subito, dai messaggi, dalle cene insieme, e da altre affettuosità. Basta una denuncia per “avere giustizia”.

 

Mattia Binotto, il team manager della Ferrari in Formula 1, le sbaglia tutte, l’una dopo l’altra, ognuna peggio della precedente, e se le spiega e le spiega, come no: sembra che imiti l’imitazione che ne fa Crozza. Senza che nessuno dei suoi … , alla stesa Ferraio o in casa Agnelli-Elkann gli dica qualcosa. Un grande capitalismo per ridere?

 

Salta il “vertice” Draghi-Conte per la tragedia alla Marmolada. Era un incontro così, come se ne fanno tanti, un riempitivo, due chiacchiere e un caffè. Da cui dipende il governo del paese. Povero governo, e povero Paese.

 

Non si vola più, cioè si vola ma non si sa se, quando, e con chi, con quale compagnia – anche le destinazioni variano, seppure di poco. Le compagnie aeree low cost non trovano personale. Non lo pagano e quindi non lo trovano. Potrebbe essere la prova generale del crollo della fanteconomia di mercato, basata sullo sfruttamento. La globalizzazione, che pure ha portato all’affluenza miliardi di persone, ne ha impoveriti altrettanti. Una curiosa storia, quando si farà.   

 

Un terzo dei voli cancellati sono cinesi. In Cina si può, il mercato essendo di Stato, occhiuto: basta avere gli agganci giusti, che milioni di persone abbiano pagato il viaggio e non possano farlo non conta. Ma, e se le cancellazioni fossero anche in Cina perché non si trova più personale? Questa sarebbe una vera rivoluzione.

Le bestemmie del ghetto

Una rassegna inquietante, a ogni rilettura: le toledoth Yeshu, le ingiurie ebraiche a Gesù, “figlio di una puttana”, e a Maria “donna della lussuria”, in bocca agli ebrei romani, nella conversazione quotidiana, minuta, nell’intimità domestica, e anche in qualche funzione. Degli ebrei cioè che di Roma hanno, avevano, fatto una seconda Gerusalemme, con una propria poesia, una cucina, e molto potere, anche non massonico – gli ebrei del papa.

Una raccolta sorprendente. Anche perché opera del futuro e attuale rabbino di Roma, successore di Toaff, la cui memoria è invece grata a tutti. Di bestemmie proprio come le censivano gli Inquisitori, per esempio Bernardo Gui nel “Manuale dell’inquisitore”. Un libro di gioventù forse, quarant’anni fa, che più non si ristampa, più sarcastico che “corretto” nelle intenzioni, di un ingegnere allora giovane anche se versato negli studi biblici. Ma rispondente?

Riccardo Di Segni, Il Vangelo del ghetto

Il Sud America a Londra

Un premier screditato, presso poco meno della metà dei parlamentari del suo partito, reduce dalla sconfitta al voto amministrativo, che i suoi ministri abbandonano, a decine, bugiardo confesso, multato, sia pure simbolicamente, per i festini che intratteneva a palazzo durante il lockdown, rimane al suo posto. E fa da ala marciante dell’Europa, da cui ha voluto fortissimamente staccare la Gran Bretagna, nella guerra della Russia all’Ucraina, contro qualsiasi ipotesi di accomdamento. Con Boris Johnson si può dire che l’Inghilterra continua ad alimentare l’immaginazione, in Europa forse più che nel suo Paese, solo un gradino sotto la casa regnante. Ma poi?

Che un primo ministro possa restare al suo posto contro il suo stesso governe pone qualche dubbio democratico. Ma Londra è al di sopra di ogni sospetto. Resta che Johnson è stato voluto dal partito Conservatore, con una delle sue solite congiure di palazzo, contro Theresa May, di cui lo stesso partito aveva bocciato ben tre accordi di Brexit con Bruxelles. È la prassi in quel partito, la buona coscienza della nazione. Il caso più famoso è stato quella di Margaret Thatcher, la figlia del pizzicagnolo, sostituita di notte con John Major, uno di cui non si sapeva nulla, se non che si pettinava in continuazione. Nel caso della composta May con lo spettinato Johnson si può dire che hanno fatto il contrario. Ma poi?    

Può darsi pure che la politica non sia una cosa seria, decisiva: le cose vanno come vogliono andare, e il politico ci mette il cappello. Al tempo dei caciques  e capataz si diceva in Sud America che il Paese va avanti di notte, quando i politici dormono. Ora, Londra è in Sud America? Questo Johnson è anche uno che in pochi mesi ha impoverito e involgarito la Gran Bretagna, ma nei media europei (continentali) fa testo su tutto, dalla furbizia alla bellicosita,e questo certo è un altro discorso.

Il giallo delle parole

Il secondo e ultimo giallo dell’autore ignoto che aveva affascinato Sciascia (“il suo editore americano non conserva più traccia di lui nei suoi archivi”, dice il risvolto). Un po’ tirato come plot: la storia viene svolta da un registratore, uno dei primi quando Holiday Hall scriveva, nel 1954, rimasto accesso nel momento topico, che ogni tanto si rimette in funzine da solo e rivela nuovi particolari. Ma efficace ritratto di Vienna occupata, nel momento in cui la guerra fredda si rinfocola, con la guerra di Corea. Dell’Austria divisa tra zone di occupazione, degli austriaci ridotti alla sopravvivenza, nel mezzo della borsa nera, degli odii che vanno al di là della politica, per le diverse esperienze fatte in guerra, o dopo come prigionieri di guerra, proprie o di figli e amanti, alcune ammirative altre ostili.

Questo soprattutto: Holiday Hall trova il modo – è il leitmotiv – di far capire che l’occupazione non è liberazione: non è gradita e non dà benefici, al contario di come gli Stati Uniti e l’Europa hanno fatto nel Millennio. C’è anche la Russia che dovremmo e non conosciamo: nel ’45 i russi avevano preparato un’armata per marciare su Vienna, “l’avevano istruita, le avevano detto come comportarsi”, poi l’armata dovettero dirottarla su Budapest, liberazione più difficile del preventivato, e a Vienna finirono “truppe mongole che non conoscevano nulla del mondo che stavano conquistando”.

Non è la sola novità. C’è già la moglie giovane del diplomatico americano attaccata alla bottiglia.

E, soprattutto, la tecnica di scrittura del giallo messa a nudo: creare l’attesa (suspense) macinando parole – “ingannare l’attesa”: arrivare ai “fatti”, che poi sono uno, chi è il colpevole, parlando d’altro.

Geoffrey Holiday Hall, Qualcuno alla porta, Sellerio, pp. 276 € 12

martedì 5 luglio 2022

Secondi pensieri - 487

zeulig

Aborto – Si dice, si vuole, un fatto di libertà, non un “diritto”, come se ci fosse una differenza. Si vuole forse distinguere perché l’“età dei diritti” appare ora ripetitiva e forse eccessiva, e comunque “non vende”, non entusiasma. Ma anche, in ambito di femminismo, per un distinguo non opportunista. Dunque c’è uno spazio di libertà che non è un diritto. Ma sarebbe il vecchio spazio della libertà, che libera fino a che non lede la libertà altrui. In questo caso del feto, la creatura concepita. Sui cui termini temporali e sostanziali di vita si dibatte all’apparenza interminabilmente. Ma si prende questa libertà per come viene richiesta, di “aborto libero, gratuito e assistito”. Che sbatte con la libertà non solo del nascituro ma anche del medico funzionario pubblico. Il cui assunto e la cui funzione, ippocratei prima che statali, sono di salvare le vite. Come libertà del corpo femminile, e non come diritto, sempre femminile, l’aborto sbatte, in altre libertà - c’è la pillola del giorno dopo, anche se non se ne può abusare, per le maternità fortuite e indesiderate.  

 

Filosofia – “La filosofia non è più nemica di Dio che dei re” (“Non magis Deo quam regibus infensa est ista quae vocatur hodie philosophia”), il tema di Eloquenza latina che il rettore della Sorbona dava a Natale del 1772, in chiave anti-philosophes, anti-illuminista, D’Alembert propone a Voltaire di trattare ironicamente a propria difesa: “Quante cose buone da dire per provare che la filosofia non è nemica né di Dio né dei re”.

Voltaire non collaborerà – “alla mia età”… - perché, dice, se poi cambiano la traccia (basta una parola, “non minus” invece che “non magis”), è lavoro sprecato. Il rettore e il suo incerto latino davano non volendo molta materia, e anche il terreno, della filosofia.

 

Follia – Se ne trova (cerca) traccia in ogni minimo inconveniente, anche solo dimenticarsi le chiavi di casa uscendo. Per un “bisogno” di terapia psicologica che è un mercato, un bisogno creato – e spesso non costa. Ma anche per una insicurezza crescente, malgrado il benessere diffuso e crescente in misura senza precedenti per tutto il mondo, e la grazia di un periodo eccezionalmente lungo di pace “mondiale”, le guerre limitandosi a episodi regionali e di durata limitata. Per l’incertezza che nasce non da un rischio accresciuto ma dalla mancanza di fede, in senso religioso. Per aver risolto tutto nella ragione. Che non spiega tutto, e anzi poco – non è una sistema, una “chiesa”, un “credo”: a un secolo abbondante dalle accertate debolezze del positivismo ottimista e risolutore non se ne esce. Una ragione peraltro che si barda di sciocchezze - a valle, o a monte, del “sostegno psicologico”:  occultismo, misticismo, l’acquario, il fumo, le droghe. Si crede a tutto per non credere a nulla.

 

Natura – “Mens agitat molem”, lo spirito muove la natura, di Virgilio, “Eneide”, VI, 727, lo spirito vivifica la materia, ha i suoi limiti, riflette Voltaire, scrivendone a Condorcet, per lui personificazione dello scienziato, il 19 novembre 1773: perché ci sono i Condorcet, e ci sono i cialtroni. La natura in sé è meglio, o allora la “mens” virgiliana è dentro la natura? “Credo la natura buona e saggia. È vero che fa talvolta dei passi falsi, ma io non la credo né impeccabile né infinita. Penso che la sua intelligenza ha fatto tutto per il meglio, e che in questo meglio c’è ancora molto male”. La natura è intelligente, le sue “leggi” lo provano: “Mi è chiaro che c’è dell’intelligenza nella natura, e che le leggi imposte ai pianeti, alla luce, agli animali e ai vegetali non sono inventare da uno sciocco”.    

 

Postumano - Il vero postumano sarebbe pre-socratico, il ritorno all’Immortale Principio – l’Assoluto Unificatore - di Talete, Anassimene, Pitagora, Eraclito, Anassagora. Nulla di nuovo, se non il vagare incerto, tra un’ecologia di cui non s’intende il fatto sottostante, industriale, affaristico, e pensieri il più possibile esoterici, quasi sempre non nuovi, stagionati, inverati (analizzati) già il massimo, giusto riverniciati.

L’uomo è misura di tutte le cose, anche del postumano evidentemente.

 

Solitudine – È massima nella folla, si sa. E oggi nella connettività – nel villaggio globale di McLuhan, nel “Truman Show”, il mondo in una bolla di Jim Carrey. Niente più sguardi, incroci di sguardi, di uditi, di tatto, niente più conversazione, scambi di parole e di ragionamenti, evocazioni, litigi anche. Niente convivialità – non c’è pranzo, per quanto festoso o celebrativo, in cui ognuno dei commensali non digiti sotto il tavolo. Niente vacanze, ponti, week-end, gite, passeggiate. Non si passeggia più, solo motorizzati uconnessi – oppure, se col contapassi come ha imposto il medico, con le cuffie alle orecchie.

Niente scherzi. Si vive soltanto nella connettività. Ora anche al lavoro, preferendo il remoto: non c’era, non c’è più, colleganza accettabile.

Non si saprebbe inventare una storia di passioni e sentimenti, risentimenti, non c’è attenzione – non c’è interesse. E comunque non c’è il tempo, per niente, il mondo digitale a stento lascia il tempo di dormire – male, digitare fa male al sonno: ai arriva ala fine del giorno esausti, anche per la coscienza, greve, di non avere digitato tutto.

 

Verità – Non ha vita lunga. Introdotta da Platone, via Socrate, peraltro “miglior sofista”, contro il Bene dei sofisti. La permanenza-continuità non è più divina, è umana.

Una breve storia potrebbe esserne questa. La ricerca precedente era del Principio Immortale: l’acqua di Talete, l’aria di Anassimene, il numero di Pitagora, la mente di Anassagora, il moto di Eraclito. Fino a Parmenide, il quale spiegò che il Principio Immortale non comprendeva l’apparenza, l’opinione che se ne faceva, per cui “il Buono e il Vero non sono necessariamente lo stesso”.

Socrate se ne può pensare un ascoltatore o un seguace – acuto certo, anche se già tortuoso, per essere ragionativo, apostolo e scudiero della verità. Eraclito ci riproverà col moto, ma Zenone, discepolo di Parmenide, dimostrerà che la percezione del moto come cambiamento è illusoria. Si è andati più avanti?

 

Viaggiare – “Nessuno mai viaggia così bene come chi non sa dove sta andando”, massima attribuita a Cromwell, variazione peraltro dell’aforistica più diffusa in materia, “non si va così lontano che quando non si sa dove si va”, o “non è importante la meta ma il viaggio”) dice bene la natura del viaggiare: la scoperta – anche del noto (riscoperta, “con altri occhi”). O giusto il movimento, il cambiamento, l’uscita dalla routine, per una sorpresa che può essere buona o cattiva (irrilevante o insoddisfacente, a fronte delle scomodità). La curiosità anima il tutto.

 

Virtù – La “virtù” di Machiavelli è l’areté greca, l’eccellenza, la capacità. Il dovere verso se stessi anche – p.es. di Ettore che va alla guerra (alla morte) malgrado le implorazioni della moglie Andromaca, in nome proprio e del figlioletto Astianatte: “La tua forza sarà la tua distruzione”. E quindi una forma fatale? Uno ce l’ha oppure non se la crea?

zeulig@antiit.eu

Lettera aperta all’analista

È il racconto più celebre di Poe, del 1845, “The Chamber’s Journal”, ed è stato spunto per una riflessione di Freud, per una di Lacan, e per una di Derrida. Si vede che è fertile per gli scienziati, cosiddetti, della psiche. Si rilegge non per la trama, abbastanza artificiosa – Sherlock Holmes, pure circonvoluto, non arriverà mai a tanti contorcimenti - ma per le considerazioni, tanto stancanti (minuziose) quanto perversamente persuasive sulle diverse forme di intelligenza.

Alcune, quelle di personaggi di speciali capacità intellettuali, sarebbero speciali anche come tecniche analitiche. Per cui ottima tecnica, se non la migliore, per nascondere qualcosa sarebbe di metterla bene in evidenza in mezzo ad altre simili – come individuarla poi è naturalmente il compito dell’analista, che per questo si paga.

Edgar Allan Poe, La lettera rubata, Ugo Mursia, pp. 56 € 3,90

lunedì 4 luglio 2022

Letture - 495

letterautore


Ariosto – Voltaire – che non amava Dante – lo considera il più grande artista di tutti i tempi. Beckett pure: non si spinge a fare paragoni e classifiche, ma ne scrive all’amico McGreevy il 5 marzo 1936 che lo legge “con la sensazione che sia l’artista letterario più grande di tutti”.
 
Walter Benjamin - Koestler lo ricorda in “Schiuma della terra” a Parigi suo vicino di casa in rue Dombasle 10, “quarto ai nostri poker del sabato e una delle persone più bizzarre e spiritose che abbia conosciuto”.
 
Bibbia – Rifiorisce, benché tallonata dal secolarismo. Il cardinale Ravasi segnala su “Sole 24 Ore”, dove tiene una pagina di recensione-saggio ogni settimana e un “breviario” di saggezza, “imponenti edizioni attorno alle Scritture: un manuale storico-teologico in 10 volumi e una ricognizione sulla presenza delle donne in 9 volumi”.
 
Cucina – Una forma di prossenetismo? Il boom  del Millennio era antevisto da Pirsig nel romanzo filosofico “Zen e l’arte di manutenzione della motocicletta” in questi termini. Il Professore di Filosofia, che vuole mettere in imbarazzo lo studente petulante Fedro (lo stesso Pirsig), gli chiede che cosa pensa della cucina – stnano leggendo il “Gorgia” di Platone. “Socrate ha dimostrato a Gorgia che sia la retorica che la cucina sono forme di mediazione - prossenetismo – perché fanno appello alle emozioni piuttosto che alla vera conoscenza”, è la risposta.
 
Dio in giallo – James Ellroy, che Joyce Carol Oates ha eletto a “Dostoevkij americano”, ribadisce a D e Cataldo su “La Lettura” che non ha mai letto Dostoevskij. Ma ne sa l’essenziale: “Dostoevskij non l’ho mai letto, ma come me era un uomo religioso,vedeva ovunque empietà e peccato, e ha detto una frase grandiosa: «Dove non c’è Dio, tutto è lecito»”.
Ne avrà letto nel citazionario? Gli scrittori americani danno sempre l’impressione di essere iperletterati, ma devono per qualche motivo nasconderlo: non leggono, e passano il tempo tagliando la legna. Un’attività non manuale non è confacente al Sogno Americano?
 
Europa – “La principessa Europa era venuta dal Libano”, si ricorda Roberto Calasso all’improvviso, entrando al British Museum, e trovando l’Europa nel Monumento alle Nereidi subito dopo l’entrata, a breve distanza. Una “strana costruzione”, di “colonne, rilievi e alcune statue di esseri femminili, acefali, che sembrano sospesi nell’aria”. Molte immagini e domande si affollano in Calasso, in tema di “morbidezza”, che non trovano che una risposta: “Quel tempio-tomba è l’Europa. O almeno: è qualcosa che solo se si collega all’Europa acquista il suo senso. E non si trovava neppure in Europa, ma all’interno della costa meridionale turca. Anche la principessa Europa era venuta dal Libano”. Cioè dalla Bibbia, da Salomone?
La “costa meridionale turca” non è poi fuori perimetro, fino al 1922 era greca.
 
Lettera anonima – Condorcet ne fa non richiesto l’elogio scrivendo a Voltaire il 21 dicembre 1777, la sua lettera più lunga e argomentata della “corrispondenza segreta” intrattenuta negli anni 1770, fino alla morte di Voltaire – Voltaire era il principe degli pseudonimi, per proteggere le sue battaglie civili e politiche: “Non trovo nessuna bassezza a scrivere sotto un nome inventato ciò che non si può scrivere a proprio nome”. Si riferisce naturalmente a situazioni di regime dispotico, o comunque a controllo di polizia: “Nascondere il proprio nome è forse una mancanza di coraggio, ma non c’è coraggio a sfidare inutilmente un despota attorniato da duecentomila satelliti. Sarebbe imprudente dire il proprio nome quando invece di servire all’obiettivo che si propone non farebbe che nuocergli”.
 
Madame du Deffand - A suo tempo amica del cuore di Voltaire, D’Alembert la tratta da “vecchia bambolotta” e “puttana raggrinzita” scrivendo a “Raton” (Voltaire) a Ferney  nel 1773 – D’Alembert che alloggiava da Mademoselle de l’Espinasse, la nipote ripudiata dalla Du Deffand, di cui era diventata inimicissima.
 
Maschile-femminile – Il genere indefinito era la chiave di uno dei racconti di Arbasino, “L’Anonimo Lombardo” – della prima edizione, 1959, come raccolta di racconti, prima del rifacimento come romanzo con lo stesso titolo nel 1966.
 
Sull’ultimo “New Yorker” Mark Remy, scrittore, redattore, umorista, ciclista, runner (sarebbe rider, di idee, progetti, conversazioni, passatempi), racconta semiserio di avere mandato “dozzine di curriculum” senza specificare il pronome personale, e di non avere ottenuto “un solo colloquio”. Per questo dichiarandosi vittima della “woke mob”, della canea della correttezza – della setta dei “risvegliati” per l’esattezza. Ma in America il genere non genere è una cosa seria.
 
Elsa Morante – “La maggiore scrittrice italiana del Novecento”, la diceva nel 2012 sul “Corriere della sera” Livio Garzanti. Che la ricorda sola nella clinica dopo il tentato suicidio, assistita da “un’antica donnetta di casa”, quella che l’aveva soccorsa in tempo. Il giorno dopo era ancora sola.  “Per il funerale, alla chiesa di piazza del Popolo”, una chiesa alta e vasta, “c’erano meno di venti persone”. Ultimo, arrivò Moravia.
 
Napoli – “Mentre Parigi e Londra andavano incontro ai Tempi Nuovi e alle Cose Mutate”, con “l’avvento della civiltà industriale”, “Napoli diventava una grande capitale della decadenza, abbandonata dalla Storia, come Atene, Costantinopoli e Alessandria” – Raffaele La Capria, “Armonia perduta”
 
Rilke – Beckett in viaggio per la Germania nel 1936, un viaggio di gioventù, di formazione, ma intrapreso a trent’anni, non vi trovava che lettori di Rilke: “In Germania”, scriveva all’amico Günter Albrecht, peraltro tedesco, “di ogni due persone di un certo livello di cultura una è stata a quanto pare amica di Rilke”.
 
Roma – “Rumiyah”, Roma, era la rivista plurilingue online dell’Is, il movimento terrorista  islamico, dal settembre 2016 al 2019. Un sito sanguinario – Roma sta per il cristianesimo.
 
Strega – “Premio Strega, sette finalisti” – “Il Sole 24 Ore Domenica”: “Scrivere per piacere (a molti). Sono state selezionate opere capaci di raccontare in velocità, creando identificazioni che non affatichino la mente”.

letterautore@antiit.eu

Ecobusiness

Lo spreco maggiore, di acqua e di calore, è per la differenziata: per pulire il multimateriale – ammesso che venga riciclato, se ne ricicla un terzo della raccolta - e il vetro. Oltre il tempo-lavoro e la fatica, con sacchetti organico che puzzano e perdono. Specie quelli più adottati dagli appaltatori della raccolta, gli Ersu Inovazione e Ambiente, della Novamont.

Che fare se nessuno va più a piedi? C’è smog, e nebbie estive, anche in montagna. Aspettando l’effetto Shangai – non vedere l’interlocutore di fronte.

Per ridurre la CO2 con l’auto elettrica sarebbero necessari nell’Europa Ue 6,8 milioni di punti di ricarica. Ce sono circa 300 mila.

Non si calcola di quanto si dovrà aumentare, e da che fonte, la potenza elettrica, una volta che tutta la circolazione automobilistica sarà a batteria. In Italia circolano 52 milioni di autoveicoli.

Cronache dell’altro mondo – bellicose (197)

La deputata di sinistra Ilhan Omar, di origine somala, è stata fischiata sabato, e impedita di parlare, insieme col marito, a un concerto a Minneapolis organizzato dalla comunità somala, numerosa in Minnesota. In occasione della festa somala dell’Indipendenza – un concerto che ha segnato il debutto in America di Suldaan Seeraar, con – uno dei tanti - dj Flavio e il dj Challo.

La Commissione della Camera dei Rappresentanti sul 6 gennaio 2021, creata dalla speaker Nancy Pelosi per indagare sulle responsabilità di Trump nell’assalto al Congresso, lavora come un programma televisivo, in seduta con gli orari e i ritmi di una diretta differita – senza curarsi di accertare eventuali responsabilità penali dell’ex presidente.

La Commissione è praticamente gestita da una deputata repubblica, Liz Cheney, anti-trumpiana, figlia di Dick Cheney, il vice-presidente di estrema destra di Bush jr. E si è animata finora solo con la testimonianza di una Cassidy Hutchinson, una donna oggi ventiquattrenne, che si presenta come aiuto del capo del Personale della Casa Bianca di Trump, Mark Meadows. Hutchinson ha accusato Trump di aver provato a partecipare di persona all’assalto al Congresso, al punto di balzare in macchina al posto anteriore e tentare di prendere lo sterzo, impedito dall’autista e dall’agente del Servizio Segreto. Ma l’autista – anche lui del Servizio Segreto - e l’agente di scorta hanno negato che sia successo.

Hutchinson, prima di deporre contro Trump, si era rivolta a un’organzzazione di destra, American Conservative Union, per avere accesso a un suo fondo, First Amendment Fund, di sostegno finanziario a chi ha problemi giudiziari.


Con le donne in testa

Con l’emergere della storia globale è un’altra storia. L’analisi, però, non prescinde “dalla lingua e dal contesto”, da qui questa storia dell’Italia contemporanea, in un ambito comparativo e globale. 

Un’interconnessione già emersa con la “storia delle donne”, e con quella dei fenomeni migratori, qui analizzati da Alessandra Gissi - Gissi rilegge la storia delle donne dal punto di vista dell’emigrazione oggi centrale per l’Italia, per il sistema produttivo e per la società: “Senza tenere a mente le migrazioni è difficile leggere i cambiamenti macro e micro economici, i modelli di welfare., quelli sociali, culturali e di mentalità, le ristrutturazioni del mercato del lavoro, le relazioni tra individui e istituzioni, i ruoli familiari e domestici, la dinamica tra coercizione e autonomia dei soggetti, le continue risignificazioni dei concetti di «naturale» e «tradizionale», le relazioni tra classi e generi, le dinamiche di definizione  dell’alterità”(p.257); e centrale il suo “Donne e migrazioni” si pone nella raccolta.

Si parte dalla prima emigrazione italiana, che è di donne, le balie, e si arriva all’immigrazione, all’Italia che diventa un Paese di immigrazione, sempre al femminile: di africane (Eritrea, Somalia, Etiopia, Capo Verde), poi filippine, poi peruviane, poi europee dell’Est, e qui siamo ai milioni, dall’Albania, la Polonia la Romania, la Bulgaria, la Moldavia, perfino dalla Russia. Se le migrazioni sono il segno dell’epoca, come conclude Alessandra Gissi, allora è anche una storia al femminile. 

Ci sono tante storie delle donne, dopo quella enciclopedica presieduta da Duby, non ce n’era una delle donne nella Repubblica. Silvia Salvatici, che ne ha avuto l’idea, la ambienta subito nella “storia globale”. 

Non sono, non sono state, le donne a essere inattive, sono le letterature e le storiografie a trascurarle, spiega Gissi. Anche quelle che trattano delle migrazioni – i distacchi, coniugali, parentali, le nostalgie, le assenze, i tempi lenti e dilatati di ogni più effimera decisione: “Le donne migranti, al pari degli uomini, sono state  «agenti», certamente in grado di adattarsi alle società di accoglienza ma, anche, di rimodellare tanto i contesti di arrivo quanto quelli di partenza” (p. 241). Tocca a loro, a chi resta, “un ruolo decisivo per la riuscita, o meno, del progetto migratorio” – “le odierne «famiglie transnazionmli»…. esistevano già cento anni addietro”: nell’organizzazione familiare, nell’investimento dei risparmi (le rimesse).

I primi migranti erano donne. Lavandaie, tessitrici, ricamatrici, collaboratrici domestiche. Dalle campagne alle città, anche remote: “lavoratrici del settore domestico, «femminilizzatosi» dopo la prima metà del Settecento a causa dei processi di industrializzazione che assorbono manodopera maschile”. Le balie migrarono a lungo ache all’estero, al Cairo, ad Alessandria d’Egitto – e in Nord Africa e nel Vicino Oriente. E quando emigrano gli uomini, nel secondo Ottovento, “le donne assumono vasti compiti di supplenza” –con i figli, nei campi,dal notaio, in banca, all’anagrafe e per ongi atto publico. Uno scrolloe alla logica protofemminista dell’asservimento, più o meno volontario: basta scavare. L’ottica rivendicazionista si salva meglio accertando la verità dei fatti.

Gissi salva pure la famigerata “donna del Sud”, che nel linguaggio anglossasone connota l’italianità, “lo stereotipo associato lungamente alle donne italiane emigrate negli Stati Uniti, e alla donne italoamericane di seconda generazione” (244). Di fatto le donne sono al centro del progetto, non solo in casa, ma anche nel quartiere: “Sono, di fatto, le reti femminili a strutturare l’aggregazione parrocchiale, la creazione di società caritative e di mutuo soccorso, l’attivazione di fome di solidarietà e protesta in tempi di crisi”. O anche, in chiave rivendicazionista, è sempre un bilancio “talvolta emancipatorio, se non liberatorio” che Gissi trae dalla sua disamina, “rispetto ai contesti originari opprimenti per controllo familiare, sociale e una normatività verso cui cresce l’insofferenza” (250).

La curatrice ricostruisce le attività e responsabilità delle donne nelle guerre, “arte” per eccellenza maschile. In ruoli non combattenti in Italia, in fabbrica e nei campi, in aggiunta ai lavori tradizionali di accudimento. E non può mancare la storia del delitto d’onore, e del matrimonio riparatore, di cui l’Italia si è liberata a fatica in ritardo – due istituti di fatto aboliti dalle donne, giovani – nella ricostruzione di Laura Schettini. Pescarolo fa la storia, paradossale, buffa, se non fose pericolosa e anche un po’ tragica, del “declino del lavoro” come valore, in quanto retribuzione e come apprezzamento sociale, al culmine del “«trentennio glorioso» dei diritti”, cioè con l’avvento della globalizzazione. Culmine che aveva coinciso, va rilevato, con l’esaurimento del primo centro-sinistra, che il diritto di famiglia e lo statuto giuridico delle donne, in società e al lavoro, aveva rigenerato: manca del tutto, in questa storia, il contesto politico. Con l’eccezione del contributo di Anna Scattigno, “Le forme della fede: cristianesimo, femminismi, militanza”: il rinnovamento cattolico costante, anche in chiave femminile e femminista.

Enrica Asquez risuscita una gustosa pubblicistica (maschile) dell’economia domestica. Curioso l’assunto di Catia Papa, della donna militante da Assab e Massaua, all’origine dell’imperialismo italiano, fino alla fede per il Duce. Un  assunto patriottico, bisogna dire, che se finisce nel fascismo, è stato alimentato dalla sinistra, crispina, e poi interventista. Un’altra curiosità Papa individua, nella politica demografica del fascismo, delle nascite come potenza, come esito anche dell’eugenetica, che è di origine e ideologia laica, liberal. 

Paola Stelliferi abbozza una storia del femminismo – dei “femminismi”. Il ruolo femminile tradizionale, della donna-madre, Elisabetta Vezzosi conferma che viene letto sempre inadeguatamente, sui tempi, e sulle funzioni – anche oggi, che il declino demografico è diventato realtà.

La collettanea è a largo raggio. Con alcune sorprese. Vinzia Fiorino trova nel Lombardo-Veneto e in Toscana diritti delle donne che lo Stato unitario non riconoscerà: il voto amministrativo in entrambe le aree, la parità patrimoniale nel diritto di famiglia nell’Italia “austriaca”. Curioso (bislacco) il dibattito protratto sulla sessualità, nico contributo masschile, di Emmanuel Betta. Con Lombroso, Mantegazza, Aldo Mieli, “espulso dal partito Socialista perché «pederasta»”, Sibilla Aleramo. E con la partecipazione di più di un’atleta alle gare sportive maschili: ciclismo (Alfonsina Morini in Strada), motociclismo (Ettorina Sambri, testimonial della moto Borghi).

Silvia Salvatici (a cura di), Storia delle donne nell’Italia contemporanea, Carocci, pp. 367 € 27

domenica 3 luglio 2022

Problemi di base - 705

spock
Il bisogno non ha legge?
 
Chi va coi santi finisce in paradiso?
 
Chi va coi pazzi impazzisce?
 
La questione morale nasconde i peccati?
 
Il puritanesimo è come la questione morale, nasconde i peccati?
 
Cosa crede chi crede?
 
La stupidità è cattiva, non c’è stupido buono?


spock@antiit.eu


L'amore sottile

Il matrimonio del signore e della signora Dido fu totale. Lui curò sempre che lei non s’impensierisse, non più di quanto le sue malattie comportassero, che le venivano, gravi, una ogni sei mesi, poi ogni quattro mesi e infine ogni due, comportando le visite di tre specialisti, per un consulto accurato, innumerevoli analisi nei luoghi più diversi della città e numerose medicine. Le più aggiornate delle quali talvolta bisognava far venire dalla Svizzera o dagli Stati Uniti, che lui concordava con lei fosse meglio non prendere. Si vestiva la mattina al buio per non svegliarla, apriva e chiudeva la porta di casa con la chiave per evitare lo scatto, organizzò la sua giornata in modo da poterla sempre accompagnare, poiché una delle malattie comportò la cecità, seppure temporanea, e quindi l’impossibilità di guidare. La loro storia Alberto Savinio personalmente mi raccontò una notte fra quanti lo leggono.

Lei si lamentava sempre di fare con lui una vita difficile, ma ne apprezzava la capacità di organizzare svaghi, uscite, gite, viaggi, e ne ricambiava l’amore, lasciandolo fare, anche la spesa, due e tre volte al giorno, quando le veniva in mente una cosa da comprare. La svelta silhouette rafforzò così considerevolmente, creandosi altri non pochi problemi di salute, a volte anche reali. Non se ne privava un momento, e la compagnia avrebbe voluto perpetuare a notte fonda, svegliandolo quando lui si era appena addormentato, il vecchio trucco dei torturatori senza parere, per un ennesimo scambio di confidenze, dopodiché istantaneamente si addormentava russando beata. Lui si studiava di prevenire ogni disappunto di lei, per consentirle una vita il più possibile gradevole. Un problema tormentoso fu a un certo punto la dimensione del portoncino, stretto a un’anta, quando lei cominciò ad avere problemi ad attraversarlo, per il quale infine predispose ingegnoso l’allargamento, con l’inserzione di un architrave a protezione del muro portante. Ma non fece in tempo: un giorno il suo cervello, che si era svuotato, cessò di funzionare. Si era fatto così sottile che il suo corpo lo passarono sotto la porta.

P.S. – Il genere della parabola si può rigirare – qui sarebbe di aiuto lo (la?) schwa.

 

Il secolo secolare

Il primo terrorismo, di Nečaev, “fu chiamato terrore nichilistico. Oggi se ne può concepire una variante: il terrore secolare”. Il secolo che ha eliminato il sacro si sviluppa in una “nebbia corrosiva”, avendo eliminato ogni punto d’appoggio: “Nel corso del Novecento si è cristallizzato un processo di enorme portata, che ha investito tutto ciò che passa sotto il nome di «religioso». La società secolare, senza bisogno di proclami, è diventata ultimo quadro di riferimento per ogni significato”. E ha perduto la bussola – nell’epoca di più diffusa ricchezza, si può aggiungere, e di accudimento generalizzato, di ricchi e poveri, è triste e desolata.
Una formidabile stangata apre la riedizione periodica delle opere di Galasso in edicola col quotidiano, contro la (piccola) ragione che si è insediata al comando dell’umanità. Più incisiva e corrosiva di uno Zolla, di un Cioran, e senza lampeggiamenti reazionari, perché letta, raccontata, con la nostra quotidianità: le letture, i consumi, le attività piccole e grandi. Che Calasso può vedere perspicuamente, perché le scorre e le aziona insieme a noi: c’è tutto quanto abbiamo vissuto fino al 2017, anno di uscita dei due saggi che compongono il volume, “Turisti e terroristi”, sul terrorismo islamico, e “La Società Viennese del Gas”, che spiega con abbondanza di riferimenti contestuali come l’annientamento degli ebrei fosse cosa cognita, a partire dal 1933, a tutti.
La riedizione è assortita di due note, “Postilla 2020”, sul covid, e “Avvistamento delle Torri”, un sogno di Baudelaire annotato tra le tante carte ancora non pubblicate, in cui crolla un grattacielo.
Una formidabile riflessione, storica e aneddotica, sull’oggi. Argomentata appena ieri, cinque anni fa, attorno al terrorismo islamico. O di come l’uomo secolare, lasciato a se stesso, passa da un tentativo di annientamento (“un tentativo di annientamento ci fu dal 1933 al 1945”) a un altro come se fosse un dovere. Senza la confusione che parrebbe, di un islam radicale secolarizzato: quel fondamentalismo è – è stato – solo desiderio di morte, incapacità di vivere. Un fenomeno parallelo alla pornografia libera in rete, argomenta Calasso. “Con l’islam”, del resto, “è finita l’era delle religioni. Maometto si presenava come «Sigillo dei Profeti». Da allora, nascono solo scismi”. Spiazzante qui più che altrove, ma alla fine convincente. Il pensiero unico si àncora di fatto in un non pensiero: “Tutto il mondo secolare e democratico si fonda sul libero arbitrio e sulla fede nella scienza. Ma la scienza non dà alcun segno di credere all’esistenza del libero arbitrio”.
Tutto persuasivo: “La secolarizzazione è, in primo luogo, allentamento dei vincoli – di ogni vincolo”. Tutto conclusivo. Con molte storie, ben raccontate. Del Vecchio della Montagna con la sua Setta degli Assassini. Di Qutb, il pensatore egiziano all’origine del fondamentalismo islamico. Di John Stuart Mill, homo saecularis per eccellenza, che di sé dice: “Sono uno dei rarissimi esempi, in questo Paese, di qualcuno che non ha respinto la credenza religiosa, ma non l’ha mai avuta” -  vittima del padre, James Mill, di professione incredulo. Di Kissinger e l’equilibrio di potenza.  Dell’eugenetica, di cui non si parla, che si continua a praticare. La digitalizzazione e il villaggio globale sono letti con Mandel’stam: “Una volta, in un saggio del 1922, delineò in pochi tratti l’evento soverchiante che si stava compiendo….: la società che usa chiunque come materiale da costruzione. Di che cosa? Di se stessa”. Calasso pensionato, fuori da ogni attività, regge persuasivo tutta la storia recente, più informato – meglio informato – di Pasolini.
Una trattazione spigliata, quasi allegra benché severa (radicale). Letture, richiami e aneddoti alleggeriscono e rafforzano. Si continuano a pubblicare inediti di Calasso, ma questo potrebbe essere una convincente despedida - si direbbe entusiasmante se non fosse un ossimoro.
Roberto Calasso, L’innominabile attuale, la Repubblica, pp. 195 € 9,90