Cerca nel blog

sabato 14 giugno 2014

Un’altra Autorità di sottogoverno

Con Cantore le Autorità arrivano a dodici, o tredici. Organismi che costano quanto una Camera e non servono a niente. Se non alla corruzione: retribuzioni milionarie, molti benefit, e il controllo del business, a vantaggio degli amici della parrocchietta.
Dire l’Autorità anticorruzione un veicolo di corruzione è certamente esagerato – i cinque sono ancora incensurati. Ma è questo modo di affrontare la criminalità, altrimenti cioè che con i codici, che ha moltiplicato il malaffare nella Seconda Repubblica. L’ha normalizzato: rubbeno tutti, come si dice a Roma..
C’è questa cosa dell’uomo della Provvidenza. Cui però nessuno crede. Contro la malvivenza ci sono le leggi, perfino troppe, e le Procure, i Carabinieri, la Guardia di Finanza, la Polizia di Stato, i Comuni, le Regioni, e ogni altro appaltante. Renzi vuole prendere in giro se stesso? Ma perché caricarci di una diecina di milioni, l’anno, di una nuova Autorità?
Le Autorità sono centri di potere. Per conto di potentati e di partiti. In collusione con gli interessi vigilati. Ognuno lo sperimenta ogni giorno nella cosiddetta liberalizzazione dell’energia e della telefonia. O con la Privacy, un’autorità che ci obera di diecine e centinaia di firme e fogli di carta, e non ci protegge neanche la posta, che per secoli pure fu sacra. Tre Autorità, o quattro, non hanno impedito lo sfacelo del Monte dei Paschi - peraltro sotto gli occhi di tutti, finché la Procura di Siena non è stata costretta a intervenire.


Ombre 224

Qual è il problema dell’Europarlamento, dopo il voto euroscettico? Che Alessandra Mussolini, già europarlamentare del partito Popolare, sia stata rieletta, con lo stesso partito Popolare. Mussolini può essere Popolare?
Altri problemi non ce ne sono, assicura il “Corriere della sera”. E magari ha ragione.

Si legge su “Sette” il Felice Maniero di Lucrezia Dell’Arti e si resta di sale. Uno che terrorizzato il Veneto per cinque anni, con sette omicidi (cinque confessati), rapine, sequestri di persona, traffico di droga e tre evasioni, non si fa quindici anni di carcere. E viene dimesso nel 201 con una nuova identità. Per potersi godere i miliardi rubati?
Ma già nel 2002, con nemmeno dieci anni di carcere, si fotografava a spasso per Milano, disinvolto.

Orsoni si difende dicendo che aveva sentito che Brunetta aveva preso i soldi. Giubilo di “Repubblica” e il “Corriere della sera”. Ma il fatto non è che Brunetta i soldi non li ha presi e Orsono sì? Poi dice che l’italiano è populista e vota Grillo.

Ci giostra anche lui. L’aumento della tassa di circolazione (40 euro in più per un 1600) dice: “La tassa di circolazione può aumentare fino al 12 per cento”. I tagli lineari, di cui a Tremonti fu fatto un capestro, propone come “riduzione di spesa” dell’1 per cento, di tutti i centri di spesa, per cinque anni. E così via. Dopo le donne al posto degli uomini, ora parole al posto di parole: Renzi vuole dare materia a Crozza per il suo spettacolo?

A Roma, dove non esiste trasporto pubblico, il sindaco Marino facilita gli spostamenti dei cittadinit quadruplicando le multe. Di sinistra?

Un detenuto di lungo corso vuole parlare col papa di quando portava sacchi a monsignor Marcinkus. Sacchi di cocaina. Che il monsignore dispensava nei suoi festini. Con le ragazze scomparse. Su questo Rai tre ci imbastisce una trasmissione. Per fortuna la prima notte del Mondiale.
Però , è vero che la cocaina a sacchi è una novità.

Nessun dubbio che le procedure, quindi la legge e la Costituzione, sono state lacerate nell’espulsione dei due senatori Mauro e Mineo dalla commissione Affari Costituzionali.  Ci voleva un giudice alla presidenza del Senato per mettere il bavaglio al Parlamento – il caso non è il primo di Grasso.

Grosso scandalo, che la Camera abbia votato la responsabilità civile dei giudici. Sancita per referendum già 27 anni fa. Dal referendum a più forte partecipazione di votanti, e con l’80 per cento dei voti espressi. Paura? Di chi verso chi?

Scomparsa del Centro, già così pregiato. E assenteismo record, 50,5 per cento. Ognuno lo vede nelle ultime elezioni. Eccetto i giornali: Michele Ainis se lo deve dire da solo, confinato in un angolino del suo giornale, che è il “Corriere della sera”. Come a dire: è un’opinion e. Sono i giornali tutti del Centro? E altrettanto incapaci e corrotti?

Il movente primo della corruzione diffusa, piccola e grande, è dunque la legge. Lo dice il Procuratore di Venezia Nordio, che sta sbrogliano il Mose, e non  c’è da dubitare. La legge a ostacoli.

Solo in campo fiscale, sono state varate 400 leggi nuove negli ultimi quattro anni, specie del benemerito Monti. Contro o a favore dell’evasione-erosione.elusione fiscale?

Giorgio Gori celebra la sua elezione a Sindaco di Bergmo con “Bella ciao”. È il terzo suo megadirettore dopo Mentana – il primo è Freccero, che però mendica uno stipendio dalla Rai, nei momenti di lucidità – che Berlusconi passa a sinistra: si può dire la sua Mediaset una pépinière di reduci, di sinistra.
È stata un’elezione “in discesa”, per scarso numero di votanti, ma per il quasi sessantenne Gori è il sogno della vita.

Dice la Ericsson che gli abbonamenti ai telefoni mobili erano a fine marzo nel mondo 6,8 miliardi, e vanno crescendo del 7 per cento l’anno. A questo ritmo fra un anno ci saranno più cellulari che abitanti del pianeta. È finita la pace, in questa era di non guerra.

Eduardo Galeano, che molti ha nutrito di antimperialismo in quarant’anni e oltre con “Le vene aperte dell’America latina”, dichiara quel suo canone “plumbeo”: “Non sapevo di cosa scrivevo”.  Pentito, anche lui.

“Chiedere l’aiuto europeo non basta. Per risollevarsi occorrono le riforme”, scrive Bini Smaghi sul “Corriere della sera” domenica. Non sono solo i giornalisti, questo delle riforme è un gergo “europeista”, cioè burocratico: l’Italia le riforme le ha fatte, lavoro, previdenza, sanità, spesa pubblica. Le privatizzazioni? Ne ha fatte tante senza beneficio – non per l’Italia. Ne servono altre?

Assente polemico all’incontro per la pace del papa con Shimon Peres e Abu Mazen il rabbino di Roma Di Segni. Noto per essere personalmente anticattolico e antilaico (Shimon Peres). Ma la comunità romana, che l’ha voluto al Tempio, fino al 1967 era la più aliena dalla bellicosità israeliana. Il nazionalismo è incontenibile?

I Berneschi, padre e nuora, pensavano di poter rimpatriare impunemente i soldi depositati nelle banche svizzere. Dove ogni direttore di filiale è un maggiore in congedo dell’esercito, e del servizio informazioni. Gli evasori non sono poi tanto furbi.

È vero che i Berneschi contavano sul patronaggio della Loggia di Lugano. Che però non vuol dire:  Gelli, il Venerabile, fu fatto arrestare quando decise di rimpatriare i 120 miliardi accumulati con gli sfioramenti alla Rizzoli-Corriere della sera.

Un’ombra butta sull’inchiesta straordinaria del Mose l’accusatrice, la segretaria di Galan, che ora viene illustrata. Essa stessa prova certa di colpevolezza, se ce ne fosse bisogno: chi, se non un corrotto in nuce, e per quale ragione avrebbe dato a un simile personaggio il ruolo di segretaria tuttofare? 

La nuova Italia è sempre tribale

Dopo Milano, e dopo Bologna, la Toscana. Non si contano più le nomine di toscani nei centri di potere del governo Renzi, che ancora non ha compiuto quattro mesi: a ogni tornata di nomine almeno la metà, quelle dei maggiore peso. Si dice: sono fedelissimi di Renzi. Che non è una buona ragione. Ma, poi, Renzi conosce solo toscani?
No, è l’istinto tribale. Abbiamo avuto, per vent’anni ormai una serie di governi prenditutto lombardi. Con  manager pubblici lombardi. Magari senza titolo, si pensi ai manager della Lega, ma certificati anagraficamente. Con alcune parentesi emiliane, attorno a Prodi, Casini, Fini. Più circoscritte del lombardismo diffuso ma puntigliose.
Bisogna aggiornare gli studi. L’antropologia ha da tempo abbandonato il buon selvaggio. Ma non s’è aggiornata su questo etnicismo di bassa lega.

Quando l’Italia viveva le utopie

Una rilettura dei molti film dell’Eni al tempo di Mattei, con una coda fino al 1968. Nel quadro di un “programma culturale” non marginale, e non a fini di pubblicità. Inteso invece, nel programma e negli effetti, a creare e alimentare un humus aziendale di tipo nuovo, partecipativo e attivo. Film numerosi e, quasi tutti, di ottima qualità: sono opera d’occasione, commissionate, e tuttavia d’impianto e svolgimento sempre liberi. Nonché di tecniche documentarie innovative, da Joris Ivens a Bernardo Bertolucci. Che Ventriglia, giovane studioso all’Orientale di Napoli, ha riscoperto dopo un quasi cinquantennale oblio e qui presenta.
La rilettura è precisa senza essere mai noiosa. Ventriglia, che ha all’attivo anche una discreta dote di scritture letterarie, contestualizza le opere oggetto di studio in una sorta di quadro narrativo. Che è alla lettura per molti aspetti affascinante. Anzitutto per il rispetto che la Funzione Pubblica aveva allora del suo lavoro, in una sorta di spirito di servizio – quasi patetico al raffronto inevitabile dell’attualità, e tuttavia risarcitorio. Di più – ed è quello che più fa aggio alla lettura - per la riscoperta di un’esperienza internazionalista irripetuta. Da parte dell’Italia  che pure usciva da trent’anni di nazionalismo e isolamento. Che era anche un’avventura imprenditoriale – poi vantaggiosamente proficua. Di un’epoca, dice il giovane autore, “dove sembrava possibile fare tutto”. Che sicuramente non è vero, però dà la distanza siderale tra i tempi, allora e oggi.
Luigi Ventriglia, L’Eni di Enrico Mattei - Intellettuali, arte e impresa, gli anni dell’utopia - I grandi documentari (1950 - 1968), amazon per kindle, pp. 177 € 2,68

venerdì 13 giugno 2014

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (209)

Giuseppe Leuzzi

Tanti gli allarmi, ripetuti negli anni, di Maroni, della Procura, del “Sole 24 Ore”, del “Corriere della sera”, di “Repubblica”, e niente. È già passato un mese e niente, nessun mafioso nelle tangenti miliardarie dell’Expo. Nemmeno un bisnipote di vecchio ‘ndranghetista di paese infiltrato in una ditta sub-subappaltatrice, anche solo dei rifiuti. Possibile che abbiano rubato tutto da soli? Ancora uno sforzo, il Sud non può restare a bocca asciutta.

Fabrizio Roncone e Sabelli Fioretti testimoniano affiancati su “D”. l’affondamento di Napoli nobilissima. Roncone si diverte col napoletano a Roma che vuole un euro per il vostro parcheggio, il parcheggio che voi vi siete cercato e procurato. Con vigile romano che a Roncone contesterà: “E io che c’entro, che se volemo rovina’ sto sabato sera?”.
Sabelli Fioretti documenta la coda dei taxi alla stazione di Napoli, dove è primo in coda con un compagno di treno. Ne conta 54, ma nessuno si muove: i taxisti discutono. Poi i taxi si fanno 65, ma non si muovono. Quando la discussione si placa, il primo taxi non tocca a lui ma al compagno di viaggio, “signore elegante che ha l’aria di quello che deve andare a Positano, roba da 50 euro”. Ma Sabelli Fioretti fa un errore: da Napoli a Positano non sono 50 euro, sono molti di più.

Mafia editoriale
“Il nichilismo è la nota di fondo della filosofia cutoliana” suona ridicolo. – cutoliana di Cutolo, il camorrista. Ma è a mezzo di una spaventosa, più che ridicola, storia della Repubblica Italiana. Sempre le storie di settore sono pericolose, se non contestualizzate. Ma qui si pretende una Repubblica “mafiosa”.  Qui in John Dickie, “Mafia Republic”, Laterza: “la prima storia comparata” di mafia, camorra e ‘ndrangheta, con la banda della Magliana, la Sacra Corona Unita, il brigante Musolino e il terremoto dell’Iripinia, e col film di Tornatore “Il camorrista”. Poi, insomma, siamo già a 532 pagine, non si poteva pretendere di più dal lettore.
John Dickie si era segnalato quindici anni fa per “Darkest Italy”, uno studio letterario (insegna letteratura italiana a Londra) sulla nascita del Meridione dopo l’unità. Un studio fecondo, che però non ha tradotto e ha abbandonato, ora si occupa di “vendere” la cucina italiana e la mafia. Ma c’è un limite anche all’apologia mafiosa, o il mercato tutto giustifica, anche l’esistenzialismo cutoliano?
Avendolo purtroppo letto, non si finisce di stupirsi della levità di spirito d Dickie e Laterza. La Giulietta è la macchina della mafia – Giulietta è nome che tira in ambito anglosassone. I cantieri della Salerno-Reggio Calabria sono della ‘ndrangheta – che quindi costruisce ponti, viadotti e gallerie? La stessa autostrada è in costruzione dal 1963. Il giudice che criticò, nel 1969, la blanda repressione della ‘ndrangheta attorno all’Aspromonte, è degradato a “tale Guido Marino”. “Negli anni Settanta… l’Italia non sapeva nemmeno che la mafia veniva chiamata Cosa Nostra dai suoi affiliati”. “Lo studio accademico più diffuso del fenomeno mafioso in circolazione all’epoca era stato scritto da un sociologo tedesco” – lo studio di H.Hess, di cui Dickie rovescia lepido le conclusioni. Non manca naturalmente lo Stato-mafia: nel caso Cirillo operano in combutta le Br, la Dc, la camorra, il Sisde (polizia politica), il Sismi (servizi segreti militari), il ministro dell’Interno, e la P 2.

“Mafia Republic”, la Repubblica mafiosa, è edito da Laterza. Cioè dal capo della Confindustria per il Mezzogiorno. Che interesse ha la Confindustria a dire mafiosa la Repubblica? O ce l’ha?

L’autostrada dei rimorsi
Pezzo forte di “Mafia Republic” è naturalmente l’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Naturalmente perché questa sembra la cosa più indigesta, non solo agli inglesi e ai leghisti ma anche, e di più, ai meridionali spersi, all’odio-di-sé meridionale. Più del porto container di Gioia Tauro, che è quasi impossibile.
Merita riportare per intero, per il livore e le assurdità, la mezza pagina in cui “Mafia “Republic”, opera di storia, racchiude la Salerno-Reggio Calabria, p. 112. A 50 anni dall’inizio dei lavori non è completata. Tutti i lavori sono soggetti alla ‘ndrangheta – anche fuori della Calabria? Non manca “un alto ufficiale dei Carabinieri” per attestarlo: in questi 50 anni “la mafia ha ricavato enormi profitti da questo disastro”. Questo è plausibile, i Carabinieri più spesso fanno Ponzio Pilato. Ma. Non ci sono servizi: si sono dovuti mettere dei gabinetti chimici “per consentire agli automobilisti disperati di espletare i loro bisogni corporali”. Ambulanze sono parcheggiate ai bordi pronte a intervenire. Il vescovo di Salerno l’ha detta la “Via Crucis”. La carreggiata è così stretta e tortuosa che per lunghi tratti il limite di velocità è di 40 km\h. E il solito ritornello: “Invece di seguire il percorso più logico e diretto, lungo la costa…”, che forse il professore non conosce, penserà siano le spiagge del Mar del Nod. Mentre la Salerno-Reggio Calabria è la migliore autostrada italiana. Certo, in Inghilterra ce ne saranno di migliori, ma in Italia no, eccetto rari pezzi in pianura.
“Era un’impresa ingegneristica di alto profilo”, riconosce il professore a un certo punto, servivano “qualcosa come 55 tunnel e 144 viadotti, in alcuni casi a più di 200 metri di altezza rispetto ai boschi del fondo valle”. Ora non lo è più? I tunnel in realtà sono 200, i ponti e viadotti 500. E sono tutti mafiosi? Una ‘ndrangheta dunque all’apice dell’ingegneria civile. Non solo, ma: chi è che mette allora le bombe?
Ma non si può dargli torto, le pubblicazioni contro la Sa-Rc si moltiplicano. Anche a opera di chi si suppone che l’abbia percorsa qualche volta. Non solo, intendiamo, i siciliani, che sempre si lamentano di tutto, quando è gratis non gli basta mai.
Il “Corriere della sera” ne ha fatto lunedì il pezzo forte della sua inchiesta sulle 397 opere incompiute. Nell’Italia degli scandali. Gli scandali multimilionari, per intendersi, tipo Expo o Mose. Mentre la Sa-Rc, un investimento di sette miliardi in dodici anni, si segnala per mancanza di scandali. E per aver rispettato, più o meno, i tempi. Sì, il tritolo nei cantieri, ma quello ce l’ha purtroppo chiunque metta mano al cemento, anche in economia - si sa del resto chi usa il tritolo in Calabria, e non sarebbe difficile farlo smettere. Quasi tutti i lavori commissionati per l’ammodernamento sono stati completati, per 355 km. a fine anno.
La cosa più interessante della paginata del “Corriere” è che non l’ha commissionata al leghista veneto Stella, ma all’ottimo meridionale Rizzo. Che se qualche volta tornerà alla casa avita in Basilicata, si farà la sua parte di Salerno-Reggio a tre corsie, larghe.

La forza della mafia è la debolezza della legge
In una pausa dei suoi personali processi a Berlusconi, la giudice milanese Boccassini ha trovato il tempo di occuparsi della mafia, il settore della delinquenza cui è delegata. Ottenendo la condanna di decine di ‘ndranghetisti di Milano e dintorni. “Sentenza storica sulla ‘ndrangheta”, si celebra col fido Bianconi sul “Corriere della sera”, “ora è innegabile la presenza al Nord”. Ora nel 2014. Quando c’erano fiumi di cocaina, a Milano più che in ogni altra città europea. Da quarant’anni almeno. Gestiti liberamente – anche ora – dalle cosche. Una delle quali, sfrontata al punto da fare il mercato in casa, in via Belgio attorno a piazza Prealpi, quella di Maria Serraìno, finì vent’anni fa con figli drogati persi, pentimenti, denunce, 180 condannati, e anche libri di successo.
La forza della mafia è la debolezza della legge. È perfino ovvio. La cosca Serraìno fu  sconfitta per caso, essendo stata una figlia drogata trovata in possesso di un migliaio di ecstasy, a un controllo occasionale (?). Con i pentimenti conseguenti. Ma era impossibile tacere.

leuzzi@antiit.eu

Montale inviato davvero speciale

Un selfie di Montale, da “falso inglese”. Una sorpresa totale, dal più riservato di poeti, ma avviene a un certo punto di questa sua Svizzera, talmente vi si sentiva a suo agio. Non è la sola sorpresa della raccolta – di articoli solo per un terzo ripresi in altri libri (di tutti comunque Fabio Soldini fornisce in appendice i dettagli bibliografici e ogni utile riferimento, di persone, date, luoghi). C’è la Svizzera, alla prima pagina, come paese noiseless: non asettico, quale è lo stereotipo, ma non rumoroso.  Che già allora, 1947, sotto sotto si tedeschizzava, malgrado la guerra perduta dalla Germania – in realtà a seguito della sconfitta: i capitali affluirono in Svizzera e in Austria, che anch’essa si dichiarava neutrale. Nello stesso 1947 Montale era al corrente della Hochkonjunctur, la famosa congiuntura (economica) che vent’anni dopo gli economisti italiani profusamente avrebbero scoperto. Cui associa, arguto sempre, la callida junctura, la fredda confederazione.
Prose giornalistiche, ma Montale era giornalista con genio. Fu viaggiatore felice: curioso, capace.
Ovunque vede cose che si ricordano. Specie Ginevra, nelle pietre, gli odori, l’occhiuta discrezione, “la culla dell’intolleranza (che) è ora una palestra di liberalismo” – Ginevra senza Rousseau. O l’uomo nuovo di uno dei tanti convegni ginevrini (“Spiraglio”), che un torrenziale oratore marsigliese, o nizzardo, evoca assegnandogli un’ora di lavoro al giorno - ma facendo storcere il naso al banchiere occasionale conoscente del poeta, “cui bastano pochi secondi”.  Maria José di Savoia, golosa dell’Italia e ignorante, anche delle cose che avrebbe dovuto sapere (scriveva libri sulla storia dei Savoia). Nnamdi “Zik” Azikiwe, che la Nigeria avrebbe annoverato quindici anni dopo, all’indipendenza, tra i padri della patria. Francesco Chiesa, e la difficile condizione dell’intellettuale svizzero di lingua italiana. La Sciaffusa rossa (“i socialisti non sono laburisti, piuttosto comunisti”) che si paga una mostra di “500 anni di pittura veneziana”, nel 1953, finito da poco il tesseramento, collazionando 113 quadri, da tutta Europa e dagli Usa, da ultimo anche dall’Italia, contro le resistenze degli esperti, Lionello Venturi in testa.
Un’intervista (“L’angoscia”) fa il paio con “Spiraglio”, della famosa giornalista di Zurigo al signor Montana, Fontale, Puntale indifferentemente, a cui attribuirà poi “il moderno problema dell’Angoscia” – scambiandolo per Jaspers. Ma c’è solo da leggere.
Eugenio Montale, Ventidue prose elvetiche, Scheiwiller 1994, remainders, pp. 210 € 5,43

Vero o falso – 14

Se a Bruges o Gand parlate francese, non vi rispondono – sottinteso  fiamminghi. Vero.

Uno svizzero consuma quanto quaranta somali. Vero.

L’euro è un anglicismo. Vero (adottato nel 1995, sulla base dei termini finanziari in uso: euromarket, euromoney

Ci sono voluti dieci anni alla Del Conca, leader delle ceramiche, per avere l’autorizzazione all’ampliamento dello stabilimento di San Clemente (Riccione), e dieci mesi costruire e avviare una fabbrica nuova nel Tennesseee (Usa). Vero.

Ci vogliono 37 giorni in Italia per una pratica di export-import, 21 in media nella zona euro. Vero.

Si può prosperare in Italia non pagando le fatture. Vero.

Non conviene fare causa per crediti inferiori ai 200 mila euro. Vero.

C’è una faida in atto tra i generali della Finanza? Anche.

I giornali sono finanziati dal governo. Vero. Con un fondo ordinario a sostegno della “libertà di stampa”, a giornali di parrocchia, di partito, sindacali e in cooperativa. E  uno straordinario, con una dotazione di 50 milioni per il 2014, di 40 per il 2015 e di 30 per il 2016. Per incentivare l’innovazione e l’occupazione, perché così richiedono le regole Ue,  in realtà per finanziare le ristrutturazioni, i contratti di solidarietà e la cassa integrazione.

giovedì 12 giugno 2014

Merkel-Marchionne 1-0

Non c’è dubbio che l’inchiesta Ue per aiuti di Stato a carico del Lussemburgo, l’Olanda e l’Irlanda, a favore rispettivamente di Fiat, Starbucks e Apple, è in realtà rivolta solo al Lussemburgo per la Fiat - Irlanda e Olanda sono il solito falso scopo. Nessun dubbio nemmeno che l’inchiesta Lussemburgo-Fiat sia stata promossa e voluta dalla Germania. Non direttamente, tramite il commissario Ue Almunia, spagnolo di origine, detto “il tedesco”. La Fiat deve morire, se osa sfidare Audi (Vokswagen) e Bmw.
La partita non finisce qui, ma la cosiddetta inchiesta Ue si può considerare già chiusa: Fiat Finance dovrà traslocare, e pagare una multa. Non sarà un danno grave, ma l’avvertimento è chiaro: è solo un primo tempo, anzi i minuti di avvio di una partita lunga.
Il danno sarà semmai per il Lussemburgo. Che però è tedescofono, ha clienti soprattutto tedeschi, e non può opporre resistenza. Che sarebbe dire che Fiat Finance ha lo stesso trattamento di altra finanziaria tedesca di dimensioni analoghe.

Perché comprare il giornale

Succedono cose turche ma non ci è dato saperne nulla. Pazienza la Rai, è la voce del padrone, ma i giornali?
Il Senato epura due senatori per dissenso d’opinione e niente. Grasso non ha niente da dire? Nessuno ha niente da chiedergli? Mezza Europa ha votato contro Bruxelles, anzi tre quarti, con i nuovi astenuti, e niente. Tutte le facce ora odiose della Ue stanno sempre lì e nessuno chiede nulla. Le facce di bronzo che il voto ha sconfessato, Van Rompuy, Juncker, Barroso, Olli Rehn, Almunia, che fanno le stesse pratiche fotocopia ormai da otto anni, gli anni della crisi e dell’egemonia tedesca. Ci fanno la guerra attorno a casa, ora sotto i piedi, ora nel cortile di dietro, e niente. E perché tanto credito a Angela Merkel? Ci ha sderenati, dov’è la politica, la visione, la saggezza di questa donna e della sua Europa?
Sappiamo le cose come tutti, perché avvengono. Il giornale invece parla d’altro. Sempre. Le sappiamo quindi a dispetto del nostro giornale, che però non  serve cambiare: sono fatti con lo stesso stampo.
Si comprano sempre meno giornali, sempre più edicole chiudono, e non è vero che si leggono online, i contatti sono comprati – non si scappa: con l’online e senza il giornalismo è professione che si restringe e si debilita. E uno non può che dolersene. Ma una rivolta contro i padroni dell’opinione, la confusione, la stupidità? Una rivoltina piccola, anche isolata? Un giornale, o uno in un  giornale, che dica no?

Montale, snobismo e gelati sciolti a Capo d’Orlando

Il testo lungo del titolo è un abbozzo teatrale, anzi melodrammatico, in forma di note di regia. Il poeta scandisce la sua rappresentazione come più tardi si sarebbe fatto con la tecnica del video, carrellata dopo carrellata. Tutto artigianale, poco professionale. L’esequie della luna s’immagina della nobiltà, di rango e di spiriti, tra “quarti lunari” e accademie d’araldica. Tutto in forma sempre di prosa d’arte, preziosa, nulla dev’essere spontaneo nella letteratura del barone, sia pure per finta – che nelle lettere  coeve è invece spiccio e preciso. Un’eco sensibile e insieme remota generando, di un mondo che fu. Ma già nello squallore.
Prose brevi le altre, poemi in prosa. Di sogni possibili, o lego di immagini. “L’assedio silenzioso della solitudine” domina. Specie per chi la privilegia: la casona dei Piccolo a Capo d’Orlando il giorno dopo si ricorda per i soffitti altissimi, e gli ambienti spogli, trascurati, residui, essi stessi un’interminabile lenta fine. Misantropica per vanità (snobismo), la sola consistenza – si può dire di questa nobiltà gattopardesca che il suo principio era la sua fine.
Un abbozzo del “Giardino delle Esperidi”, tragedia in versi, chiude la raccolta. Sempre alata. Seppure, se Dio vuole, con qualche caduta di stile: Eracle “tanta pena e tanta fatica” si dà “perché i pallidi aedi e il popolo credulone vogliono così”, un Eroe che parla come tutti – “le ninfe che danzano sempre” gli “sembrano pesci”, che puzzano come si sa. Ma la tragedia in versi, pare a lungo inseguita, tutta la vita, sfugge al barone.
Il filone Pascoli-Montale inghirlandato alla siciliana. Quel misto compiaciuto di barocchismo, cassate da indigestione, chissà perché sempre a opera di suore, e pezzi duri sciolti. Una maniera da guida turistica, di terza mano. Lucio Piccolo è l’autore di un solo libro, “Canto barocco”, che ha già molto più dei suoi sessant’anni.
Lucio Piccolo, L’esequie della luna, Scheiwiller, remainders, pp. 91 € 2,58

mercoledì 11 giugno 2014

Mossul a Al Qaeda, il petrolio a 200

Cento dollari a barile non bastano, ce ne vogliono duecento? Non è una prospettiva fantasiosa, se Mossul e il petrolio iracheno sono in mano a Al Qaeda. Basta l’Irak fuori del mercato del petrolio, con la Libia ingovernabile a seguire, per far impennare i prezzi – i derivati a termine sono già sulla prospettiva del rincaro. Quello del greggio è un mercato tight, a equilibrio instabile, bastano variazioni marginali nella produzione per impennare le quotazioni, beninteso al rialzo.
È la mesta conclusione del dodicennio di guerre di liberazione del mondo arabo in cui gli Usa hanno trascinato l’Europa. Che del rincaro del petrolio sarà la prima vittima – quella che lo pagherà tutto e di più. È anche una ratio dell’altrimenti inspiegabile santa alleanza tra Usa e Arabia Saudita nel sommovimento del Medio Oriente. Dell’Occidente schierato cioè con le forze mussulmane più integraliste. Ufficialmente contro le dittature, in realtà per rinfocolare nei paesi più tribali del mondo arabo, l’Irak e la Libia, le vecchie divisioni, che i dittatori tenevano a bada.
Irak e Libia, come la Siria, non sono insidiati da gruppi terroristici, ma da eserciti: forze organizzate, bene armate, regolarmente e profusamente approvvigionate, con basi e logistica. A opera dei paesi della penisola arabica. Stati patrimoniali, prima ancora che dittatoriali, e tuttavia immuni al radicalismo islamico. Questi stessi paesi, l’Arabia Saudita, il Kuwait, gli Emirati, saranno quelli che profitteranno di più del rincaro.

Secondi pensieri - 178

zeulig

Bugia – Non si mente del tutto mentendo.

Dio – Niente di ciò che è manufatto piace come la brusca creazione: un viso, una figura, un taglio di luce, un paesaggio,, anche la tempesta, anche il terremoto. La roba a cui l’umo non può mettere mano. Il piacere intendendosi come stupore: piace cioè impressiona, s’imprime, condiziona. Una Ferrari? Un vestito di Dior? Sono per pochi, per reddito e gusto. Il manufatto artistico conferma l’imponenza del creato, la voglia di riprodurlo essendo la sua ragione. Si possono intendere l’una e l’altro, la creazione e il piacere che dà, due forme di Dio. Che più spesso non è in chiesa, chiuso, smarrito.

“Un Dio s’incontra nel reale”, dice bene Lacan.

Io - Se Dio fosse nel processo hegeliano di negazione e oltrepassamento, allora sarebbe un serial killer: una cosa è o non è. L’io protestante, o idealismo, è l’umiliazione dell’individuo, per quella rivolta contro l’oggetto che è invece il soggetto, una moltitudine di soggetti, mai riducibili a oggetti, anche perché lavorano insieme alacri per approfondirsi e moltiplicarsi - cosa di cui il Vaticano e la chiesa sempre sono stati al corrente (anche fuori dal confessionale).

Riforma - Non è nata capitalista, ma se ne fa vanto. È all’origine della superiorità del Nord contro il Sud. Contro i Sud del mondo, e quindi contro il mondo: ogni razzismo è chiusura e autolimitazione.
Non fu progressiva, e fu anzi una reazione, contro il Rinascimento, che riuscì a bloccare - Nietzsche lo spiega più volte: il servo arbitrio è abominevole. Soddisfece l’istinto beghino, sacrificale. E, checché ne abbia potuto dire Max Weber, non piantò il capitalismo, se esso si vuole libertà e democrazia.
Che la Riforma escluda la Rivoluzione non è fisima di Carlyle e Hegel: se la Riforma mancata implica una politica dimezzata, senza la libertà, la Riforma invece non la esclude del tutto, escludendo la politica?

La storia della Riforma non è migliore di quella della Controriforma.
La Riforma non scaturì da uno spirito più moderno, ma era in buona parte una reazione del fondamentalismo cristiano, contro l’unità di natura e grazia, o unità del mondo.

Il necrologio che Hamsun, l’anarchico premio Nobel, dedicò a Hitler il giorno della capitolazione, lo dice “un guerriero, un pioniere dell’umanità, un apostolo del vangelo del diritto di tutte le nazioni. Era un riformatore di altissimo rango, ma il suo destino storico fu di operare in un’epoca di barbarie senza precedenti, una barbarie che ha finito per abbatterlo”. Hitler avrebbe obiettato, si voleva rivoluzionario e non riformatore, ma il ritratto per il resto avrebbe gradito: la barbarie che con Hamsun combatteva con la Riforma era la democrazia, non altro.

Silenzio – Esiste, naturalmente, ma loquace. Quando si legge, si riflette, si prega, si rimemora.
Mario Brunello, il musicista, invita in “Silenzio” ad ascoltare il silenzio della natura. Tace infatti l’universo fisico, ma parla. Per indizi, cenni, le stesse cesure, che più sanno di silenzio. È dunque in linguaggio. Parte del linguaggio parlato, e un linguaggio a sé.  

Il suono della sera, o del mattino, del buio o della terra che si risveglia, dell’aria in altitudine, del mare in bonaccia al largo, questo è il silenzio.
Molte partiture lo prevedono – che Brunello ritraccia. Ma sempre è imprevedibile all’esecuzione. Il più famoso, il minuto di silenzio che prelude al quarto tempo della Sinfonia n. 2 di Mahler, per esempio, Miung Wung Chun ha eseguito fragoroso con l’orchestra di Santa Cecilia a Roma sabato  1 febbraio, benché “sostituto” dell’ultimo momento. Forse in memoria, l’orchestra o il maestro, o entrambi, di Abbado. Che con la n. 2, l’opera di Mahler da lui prediletta, lo celebravano.
Abbado lo stesso giorno l’“Economist” celebrava nell’obituary come maestro del silenzio: “C’è, diceva Abbado, un certo suono nella neve. Che non viene dal calpestarla. Stando su un balcone si può sentirla. Un suono che cade, si allontana, si smorza fino al nulla, pianissimo, come un respiro. Aveva imparato ad ascoltarlo dal nonno materno, un esperto di lingue antiche. Da un mero alfabeto, o un geroglifico, il nonno sapeva estrarre la musica che v’era nascosta”.

Sogno – È dentro il sonno, che è dentro il buio, anche in piena luce, come in un liquido amniotico. Ma attenta al mondo come apparenza: non ce ne sarebbe bisogno, di un’apparenza di apparenza cioè.

Suicidio - Si fa pure per gioco, la roulette russa, o la caduta libera del paracadutista, o in Giappone la cucina dei tetraodonti, pesce istrice, pesce pollo, pesce balestra, pesce scatola, del cui veleno il cuoco lascia traccia lieve, quanto basta a stuzzicare la lingua e dare un gusto di paralisi, quando non sbaglia. In Giappone uccidersi è un diritto e un onore, porta la reputazione dei posteri, e dunque la vita per l’eternità. Ma questa spiegazione apparenta i posteri, e i giapponesi, al personaggio di Gogol che sognava di uccidere qualcuno per uscire sul giornale. La roulette russa invece, con un solo proiettile nel tamburo, è feroce esecuzione, prolungata.

“Ci si uccide per impotenza”, dice Kafka a Janouch, per “un atto di egoismo spinto all’assurdo”, ma è assurdo il Kafka di Janouch. Scrivendo a Brod invece, al solito minuzioso e argomentativo, Kafka disse unica conclusione sensata della sua vita “non il suicidio, ma il pensiero del suicidio”. Che non vuole dire nulla – una debolezza? - ma per lui sì, era quanto bastava per darsi dell’incapace: “Uu che non riesci a fare nulla, vuoi fare proprio questo?”.

Stupidità - È l’unica cosa, diceva Renan, che dia nell’uomo un’idea dell’infinito. È una battuta di spirito, ma apre una strana finestra nel concetto dell’infinito: una sorta di occupazione del posto, in realtà. Come ogni forma (determinazione) del linguaggio.

Tempo – Se la storia del mondo si riducesse a 24 ore, quella dell’uomo prenderebbe pochi secondi verso la fine: il tempo più che la nozione di infinito genera quella di ristrettezza. Se l’età del pianeta si calcola in 5 miliardi di anni, l’evoluzione umana di 12 milioni di anni, l’homo sapiens in 50 mila anni.

zeulig@antiit.eu

Roma erotica mezzatinta

Una memoria d’autore inventato, musicista, scrittore, pittore, qui incisore, che Guignard predilige, in mezzo a tanti artisti veri e noti. Mezzatinta, come la tecnica d’incisione che il protagonista, Meaume le Romain, avrebbe inventato, o maniera nera. A Toulouse, Bruges, Roma, Anversa, Londra, in luoghi sempre storici. A Roma, dove ha terrazza sull’Aventino, s’illustra per le incisioni erotiche. Di cui è maestro perché vive il corpo, l’erotismo, come il solo fatto reale. Ma come una ricerca insaziata. Dopo la storia della sua vita a vent’anni, tutta corporale, con la bellissima di Bruges, il cui fidanzato l’ha sfregiato all’acido. Fino a che non morirà per caso per mano del loro bellissimo figlio, l’uno sconosciuto all’altro.
Una favola. Senza morale. Della vita che non va dalla vita alla morte ma dall’amore all’amore. A tinte rapide, suggestive più che descrittive: “niente colore, nient’altro che sfumature”, la divisa del simbolismo è quella di Guignard. Al modo di un trattamentone cinematografico, una successione di quadri, con cui Guignard s’illustrerà al cinema, a partire da “Tutte le mattine del mondo”, su Sainte-Colombe e Marin Marais, i virtuosi del violoncello. Sempre rigorosamente primo Seicento. Come i personaggi veri modello di Meaume: il tenente-colonnello Louis de Siegen, inventore della maniera nera o mezzatinta, e Callot, l’incisore celebre.
Meaume è il nome del biografo, anche lui primo Seicento, di Callot. Che fuggì di casa a Nancy nel 1605 per raggiungere Roma, suggestionato dai racconti fiabeschi del pittore incisore Bellange. Con una troupe di attori-girovaghi fino a Firenze, poi da solo fino a Roma. Dove fu riconosciuto da alcuni mercati suoi concittadini e riportato a casa. Aveva dodici anni. Fuggira di nuovo, e sarà ripreso non lontano da un fratello. Finché nel 1609, a sedici anni, può ripartire per Roma con l’accordo dei genitori. Vi impara molte arti. E poi ritorna in Lrena per una prospera attività che lo renderà famoso.
A Callot si deve “l’uso della vernice del liutaio che permette un lavoro (di bulino) più fine”, di cui Meaume va fiero. Ma il nome (non ricorre già in Yourcenar, un Meaume pure lui insabbiato  nella luce di Roma?) è anche il latino Momus, latinizzazione di una divinità minore della mitologia greca che personifica la maldicenza e la beffa. E per estensione il diavolo: così in “Antologia Palatina”, I, 103: Mòme miaifòne, Momo assassino, sanguinario - “Momo, dio del biasimo e della provocazione, oscilla tra la più turpe cortigianeria e la più clamorosa eversione”, Sanguineti.
Un omaggio all’amore, all’arte come passione di vita, e a Roma. Che non  ha trovato in quindici anni editore in italiano – in inglese e in spagnolo sì.
Pascal Guignard, Terrasse à Rome, Folio, pp. 128 € 5

Fisco, appalti, abusi (52)

I bidelli delle scuole romane “lavorano” tutto giugno e tutto luglio, un mese e mezzo senza fare nulla. È loro diritto sindacalizzato non fare nulla, neppure aprire i cancelli. Per i “campi” scuola che tanti istituti organizzano, a pagamento, per le famiglie in cui i genitori lavorano, questi devono provvedere a un extra per i bidelli. O pagare più caro i fornitori di servizi dei campi scuola.

Sono dunque 629 le leggi fiscali nuove negli ultimi sei anni, con accelerazione del benemerito Monti. Contro o a favore dell’evasione-erosione-elusione fiscale? Ogni legge, e di ognuna i voluminosi regolamenti, aprono e non chiudono finestre al contenzioso. Che dura mediamente vent’anni. E che da almeno vent’anni è in cima alle cose da abbattere.

Dove si annida la corruzione diffusa, incoercibile? Nella legge. La Del Conca ceramiche ci ha messo dieci anni, a Rimini, per ottenere il permesso di ampliare la fabbrica. Ogni pratica è sempre, inevitabilmente, un giro dell’oca. Che molti punti offre a una “mediazione d’affari” risolutiva.

Perché non si nomina il successore di Befera all’Agenzia delle Entrate? Non per una questione di efficienza, di scelta oculata del nuoco direttore. È una posizione di potere. “la” posizione di potere.

“Una volta sono incappata in uno sciopero dei treni: per ottenere il rimborso del biglietto ho dovuto aspettare un anno”, lamenta la signora Zhang Linua, direttrice del Centro Studi Cina-Europa all’università Tsighua di Pechino: “In Cina mi avrebbero ridato subito i miei soldi”. In Cina chissà. Ma per il rimborso in Italia è vero: ci vuole molto tempo, e molte pratiche.

martedì 10 giugno 2014

Il mondo com'è (176)

astolfo

Guardia corsa – Fu la guardia del papa, e la milizia urbana, dal 1378, dal ritorno del papa da Avignone, fino al 1662, quando Luigi XIV di Francia ne impose al papa lo scioglimento. Nel 1506 era stata creata anche una Guardia svizzera, la stessa che ancora protegge il papa, ma senza eliminare la Guardia corsa. Il rapporto dell’isola col papato essendo di lungo periodo: ne fu un feudo dall’VIII secolo fino al 1447, quando il papa ligure Niccolò V, l’umanista Tommaso Parentucelli, trasferì l’isola alla Repubblica di Genova, e fu rappresentata a Roma da una nutrita colonia, a Fiumicino e a Trastevere – qui nell’area di san Crisogono, che era la chiesa dei Corsi.
Nel 1662 la Guardia fu sciolta con ignominia in seguito a un incidente orchestrato a Roma da Luigi XIV di Francia nel quadro della sua politica gallicana, delle chiese nazionali. Il folto seguito armato dell’ambasciatore speciale di Luigi XIV a Roma, suo cugino Carlo II, duca di Créqui, provocò la Guardia corsa nei pressi di Ponte Sisto, in prossimità di palazzo Farnese, sede dell’ambasciata di Francia. Luigi XIV occupò per ritorsione Avignone e gli altri territori papali in Francia, e impose lo scioglimento della Guardia, in termini offensivi. Minacciò anche una spedizione militare punitiva fino a Roma. Il papa Alessandro VII Chigi tergiversò, ma alla fine dovette piegarsi, in quella che fu chiamata la pace di Pisa, nel 1664.

Internet – Non solo dunque l’informazione è infetta sulla rete, anche la pubblicità. A cominciare da quella attiva, che i siti si fanno. Sul numero e la qualità dei contatti. Il “traffico” su un sito si può comprare, cioè si può originare su commissione, e “Wired” spiega non contestato che il “Corriere della sera” vi ha fatto ampio ricorso per il suo sito corriere.it. La pratica è comune, si è difeso il giornale lombardo.
L’esempio il “Corriere della sera” avrebbe potuto portare dello “Huffington Post”, il quotidiano online gonfiato fino a un valore di mercato di 60 milioni di dollari, per il quale è stato ceduto, che si è subito sgonfiato dopo la cessione. Il vero business della rete è per ora acquisire audience, anche fittizia, generandosi il traffico. “Dov’è la saggezza che abbiamo\ Perso nella conoscenza?\ Dov’è la conoscenza che abbiamo\ Perso nell’informazione?”. T.S.Eliot se lo chiedeva già ottant’anni fa, “The Rock”.  

Keynes – Si lega a torto alle opere pubbliche in funzione anti-disoccupazione, a fini prevalentemente di distribuzione del reddito col lavoro. Se ne facevano prima di lui. Per esempio in Italia, alla fine della grande guerra, per dare lavoro ai reduci e riattivare l’economia, specie nelle zone disastrate. L’inefficienza di questi lavori pubblici decisi in prima istanza per distribuire un salario nasce da qui, che sono una ricetta politica e non economica. Keynes ha tentato di dargli una razionalità, ma debole.

Pacifismo – Gandhi ha prolungato di vent’anni il colonialismo inglese in India senza resistenza, dice Orwell nel saggio “Reflection on Gandhi”, uscito nel gennaio 1929 sulla “Partizan Review”: “Gandhi è stato considerato per vent’anni dal governo coloniale in India come uno dei suoi alleati. So di che parlo, sono stato ufficiale di polizia coloniale in India”. Dell’eterogeneità dei fini nella storia.

Politicamente corretto – Viene consigliato e anzi imposto dalla stesse e gli stessi che in tv e in rete, mezzi che preferiscono, comunicano col turpiloquio. Che dicono sintetico. Mentre magari – magari le stesse persone, comici, conduttrici – quando scrivono le stesse parole le limitano alle iniziali. Sempre agressive-i e impudenti.

Riforma – Riforma di struttura, riforme di base, del Parlamento, della Giustizia, del lavoro, delle pensioni, del mercato, del non-mercato:  non ci sono cosa da fare, perlomeno per l’Italia, ma riforme. Che l’Italia sempre non ha fatto e deve fare. Se ne banalizza il concetto, non per caso.
Riformatore è in realtà il processo rivoluzionario, innovativo. Che invece viene confuso con la ghigliottina e il plotone d’esecuzione. A lungo sotto lo stigma leninista, delle parole d’ordine che legavano riformismo e opportunismo. Riforme, riforme è ora il grido unanime del giornalismo e di Bruxelles. Autorità che più burocratiche, asfittiche, negative, vecchie, non si possono immaginare. Con una certa confusione, quindi. Doppia anzi nel caso dell’Italia. Perché l’Italia le riforme le ha fatte, le liberalizzazioni e privatizzazioni che si richiedono (industrie e servizi pubblici, lavoro, sanità, pensioni). Le quali però non sono riforme, giacché impoveriscono e indeboliscono l’economia, oltre che il morale, rendendola sempre più non competitiva.
Intendere le riforme nel senso del mercato è una forzatura. Anzi una contraddizione.

La prima Riforma, la riforma per antonomasia, quella religiosa, poi derubricata a religione laica, non apportò salvezza, neanche negli affari, che pure aveva eletto a metro della grazia divina. Né la libertà, benché si sia fatta, e si faccia, valere contro l’assolutismo papale romano. Su queste false premesse la parola si è pero divinizzata. Fino all’attuale insignificanza, sempre però piena di se stessa e coattiva.
La Riforma storica si vuole una rivolta dello spirito e invece fu nazionale, anzi provinciale: una rivolta fiscale. Contro gli interessi pagati ai vescovi di Roma. per una sorta di capitazione federalista, tante anime a te, con tante decime, tante a me.

La prima riforma religiosa e sociale e la più radicale, fu papale, e infine lombarda, nel primo secolo dopo il Mille che si vorrebbe oscurare - questo qualsiasi storico, anche mediocre, lo sa: chi non ha sentito parlare dei Catari, dei Patari, di Arnaldo da Brescia, e di papa Gregorio? Si fece nei primi secoli del millennio, a opera della chiesa di Roma, contro i nicolaiti, i simoniaci, i nepotisti. E si fece a opera delle nuove classi, i monetieri, i mercanti, gli operai, allora prevalentemente della tessitura. Sopratutto a Milano: imposta da Roma sulla Milano imperiale, ma richiesta e combattuta dai milanesi poveri e puri della Pataria.

astolfo@antiit.eu

La Grande Guerra “un killing di massa”

Un’epopea, come vogliono le “celebrazioni”? Una carneficina – mass killing. Così Kipling la ritrasse in breve subito, in una lettera al suo corrispondente francese Chevillard il 28 novembre 1915, delineando il tratto marcante che la Grande Guerra introdusse, a opera della Germania. la mancanza di misura:
“Sono stupefatto, non avrei mai immaginato una nazione tutta intera in stato di orgasmo. (È una nazione femmina). E attraverso tanto orrore inenarrabile e folle spunta a coronarlo non so che di ridicolo e di provinciale. Non è una civiltà che mi sia comprensibile. Non pretendo di aver amato la Russia venticinque anni fa, quando minacciava l’India, ma amavo e capivo gli ufficiali russi; e l’idea russa, almeno, era umana, tollerate, e infinitamente ricca e varia. (Vi ricorderete senza dubbio del generale Alikhonoff, della straordinaria opera di assimilazione che compì attorno a Tashkent negli anni 1880). Ma non vedo che cosa può proporci  l’Idea tedesca a meno che non sia di marciare a passo di parata attraverso una serie d’inferni filosoficamente costruiti, dandosi per obiettivo di adorare se stessa per il clangore che fa con tutto il suo affardellamento. Gli Arabi, almeno, offrivano la scelta tra l’Islam e la Sciabola, ma l’Unno non ha che la sciabola per sola filosofia”.

La guerra tedesca, un monumento all’inefficienza

La mancanza di misura, una costante tedesca,  “Gentile Germania” tratteggia a proposito della seconda Grande Guerra:
“C’è un’efficienza tipicamente tedesca, inutile. Con le ritorsioni di nessuna utilità militare a dieci, cento, contro uno a Creta, in Epiro, in Italia, in Serbia, i milioni di prigionieri russi sterminati. A Cefalonia, Argostoli, Comneno, Frangata, Saranda gli Alpini, schierati sulle isole in mezzo al mare, spararono alla testa dei morti, li spogliarono di scarpe e anelli, li calpestarono, li buttarono in mare trascinandoli sulla sabbia con pietre ai piedi. I Gebirgsjäger erano diligenti, ma può fare troppo caldo nello Jonio. Nei recessi dell’Olimpo distrussero ogni cappella o icona, spronati dal supermaresciallo Keitel, poi illustre in Italia: dal riparo a Creta audace chiedeva “la guerra ai civili”.
“Con lo sfruttamento, anche, delle popolazioni amiche in mezza Europa. Per pignoleria: per fare lo spazzacamino ci volevano in Germania quattro anni di studi, più quattro di tirocinio. E per incapacità, essendo i tedeschi come si sa bevitori e paciosi. I lager, con quelle geometrie e gerarchie, ober, haupt, führer, o la guerra agli slavi, che mai li minacciarono, sono monumenti all’inefficienza e un dispendio incalcolabile di risorse: cibo, medicine, persone, trasporti, riserve di crudeltà, riserve d’energia. Per produrre qualche valvola Siemens, oppure niente, l’architetto Speer ha vissuto libero dopo la guerra perduta rosicandosi per l’incompetenza, altrimenti l’avrebbe vinta.
……………..
“Si galleggia, malgrado i tanti libri di guerra, sul non detto. La Germania sconfessa Clausewitz a ogni pagina, specie nei tre fondamentali della conquista: l’analisi dell’area occupata, la natura delle truppe dislocate, la politica nei confronti dei civili. Anche la distruzione delle aree lasciate al nemico, che i tedeschi fanno ostinata, Jünger aveva dimostrato nella prima guerra che danneggia anzitutto i distruttori, nel morale e la disciplina”. 

Possessione poetica ai Navigli

“Ci sono poeti che rimangono prigionieri dei propri temi”, esordiva Bordani nella presentazione dieci anni fa (l’edizione, ora all’ottava ristampa, ripropone con aggiunte il volume che accompagnava il dvd “Più bella della poesia è stata la mia vita”, 2003). E dei propri stilemi. Anche di quello della versificazione di getto, di cui Alda Merini ebbe da ultimo il dono e fece una pratica – una metà dei testi sono dettati, ad amici di passaggio, un’altra metà, scritta a macchina, abbandonata o dispersa, Ambrogio Borsani paziente ha via via ha raccolto. Con effetti ripetitivi, oppure gratificanti, dipende dall’umore. Di livello sempre alto, ma allora una sorta di modo di essere ed esprimersi della poetessa nella maturità.
Il tema è sempre l’amore. Alda Merini si distinguerà per l’irrefrenabile ansia d’amore, declinato in ogni piega della quotidianità, dello sguardo, del sonno, del rimpianto. In metafore, allegorie, similitudini, anafore, le tante analessi, per fortuna ricorrenti, le analogie che tanto sono in pregio nel Novecento (Ungaretti, Montale Bertolucci), l’apostrofe pedagogica frequente, materna, e ellissi, endiadi, antifrasi, iperboli, seppure con moderazione, e non infrequenti zeugmi. Uno stilista ci troverebbe un bagaglio immenso. Tanto più per essere “naturale”: spontaneo, infuso. Molto è parole libere, anche se “ispirate”: si fatica a volte, troppe immagini si sovrappongono.
È il posseduto che possiede. Avuto riguardo ai problemi mentali che la poetessa ha sofferto, ai lunghi soggiorni in manicomio. Alle passioni sempre violente (incontrollate, incontrollabili). All’immaginario reale, di fatti, eventi, relazioni, situazioni, cose. Per la padronanza in vario modo spontanea, non coltivata, di tutto lo strumentario poetico: si può dire che Alda Merini non dice una parola in prosa. Ma questo pone un problema, volgarmente di ripetitività. Criticamente d’inafferrabilità, se non per il caso umano. E quindi si prende per quello che è, un fluire purtroppo indistinto, anche se di acque pure.
Ha avuto tanti amici, l’Alda neo milanese ai Navigli, soprattutto amiche. Che però la attorniavano come un’ape regina feconda, per prendere invece che dare. Anche Maria Corti, la filologa che più le fu vicina. E il motivo può essere questo: che dirne? È una poesia che avvicina troppo, disarmati.
Alda Merini, Clinica dell’abbandono, Einaudi, pp. 120 € 12

lunedì 9 giugno 2014

Il fallimento del regime plebiscitario

Il sindaco eletto dal popolo sarà stato il più grande fallimento della Seconda  Repubblica. La favola della persona migliore comunque del partito. Per l’indigenza della scienza politica made in Italy.  Ma anche per un sentito molto diffuso, artatamente, dai media con decenni di bombardamento. Ieri, con l’eccezion della dalemanissima Bari (il sindaco uscente si chiama Emiliano ma s’intende D’Alema, provvido patrono), i sindaci uscenti sono stati bocciati nelle città – a Bari peraltro hanno votato solo in quattro (quattro su dieci aventi diritto).  Livorno e Perugia conoscono l’onta del cambiamento dopo 68 anni ininterrotti di amministrazione rossa.
L’amministrazione è quello che più manca a questi sindaci eletti dal popolo. Tutti presi unicamente da se stessi, dalla personale immagine. Il Comune considerando un piedistallo di visibilità per ulteriori fortune (Rutelli, Veltroni, Alemanno, Renzi), o comunque per la riconferma. L’amministrazione riducendo al taglio o alla dequalificazione dei servizi: nettezza urbana, trasporto pubblico, scuola, sanità, assistenza, senzatetto. Con aumenti senza limiti e senza controlli di ticket, tasse, tariffe (i ticket peraltro dichiarano non deducibili, vere e proprie tasse). A nessun altro fine se non la carriera dell’eletto del popolo.
La Confederazione degli artigiani, Cna, colloca oggi al vertice della pressione fiscale sulle imprese tre città, Roma, Reggio Calabria e Napoli, in cui nessun servizio è offerto alle imprese: con tasse e tariffe locali riescono a portare il prelievo oltre il 74 per cento del reddito. Le altre due città che portano il prelievo complessivo oltre 74 per cento (con le altre si scende sotto il 69 per cento) sono Bologna e Firenze, in accentuato declino produttivo. E anche, a ben guardare, malgrado la propaganda, nella qualità dei servizi.
Non è senza motivo che le città sono tombe delle ambizioni politiche. Di Marino oggi a Roma, come già di Alemanno, Veltroni e Rutelli. Renzi non ribalta la prospettiva: non è cresciuto come sindaco di Firenze - la città con lui anzi ha sofferto, anche molto - ma per la capacità di occupare e rinvigorire un’area politica stagnante, grigia e forse anche morta. 

Piovono miti sul millennio inerte

Si ripropongono le ottime letture dei miti greci di Kerényi, più duttili forse, e più “moderne”, di quella di Greaves, che gli procurarono stima e ammirazione di grandi letterati, Thomas Mann, Hermann Hesse tra gli altri. Ma singolarmente inerti oggi.
Si penserebbe la riedizione in voga dello studioso rispondere a una domanda. Che però non risulta, non che si senta. O non sarà un tentativo di stimolarla, una domanda che non c’è? Di occupare un vuoto sperando che si accenda una luce. Pensieri tristi, avulsi, dalle loro storie, queste rilettura inducono.
Cesare Pavese trovava il fascino di Kerényi nella ricostituzione della facoltà mitica come facoltà nostra, di noi lettori, “facoltà creatrice che è anche nostra, presente”. Specie delle “figlie del sole”: “Quando vede in certe dee greche la solarità (esso sono figlie o parenti del Sole), mette in chiaro una nostra capacità di vivere come un tutto cosmico un nostro incontro umano”. Che era eccessivo – e nel caso di Pavese pericoloso. Ma oggi è semmai il contrario: tutto è mediocre per il mediocre.
Il millennio è sempre più dell’indistinto. Di un mercato, una rete, una politica onnivori, che svuotano invece di pascere. In cui queste storie rimbombano vuote. Il sacro essendo svanito nel talk show, la frase fatta. Il tragico nella crisi cronica, nel mezzo dell’abbondanza, il macmilliano “never had it so good”. E la poesia nella democrazia dell’hashtag: tutti maestri di scuola, considerati, sentenziosi, con le tremila parole giuste, operosi con gli occhi bassi. 
Károly Kerényi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Saggiatore, pp. 614 € 16,50
Figlie del sole, Bollati Boringhieri, pp. 140 € 11

Letture - 174

letterautore

Censura – Si rappresenta, alla mostra sulla censura cinematografica del Ministero dei Beni Culturali, una scena di nudo di “Nymphomaniac”, il film di Lars von Trier, in cui una bianca è stretta a sandwich fra due neri. L’attrice bianca ha un nome, Charlotte Gainsborugh, i due neri no. Nero stallone?
Ma anche gli stalloni ora hanno un nome. Una gaffe del corretto von Trier, correttissimo?

Colore – È uniforme la veduta all’interno del vagone della metro B a Roma, grigio-nero. Una folla, la metro è sempre piena, compatta in grigio-nero. Non è un caso, anche cambiando vagone la veduta è la stessa, affollata di grigio-nero. I treni della metro sono ora lunghi, quanto la lunghezza delle stazioni può contenerli, e in tutti i vagoni sempre affollati, da masse in piedi o sedute ma affollate, anche perché uniformemente vestite di grigio-nero.
La stessa veduta danno le piazze affollate che consentono un’occhiata dall’alto, Fontana di Trevi, piazza del Pantheon – davano prima dell’ondata di caldo, che costringe a sbracciarsi, privilegiando per qualche giorno il bianco rosa pallido delle pelli. Non da oggi, non c’è memoria di folle variopinte in piazza o sulla metro, sarà una generazione, forse due. La cosa si nota oggi che in tv la pubblicità, benché in prevalenza sempre su fondo grigio (pavé, palazzi, interni, terreni vaghi, campagne, con gli stessi prati e i boschi virati sul seppia) ha intervalli consistenti di immagini colorate, sui toni decisi del rosso, del blu, del verde.

Crediti – “Le meraviglie” ha un minuto buono di crediti prima del film, e una lista interminabile nei titoli di coda, Alice Rohrwacher non sa più chi ringraziare. Anche Angelo Mellone, uno diretto, anzi sbrigativo, chiude il poemetto “Meridione a rotaia” con una lista lunghissima di ringraziamenti. È un vezzo che viene dalla scuola, dai crediti a scuola? Fino a ora i crediti avevano un senso, andavano a redattori (editor in inglese) o produttori che in qualche modo avevano contribuito al libro o al film. Ora vanno ai parenti, agli amici, ai conoscenti. A Dio mai, ma ai santi sì e ai protettori, a cui molti attingono, i debiti se non la forza o la creatività.

Esilio - “In Egitto”, la prima poesia di Celan per Ingeborg Bachmann nel 1948, l’amore che non fu possibile tra il perseguitato e la figlia dell’hitleriano, è un’invocazione a superare il baratro. Celan deve poter dire “a Ruth e a Miriam e a Noemi,”, ancora nell’esilio: “Vedete, dormo da lei!”, la straniera. Ma è un esilio comune, anzi un esilio come condizione interminabile e stabile.  Agamben lo spiega fine in “Pasqua in Egitto”, (uno scritto ora ripreso in “Il fuoco e il racconto”. Riprendendo una lettera di Celan a Max Frisch che lo invitava nel 1959, a trascorrere insieme, insieme con Ingeborg ora sua moglie, la Pasqua a Uetikon: “Non ricordando affatto di aver mai lasciato l’Egitto, celebrerò questa festa a Londra”. La Pasqua ebraica che celebra l’esodo dall’Egitto, ricorda Agamben. Ed era il nome ebreo “segreto” di Celan, Pesach, Pasqua. Uno che si suiciderà, nel 1970, il 20 aprile, un mese dopo la celebrazione della Pasqua, ebraica e cristiana.
“In Egitto” apre il volume “Tempo del cuore”, con l’epistolario tra Celan e Ingeborg Bachmann. Si legge, prima della poesia, la dedica “Per Ingeborg, per il suo ventiduesimo compleanno - che in realtà cadeva un mese dopo, anzi 33 giorni dopo): “Per Ingeborg\ Vienna, 23 maggio 1948,\ Alla estremamente precisa\ a 22 anni dal giorno della sua nascita,\ l’estremamente impreciso”.

Kipling – Fascista? Sembra inverosimile. Ma all’origine del sinistro epiteto, in aggiunta a reazionario, imperialista, jingoista, razzista, etc., è Orwell, che pure di Kipling condivide la nozione centrale di decency come metro morale, e il gusto per l’avventura. Orwell disse Kipling non propriamente fascista ma “pre-fascista”, in quanto “imperialista all’eccesso (jingo), insensibile moralmente e esteticamente nasueante”. Pur ricalcandolo.
Il soldato inglese, o comunque il soldato di Kipling, è la feccia sociale, il paria d’Inghilterra, agli occhi del bravo borghese. “Non è strano”, Kipling fa dire a Learoyd, uno dei suoi tre moschettieri, “che i benpensanti, pur parlando sempre della buona guerra, disprezzino proprio quelli che si battono? Dopo la vergogna di essere impiccato, si crederebbe che non ce n’è una più grande che  essere soldato”. Un “militarismo” polemico, contro le buone coscienze.
.
Il segreto del suo “mistero” è la Bibbia? Salmi, sermoni, inni. Fornendo suoi dettagli biografici all’estimatore e corrispondente francese Chevrillon, il 22 ottobre 1919, Kipling esordisce: “La canzone di Mowgli è un calco diretto del canto di guerra dell’umanità primitiva, di cui il canto di Deborah nella Bibbia è l’esempio migliore”.
Kipling fu cresciuto nella Bibbia dalla famiglia affidataria cui i suoi genitori, tonando in India, lo lasciarono ai sei anni, a Portsmouth – “una donna evangelica, bigotta, limitata e invelenita”, aggiunge nella stessa lettera, che gli proibì altre letture.
Biblico è certamente il “Recessional Hymn”, l’inno all’impero che lo condanna agli occhi dei benpensanti, composto nel 1897 per il giubileo della regina Vittoria.

Noventa – Giacomo Noventa, anticonformista in ogni sua manifestazione letteraria, fatica a trovare un posto nelle storie – malgrado il patrocinio di Mario Soldati e altri letterati illustri. Ma Franco Loi, che non ne conosceva neppure l’esistenza, nonché la professione, se lo è sognato una notte, racconta in “Silenzio”, la stessa in cui Noventa moriva. Sognò uno che sapeva chiamarsi Noventa anche se non lo conosceva nemmeno di nome. Che lo incitò alla “via dritta”, che Loi ora intende alla poesia - allora Loi non scriveva poesia, non ne aveva mai scritto, e non ci pensava. “Un uomo dalla pelle strana color avorio”, come risultò la mattina dopo, quando incontrò il suo collega Carlo della Corte, che veniva proprio dalla veglia funebre a Noventa, di cui era amico.

Recitativo – “Per un recitativo dell’«Otello» ci abbiamo impiegato una settimana”, testimonia Ruggero Raimondi in morte di Abbado (“Amadeus”, giugno 2014). È nel melodramma quello che è il descrittivo nella narrazione, che situa, contestualizza, e definisce i caratteri. Volendo considerare il melodramma ancora un dramma, serio o giocoso, e non una successione di arie, duetti e terzetti, con qualche intermezzo coreutico.

Rosvita – Rifaceva Terenzio. Esce dal mistero (a partire dal suo stesso nome, forse Roswitha, o Hrotsvit , Hrotswith), o dalla disattenzione novecentesca, la prima poetessa tedesca e anzi europea – scrisse molto, in latino - dopo gli anni bui. Per la cura di Marco Giovini, studioso genovese.
Visse poco, dal 935 al 974, anno più anno meno. Ma abbastanza per essere ricordata autrice delle “Gesta Oddonis Caesaris Augusti”, l’imperatore Ottone I, di una storia del suo convento, Gandersheim, di sette leggende, o poemetti agiografici, di santi, e di sei drammi, che in realtà sono anch’essi aneddoti edificanti. Ma piena di verve, nei drammi. Da Terenzio riprendendo l’“imitari dictando” e, con risultati notevoli, la prosa ritmica rimata.
Il suo nome leggeva come clamor validus, «voce squillante». Un’etimologia che Jacob Grimm trovava derivata da un antico tedesco hruod-svind. Ma forse è anche un’eco della “vox clamantis” di Giovanni Battista nei Vangeli.

letterautore@antiit.eu