Cerca nel blog

sabato 28 aprile 2018

Letture - 343

letterautore

Coppia – Goethe ne ha scritto molto ma non ne ha di memorabili. Ha, per quanto di sani robusti appetiti, non inappagati, personaggi femminili pulciosi - enkikinants direbbe Flaubert, che della cosa pure lui è intenditore, sa che vuole realismo.

Distopia – È il filone forse più fecondo. Nella forma però saggistica, morale, alla Golding, e non di un mondo alternativo, alla Zamjatin o alla Philip K. Dick: si torce la realtà per estrarne un monito o insegnamento. Rientra piuttosto nella tendenza residua alla favolistica, l’allegorico, la fantasy, la stravaganza. In alternativa ai selfie, più o meno piagnucolosi, più o meno d’infanzia, più o meno felici. Non c’è altro: il romanzo sarà morto, dopo tanti annunci mortuari, con la borghesia e il buongoverno.

La Bbc ne aveva rilevato il ritorno subito dopo l’elezione di Trump. Quattro classici politici, di distopie politiche, per l’insorgenza di forze oscure, erano tornati di prepotenza sul mercato – ne classificava le vendite settimana per settimana dopo l’elezione. Insieme, singolarmente, con il “classico” di Donald Trump, “The Art of the Deal”, tradotto “L’arte di fare affari”. Erano “1984” di Orwell, “Il mondo nuovo” di A. Huxley, “Da noi non può succedere”, di Sinclair Lewis, e “Farenheit 451” di Bradbury.
Un altro classico distopico, questo del femminismo, era apparso nei cartelli anti-Trump in campagna elettorale, “Il racconto dell’ancella” della canadese Margaret Atwood. Ma non sono mancati i riferimenti al “Signore delle mosche”, il classico di W.Golding: la conchiglia, che nell’isola abbandonata chiamava a raccolta i buoni, è apparsa anch’essa nei cartelli elettorali anti-Trump, come amuleto democratico.

Dopo l’elezione di Trump, il quotidiano inglese “The Guardian” la collegò in un paio di articoli al “Signore delle mosche”, alla rottura della conchiglia a opera della fazione aggressiva. Torvando molto compiaciuto il sito william-golding.co.uk.

Gruppo Settanta – Dimenticato, è stato forse il primo gruppo delle neoavanguardie anni Sessanta. Formalizzato nel 1963, in parallelo col costituendo Gruppo 63 a Palermo, ma di fatto operativo già da alcuni anni, attorno al caffè San Marco di piazza San Marco a Firenze. Animato dagli stessi che nel 1963 ne formalizzeranno la costituzione con due convegninche ebbero una qualche eco nazionale: Eugenio Miccini, il deus ex machina, insegnante, propugnatore di una “poesia visiva”, Lamberto Pignotti, Giuseppe Chiari, poi libraio. Con il patrocinio di Piero Santi, narratore allora in edizione. Sotto la benevola attenzione di Mario Luzi. Nume del gruppo era anche in questo caso – come di tutte le avanguardia anni 1960 - Luciano Anceschi con la sua rivista “Il Verri”. Insieme con Gillo Dorfles. Contatti erano stati presi con Eco, Roman Vlad, Mario Bortolotto, Gianni Scalia – il gruppo si voleva a tutto campo nelle arti, teatro e musica compresi. In particolare, in pittura sperimentava con la calligrafia zen giapponese, e diffuse il collage,
Nel 1963 Miccini e Pignotti organizzarono al Forte Belvedere due convegni, ”Arte e comunicazione” e “Arte e tecnologia”. Ma con i convegni è come se il gruppo si fosse dissolto, non essendo venute le “opere”; nessun’altra iniziativa, nessuna proposta. 


Dickens – “Quel gigantesco sentimentale inglese – il grande Charles Dickens”, lo saluta Chesterston, “Cosa c’è di sbagliato nel mondo”. A cui però rimprovera una fine “imperialista” del “David Copperfield”, poiché manda Emily e Micaber a vivere presumibilmente felici in un “vaga colonia” – lo spirito dell’imperialismo Chesterston dice soprattutto “un’illusione di comfort”.

Giuda – Si riabilita nei romanzi. Ma Calvino avrebbe obiettato, Giovanni, che la critica alla confessione argomenta col traditore Giuda: “In Giuda c’era perfetta contrizione di cuore, confessione orale, soddisfazione per i denari”.
Anche sant’Agostino non approvava. Lo spiega contro un Petiliano che prende a partito, “Contro le lettere di Petiliano”. Il quale invece l’avrebbe voluto santo. Non senza argomenti: “Si pentì e fu messo a morte, è quindi un Confessore e un Martire”.

Internet – Ha ricostituito vita di strada e la piazza, benché sia un “grande balzo il avanti” della tecnica, che può escludere generazioni e varie umanità. Sulla traccia aperta dall’audiovisivo – dalla diretta, dalla notizia in contemporanea nel mondo – di Marshall McLuhan. Ha disinnescato il problema che G.K.Chesterson denunciava in “Che cosa è sbagliato nel mondo”, 1910: a  proposito dei Frame-Breaking Rioters, dei ludditi,  che avevano torto nella lotta contro le macchine, ma avevano ragione contro l’isomento che la macchina introduce: “Il macchinario della scienza deve essere individualistico e isolato”, notava il polemista: “Con lo specialista, la democrazia è dimezzata in un colpo”.
La rete, ultimo sviluppo scientifico, invece non sottrae lo spazio collettivo. Non isola. Semmai socializza troppo – superficialmente.

Sogno - “A chi vive del sogno la realtà sempre appare più sogno di ogni sogno, e più profonda è la lusinga” – Th. Mann, “Gesang vom Kindchen”.
“L’idea che il mondo è un sogno è essa stessa un sogno” – Pascal Quignard, “Le tavolette di bosso di Apronenia Avitia”

Veneto – La grande pittura veneta, già con Gentile e Giovanni Bellini, a fine Quattrocento, e poi con Canaletto e Bellotto, si presenta come contemporanea, dell’arte-mercato. Lartista del Sei-Settecento è, deve essere, abile venditore, tra comittenti-mecenati-mercanti. Con bottega su strada, aperta agli acquirenti. Lo è Canaletto, a Roma a Venezia, a Londra e poi ancora a Venezia. Come anche Canova, Piranesi e Bellotto a Roma – Bellotto anche in Nord Italia, a Dresda e a Vienna. O i Tiepolo a Venezia, a Würzburg, nel Veneto,  a Madrid. Per i turisti del Grand Tour, per le famiglie venete o del Nord Italia, per Algarotti e altri intenditori, il console inglese a Venezia Joseph Smith, gli ambasciatori di Francia e Inghilterra.

letterautore@antiit.eu

Il Moro di Venezia in giallo

La dark lady è un un dark man, detto il Moro – un po’ scuro, anche se non viene detto. Che di più veneziano? La città senza i turisti – ci sono, ma è come se non ci fossero - ne è la scena, e i motivi non possono essere che veneziani: la bellezza non guarisce.
Con la verità che tarda a emergere: che la verità di Venezia è nella laguna, nell’immensa sua parte, di isole e isolottti, abbandonata, inselvaggita o mai abitata.
Il blurb  di copertina – “un omicidio che ricorda un odio familiare” - un po’ tradisce il lettore. Che tuttavia viene ripagato, col “come si arriva a tanto?”
Letizia Triches, I delitti della laguna, Newton Compton, pp. 344 € 5,90

venerdì 27 aprile 2018

Ombre - 413

Il piccolo Alfie che doveva morire in pochi minuti, le Alte Corti britanniche, mediche e legali, lo avevano sentenziato,è  sopravvissuto quattro giorni e va per il quinto. Ogni minuto un miracolo. Un disobbediente, all’obbedienza “laica” – le logge sono unite in Inghilterra, specie nell’eugenetica.
Il piccolo non è una smentita a questa obbedienza, che ai miracoli non ci crede. Ma all’eugenetica sì.

Singolare la spiegazione che le Alti Corti inglesi, mediche e giuridiche, avanzano a copertura della condanna di Alfie: una legge del Seicento. Dunque, una legge nel Seicento dava allo Stato potere di vita o di morte sugli individui, con precedenza sulla famiglia. A quale Stato, dei re tedeschi? Una legge dimenticata nei tre secoli, o quattro, successivi?
Ma per i media basta e avanza: grandi trattazioni si leggono di questa legge del Seicento.

Berlusconi editore abusivo, ce l’eravamo dimenticato: in un colpo solo Di Maio allarga il corteggio al “Corriere della sera” e a “la Repubblica”, gli editori che invece non sanno come farcela.
Di Maio è, sarà, un improbabile presidente del consiglio, in accoppiata con Mattarella, una sorta di Mattarella-Masaniello, ma lui sa come fare – i grandi interessi si prendono per poco, anche gratis.

Meno pensioni nel primo trimestre (meno 8 per cento) e meno pensioni sociali (meno 35 per cento) vanta il presidente dell’Inps Tito Boeri. Che dunque è quello che ha vinto il 4 marzo: la quinta colonna dei 5 Stelle.  

L’ambasciatore Terracciano presenta le credenziali a Putin, e deve lamentare, spiega a Rosalba Castelletti su “la Repubblica”, che Gazprom vende il gas all’Italia più caro: “Con Nord Stream 2 l’Italia rischia di dover sostenere osti più elevati rispetto al Nord Europa”. Nord Stream 2 è il raddoppio del gasdotto verso la Germania attraverso il Baltico, che Angela Merkel ha voluto dopo le sanzioni contro Mosca per la Crimea e il Donbass.  Armiamoci e partite.

La “New York Review of Books s’interroga, anzi afferma. “C’è in corso nel paese una campagna organizzata per screditare la stampa americana”. Che la stampa americana si discrediti da sè, pompando ricatti e ricattatori (prostitute, poliziotti fedifraghi, spie inglesi, ex) non è in programma. E questo la dice tutta.

La cosa ha più nomi: Federazione Democratica della Siria del Nord, Kurdistan sirianoKurdistan OccidentaleRegioni Autonome Democratiche, Federazione Democratica del Rojava, Siria del Nord (tra il 2016 ed il 2017), ora più semplicemente Rojava, che in curdo significa Occidente. Una regione curda nel Nord della Siria. In primo piano con le forze occidentali contro l’Is, ma in dissidio con Damasco, che le rifiuta lo statuto di autonomia. Il governo siriano essendo indebolito dalla guerra civile, è il turco Erdogan che si incarica di liquidare la resistenza nel Rojava. Coi cannoni e gli aerei. Senza che l’Occidente, il santo protettore francese Macron compreso, obietti.

I guru, soprattutto gli asiatici e i nordamericani, sono sessuomani. Anche accaparratori, ma principalmente fornicatori seriali, di consenzienti e non. Donne - i guru sono maschi, eterosessuali. Ci sarà un rapporto tra misticismo e letto.

“L’arbitro che fischiò il rigore di Benatia su Lucas rompe il silenzio: «Sono stati giorni strani»”. Lo rompe con “As”, il giornale del Real Madrid, la squadra di Lucas. Che l’arbitro inglese inquadra dal sottoinsu , come un angelo di Lippi – il pittore. E la richiesta di “messaggi di supporto”. Urge battere il barbuto Buffon anche sulla rete.

Singolare, un’intervista di un arbitro. Al giornale del Real Madrid, poi, che ha appena favorito. Allora “As” la presenta come un intervista alla Federazione del football inglese. Che in effetti l’ha messa nel sito., Come se Rizzoli o Orsato desere un’intervista alla Figc. Albione è sempre perfida.


Il poeta della Resistenza a Roma, Mario Di Maio, invitato a celebrare lunedì il 25 aprile all’XIma  circoscrizione, grillina, trova la sala consiliare vuota, giusto un’agitprop dell’assessora alla Cultura, neanche imbarazzata. Pensavano che il Di Maio fosse parente.

Indire la festa della Liberazione e poi disertarla è un segno dei millennials prima che dei 5 Stelle, i “signora mia” che ci governano, maleducati prima che ignoranti. Ai quali non interessa niente, meno che mai il decoro, giusto un po’ di grana. Appurato che la cerimonia non era una seduta consiliare, non c’era il gettone di presenza, si sono dati.

Due ministri spagnoli alfieri della lotta alla corruzione, l’una di fila all’altro, si devono dimettere, lui è addirittura in carcere, per aver rubato. C’è una concezione cleptocratica della politica che evidentemente non conosce frontiere.

Il consiglio comunale grillino vota a Roma per impedire che gli scranni dei quattro consiglieri del movimento nella precedente consiliatura siano occupati: sono storici (“Sono come il numero 10 di otti alla Roma”). Il Sacro Sedere.

La ridicola notizia dei Sacri Scanni grillini al Campidoglio è un non notizia per i media. C’è già la censura? Cioè: non si sa più ridere, solo vaffa. 

“La Champions non si compra”. L’aveva appena detto Jupp Heynckes, l’allenatore del Bayern, ex Real Madrid, e l’ha sperimentato facendosi battere dalla sua ex squadra. La Champions non si compra, non passano assegni, si prepara. Con ville in Spagna. Una villa in Spagna non è il sogno di ognuno, sopra le Alpi?


Heynckes ha pure lui villa a Marbella. Ma del Real Madrid è stato allenatore, vincente. Non l’arbitro.

Accumulano sanzioni gli europei contro la Russia, ma si fanno pagare la Champions League da Gazprom, il monopolista russo del gas.

Con Andrea Nahles al vertice del partito Socialdemocratico, tutti i partiti in Germania, dalla sinistra alla destra, comprese le estreme, sono rappresentati e gestiti da donne.

Singolare tiro a zero di Simonetta Agnello Hornby contro i reali inglesi con Luigi Ippolito sul “Corriere della sera”. Stupidi, perfidi, carogna, alla regina attribuisce un figlio adulterino, Kate una “borghese, un po’ volgarotta, ha preso da sua madre”, Carlo “un vanesio”, “un fedigrafo”, “una brutta persona da tutti i punti di vista”. Degli automi, condannati a sorridere. Lo dice da laburista. Ma non è baronessa? Fabulatrice quantomeno di zie baronesse?

Il saldo tra nuove aziende e cancellazioni è negativo per 15 mila unità nel primo trimestre, secondo 
Unioncamere. Magari piccole e piccolissime aziende, ma sempre in meno. Poi si scoprirà che la ripresa va con la ripresa delle fabbriche Fiat (residue) in Italia.

Anche la graduatoria europea della popolazione attiva non è male, che vede l’Italia al penultimo posto – prima solo della Grecia. Con il 62 per ceto della popolazione in età lavorativa. Il calo del tasso di disoccupazione andrebbe ponderato col saggio della popolazione attiva: quanti (quante) non sono disoccupati semplicemente perché non cercano più) lavoro? 

Un Belzebù molto noioso

Un apologo sul male prepotente. Prolisso. Bambini sopravvissuti a un incidente aereo su un’isola deserta dapprima si sollazzano all’avventura, poi si fanno cattivi – si uccidono anche, a bastonate e con vari trucchi. Una favola del genere horror, con poca avventura e molta violenza.
Libro d’esordio di Golding, 1954, che trent’anni dopo, 1983, gli procurerà il Nobel. E libro di culto – contemporaneamente si edita per le scuole, con la vecchia traduzione di Filippo Donini, aggiornata da S. Brogli. Molto ben sostenuto dalla redazione Oscar, fin dalla prima edizione nel 1966. In un primo tempo con agganci a una guerra tra grandi catastrofica, di cui però non c’è traccia. In questa riedizione, con una nuova traduzione affidata a Laura De Palma, e con agganci a serial tv di grande ascolto, “South Park” e “Lost”, che ne fanno quindi un capolavoro. Assortita da riflessioni non concludenti di Golding su storia, favole e mito, in originale “Fable”, nel volume “The Hot Gates”: “È compito ingrato raccontare favole” e “L’uomo produce il male come le api il miele”. Ma sempre ostico alla lettura. Si gusta per il paratesto, costruito col tempo in volute avvolgenti.
La biografia intanto è eccitante, di Golding. Figlio di socialisti, cresciuto di suo molto pio, fino ad aderire alla teosofia di Steiner, sposo di una militante comunista, insegnante elementare per molti anni. Dopo essere stato in gioventù in guerra teorico inconcludente di esplosivi, sulla base delle chiacchiere scambiate col nonno minatore, arruolato nella Marina militare, di cui infine comanderà una unità nello sbarco in Normandia.
Farà nel dopoguerra il maestro elementare, fino al 1962. “Il signore delle mosche” è la sua opera prima,  a 42 anni. Inviata in lettura alla casa editrice Faber col titolo “Strangers from within”, stranieri dentro, il paratesto vuole che “Il signore delle mosche” sia stato trovato e imposto da T.S.Eliot, in riferimento al biblico Belzebù, che significherebbe appunto “signore delle mosche” – così tradotto nella versione greca dei Settanta, e ricorrente nella letteratura inglese Fine Secolo (per esempio in Chesterston, “Cosa c’è di sbagliato nel mondo”), nella Bibbia in realtà ricorre come trascrizione del dio fenicio Baal “il principe”.
Non il libro dunque, l’autore. Uno scrittore eversivo. Radicale malgrado le parentele socialiste: “Marx, Darwin e Freud, i tre più distruttivi scocciatori del mondo occidentale” dirà nel saggio “Belief and Creativity” del 1980, una conferenza tenuta in Amburgo (ripreso nella raccolta “The Moving Target”, un libro di riflessioni, non tradotto, del 1982), bestemmia allora più di ora: “La popolarizzazione semplicistica delle loro idee ha infilato il nostro mondo in una camicia di forza  mentale dalla quale possiamo sfuggire solo con la più anarchica violenza”. Ma questo viene dopo, qui il ritorno allo stato selvaggio nuoce molto agli avventurati lettori.
Fa parte del racconto sul racconto che Golding abbia riversato nel “Signore delle mosche” la sua esperienza di maestro. Di una classe, o di varie classi nel corso degli anni, divise in fazioni, che finiscono per dimenticare le ragioni originarie della divisione e si imbarcano nella violenza, mera violenza. Ma il racconto Golding svolge deliberatamente, prima che il racconto prendesse spessore “filosofico”, come una parodia di “L’isola di corallo”, 1858. Un libro famoso in Inghilterra: l’avventura di un gruppo di ragazzi in un’isola del Pacifico. Oera di Robert Michael Ballantyne, il predecessore di Verne e Salgari – nonché ispiratore del migliore Stevensono. Uno scrittore di avventure che però non si inventava le isole dei mari del Sud, le conosceva: si documentava, viaggiava, ha lasciato una vasta documentazione topografica.  L’ufficale di Marina che alla fine salverà i ragazzi superstiti lo dice, “proprio una bella storia, come “The coral island”. I tre personaggi principali sono caricature dei protagonisti di Ballantyne.
Di meraviglia in meraviglia, questo di Golding è ora classificato fra i cento migliori racconti dell’ultimo secolo nelle graduatorie angloamericane. Ma quanto più apprezzabili, anche filosoficamente, altrettanto interminabili ma godibili, i racconti fantastici coevi di Michael Ende, “Momo” e “La storia infinita”. Che però, è vero, non è inglese, e neanche americano.
William Golding, Il signore delle mosche, Oscar, pp. XIV + 263 € 13

giovedì 26 aprile 2018

Non più pazzi per Mourinho

Mourinho non è l’allenatore che ha vinto di più, o con giocate più entusiasmanti. Non è nemmeno simpatico, è sbruffone e litigioso. È quello che è pagato di più, perché si sa vendere.
È anche chiaramente fuori mercato, già da quasi dieci anni – vinceva con l’Inter quando non c’era la Juventus, poi non più. Eccetto che fra i giornalisti sportivi italiani.
La redazione di Sky Sport un anno fa si è divertita a fare una squadra di undici grandi calciatori, più una riserva, che Mourinho ha scartato, con danno delle squadre che allenava: Salah, Lukaku, quello buono, Romelu, De Bruyne, Bonucci (all’Inter, nel 2009, fu liquidato da Mourinho per 3,4 milioni), Ryan Bertrand, Juan Mata, David Luiz, Oriol Romeu, Ezequiel Garay, Felipe Luis, Iker Casillas. Una non notizia per i giornali italiani, sempreentusiasti di Mourinho - ce ne raccontano ogni parola o gesto. L’incapacità di Mourinho diventa una notizia ora che “As”, il giornale sportivo spagnolo, la riprende - senza dire l’origine. 
In “As” l’attività è fervida: deve far dimenticare la vittoria sulla Juventus. Scalza Mourinho mentre santifica l’arbitro inglese Campbell, quello del rigore controverso a tempo scaduto, facendone un angelo in fotografia. Mourinho bluff diventa una notizia perché i giornalisti italiani si informano su “As”, che è quotidiano sportivo madridista, cioè del Real Madrid. Che dunque comanda anche i giornalisti sportivi, quelli che danno il pallone d’oro, oltre che la Uefa.

Salah pallone d’oro se perde la finale Champions

Il Real Madrid non ha laudatori più entusiasti dei giornalisti sportivi italiani. Che però non hanno ville in Spagna. Ma, sì, amano chi vince, finché vince – la sindrome del Duce.
Oggi la parola d’ordine madridista, dopo la magra vittoria sul Bayern favorita ancora dall’arbitro, era portare sugli scudi Zidane. Sostituzione miracolose. Ali che fanno i terzini, terzini che fanno le ali, eccetera. Leggere la “Gazzetta dello Sport” e leggere “As”, il giornale sportivo madridista, fa impressione, sembrano copia e incolla.
Altre squadre hanno migliori atleti e migliori giocate del Madrid, ma non si dice. Ora i cronisti sportivi sono in attesa delle indicazioni del Madrid, se votare per il pallone doro il solito orrido Ronaldo, o non Salah, che ne ha tutti i diritti, per ogni aspetto del gioco, lealtà compresa.
Il Madrid scioglierà il voto dopo la finale: se batte il Liverpool, il Pallone d’oro può andare a Salah. Chi lo ha detto? Si sa.

Il mondo com'è (341)

astolfo

Coburgo – È la culla delle famiglie regnanti europee, a Londra e a Bruxelles. E indirettamente di tutte: si considera “casa madre di diverse monarchie europee”, dice wikipedia, tra esse “i discendenti di Leopoldo I del Belgio e in Gran Bretagna i discendenti del principe Alberto, marito della regina Vittoria”. È la principale vena ereditaria del casato sassone dei Wettin, che governò i Ducati ernestini, compreso il ducato di Sassonia-Coburgo-Gotha, di cui il principe Alberto era il discendente.
La prima guerra mondiale ha cambiato le discendenze. Nel 1917 re Giorgio V cambiò il nome del casato, da Sassonia.Coburgo-Gotha in Windsor. In Belgio fu cambiato in “van Belgie” o “de Belgique”.
Coburgo, nel nord della Baviera, fu la culla e poi roccaforte del nazismo. Hitler vi organizzò la prima “Giornata tedesca”, ottobre del 1922, nella quale fecero la prima apparizione pubblica le SA. Hitler stesso viaggiò da Monaco in treno speciale con la scorta. Le SA sfilarono  e manganellarono, riscuotendo grande successo. Dal giugno 1929 Coburgo elesse il primo consiglio comunale a maggioranza nazista.

Europa-Asia – L’approccio dell’Unione Euroepa all’Asia è molto diverso dal progetto Eurasia: va su più direttrici, non è unitario e nemmeno coordinabile, ed è difensivo invece che espansivo, una sorta di sbarramento contro il protezionismo (imperialismo) americano, più spesso di rimbalzo, l’iniziativa essendo asiatica.
Contro il protezionismo americano è Pechino che chiama l’Europa,prospettando un asse con la Germania: “Cina e Germania possono usare l’influenza globale per contrastare l’ondata protezionista Usa”. Ma nel mentre che Angela Merkel, varando il nuovo governo, lanciava una strategia concorrenziale, una “competizione aperta”, con la Cina.
Meno controverso, ma vago, l’asse India-Francia, che Macron avrebbe stabilito col presidente indiano Narendra Modì. Col quale avrebbe concordato operazioni militari – non definite. Forte della presenza nelle isole Mayotte e Réunion, e delle due basi militari che, a Gibuti e negli Emirati Arabi (ad Abu Dhabi, una base voluta da Sarkozy dieci anni fa). In chiave di contenimento della Cina, anche se non dichiarata. Ma nello stesso momento in cui Modì lanciava l’ipotesi di una “stabilizzazione  con la Cina”. Mentre si reca a incontrare il presidente cinese Xi, timoroso del rapporto privilegiato che la Cina potrebbe riprendere con gli Usa, e ha ripreso con la Russia che l’Europa tiene in punta di bastone. In questo caso le contraddizioni sono anche indiane.

La Cina continua invece la pressione sul’Europa, con investimenti diretti nel’ex Europa Occidentale, nel gruppo 16 + 1, che raggruppa tutti i paesi ex comunisti, undici dei quali membri dell’Unione Europea. E porta avanti con determinazione, con costanza, il progetto Via della Seta, del collegamento stretto della sua economia a quella europea. Novecento progetti già individuati per 900 miliardi di dollari, 50 dei quali già impegnati – il piano Mrashall “valeva” 100 miliardi di dollari, ai valori attuali. Il progetto complessivo di innovazioni e miglioramenti infrastrutturali (Bri il nome proprio, Belt and Road Initiative)), di porti, aeroporti, strade e ferrovie, dovrebbe assestarsi fra i 1.000 e i 1.400 miliardi di dollari.
In Italia si susseguono le “presentazioni” del progetto mentre si moltiplicano gli investimenti diretti. Molto interesse si è manifestato per i porti. Dopo aver preso il controllo del Pireo, il maggiore scalo greco, la Cina ha investito a Vado ligure, ed è interessata a Trieste, Venezia e Genova.
Complessivamente, tra Europa, Turchia compresa, e Israele, ha investito nei porti oltre 3 miliardi di euro: a Ashdod, Haifa, Ambarli, Anversa, Rotterdam, Zeebrugge, Bilbao e Valencia, oltre che a Vado e al Pireo.
Nel Mediterraneo, l’area “Mena”, Mediterraneo-Nord Africa, l’interascmbio è passato dai 20 miliardi di dollari del 2001 a 245 miliardi nel 2016.

Germania – Dai seicento milioni di tedeschi programmati da Hitler per il 2.400 torna ai 60 milioni della repubblica di Bonn? La Germania ha accusato un calo demografico di ben due milioni di unità in dieci anni, malgrado il raddoppio degli immigrati nazionalizzati.

Hindenburg – Il vecchio maresciallo, ultimo presidente della Repubblica di Weimar, passa per quello che ha portato Hitler al potere. Invece è quello che lo ha sempre osteggiato. Anche quando il furuo Führer era spalleggiato dallo Zentrum moderato, e indirettamente dai comunisti. Lo ha infine proposto vice-cancelliere in un governo di centristi per indebolirlo – Hitler non accettò. Nel successivo governo fece tentare una scissione del partito nazista, offrendo il vice-cancellierato a Gregor Strasser. Incaricò Hiter quando questi infine vinse le elezioni, dopo avere ampiamente fluttuato nelle elezioni precedenti. E sempre nell’ottica di asservirlo ai centristi. Che però non vedevano l’ora di asservirsi a Hitler - il Centro è un’illusione?.

Lutero - Era, è stata a lungo, un fato locale. Si è celebrato il quinto centenario della sua sfida a Roma come di una rivoluzione. Ma due anni dopo si analizza per quello che fu: un ripetitore semmai dei vizi che denunciava, amplificati. Dell’uso strumentale della religione.
Molti media americani si sono interrogati, e continuano a farlo, sull’appoggio degli evangelici Usa a Trump. “The Nation giunge a fare di Lutero il padrino di Trump: “Come gli evangelici hanno aperto la strada a Trump”. Spiegando: “Lo hanno votato in massa e continuano ad appoggiarlo”. Una militanza che il settimanale riporta a Lutero: “Nelle sue feroci idee, nel linguaggio veemente, e lo stile intellettuale combattivo, Lutero ha prefigurato l’odierno evangelicalismo”.
I suoi meriti resteranno altrove, e più come uomo di lettere. Quale quello che ha assestato la lingua tedesca, con la traduzione della Bibbia e con gli inni. Polemista anche leggibile, benché aggressivo, negli scritti sul libro arbitro e contro Erasmo, in quelli contro gli ebrei, o contro la tolleranza.

Stalingrado – Fu una battaglia difensiva, gli assediati erano i tedeschi e non i  russi: le truppe tedesche si difendevano dall’assedio dell’Armata Rossa. La VI Armata tedesca era stata indirizzata nel’estaet del 1942, subito dopo il lancio dell’operazione Barbarossa, alla conquista di Stalingrado, per aprire la conquista del Caucaso e dei giacimenti di petrolio del mar Nero. Ma era presto diventata a sua volta preda. A ottobre la conquista di Stalingrado era cosa fatta. Ma si rivelò una trappola: un mese dopo la VI Armata in città era circondata dall’Armata Rossa.
Il 22 novembre il cerchio si chiuse. Stalingrado era lontana dalla linea del fronte. I rifornimenti furono comunque tagliati, e la VI Armata fu ridotta a dipendere dai lanci aerei, per l’approvvigionamento e le munizioni. Hitler ordinò al comandante dell’Armata, von Paulus, di resistere fino alla fine, bloccando subito ogni strategia di sottrarsi all’accerchiamento, tentando l’uscita dalla sacca. Circa 250 mila soldati restarono accerchiati per mesi. Il 18 gennaio ogni apprestazione difensiva era abbandonata, e la VI Arnata si ridusse al solo ambito urbano.
Hitler ordinò di combattere fino alla “morte eroica”. Ma il 31 gennaio Paulus si arrese con la curva sud  dell’accerchiamento. La curva nord seguì il 2 febbraio. Novantamila tedeschi furono fatti prigionieri – pochi sopraviveranno. Oltre 150 mila erano morti di fame, di freddo e sotto l’assedio.
Due settimane dopo la resa di Stalingrado, Goebbels lanciò la “guerra totale”: tutti i cittadini maschi fra i 16 e i 65 anni, e tutte le donne fra i 17 e i 45 erano mobilitati per al difesa del Reich. La penuria di manodopera che si fosse eventualmente cerata per questa coscrizione allargata si sarebbe risolta col reclutamento forzato di lavoratori nei paesi occupati.  

Tirolo – Si vuole quintessenza e baluardo del germanesimo. Ma Hitler ne aveva programmato l’emigrazione in Crimea. Non di tutti, dei “tirolesi di Bolzano”, i Sud Tirolesi, che avevano optato per la Germania nel ’39 - “i goti sopravvissuti alle glaciazioni”. Nel quadro di un ripopolamento della penisola, ripulita dagli ebrei, con “ariani”. Era un progetto della coppia Altheim-Trautmann, una fotografa che amava il letto e un archeologo, che si fecero molte vacanze spesate da Himmler, nel quadro del suo progetto Ahnenerbe, la ricerca degli avi. Viaggiarono in Tibet, Siria, Iraq e Romania, dappertutto trovando tracce germaniche. Dalla Romania, affacciandosi sul mar Nero, proposero di ripopolare di “ariani” la Crimea, molto più fascinosa della costa rumena.

astolfo@antiit.eu

Quando il mercato dell'arte era di vedute

La mostra più esauriente del figlio dello scenografo veneziano Canal, con un cinquantina di quadri conferiti da gallerie pubbliche e private di tutto il mondo, anche da Cuba – una delle due tele in cui Canaletto a Londra aveva diviso la veduta di Chelsea dal Tamigi all’altezza del parco di Battersea, non riuscendo a vendere il quadro originariamente unito.
L’effetto, vedendo tutte insieme le sue vedute, è che Canaletto abbia dipinto un unico quadro. Benché di pregiati effetti di luce – si è appena conclusa l’epoca di Newton, dei primi studi innovativi sulla luce. Con una distinta caratterizzazione dell’Artista nel Settecento: non più maledetto o enigmatico ma comune artigiano con un mercato. Che lavora cioè secondo gli umori del mercato: dapprima le rovine romane, poi le vedute d’acqua. E si occupa di una clientela oggi si direbbe borghese, con studio a tutti gli effetti bottega, compreso l’artista all’opera, negli orari affissi.
Canaletto 1687-1768, Museo di Roma a palazzo Braschi

mercoledì 25 aprile 2018

Problemi di base esistenziali - 415

spock

Credo juventutis decus non aberrare (Petrarca): lo spirito della giovinezza non può sbagliare?
E per questo che abbiamo eletto Di Maio?
Perché c’è bisogno di nemici?
Perché c’è bisogno d’essere folli?
E di crearsi reali immaginari?
Perché la gioia di vivere è per alcuni un’ombra, una minaccia intollerabile, un’aggressione?
Perché non morire di felicità invece che di odio?
Niente per me vale la vita (Achille)?
spock@antiit.eu

I Promessi sposi del Male

“I promessi sposi” come il romanzo del Male. Dal sopruso iniziale inflitto tramite don Abbondio a Renzo e Lucia, alle folle in tumulto a Milano, ai bravi, alla peste, e alle due digressioni, brevi romanzi per conto loro, sulla Monaca di Monza e sulla Colonna Infame, di cui si spiega così l’interpolazione.
Natoli parte dal commento di Manzoni all’ira di Renzo dopo che ha saputo che “il matrimonio non s’ha da fare” – lo stesso che Primo Levi ha ripreso ne “I sommersi e i salvati” - al secondo capitolo del romanzo: “I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi”. Il male è una catena, a cui i buoni e le buone volontà sono intrecciati e incatenati.
È una “lettura” che favorisce la lettura del romanzo. Anche se gli esempi attualizzati che Natoli porta soono diversivi. Gli scafisti non sono i monatti, non svolgono attività igienica e quindi morale, benché abietta, sono profittatori. I migranti non sono “un volgo disperso che nome non ha”: hanno nomi e cognomi e fanno capo a organizzazioni – malefiche, ma ben organizzate, e non segrete. Né la lettura che il saggio sottintende regge: non si può dire la Provvidenza del romanzo un invito alla ribellione, una chiamata all’azione. “I promessi sposi” non sono una tragedia, neppure un dramma. Sono un romanzo storico, e borghese:  il male è punito, il bene trionfa - c’è pure il perdono di Renzo al letto di don Rodrigo morente: il perdono cancella il Male?
È la lezione, riveduta e ampliata, tenuta da Natoli nell’ottobre 2015 all’universita milanese della Bicocca, nel quadro del progetto “Accidenti, Manzoni!” curato da Mario Barenghi. Il progetto impegna di anno in anno studiosi di varie discipline al commento di una citazione tratta casualmente dai “Promessi sposi”.
Salvatore Natoli, L’animo degli offesi e il contagio del male, Il Saggiatore, pp. 96 € 11

martedì 24 aprile 2018

Secondi pensieri - 343

zeulig

Amore - È sacrificale - il sacrificio è proprio dell’amore. È tragico: se divide annienta, se unisce crea disamore. È romantico. È barocco: barocco è il romanticismo eterno, del marchese von O. che convince l’amata a farsi uccidere da lui, che vuole morire - ed è l’autore, lo stesso Kleist del “Catechismo dei Tedeschi”, manifesto dell’odio.
Meschino, direbbe un siciliano, è troppo amato.

Goethe fa dire a Werther il caso della giovinetta bella e pura che s’innamora, e più non vede che l’amore e l’innamorato: “Dimentica il mondo intero, non ode, non vede, non sente che lui, non aspira che a lui, l’Unico”, e “va dritta allo scopo”. Grazie a “ripetute promesse, che coronano tutte le sue speranze, e ardite carezze che accendono il suo desiderio”, si dona. Per finire in “una morte annientatrice”: “Stende le braccia per cingere l’oggetto dei suoi desideri... e il suo amato l’abbandona”. Ma glielo fa dire un 12 di agosto, forse distratto dalla calura, il rifiuto rigenera.
Il problema non è l’altro, è l’idea dell’amore, che non può asservire.  

Anima - “Se l’anima è dotata”, dice Aristotele, “del genus del movimento, allora dev’esserle propria una determinata specie di movimento, volare, camminare, crescere, diminuire”. Altrimenti, senza la specie, “l’anima non è dotata di movimento”, o il movimento non ha anima. Questo è più probabile. Ma non c’è anima senza gli attributi – di conoscenza, di volizione?

Dio –Sarà in ogni luogo ma non all’inferno. E dunque?

Dormitio – Si dice della Vergine, dei santi. È la morte dei santi, dopo che hanno fatto i miracoli: il riposo è attitudine mentale, una piega intima della personalità. Si direbbe un’arte.
Ma c’è chi si affatica dormendo. E ci sono eroi e santi muti.

Guerra - Alla partenza per la guerra il cuore degli eroi è leggero. Dentro si portano se stessi, di fronte hanno il vuoto. Poi la violenza scaccia la leggerezza e riempie il vuoto, la consapevolezza di sé. Si diventa ciò che si fa, si uccide dopo essere morti.

Deserta è la natura, l’unico luogo dove la violenza si esercita con superbia, impunita. E la voluttà di distruggere: detta diabolicamente suprema capacità creativa, genera da millenni insoddisfazioni prima che sconfitte.
Di Sade, Hitler e Stalin non ce n’è mai abbastanza per riempire il vuoto, che la violenza stessa in realtà scava.

Linguaggio – La rete lo riduce e non espande, e lo devitalizza. In tre modi. Con l’innovazione costante, non di processo, ma di pura denominazione, presto soppiantata da una nuova, per ragioni di commercio più che di significanza: il linguaggio proprio della rete, sigle e gerghi compresi, è di obsolescenza rapidissima, anche annuale, anche meno che annuale. Ripetitività, e lo si vede nei commenti odiosi (hater) soprattutto, ma anche nei buoni-e-belli: non è un linguaggio ma un formulario. L’immagine: ormai la comunicazione nei social è orale e fotografica, non più scritta, articolata cioè – e quella orale va per formule, quella per immagini è puramente occasionale, non curata e spesso non significativa, o allora mimando gli emoji.

Libertà - “Meglio liberi che ricchi”, dice von Hayek, liberale Nobel tardivo - ipocrita forse precoce? O non direbbe, il liberale, che la libertà produce più ricchezza – e l’ingiustizia è più o meno uguale? Viene il sospetto che si è ricchi perché si è liberi. E vale perfino il contrario: più si produce ricchezza e più si è liberi, che si è liberi in quanto si è ricchi. La ricchezza certo non è tutto. Ma è niente?
Il liberismo si è imposto introducendo il sospetto che al mercato si trovino più grano, più viaggi, più atomiche, più medicine, più hot pants, e più cura.

Morte – La morte è giovane, per chi ha vissuto e vive. Si muore sempre troppo presto, anche nell’insignificanza, il rimpianto è talvolta giusto.

Nomi - Ogni cosa certo ha un segreto. I nomi stessi, le parole dette sono segreti che ognuno dà all’altro. A volte non nascondono nulla.

Tempo – È accelerato e approfondito (ristretto) da non molto – il tempo freccia. Con la possibilità di datare i reperti, anche preistorici. Con la scienza dell’universo. Con la perdita del senso religioso. Prima si viveva nel presente, passato e futuro si sollevavano in funzione di un pacifico presente.

Traduzione – Molta filosofia è equivocata in traduzione. Discussa, discutibile, ma irrelata con l’opera originaria. Dal greco, per esempio, di Platone molte lezioni è possibile trarre, non convergenti, dipende dalle traduzioni. Peggio ancora dal tedesco, che pure spesso è semplice - le vecchie traduzioni Laterza, di Kant, di Hegel, di lettura perfino incomprensibile o insignificante, oltre che traditrice.  Da Heidegger anche per difficoltà intrinseche (ma si sono fatte in pochi giorni le traduzioni dei voluminosi “Quaderni neri”). Molti sono gli equivoci a causa delle prime traduzioni, dal francese. “Sei zum Tode” per esempio diventato “Essere-per-la-morte”, mentre invece è “Essere verso la morte”.
Ma su questo aspetto Heidegger è il primo traduttore-traditore, in quanto appropriatore della terminologia greca. Nonché la metafisica, si preclude così pure la dialettica: dýnamis, enèrgheia, termini basici della dialettica, essendo stati ridotti nella tradizione latino-scolastica a potentia e actus, argomenta, ogni dialettica è resa impraticabile e inutile. Mentre non lo è.

zeulig@antiit.eu

L'ultima serenità fuori del cristianesimo

Il primo (1984) capriccio del musicista (festival barocco a Versailles), editore (Gallimard), cultore della tradizione giapponese e della classicità greca e romana, anche italianista, Guignard. Sorprendente e duraturo, si legge, infine tradotto, come se fosse nuovissimo. In forma di pastiche delle nipponiche “Note del guanciale”, o meglio di remake, senza cioè una intenzione ironica o scherzosa. Di un autore che sfida il “mito dell’originalità” – lo costeggia, ci vive dentro. Un diario tenuto su tavolette di legno da una dama romana cinquantenne, attorno all’anno 400.
Un personaggio e un diario fittizio – un mimotesto – sono pretesto a una storia vera benché inventata – un falso ipotesto. Nella quale i vagheggiamenti dell‘ultima patrizia in un mondo in decomposizione emergono da una affascinante “Vita di A.A.” che funge da introduzione. Un’operazione macchinosa a dscrivere, ma di rara felicità espressiva.
L’ipotesto è singolare, nuovissimo perché non frequentato, e verissimo. In cui il mimotesto viene immerso convincentemente tra san Girolamo e sant’Agostino, Galla Placidia e Ataulfo, Simmaco e Ambrogio, le invasioni e gli imperi, e la durezza cristiana. Un mondo caleidoscopico in poche pagine.
Del cristianesimo castrante Apronenia non si cura. Benché vissuta in “epoca pertanto prodigiosa in cui solo la risonanza dei nomi proprio a poco a poco trascritti nelle legende canoniche sembra gà terribile, spessa, coagulata, sorda, medievale, e come indistricabile dal tessuto stesso di una lingua che non è ancora, Didimo, Damaso, Ilario, e “perfino un Ambrosiaster” – lo pseudo-Ambrogio del commento a san Paolo. Ma non è una snobberia, le riesce naturale. È una sopravvissuta ma non lo sa.
I buxi di Apronenia, le tavolette di legno in cui si annotavano le occorrenze quotidiane, spese, crediti, debiti, nascite, morti, vagano nella migliore poesia latina, di Ovidio, Lucrezio, Marziale, anche Petronio. In salsa giapponese: si articolano come i primi componimenti poetici giapponesi, della compilazione Sōshi - con richiami scoperti alle “Note del guanciale” della scrittrice e dama di corte Sei Shōnagon, che ha vissuto a cavallo dell’anno Mille. Le note si richiamano come “Cose da fare”, “Cose di cui bisogna ricordarsi”, “Cose da non dimenticare”, “Cose che danno un sentimento di pace”, e, odori, detti, auspici, presagi, intervallate da haiku e kōan.

L’esito è un inno silenzioso pagano, non polemico, come modo d’essere, della serenità, dell’uomo – la gentildonna in questo caso – in pace con se stesso. Una narrazione tonificante in epoca di selfie, di dita nel naso. Immaginativa. E storica. 

Nell’ottica dell’autore anche un’opera di contestazione – Guignard viene dal 68, compagno di scuola di Conh-Bendit: del linguaggio. In un’intervista distesa con “Lire”, l’1 febbraio 1998, spiegava: “Se mi sono messo a lavorare sul mondo romano, è a causa del nazismo e dei suoi effetti di lunga durata…. È un po’ folle credere che ho il culto dell’antichità. Perché per esempio ho scritto «Le tavolette di bosso di Apronenia Avitia»? Perché l’indecenza e la crudezza d’espressione dei romani m’incantano molto più che il romanzo psicologico dell’Ottocento. Asservire intere masse è un potere che è nato nei mondi romani, che si è prolungati con la Chiesa cattolica, poi col rinnovo degli imperi, fino al secondo (terzo? - n.d.r.) Reich”..
Pascal Guignard, Le tavolette di bosso di Apronenia Avitia, Analogon, pp. 160 € 16

lunedì 23 aprile 2018

La scuola di scarico

Il bullo a scuola non è una novità, il professore remissivo sì. E questo quando impera il “tutto scuola”, dei figli che devono passare a scuola otto-dieci ore, più una o due ore di andate e ritorno, a cominciare dai primi mesi di vita. Figli, generazioni, senza infanzia, se non scolastica. Ma di che scuola, se non di scarico?
Il “tutti a scuola” si intende come a una guardiania: stiano lì invece che soli in casa, che non si può, o come si diceva una volta per la strada. Ridotta, svanita, la funzione formativa – disciplinare e pedagogica. È questa la novità.
Il bullismo c’è sempre stato tra i ragazzi. Caserme e università lo avevano anche istituzionalizzato – si sono dovute fare leggi contro il “nonnismo”. Ci sono sempre stati atti violenti anche a scuola, contro i più deboli – più piccoli, remissivi, handicappati. Nel libro “Cuore” e nella memoria di ognuno. Specie nell’adolescenza, ma anche prima, a partire dall’asilo, per problemi caratteriali, familiari, di formazione sociale. Ora c’è anche tra le ragazze – normale, è uno degli esiti del femminismo.
Puericultrici e insegnanti hanno sempre avuto come compito, oltre l’insegnamento, la vigilanza: contro liti e prevaricazioni – la vecchia disciplina. E dove il singolo educatore non ci riusciva, per inesperienza o debolezza di carattere, supplivano gli altri insegnanti e la scuola.
C’era anche un altro rapporto scuola-famiglia. Nel senso che la famiglia delegava la scuola con fiducia – salvo riprendersi il figlio e cambiare scuola se insoddisfatti. E non la contestava come è oggi l’uso. Nelle tante assemblee e nei social, di classe, d’istituto, di amicizie. Quando è chiaro, scontato, che la violenza del bambino-ragazzo riflette situazioni “difficili” all’interno della famiglia, nei rapporti tra i genitori e dei genitori con i figli, o tra i figli.
La scuola oggi è invece avulsa dalla sua funzione, da ogni funzione. Remota, burocratica, “collegiale”, indifferente, oggettivata in questionari assurdi – per evitare il Tar. Un mero soggetto burocratico che si amministra formalisticamente, in un’ottica di penuria: insegnanti vincolati a orari sovrumani, pon astrusi, invalsi altrettanto astrusi, carte e carte da riempire di nessun uso. Perfino le ore d’insegnamento sono ridotte, di insegnamento effettivo. Il preside è remotissimo, figura peraltro svanita, mero responsabile contabile. La pedagogia ridotta a interminabili consigli a catena, di classe, di disciplina, contabili, d’istituto, di distretto, di distaccamento, genitori, genitori-insegnanti.
Questo è l’effetto di una insorgenza democratica confusa. E di leggi che mirano a indebolire la scuola pubblica - è di questa che si parla. Anche da parte di governi che si dicono suoi protettori, per una cattiva digestione del verbo liberistico.
Questa presunta democrazia ha annullato il ruolo e la competenza magisteriali. Che forse però, almeno in parte, si sono autoeliminati, e questo spiega la sfida agli insegnanti. In una con lo scadimento di tutte le funzioni dell’Auctoritas nelle società amorfe (“liquide”), nell’inconsistenza-inesistenza.

Appalti, fisco, abusi (118)

Le banche continuano a vendere fondi che da tre anni hanno un andamento negativo – i più pregiati di essi: Arca, Anima, eccetera. Senza che nessuno lo dica,  lo segnali. Senza che la banca smetta di promuoverli.

Si abbia un’assicurazione sanitaria privata. Lo Stato consente che si portino in detrazione tutte le spese mediche incorse, anche quelle più onerose per le quali l’assicurazione si stipula, interventi chirurgici e ricoveri. Pur di non consentire di portare in detrazione l’assicurazione stessa.

Per un esame clinico gli ospedali laziali offrono una lista d’attesa di sei mesi col ticket. Il giorno dopo se a pagamento. La riforma Bindi del 1999 ha liquidato il Sistema Sanitario Nazionale, ma non si dice – non si può dire? Si deprecano le liste d’attesa, come se fossero calate dall’alto, mentre sono inerenti la “riforma”: la fine del SSN.

La riforma Bindi ha fatto anzi di peggio che liquidare l’assistenza sanitaria per tutti: ha liquidato l’ospedale pubblico. Tutti i primari ospedalieri operano ora privatamente. Mettono a frutto privatamente l’esperienza e i titoli maturati col (a spese del) servizio pubblico. Anche le energie e l’impegno centellinano nel servizio pubblico per una migliore performance privata. 

Il maestro dell'angoscia

Senza respiro, ogni pagina un nuovo allarme: Fatto di niente, spesso solo il tempo atmosferico, ma angoscioso. Sarà per questo che Savinio voleva Simenon “un Dostoevskij”, seppure “mancato”.
Lui di suo si voleva Gogol. In un’intervista con André Parinaud, che gli proponeva come modelli Balzac, Gogol e Dostoevskij, decideva rapido: “Certamente Gogol”. E di Gogol “le «Anime morte», senza dubbio, e soprattutto lo spirito creativo di Gogol, il suo modo di ricreare il mondo”. Lui stesso a seguire proponendo: “Come secondo padrino prenderei Cechov”.
Dunque, un po’ ci prende in giro, non è l’Autore che ci tormenta perché tormentato – a parte il fatto,  vero o inventato che sia, che non lasciava passare giorno senza una donna, meglio prostituta.
La storia è del plat pays di Jacques Brel, in tutte le stagioni un pantano. Di abiezione ordinaria. Per di più svolta in fiammingo, per dire una lingua incomprensibile – uno degli exploit della narrazione è di “tradurre” l’incomprensibile: tutto è torbido, ma non sappiamo cosa.
Georges Simenon, La casa sul canale, Adelphi, pp. 161 € 10

domenica 22 aprile 2018

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (360)

Giuseppe Leuzzi

La donna del Sud: è calabrese la settantunenne Rosetta che a Roma controlla il “mercato” dei posteggiatori abusivi. I Carabinieri ci hanno messo qualche decennio a stanarla.


Franco Cordelli dichiara il teatro napoletano l’unico teatro italiano del Novecento - “La storia del teatro napoletano, ossia del teatro italiano del Novecento” (La Lettura). E cita nel’ordine: Viviani, Eduardo De Filippo, Peppino, Patroni Griffi, De Simone, Enzo Moscato e Mimmo Borrelli. Dimentica qualcuno, anche tra i napoletani, ma  non importa: è vero che a Napoli tutto è teatro. Anche la violenza.

Grande finezza di Salvini, il ragazzone sporchetto alla moda, che relega a spalla al Quirinale Berlusconi ottantenne. E uno che gli ha fatto da chaperon fino alla vittoria, ha salvato la sua Lega dal ridicolo nel 1994 – la Padania, l’ampolla del Po, i Serenissimi – e dalla scomparsa nel 2001, e gli ha insegnato come stare a tavola, se non a maneggiare la forchetta, al governo. Senza scandalo per nessuno. Molto milanese. 

Un processo per mafia fa sempre piacere, e una condanna ancora di più. Ma a Palermo si è processato per mafia negli ultimi cinque o sei anni solo lo Stato: alcuni ufficiali dei Carabinieri e alcuni ministri – oltre al solito Dell’Utri, non potendo incastrare Berlusconi. Non si sono state tangenti, estorsioni, minacce, attentati, assassinii a Palermo e provincia negli anni del processo, e questo dovrebbe dire la giustezza del processo stesso. O la stoltezza?

Il Sud è un’infezione
Due terzi dei deputati di Grillo vengono dal Sud. Il Sud estende all’Italia il suo rifiuto della politica, la trascuratezza, l’abbandono. A una banda di vaffanculisti cazzeggiatori, di nulla esperti – senza mestiere, senza studi, senza capacità di fare. L’Italia l’aveva estesa ai media, specie ai grandi giornali, all’insegna del “novismo”, quanta stupidità. Il Sud la estende agli elettori, ai compagni di merende del Centro, ai furbi padani. Che sapranno cavalcare la tigre, almeno loro, almeno si spera,  a questo siamo giunti.
Il Sud non solo è malato, è infettivo: quello che non ha dato ai 5 Stelle lo ha dato a Salvini. Ai padani.

 La storia si fa a Milano

Ferramonti in musica. È una foto ricordo di una cinquantina di personaggi europei della musica, in posa. Ben vestiti e curati. Gai, perfino sorridenti. Insieme risuscitati per uno spettacolo che si terrà il 26 a Lugano, in Svizzera. Ideato da Viviana Kasam, giornalista del “Corriere della sera”, sulla base delle ricerche di Raffaele Deluca, musicologo milanese.
Ferramonti è una località del comune di Tarsia, nella pianura cosentina verso Sibari, nota come denominazione di uno dei campi di internamento creati da Mussolini nel 1940 per gli ebrei e gli oppositori, cattolici, ortodossi, espulsi da tutta Europa dai tedeschi. Di Ferramonti la storia è più o meno nota – ricostruita da non calabresi. Molti aspetti, compresa la qualità dei confinati, il trattamento, la durezza del confino, forse relativo forse no, restano ancora da analizzare. Ma la Calabria non lo sa, lo sa la Svizzera, con Milano.
Lo spettacolo ticinese si intitola “Serata colorata”. Traduzione di “Bunter Abend”, come gli internati, di origine tedesca prevalentemente, o di cultura mitteleuropea, chiamavano i loro spettacoli musicali serali. Si articolerà sulle musiche nelle quali il coro e l’orchestra degli internati si erano un po’ specializzati, racconta Deluca a Enrico Parola su “La Lettura”: :Mozart, Brahms, Chopin, Schubert, il coro dei Pellegrino dal «Tannhäuser» di Wagner, e arie verdiane”. Anche composizioni originali, racconta sempre Deluca: “Cinque anni fa un’erede di Kurt Sommenfeld venne in Conservatorio a Milano  per regalare le oltre 300 partiture autografe del nonno, su alcune era riportato Ferramonti come luogo di composizione”. Altri musicisti di fama a Ferramonti: il baritono Paul Gorin, di Lipsia, figlio di ebrei russi, internato poco prima di due spettacoli nella stagione della Scala; il violinista viennese Isaac Thaler, “sodale di Berg e Schönberg”; il maestro Lav Mirski; il coro della sinagoga di Belgrado.
Gli internati della foto, vestiti impeccabilmente di grigio, in giacca e cravatta, esibiscono come strumento solo una fisarmonica. Ma il Vaticano, su richiesta di un frate mandato visitatore al campo, il cappuccino alsaziano Callisto Lopinot, mandò un armonium e un pianoforte a coda. “I violini”, ha ricostruito Deluca”, “furono fabbricati per riconoscenza da Nicola De Bonis, un liutaio di Bisignano”, altro centro cittadino, prossimo di Tarsia, “che soffriva di problemi gastrici e venne curato da un medico internato”.


I promessi sposi sono del Sud
Si fatica a leggere “I promessi sposi” perché ambientati in Lombardia, seppure del Seicento. Inevitabile Manzoni si sovrappone, l’ombra dell’artefice, cosmopolita, romantico, figlio e nipote d’illuministi, integri e intelligenti, celebri in tutta Europa, nobile, devoto, alla fede e alle buone cause, nella Milano repubblicana e libertaria del primo Ottocento, su una storia di soprusi, servitù e beghinaggio. Il romanzo sembra solo ovvio trasponendo, se si potesse, la vicenda nel Golfo di Napoli, invece che su quel ramo del lago di Como, o tra San Vito Lo Capo e lo Zingaro: è una storia di mafia. Renzo è la vittima, di cui non si tiene nemmeno conto. Senza altra difesa che fare a sua volta il male, che non sa fare. Tra buoni spiriti, anche pentiti, ma inefficaci. Un ordine pubblico inesistente - la Legge. E un destino comunque di sopraffazioni, fin nella stessa finale piccola concessione. 
Il male, si sa, è diabolico, a doppia faccia : intimorisce, ma affascina e contagia. È per questo più forte del bene, anche se non alla sommatoria finale – il mondo è un percorso di cicatrici, un Candido di qualsiasi epoca, e non solo al Sud, avrebbe problemi a passarci sopra. È per questo anche sotterraneo. Ma assume forme a volte spregiudicate e anzi esibite, spudorate: è allora che si fatica a sopportarlo. È il caso del Sud, e dei “Promessi Sposi”. Di cui Salvatore Natoli oggi, “L’animo degli offesi e il contagio del male”, mette in rilievo non l’aspetto consolatorio, che si insegna a scuola, ma la rappresentazione dell’arbitrio. Un romanzo del male, appunto, di mafie. Nell’assenza-insolvenza - è la stessa cosa - della Legge, la polizia, la politica, lo Stato, la Giustizia, si chiami come si vuole. È una vicenda di arbitrio, impunito, impunibile, a cui si accompagnano come sempre indigenza, malattia (peste), morte.
La cosa non è dirimente: Manzoni si celebra per altri versi, la storia è storia, il Seicento era il Seicento, e semmai il cronista, o lettore veloce, ne può inferire che il male non dura, neanche il male, come tutto che finisce. Ma serve a mettere in quadro il male oggi nel Sud.

Se la mafia sono i Carabinieri
Non si analizza la portata della condanna al processo Stato-mafia a Palermo, Come se fosse un’ubbia di un giudice inadeguato o prevenuto. Mentre è la sanzione per una parte dello Stato “sporca del sangue delle vittime delle stragi” di mafia: è questa la motivazione della condanna chiesta dal pm Vittorio Teresi.
Teresi giovane si ricorda per sfide pubbliche epiche con Agostino Cordova a Palmi, quando tutt’è due erano alla Procura di Palmi (Cordova ne era il capo), su chi dei due era stato favorito dalla ‘ndrangheta alla Tonnara, la spiaggia di Palmi. Per l’uso della barca o per la ristrutturazione di casa. Sfide aperte, sulla posta di “la Repubblica”.
Si tace anche sul capo di accusa. Leggermente variato nell’ultima redazione, ma sostanzialmente quello già giudicato con Calogero Mannino, che si sganciò dal baraccone del processo quinquennale  col rito abbreviato. Da leggere per credere.
La “trattativa” – la trattativa con la mafia, allora di Riina – è partita dopo l’assassinio di Salvo Lima. Mannino, ritenendosi secondo nella lista di Riina,  aprì una trattativa con Riina e Provenzano per rifondare il patto politico. Usando come mediatore Vito Ciancimino, l’ex Dc allora in libertà vigilata a Roma, a piazza di Spagna. Col patrocinio dei Carabinieri, grazie alla “risalente conoscenza” di Mannino col comandante del Ros dei Carabinieri, generale Subranni. Che ne incaricò il capo dei Ros a Palermo, colonnello Mori. Che si fece aiutare dal capitano De Donno. Un appeasement che convinse Riina, dice il capo d’accusa, della bontà delle stragi, e lo portò a quelle terribili del 1992, contro Falcone e poi contro Borsellino. Ma, contemporaneamente, ad abbandonare gli attentati contro Mannino e gli altri politici amici.
Poi successe che i Carabinieri riarrestarono Ciancimino, a fine 1992, e poco dopo anche Riina. E allora, dice il capo d’accusa, la trattativa ripartì con Provenzano da una parte e Dell’Utri dall’altra. Ma sempre nell’ottica di Riina, di trattare e insieme di fare stragi. Da qui quelle del 1993 ai Georgofili di Firenze e a Milano. Dell’Utri fu agganciato nell’ottica di asservirsi il futuro governo di Berlusconi. Che ancora non aveva fondato il suo partito e non ci pensava.
Questa la trama dello Stato-mafia. Il processo ha aggiunto altre ghirlande alla corona. La trasferta della corte d’assise in mondovisione, nella trepida attesa che Spatuzza, il killer teologo, snidasse Berlusconi in persona. O il “papello” di Ciancimino figlio, una storia alla Münchhausen – ma che pena i principi dei cronisti giudiziari al carro del giovanotto, avendolo conosciuto quando faceva passerella col padre, ex carcerato, da piazza di Spagna a San Lorenzo in Lucina per firmare dai Carabinieri.  

Tutto si può dire. Per esempio che Berlusconi fondò il suo partito nell’ottica della trattativa. Quando Provenzano agganciò Dell’Utri ancora non ci aveva pensato. Né sapeva che avrebbe sconfitto la “gloriosa macchina da guerra” dell’ex Pci di Occhetto. Ma, per esempio, non fu Provenzano a fargli vincere le elezioni? Perché no. Anzi, è storia più persuasiva dei settanta giorni frenetici di Mannino. 
Anzi anzi, questo potrebbe essere un terzo processo Stato-mafia, dopo Contrada e Mori. O l’ennesimo: non è infatti il primo processo della Procura di Palermo contro i Carabinieri. Dopo quello contro la Polizia, con l’arresto di Bruno Contrada, ora riabilitato, dopo venticinque anni di condanne palermitane.
Mori e De Donno non sono stati carcerati, e questo non si sa perché. Inoltre, sono stati assolti in almeno un altro paio di processi analoghi a Palermo, dopo molte traversie. Ma ora, col lodo Montalto, dopo cinque anni o sei di dibattimento, sono probabilmente a un quarto del loro venticinquennio di processi alla Contrada. Non è il solo esito dello Stato-mafia.
Un po’ come si vede sullo schermo “Il giovane Karl Marx”, che col “Manifesto dei comunisti” fece anche un monumento alla borghesia, l’atto d’accusa che il giudice Montalto ha recepito, aggravandolo, è anche un omaggio alla mafia. Lima fu assassinato il 12 marzo 1992. La strage di Capaci è del 25 maggio. In meno di due mesi e mezzo Mannino avvia una trattativa, suborna i Carabinieri, assolda Ciancimino (che, sia detto en passant, era un calibro molto più grosso di Mannino), si fa dire si o forse no da Riina, che però organizza e porta a effetto in poche ore attentati logisticamente e strumentalmente complicatissimi, anche per i peggiori servizi segreti: questo non succede nemmeno nei film d’azione. Le stragi di Capaci e via D’Amelio non si organizzano e si effettuano come pensano i giudici di Palermo.
Ma, poi, è possibile che non ci sia mafia a Palermo e dintorni, dopo Riina e Provenzano? Se i processi per mafia si fanno a polizia, Carabinieri, ministri, e Dell’Utri, in attesa di Berlusconi. È una commedia dei furbi? Si spera senza mazzette.

leuzzi@antiit.eu