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sabato 5 giugno 2021

Padri e figli 2

I genitori sono ingombranti, i figli no.

Problemi di base giornalistici - 643

spock

Tutti hanno oggi un’idea, tutti giornalisti?

Cioè, nessuno giornalista?

“Il giornalismo, grande surrogato dell’impegno”, Elsa de’ Giorgi?

O dell’ingegno?

“Meno si legge il giornale più cose si sanno”, O. Wilde?

Meglio i fatti o meglio le opinioni?

Quali fatti, e fatti da chi, e come?

spock@antiit.eu

La catastrofe non turba il filosofo

Il terremoto in Calabria nel 1783 come quello di Lisbona del 1755: una catastrofe da fine del mondo, che interroga la filosofia. Un colpo, l’ennesimo, alla Ragione nel secolo del suo massimo fulgore. Che Placanica ripercorre sulle fonti d’obbligo, che hanno fatto il secolo, ma anche su quelle locali. Attonite, preoccupate, ragionate.
A conti fatti, si direbbe un’accettazione alla fine piatta, senza nessun rivoluzionamento. Né nel pensiero, nella fiducia nell’opera dell’uomo. E neppure, tutto sommato, nelle opere d’ingegneria. Si impara poco dalle catastrofi – il Millennio accumula virus pandemici, e il risultato è più o meno uguale, l’indifferenza.
Ragione fa rima con rassegnazione, oltre che – più che? - con rivoluzione.
Augusto Placanica, Il filosofo e la catastrofe, Einaudi, pp. 259, ill., ril, € 20

venerdì 4 giugno 2021

C’era una volta la Fortezza Europa

Vent’anni fa, ricorda “The Economist”, l’America usciva dal crac delle dot.com. La Cina era ancora nel guado dal passato maoista verso l’economia di mercato. Tra i due sorgeva la Fortezza Europa, proponendosi con la nuova moneta, e un mercato unico fiorente, a un futuro “spettacolare”. Oggi l’America e, ancora di più, la Cina sono in ascesa, contando per  per il 76 per cento delle aziende più valide. La quota europea è scesa dal 41 al 15 per cento.
Dei 19 maggiori gruppi creati negli ultimi 25 anni anni che valgono oltre cento miliardi di dollari, nove sono americani e otto cinesi. Nessuno europeo. I grandi gruppi non sono di per sé migliori dei piccoli, spiega il settimanale, ma testimoniano di una “sana ecologia degli affari”.
L’Ocse calcola che Stati Uniti e Corea del Sud (e Cina) hanno già un pil pro capite al livello pre-pandemia. Nel quadro di una revisione molto sensibile sulla stima precedente della stessa Organizzazione: l’economia mondiale, grazie ai vaccini, dovrebbe crescere quest’anno del 5,8 per cento. Per l’Europa ci vorrà ancora un anno – e non per tutti i paesi della Ue – per tornare ai livelli pre-crisi.

Quando Corleone sbarcò a New York

Titolo consolatorio - c’era, cioè non c’è più. L’originale è “The First Family”: la storia di Giuseppe Morello, il primo corleonese in America, o uno dei primi, e il primo organizzatore di mafia, della mafia siciliana. Detto “l’artiglio” perché aveva una mano deforme, ma organizzatore implacabile.
Un volume profuso, prolisso, f rutto di letture apparentemente interminabili (la bibliografia è sterminata, specie di articoli locali, delle più disparate gazzette). Un giornalista britannico, del “Telegraph” e dell’“Independent”, vi si è dedicato con la passione dell’entomologo, dell’anatomopatologo. In grado di correggere perfino le date e le circostanze familiari della famiglia Morello, che i Morello cioè non conoscevano o citavano a vanvera –“Giuseppe Morello, il primo grande capo della mafia di New York, era nato nel 1863 o nel 1870,se non addirittura nel 1880”, a seconda dei vari testi o documenti consultati, ma niente di tutto questo: “Contattando l’ufficio di stato civile della sua città natale siciliana, Corleone, venni a sapere che la data giusta era il 2 maggio 1867, un fatto che la sua stessa famiglia a quanto pare non conosceva, dal momento che la tomba reca l’anno 1870”.
Dash ha letto “almeno 10 mila pagine” di atti processuali. I riferimenti e le note sono migliaia. Quelle mafiose sono agiografie di molto impegno: c’è concorrenza nel genere, evidentemente, opoure gli avvocati vigilano (quelli americani sono specialmente occhiuti: la diffamazione paga, seppure di un criminale).   
Tra i tanti delitti la famiglia Morello praticava specialmente la falsificazione della carta moneta. Per somme anche enormi. Molto Dash sviluppa il contesto, di e attorno a New York, fino a Petrosino e oltre. Con un dettagliatissimo indice analitico, dei nomi e degli argomenti, da soddisfare ogni curiosità. E una ammirevole bibliografia. O deprimente: a che pro tante energie. Non è nemmeno una storia di grandi crimini. Piuttosto precisa, puntuale, documentatissima, seria. Finiti i conquistatori, gli imperi, le invasioni, le guerre dei trenta e dei cento anni, consumate presto anche la storia politica o dei partiti, sociale, di genere, la storia contemporanea si caratterizza come storia del crimine. Quasi con piacere – Dash non è uno storico, ma è come se.
 
Mike Dash,
C’era una volta la mafia, Newton Compton, pp. 332, ril, € 9

giovedì 3 giugno 2021

Secondi pensieri - 450

zeulig


Discrezione
- “Discrezione” è titolo di Mary de Rachewiltz, dove narra la sua prina vita, fino alla giovinezza, abbandonata dai genitori, Ezra Pound e Olga Rudge, conviventi non sposati e impegnati nelle rispettive carriere artistiche, in una famiglia tirolese, e suona più come indiscrezione - fino all’arrivo degli americani nel 1945. È stato poi titolo di Pierre Zaoui, filosofo, “La Discrétion, ou l’art de disparaître” (tradotto col titolo invertito, come “L’arte di scomparire. Vivere con discrezione”). Della discrezione come resistenza in un mondo che vuole e privilegia apparenze e clamori, specie di se stessi – una discrezione esemplata su Baudelaire, Blanchot, Deleuze, Kafka, Virginia Woolf, Benjamin. Ma confina, nelle lettere come in ogni professione, con l’inesistenza, l’autocancellazione: bisogna farsi strada, sgomitare, gridare, e esserne convinti.
La discrezione è d’obbligo in paese, in una comunità stabile, quella dove Mary de Rachewiltz ha vissuto fin ai vent’anni, dove l’ostentazione si paga. Ma la discrezione non paga, è solo un modo per uscirne indenni: il paese non eleva e ricuce, nel senso che restringe, tiene avvinti. È un’economia ristretta, che comporta una mentalità.
 
Dolore – Può non essere pedagogico, non dare (insegnare) nulla. Per la perdita di Waldo, figlio molto amato, di soli cinque anni, Emerson sperimentò un dolore che non era il dolore per la perdita. ”Soprattutto mi addolora non riuscire ad addolorami”, a sentire il dolore come qualcosa di reale, o sufficientemente reale, scrisse in una lettera la settimana dopo l’evento - I chiefly grieve that I cannot grieve”.
Ci ritornò sopra due anni dopo nel saggio “Experience”, 1844, sui limiti della razionalizzazione della vita, dell’ultraintellettualismo  – l’esperienza è confusa e confonde. E a proposito della perdita, del dolore: “La sola cosa che il dolore mi ha insegnato è di sapere quanto è superficiale. Che, come tutto il resto, gioca in superficie, e non mi introduce nella realtà, per un contatto con la quale pagheremmo perfino il caro prezzo di figli e amanti (Emerson stava per perdere anche la moglie, malata di tbc, n.d.r.). È Boscovich che ha scoperto che i corpi non vengono mai in contatto? Bene, le anime nemmeno toccano mai i loro oggetti. Un mare innavigabile lava con onde silenti tra noi e le cose che amiamo e con le quali conversiamo.
“Il dolore ci rende anche idealisti. Nella morte del mio bambino, allora, più di due anni fa, mi sembrava di avere perduto una bella proprietà – non di più. Non posso portarlo più vicino a me. Se domani mi si informasse della bancarotta dei miei principali debitori, la perdita dei miei beni sarebbe un grosso danno per me, forse, per molti anni: ma mi lascerebbe come mi ha trovato – non migliore né peggiore. Lo stesso è con questa disgrazia: non mi tocca: qualcosa che io fantasticavo parte di me, che non poteva essermi strappata senza strappare me, non ingrandita senza arricchire me, mi abbandona, e non lascia cicatrici. Era caduca. Mi addolora che il dolore non può insegarmi nulla, né farmi fare un passo avanti nella natura reale”.
Ci sono delle differenze nel conto profitti e perdite spirituali, era l’argomento di  Emerson. Alcune, anche se profonde, non contano. La morte di un bambino, per quanto adorato. Mentre si impara per molto meno: “Un grand’uomo”, scriverà Emerson in “Compensation”, “sospinto, tormentato, sconfitto, ha la possiiblità di imparare qualcosa: è stato sfidato nel suo ingegno, nella sua virilità: ha accumulato dei fatti; impara sulla sua ignrtanza; si cura di concetti sbagliati; impara la moderazione  e reali capacità”. Mentre il dolore per la morte del bambino è tanto profondo che non è compensabile. E questo conduce a una sorta di rimozione.
 
Dissimulazione – O la virtù della menzogna - O.Wilde? Khomeiny?
 
Genitorialità - Si vive con il padre e con la madre e poi a un certo punto non più. Non devono o non possono provvedere, sono incapacitati, sono malati, col tempo muoiono, secondo l’ordine del tempo. Ma la memoria no, resta sempre con noi –e anzi si magnifica (amplia, insiste.
Lo stesso però è delle cose, degli eventi esterni, anche accidentali. La memoria è selettiva e non lo è, e più persiste delle cose o eventi accidentali, più di quelli propri, personali, caratterizzanti, duraturi. Una casa, non la propria, una strada, una siepe, anche solo un oggetto, meglio (peggio) se di uso quotidiano, il filo interdentale, il sapone neutro, il riscaldamento (raffreddamento) dell’automobile…
 
Intellettuale – “Prima del romanticismo non esisteva l’intellettuale, poiché non esisteva contrapposizione fra vita e conoscenza”, C. Pavese, “Il mestiere di vivere”, 5 novembre 1942: “Accorgersi che la vita è più importante del pensiero, significa essere un letterato, un intellettuale; significa che il proprio pensiero non si è fatto vita”.
È una condizione limitativa.
 
Mercato -  “Il gioco che non fa giocare. Marchi, offerte, sigle: oggi il Mercato è la scacchiera in cui si finisce intrappolati”. Pezzo d’antologia sul mercato (il “gioco”, d’azzardo?) di Claudio Magris sul “Corriere della sera”. Si è meno liberi con questo mercato, molto meno.
 
Psicologia – “È il rimedio dei poveri” - Savinio, “Enrico Ibsen”, 67 (“il profondismo è il rimedio dei poveri”). Tutto si può piegare a uno scopo in qualche modo utile, senza danno per  chicchessia. E ogni argomentazione si può validare, basta un minimo di accortezza nella gestione dell’informazione. 


È la panacea e il placebo degli strizzacervelli – a meno di una certa pratica, empatica o simbiotica. Si può andare in analisi tutta la vita? Sì, come dal confessore, oggi padre spirituale - senza la grazia (la fede).

  
Spiritualismo – Va col materialismo - in italiano andrebbe meglio detto spiritismo. Dilagò nel secondo Ottocento, torna in forze oggi. Nel mondo anglosassone, prevalentemente, che più si ritiene o si vuole scientista.
Fu forte nell’epoca vittoriana, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. In una col positivismo. Con credenti eccellenti: Conan Doyle, il narratore “scientifico”, Wiliam James, i fisici Marie e Pierre Curie, il biologo evoluzionista Alfred Russel Wallace.  Credenti nel metodo scientifico che, nonché non opporsi al campo spirituale, ne avrebbe invece provato la sua esistenza. Nel clima Excelsior di Fine Secolo, fine Ottocento. Che si sarebbe coronato con la Grande Guerra, il culmine dell’imperialismo – tedesco, ma dell’epoca. L’epoca attuale, della Grande Illusione che la globalizzazione economica alimenta,  nuova pietra filosofale della ricchezza, vede anche il ritorno delle contese imperiali, e degli spiritualismi invece delle religioni - agli spiritualismi si possono assimilare, in chiave di autorefenzialità, i fondamentalismi delle religioni istituzionali (“ognuno la sua chiesa”).

Parlare con i morti è pratica corrente, oltre che in Gran Bretagna, dove almeno trecento Chiese spiritualiste sono tuttora in funzione, negli Stati Uniti, patria del materialismo.
Negli  Stati Uniti più di un centinaio di Chiese spiritualiste sono in attività. Oltre a innumerevoli siti nelle piattaforme online e televisive, Instagram, Facebook,Tik Tok, che offrono servizi psichici. Quasi un terzo degli americani ritengono di avere parlato con i morti, i più fuori dalla chiese organizzate, dalle fedi in qualche modo ufficiali, con vangeli e maestri. Per una spesa che il “New Yorker” calcola in almeno due miliardi di dollari l’anno.
 
Storia – “Non si può chiedere che gli storici siano obiettivi, ma bisogna pretendere che siano onesti”, G. Salvemini.


zeulig@antiit.eu

Le mafie dei commissari ad acta

La costruzione del nuovo ospedale di Vibo Valentia, in attesa da un quindicennio, avviata nel 2919 su impulso del prefetto Guido Longo, l’ex questore catanese famoso “acchiappalatitanti”, un’opera da 144 milioni, si ferma da ieri per attentati mafiosi: due grandi automezzi da carico distrutti, escavatore gigante danneggiato. Con lo stesso Longo spavento dei mafiosi richiamato a novembre dalla pensione, un anno dopo l’avvio dei lavori dell’ospedale da lui fermamente voluto, quale commissario regionale alla Sanità.
Si fatica, sempre in Calabria, ad avere accesso  al Comune per le più semplici pratiche. Il ricevimento è stato ridotto a due giorni. Dei due giorni a poche ore. Queste poche ore raramente funzionanti: un giorno c’è la quarantena, un giorno la disinfestazione, e questa settimana, non si dice, i ponti, chi ha fatto il primo e chi sta facendo il secondo. Perché la struttura è commissariata, anch’essa per mafia, e i commissari dovrebbero venire da fuori, da lontano - una grossa fatica, benché il viaggio sia conteggiato nelle ore di lavoro, il trasporto sia su macchina di servizio, con autista, e in premio si riceva una diaria.
Perché tre commissari per un comune di non più di tremila abitanti?  Perché un commissariamento di un anno e mezzo quando basterebbero i pochi mesi, le poche settimane, per i comizi elettorali? E perché chi decide i commissariamenti sono gli stessi funzionari di prefettura che poi diventano commissari?
E soprattutto: perché non si arrestano e si condannano i mafiosi invece di agitarli come spauracchio? Non ci volevano – non ci vogliono – particolari virtù medianiche a Vibo Valentia per proteggere il cantiere dell’ospedale e colpire i ben noti mafiosi dei subappalti. Si dicono commissari ad acta – propria?
“Solitamente il commissario ad acta è scelto fra i dipendenti di un’amministrazione che esercita il potere di vigilanza nei confronti dell’Autorità che ha emanato l’atto impugnato”, wikipedia.  Il controllore che beneficia se stesso, che diritto è? È parte dell’antimafia o della mafia?
L’Italia dei prefetti non era una buona Italia già negli studi di Spadolini,sulla gestione della cosa pubblica nel periodo giolittiano, fertile di malaffare, un secolo e passa fa.

Giallo messicano – ieri come oggi

Una dei racconti recuperati postumi, subito dopo la morte dello scrittore. Non il più felice: per la location alla moda, probabilmente, nel 1970, di gran grido, o sennò per nient’altro.
Uno delle serie esotiche. Che non riescono a spolverare il vecchio metodo del “chi è stato”. Con investigatori improbabili. Un po’ sbrodolati.
C’è Acapulco, Che è, era, gran nome, quando queste cose usavano, anche più di Portofino, i luoghi dei ricchi.E l’opulenza abbonda, anche nelle mance agli sbirri. Condita di un po’ di nostalgia russo-ucraina: le principesse del titolo, signore di Acapulco, madre figlia e nipote, sono Rudescenko. L’ambiente anche c’è tutto, il Messico come uno se lo immagina, e Acapulco. Perfino la storia regge, o reggerebbe - Scerbanenco non si scervella, la manipola come viene.
Va però veloce, molto meglio delle serie “internazionali” (esotiche) che si leggono adesso. E sa di cose viste – diavolo di un uomo, che stava a scrivere diciotto ore al giorno, come avrà fatto a conoscere così bene (anche) Acapulco? con tutto il Messico d’intorno? E, ci credereste?, in pieno fulgore, Acapulco è un luogo di misfatti. Si comincia così: “Un morto, al Messico, è semplicemente un morto. Specialmente ad Acapulco, ogni giorno viene commessa una media di sei omicidi, tre quattro rapine e una dozzina di risse con feriti anche gravi, la bellezza del luogo e i miliardi che vi scorrono, per misteriose ragioni psicanalitiche e sociali, rende la gente più violenta e dedita all’uccidere”.
E ancora. Alla festa delle principesse – è un giallo alla Poirot, di tutti possibili colpevoli – “ci sono perfino i cinesi, eccoli lì, che stanno tramando per cinesizzare il Messico”.
Giorgio Scerbanenco, Le principesse di Acapulco, Garzanti, remainders, pp. 94 € 3,12

mercoledì 2 giugno 2021

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (458)

Giuseppe Leuzzi

Il Sud sabaudo
Fa senso rivedere su “La Lettura”, con l’evidenza della grafica, il risultato regione per regione del referendum sulla Repubblica, ci cui è oggi il 75mo anniversario: il “muro di Ancona” del comico Ferrini c’è stato veramente. Sopra di esso perfino il Piemonte, sabaudo da un millennio, votò per la repubblica, 57 a 43. Il fronte repubblicano s’incrina nel Lazio, appena sotto il 50 per cento - 48,63. Dal Lazio in giù, a partire dall’Abruzzo, è un mezzo plebiscito. In Molise, Puglia e Sicilia è addirittura 1-2 a favore della monarchia. Per un’istituzione moribonda ovunque. E che già allora veniva incolpata dei disastri del Sud, dell’“annessione”, dell’insensibilità, delle ruberie (il re Umberto si sospettava di ogni appalto). 
Come dire che il Sud non capisce. Come va l’Italia, come va il mondo. Potrebbe essere ua chiave.
Reggono le monarchie in alcuni staterelli asiatici. E nel Nord. Dell’Europa - anche in Spagna, ma non volentieri: Belgio, Olanda, Danimarca, Regno Unito, Svezia (e i granducati, ma lì di comodo, per gli affari fiscali).
 
La squadra del giudice
Muore un Grande Giudice Grande Animatore del Grande Sport nella Grande Città con Grande Cordoglio del Grande Giornale cittadino. È il giudice che ci ha rovinati, con quattro decreti ingiuntivi nel mese di agosto, uno a settimana prima e dopo il Ferragosto, avallando per buono dall’Alto della Sua Autorità immediatamente esecutiva le cambiali dei “cugini” strozzini,  e non calcolando le ricevutine di pagamento, seppure autografe – non avevano nemmeno la marca da bollo! – che il Tribunale di prima istanza aveva invece debitamente conteggiate, dichiarando estinto il debito e chiedendo la restituzione\distruzione delle cambiali. Con un decreto i “cugini” si prendevano la casa, con uno la campagna con la casa, con uno il frantoio, e con uno ogni bene mobile e immobile nella disponibilità di papà.
Un fulmine a ciel sereno, atteso il verdetto favorevole del giudice di prima istanza, anche se non di prima nomina, Giuseppe Gambadoro, che si era andato a spulciare tutte le ricevutine e, benché in sede civile, avesse avvertito netta la puzza di usura, fatto il semplice raffronto fra i pagamenti attestati dalle ricevutine e le cambiali in mano agli strozzini. Un processo penale non si poté fare, l’avvocato disse: “Non c’è in repertorio una condanna penale per usura” – possibile, nel 1987? Ma il giudice coscienzioso aveva comunque ristabilito la verità.
Un fulmine a ciel sereno, per essere precisi, non è vero, oltre che stracco modo di dire. I “cugini” in Appello al Grande Giudice si erano affidati all’avvocato Panuccio, avevano fatto sapere ghignando, “che non perde una causa in Appello” - “costa ma rende”.
Questo è un classico in Calabria: ci sono – ci sono stati - avvocati che vincono – che vincevano - sempre le cause. Il più famoso è l’avvocato Mazzeo di Palmi, che è stato poi presidente democristiano della provincia, e candidato non fortunato al Senato. A Reggio l’avvocato Alberto Panuccio era famoso per vincere le cause in Appello. Un coetaneo del Grande Presidente. Di cui “chi ha avuto la fortuna di conoscerlo si è arricchito di valori”, dicono le celebrazioni.
Il Grande Giudice rigettò anche, con immediatezza, bisogna riconoscere, invece delle solite lungaggini giudiziarie, la domanda di sospensiva dell’esecutività a motivo della tarda età di papà. Pendente il ricorso dello stesso in Cassazione, di cui era già stata accertata la fondatezza giuridica. E senza colpa, naturalmente: il giudice decide in autonomia, in base a scienza e coscienza.
 
Niente famiglie niente mafie…
Tremila ettari agricoli concimati con veleni, tra Lombardia, Piemonte, Emilia, Veneto, il cuore della Padania, da una ditta bresciana che vi ha scaricato, per anni, almeno 150 mila tonnellate di fanghi tossici. L’equivalente di 150 mila tir, cioè una cosa che si vede, non uno sversamento di soppiatto, di notte. E niente, niente criminalità organizzata. Niente preti dal pulpito. Niente articoli. Giusto uno, per stigmatizzare un geologo che se la rideva.
La mafia dei rifiuti è solo nella Terra dei Fuochi. E nell’Aspromonte, dove però i rifiuti non ci sono.
Non è del resto un mistero, non da ora, da almeno mezzo secolo, che la Padania serve da scarico, a pagamento, dei residui tossici delle lavorazione svizzere e tedesche. Ogni tanto se ne sa qualcosa. Ma senza scandalo. Gli accordi si fanno, tra industrie e smaltitori ma senza mafie: al Nord la criminalità non è organizzata.

 …. O la mafia sconfitta dall’eugenetica
Si dice mafia la criminalità organizzata, cioè familiare, tra padri e figli, o tra fratelli, e allora certo c’è bisogno di famiglie numerose, che al Nord non ci sono più, da qualche generazione. Oppure le mafie sono a cupola. Ma neanche la cupola sembra essere genere nordico. Al Nord tutto è organizzato ma non la malavita.
Però, allora c’è speranza: col calo demografico le mafie familiari andranno finalmente a finire? Sarebbe infine il trionfo che l’eugenetica attende da un secolo buono: eliminiamo le nascite “cattive”, improduttive, morbose, pericolose, e la pace scenderà in terra.
Si dice delle donne, mogli, figlie, sorelle, che sfidano le mafie familiari, eroine, madri coraggio eccetera. Ma se non fanno più figli è ancora meglio, si evitano ritorsioni. L’inverno demografico sarà l’arma vincente? Dove non arrivano i Carabinieri, arriva lo zero nascite.

L’impero di Vigata
“Il lavoro del regista è essenziale: mette in scena il sottinteso”, Francesca Marciano con Cecilia Bressanelli su “La Lettura”. Il regista trasforma il racconto in immagini, le mette in scena, e le racconta (le monta), con i tempi e i tagli. Sulle avventure di “Montalbano”, con il relativo non piccolo boom economico del Sud-Est della Sicilia, fino a prima dei “Montalbano” l’area più depressa della Sicilia, da Agrigento a Pozzallo, campagne aride, città semiabbandonate, mari poco curati, si è creato un monumento a Camilleri. Che lo merita per il personaggio, ma non per la Sicilia  che ne ha beneficiato, che lui non conosceva – era a conoscenza di pochi, fuori Noto non c’era nessuna attrattiva, ad Avola nel ’68 si sparava ai braccianti, ed è stato poi un miracolo (delle cooperative di sinistra) l’invenzione nel deserto di Vittoria dei “Pachino”, il pomodoro a peso d’oro  – come poi del “Nero d’Avola”, che forse ha soppiantato il Chianti come vino più venduto.
Dunque il piccolo miracolo della Sicilia di Sud-Est è stato politico, ed era già in atto da qualche decennio. Ma è stato Sironi, il regista dei “Montalbano” ad azionarlo alle dimensioni che ora conosce – secondato dal suo produttore, Carlo Degli Esposti: mai serie tv è stata così ricca di ambientazioni, esterni, caratterizzazioni, un mondo di attrattive. Posti dove nessuno si sognava di andare, da Gela, anzi dalla stessa Agrigento, a Porto Palo,  sono così diventati attrazioni. Una Sicilia “inventata” da un emiliano e un lombardo, anche questo è parte del miracolo. Sironi in particolare, con la sigla monumentale, curioso, luminosa, creativa, che di borghi fatiscenti ha fatto rocche splendenti, e di spiagge abbandonate miraggi. Cin un lusso di interni, ognuno scelto con cura, tra il fantasioso e il fantastico, ognuno per qualche memorabile.
Come varia la geografia economica, basta poco. Basta Alberto Sironi, regista peraltro dimenticato, e le mafie scompaiono d’un tratto. Ci vuole così poco (senza offesa per Sironi) per ribaltare il Sud? Sì, basta la fiducia, anche solo un poco, purché zittisca le prefiche - i prefichi. O bisogna affidare la Sicilia ai padani?
 
Stato mafia?
Brusca libero è la legge, quindi nulla da eccepire. Una legge voluta da una delle sue tre-quattrocento vittime, il giudice Falcone, anche se ne beneficia un assassino tra i più crudeli che si ricordino nelle cronache nere. Ma non si cancella lo sconcerto che un simile personaggio se la cavi così bene. Tra i cittadini e tra, conoscendoli, gli stessi mafiosi, che prima che bestie sono calcolatori. Tra l’altro, Brusca esce dopo una carcerazione non punitiva, e tra mille benefici, piccoli e grandi. A partire dai permessi premio, in realtà contrattualizzati: una settimana di vacanza (organizzata e pagata dallo Stato) ogni 45 giorni di detenzione, già da una ventina di anni - di che stropicciato gli occhi.
La legge voluta dal giudice Falcone, per indurre i mafiosi a tradire, avrà senz’altro avuto l’effetto voluto – è dubbio, ma ammettiamo che l’abbia voluto, che abbia indotto molti a parlare. È però una lotta alla mafia che sa di mafia. Il famoso Stato-mafia.
Si parla di Stato-mafia a proposito di probabili trame segrete tra corpi più o meno segreti dell’apparato repressivo, poliziotti, carabinieri, e malviventi. È perciò curioso leggere il plauso a Brusca libero di uno dei maggiori assertori dello Stato-mafia, il giudice e politico di estrema sinistra Pietro Grasso: “Segnale potentissimo a tutti i mafiosi che sono rinchiusi in cella e la libertà, se non collaborarono, non la vedranno mai”. E perché dovrebbero vedere la libertà?
La guerra alle mafie con i pentiti è infetta. Con i pentiti per i benefici di legge. Diverso il caso delle vittime (per esempio le mogli, le figlie, i figli) della coercizione mafiosa, che si ribellano (si pentono) per disperazione.
 
Sicilia
Damiano Caruso di Ragusa è il ciclista che è riuscito a sollevare un po’ di entusiasmo al Giro d’Italia. Che è sceso quest’anno fino a Foggia, vale a dire all’altezza di New York.
Sempre la Sicilia dà lustro ed entusiasma l’Italia, dunque anche nel ciclismo. L’Italia senza la Sicilia sarebbe monca, si sa: un po’ di fenici, un po’ di greci, un po’ di arabi, perfino di tedeschi, e molti normanni, con la poesia, i limoni, il marsala, i vini bianchi, i rossi, i teatri greci, la musica, i romanzi celebri, il teatro celebre, e ora anche il ciclismo. Alla sommatoria fa più di tutta la Padania.
 
Sciascia, raccontò Camilleri da ultimo a Cazzullo sul “Corriere della sera” (“Camilleri: gli scontri con Sciascia”) “era di un anticomunismo viscerale. Nei giorni del sequestro Moro lui e Guttuso andarono da Berlinguer e lo trovarono distrutto: Kgb  Cia, disse, erano d’accordo nel volere la morte del prigioniero. Sciascia lo scrisse. Berlinguer smentì, e Guttuso diede ragione a Berlinguer. Io mi schierai con Renato”.
 
“Un’altra cosa non mi convinceva di Sciascia”, continua Camilleri nell’intervista: “Nei suoi libri a volte rendeva la mafia simpatica”. Il boss don Mariano che discetta di “uomini, mezzi uomini, ominicchi, piglianculo e qaquaraquà”, ne “Il giorno della civetta”, a teatro faceva ridere. Allo stesso boss Sciascia fa dire: “Lei è un  uomo”.
In effetti, il boss  (prima di Riina) è anche un notabile. Ma Camilleri dissentiva: “La mafia non ti elogia, la mafia ti uccide”.
 
“La Sicilia per Sciascia è come una donna”, Álvarez García, “Le zie di Leonardo”. Dopo avere osservato meravigliato, insieme con Vincenzo Consolo e Caterina Pilenga, che non ci sono donne nei romanzi di Sciascia, “salvo quando occorre piangere sui cadaveri dei morti ammazzati o quando bisogna fare le corna ai mariti”. Ma non salva nulla, della Sicilia come delle donne, arguisce l’ex sacerdote cattolico già grande amico di  Sciascia.  
 
A Lucio Piccolo Álvarez García spiega, quando già era in crisi con la vocazione sacerdotale, che Sciascia ha torto, che i siciliani sono religiosi, pieni di santuari e di devozioni: “Sciascia confonde religiosità con cattolicesimo. Io credo che i siciliani non riusciranno mai a essere veri cattolici  proprio perché sono troppo religiosi. Hanno venerato come santi perfino i delinquenti! Pensi al culto che i palermitani tributavano alle anime dei «decollati»”.
 
Ancora Tomasi di Lampedusa, inclemente con  la sua isola, il “ragionier Ferrara”, suo (o di suo padre) procuratore legale presso gli affittuari di Salina, lo dice “individuo di teneri sentimenti, varietà umana rarissima in Sicilia”.
 
Il disprezzo dei “borghesi”, parvenu  e avari, Gioacchino Lanza Tomasi condivide con l’autore del “Gattopardo”. In nota ai “Racconti” li fa - in un inciso alle diatribe successorie che portarono i nobili alla rovina (n.37, p. 90) – mafiosi, anzi della mafia i fondatori: “La mafia aveva difatti avuto origine tra gli imprenditori agricoli. L’impresa rendeva in fitto e potere e i campieri erano la sua milizia armata”.
 
Castelvetrano, oggi (1957) “cittadina civettuola e ambiziosa”, Tomasi di Lampedusa ricordava prima della Grade Guerra “borgo lugubre, con le fognature allo scoperto ed i maiali che si pavoneggiavano nel corso centrale; e miliardi di mosche”. Basta poco, a volte.
Casteveltrano è poi diventata centro dell’uva Italia, l’uva da tavola degli italiani - e di buona parte dell’olio di oliva. Immune evidentemente alla mafia, benché “patria” e forse rifugio di Messina Denaro e altri capicosca.
 
Della serie la Sicilia impossibile, o dell’odio-di-sé. Tomasi di Lampedusa, esempio insigne, inalterabile, fin dai primi viaggi ai vent’anni, di notabile sradicato, ha, tra i notabili del paese materno, Santa Margherita Belìce, con l’accento sulla i, prima della Grande Guerra, un Ciccio Neve, “che viveva con una sorella pazza”. E aggiunge, fra parentesi: “Quando si conosce bene un villaggio siciliano si vengono a scoprire innumerevoli pazzi”.
 
Romantica, o aromatica: non sarà materia di refusi, mentali? Gioacchino Lanza Tomasi, riordinando le carte dell’autore del “Gattopardo”, trova a un certo punto nel racconto “Lighea” (o “La sirena”) il mare “aromatico”. Ma è quello che Tomasi di Lampedusa intendeva. Giorgio Bassani aveva corretto, nella prima edizione dei racconti: “Il mare, il mare di Sicilia è il più colorito, il più romantico…”. Tomasi aveva scritto invece: “Il mare, il mare di
Sicilia è il più colorito, il più aromatico…”.

leuzzi@antiit.eu

La Repubblica non si può governare - e non si sa perché

“Origini e aporie dell’Italia bipolare” è il sottotitolo e il tema. La Seconda Repubblica presa sul serio, come passaggio dalla dinamica consociativa alla logica dell’alternanza - governa chi vince. Una raccolta eccezionale - il problema Italia è argomento quotidiano, e da conversazione da bar, ma chissà perché non di studi. Se non che questi studi benemeriti cadono in una legislatura di pieno consociativismo, e della specie deteriore: non tra forze differenti ma vicine, quanto invece tra forze opposte - qualcosa del tipo “Franza o Spagna purché se magna”. Tra le forze opposte dei 5 Stelle e Lega un primo governo, in secondo tra altre due forze opposte, 5 Stelle e Pd, e ora tutti quanti insieme, meno un solo partito.
Merito della raccolta è, per una volta, di sottolineare la componente estera. Non quella del “vincolo estero”, della museruola ai bilanci, credenza che, benché animata dalle migliori intenzioni, da Ciampi a Draghi, ha immiserito l’Italia. No, della politica estera in senso proprio, diplomatica e militare: l’Italia, sia pure il laboratorio politico che si pretende, non sta nel vuoto. Nella globalizzazione, con gli Stati Uniti, col Mediterraneo del Sud, con la Cina.
Importante la riflessione di Spiri. Al di là di Mani Pulite, l’approssimazione è sempre grande negli Usa, si direbbe in generale, comunque per l’Italia. Meglio andrebbe detto: l’approssimazione è grande nella politica estera Usa, ma con l’Italia in modo particolare. Anche con Kissinger, il più europeo (e colto) degli americani. Degli Stati Uniti che sono anche il solo alleato che ha sempre concesso qualche spazio all’Italia in questo lungo dopoguerra, col petrolio e il gas Eni, con l’Urss quando ancora c’era, con le politiche mediorientali, in Algeria, in Libia, in tutta l’Africa. Molto di più, p.es., rispetto ai tranelli e le imboscate della Francia e della Gran Bretagna, o all’arcigno muso duro tedesco, sui conti, i prestiti, i sostegni (quando ne ha avuto bisogno l’Italia, quando ne ha avuto bisogno la Germania di Bonn, con il comunismo a Berlino, era tutto un accorrere in Italia…). Senza politica estera non si esiste – non si vive soli singolarmente, in una comunità, un villaggio, un paese, c’è sempre una socialità da curare. Chi si fa pecora il lupo se la mangia. Senza una politica estera non si è – che ora invece si affida ai bellimbusti, per le gite fuori porta, con ambasciatori impennacchiati a dare l’annuncio e tenere la coda.
E della Repubblica, che ancora stenta dopo settantacinque anni, che dire – che è poi il tema dei vari studi qui traccolti? Bonini, lo storico delle istituzioni politiche, rettore della Lumsa  a Roma, Ornaghi, già ministro della Cultura di Monti, politologo alla Cattolica, Spiri ricercatore di Storia politica a Bologna: un trio d’eccezione (con una lunga serie di collaboratori e coautori: Pagnoncelli, Vera Capperucci, Andrea Possieri, Andrea Ungari, Paolo Pombeni, Carlo Guarnieri, Daniela Preda, Michele Chiaruzzi) lascia il problema insoluto. Come insolubile. Per non voler dire le cose come stanno – a parte gli intrighi letali della presidenza Scalfaro, contro Craxi (e contro Berlusconi, nel fatale 1994, che pure avrebbe risolto il nodo pensioni, e quindi debito pubblico?). La presunta Seconda Repubblica è l’esito di un’aggressione feroce, di carrieristi ignobili, qualcuno anche spia, legato agli Usa. Col concorso del partito Comunista Italiano alla frutta, al suo “tanto peggio tanto meglio” all’estrema unzione. Al riparo della legge. Una aggressione a freddo alla politica italiana, troppo indipendente negli schemi Est-Ovest. Che un’Italia che era instabile ha fatto non stabilizzabile. Il problema del maggioritario, dell’alternanza, o del consociativismo, c’era e c’è, e fa la maggioranza dell’opinione: nessuno mette in dubbio che l’Italia andrebbe governata, in qualche modo, con lungimiranza, con chiarezza. Ma non si può risolvere: ogni tentativo, di Craxi, di D’Alema, di Renzi, viene frustrato. Ci sarà un motivo, no?
Benché tra mille peripezie, la Repubblica è giunta ai 75 anni. Meriterebbe un po’ più di attenzione: più incisiva, fattuale, meno di maniera. La Costituzione non è un’attenuante. O sì? Questa raccolta perlomeno ci prova. Il tema è succulento, ma altrove si fa finta di nulla. 
Francesco Bonini-Lorenzo Ornaghi-Andrea Spiri, La Seconda Repubblica, Rubbettino, pp.300 € 18 

martedì 1 giugno 2021

Padri e figli

Il padre, un padre, sa tutto del figlio, il figlio non sa del padre.

Problemi di base ragionevoli - 642

spock

“Nessuno rinuncia a ciò che conosce”, C. Pavese?
 
La memoria è una condanna – una prigione, una  tortura?
 
“Non manca mai a nessuno una buona ragione per uccidersi”, C. Pavese?
 
“Hanno ragione gli idioti, i pazzi, i testardi, i violenti tutti – meno le persone ragionevoli”, id.?
 
“Le prove non sono nelle ragioni”, Alain?
 
Perché dire allora la verità?
 
Quale?
 
 “Non c’è che l’inconscio che non  mente”, Dada?

spock@antiit.eu

Vecchia Italia

Un  capolavoro della letteratura di viaggio che non si ristampa. Di viaggio in genere, oltre che in Calabria, a piedi, nel 1911, e al Sud. Di viaggiatore inglese, come il genere, dei Burton, di Chatwin, Levi, Leigh Fermor,  ma già da ragazzo italianato, insabbiato a Capri. Personalità poliedrica, di molteplici interessi, la mineralogia come la biologia, il greco come il latino, pianista provetto. Una persona, prima che uno scrittore, di personalità forte, umoralità ricca.
Si viaggia lungamente, prima di mettere piede in Calabria. A piedi prevalentemente, a dorso di mulo, con una lunga serie di mulattieri imbroglioni, e con mezzi di fortuna.
Si entra nell’ordinario-meraviglioso  subito, con il “frate volante”, san Giuseppe da Copertino. È il prologo alla storia più straordinaria, di “Milton in Calabria”: la scoperta che un poema analogo a quello di Milton, un “Adamo caduto”, era stato redatto e pubblicato un paio di decenni prima a Cosenza, opera di Serafino della Salandra,  confratello del frate volante – un’opera per la quale Douglas pagherebbe 8000 grani e non gli 80 del vecchio catalogo, ma deve limitarsi a quanto ne legge sulle riviste, soprattutto quanto un Mr. Bliss Perry ne ha scritto sulla rivista americana “The Atlantic Monthly”.
Ci sono già gli “intrusi africani”. “Esiste qui un tipo di fisionomia inconfondibilmente semitico: capelli ricci, pelle scura e naso a uncino. Essendo fuori causa una discendenza fenicia,  possiamo supporgli un’origine saracena, tanto più considerando che gli ebrei del Medioevo non conclusero mai matrimoni misti con cristiani”.
Ci sono i “parchi naturali” di oggi, il Pollino, la Sila, l’Aspromonte. Con le loro vegetazioni e le loro forti diversità, climatiche, antropiche. Ci sono gli albanesi di Calabria, presenza cospicua. E il brigantaggio, un racconto horror – riportato all’origine, la rivolta anti-francese, contro l’assurda leva obbligatoria imposta dagli invasori francesi (con l’aiuto, anche, Douglas ne è certo, di criminali fatti sbarcare dagli inglesi).
Un volume pieno di storie. Una lettura consolante anche per la non piccola soddisfazione di vivere per qualche ora in un mondo non leghista, non ancora, non asfittico e malevolo, quale è l’Italia da ormai mezzo secolo.
Norman Douglas, Vecchia Calabria
 

lunedì 31 maggio 2021

I commissari al non fare

Dopo undici anni di commissariamento, la sanità in Calabria è al suo peggio. Al peggio di tutta l’Italia, con i Livelli essenziali di assistenza (lea) in caduta libera: l’ultima rilevazione della Corte dei Conti li dà all’ultimo posto in Italia, a quota 125. Ben al di sotto della sufficienza, che si colloca a quota 160.
La Calabria è stata particolarmente sfortunata nelle scelte governative dei commissari – fino alla farsa di un anno fa: incapaci o inutili. Ma è l’istituzione che fa acqua.
Il commissariamento funziona in azienda, con la legge Prodi. L’azienda è un corpo singolo, individuato, articolato, e attivo. Non va nella Funzione Pubblica. Per due motivi. Perché è riserva di funzionari pubblici, non di manager con una carriera e una prospettiva. È gestita da gente cioè che non ha competenze specifiche, se non burocratiche, e non ha stimoli, se non cavarsela senza danno. E perché agisce su un corpaccione informe. Compresa la sanità, che si fa figurare organizzata su criteri aziendali ma è pur sempre un carrozzone.
Portato alla luce critica nella sanità, in Calabria come in Campania, a Massa eccetera, il commissariamento è specialmente funesto dove è più diffuso, nei Comuni, qualora gli organi elettivi siano per un qualche motivo invalidati. Un lungo periodo in questi casi s’impone, diciotto  mesi, di commissariamento, senza mai un risultato positivo che si ricordi – l’attività dei commissari è di bloccare ogni attività.

Cronache dell’altro mondo - spiritualista (119)

“Quasi un terzo degli Americani sostengono di avere comunicato con qualcuno che è morto. E spendono collettivamente più di due miliardi di dollari l’anno per servizi psichici su piattaforme vechie e nuove. Instagram, Facebook, TikTok, televisione: quale che sia il mezzo, c’è un medium. Come i chiaroveggenti nei secoli passati, quelli di oggi riempiono anche auditorium, sale di lettura, ritiri.
“Campi sorici, come Lily Dad in New York e Cassadaga in Florida, sono in pieno boom, con decine di migliaia di persone che li frequentano ogni anno, per sedute collettive, servizi di culto, servizi di assistenza e guarigione, conferenze.
“Molti frequentano non ogni anno ma ogni settimana: ci sono più di cento chiese spiritualiste negli  Stati Uniti, più di trecento nel Regno Unito. Ma i più dei credenti stanno al di fuori delle chiese organizzate.
“I numeri crescenti riportano a fine Ottocento, quando fra otto e undici milioni di persone si identificavano come spiritualisti nei soli Stati Uniti” –The New Yorker”. Su una popolazione allora di 50 milioni di abitanti.
 

domenica 30 maggio 2021

L’Italia commissariata

Draghi va avanti come un bulldozer, ogni giorno un colpo, ma con la sapienza (l’accortezza, la prudenza) del politico navigato. Per una sapienza politica infusa - sa tenere a bada i partiti, pur essendo stato una vita ormai lunga fuori dai partiti? O non perché i partiti, questi partiti, sono domabili, bestioline, quasi domestiche? Entità fantasmatiche, virtuali, di sondaggi fuori dall’assenteismo, ora al 50 per cento?
Un governo, di Draghi, del resto buono e forse ottimo. Ma in una linea fuori partito, anche se non anti-partito, non ufficialmente, nin parlamentarmente. Una linea ormai consolidata. La verità di Mani Pulite, avallata dall’unico presidente non pulito della Repubblica, Scalfaro, è una serie di governi “tecnici”: Dini, Ciampi, Monti, Draghi. Non c’è l’analogo in Europa e nel mondo. Di un Paese commissariato, ormai da venticinque anni. Neanche per caso – un solo caso, per dire, un’eccezione, invece di una serie come in Italia.

La doppia verità, una storia che non si fa

È stato un buon padre ed era  un uomo buono”, ha potuto dire Meris Corghi, figlia di Giuseppe, nell’atto di contrizione per le colpe del padre, uno che aveva ucciso con due colpi di pistola alla tempia un ragazzo di 14 anni, contro il parere dei partigiani semplici che lui comandava, solo perché era un seminarista. Si po’ essere buoni e imbecilli (il seminarista non fu il primo e non fu l’ultimo)? No. Ma l’imbecillità non c’entra, assicura ancora la figlia Meris, ora buona credente, papà era “accecato dall’ideologia”. Un’ideologia, dunque, dell’eliminazione, non dell’avversario ma di chiunque.
È breve ma impressionante il quadro che Cazzullo fa sul “Corriere della sera” delle stragi comuniste nel reggiano, tra il 1944 e il 1945 – in aggiunta, certo, a quelle nazifasciste. Di innocenti, cioè gente che non c’entrava con la guerra né con la politica, stragi appunto di preti e seminaristi, e di contadini isolati.
Morto Giampaolo Pansa, che si prese le ultime contumelie, resistenti quindi fino a pochissimi anni  fa, si può infine cominciare a parlare della storia e del ruolo del partito Comunista nella storia della Repubblica. Mas solo in (brevi) articoli di giornale, per accenni. Quante energie deviate o soffocate.
L’Italia sconta ancora la colpa di essere stata fascista, per vent’anni. E si gloria di avere avuto la più forte presenza comunista dell’Europa libera, per cinquanta e forse sessant’anni – la deriva veltroniana e bersaniana, “democristiana” e “capitalista” (liberalizzazioni a sfare, grande distribuzione, multinazionali, delocalizzazioni, outsourcing) è l’ultimo atto della lingua di legno, della doppia verità. Non remoto e forse solo in sonno.   
La doppia verità è – sarebbe - un bacino storico immenso, di eventi, testi, testimonianze, documentabile, accessibile. Ma non agli storici, per disappetenza – o la storia politica soffre di allergie?

Giallo Europa giovane

Due ragazze, una “fredda berlinese” e una “passionale italiana”, amiche di penna che si incontrano alternativamente a Berlino e a Milano,  in viaggio in autostop da Milano a Berlino incappano in un sedicente conte che pretende di portarsele a Parigi e arricchirle come squillo (oggi escort) di lusso e nel commercio della coca, avendo loro sottratto i passaporti, e quando tentano di difendersi a colpi di borsetta non reagisce, stecchito. Un approccio semplice, e fulminante: quante avventure si preannunciano alla seconda pagina.
Scerbanenco, autore apprezzato in Francia, ambienta la vicenda subito al di là della frontiera, nella valle del Rodano, tra Chambéry e Lione, per rendere omaggio alla “efficientissima polizia francese”. Il cui dominus nella vicenda, il funzionario giovane che la seguirà e la sbroglierà è tanto duro nel mestiere quanto innamorato, dolce, della berlinese, vecchia conoscenza di questa primissima Europa dei giovani. 
Un romanzo, non un semplice giallo. Con capovolgimenti di scena ogni due pagine. E con tutto l’occorrente: fughe, inseguimenti, bugie, tradimenti, carte false, corse in autostrada nella Germania controllata da russi, e russi (con un omaggio all’Ucriana). C’è già pure il Modello Epstein, delle ragazze giovani e vergini vendute agli amici ricchi e potenti. Ma con personaggi a tutto tondo. Con polizie efficienti in mezza Europa. E con la patina del primo “Esramus” europeo: la voglia di viaggiare, in autostop, allora si poteva – succederà l’interrail, e poi l’Esramus propriamente detto. Con un intreccio, anche, d’amore, credibile, non di maniera. Tra un romantico maschio e la femmina disinvolta – un dato molto realistico, che la storia delle donne fa male a trascurare. Si direbbe un capolavoro del genere.
Pubblicato postumo nel1972. Scerbanenco, autore prolificissimo, di un numero sterminato di racconti, rosa, gialli e di ogni colore, e di una settantina di romanzi, compresi un  ciclo messicano, uno bostoniano (Arthur Jelling) e uno milanese (Duca Lamberti), era morto nel 1969 di 58 anni – dai quali bisogna sottrarre i primi, improduttivi, impiegati a emigrare dall’Ucraina a Roma prima e poi a Milano, senza padre, un professore di latino e greco ucciso nella rivoluzione, e con un  italiano problematico, senza studi, nemmeno le elementari, apprendista, operaio, conducente di ambulanze. Che non è una biografia all’americana, è – era stata – la sua squallida realtà. Nel 1943, finalmente approdato al “Corriere della sera”, il fascismo scrollò, e dovete cautelarsi,  come tutta la redazione, con un paio d’anni di “esilio” in Svizzera.
Giorgio Scerbanenco, Europa molto amore, Garzanti, remainders, pp.194 € 3,82