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sabato 8 dicembre 2007

Borrelli fa il milanese, ma il pool si dissolve

Con tatto, col tempo, con procedure normali, ma il “cuore napoletano” della Procura milanese cesserà presto di battere, il cosiddetto pool ex Mani Pulite. Dagli avvocati peraltro definito la “cellula”, la “cosca”, la “cupola”, variamente ma sempre in termini non lusinghieri. La decisione sarebbe stata materia di conversazione di Antonio Mancino, il vicepresidente del Csm, con parlamentari ex Dc a lui vicini, nella convinzione che il presidente della Repubblica, che formalmente presiede il Csm, non si opporrà.
L’orientamento viene giustificato con tre motivi. Il processo penale a carico del sindaco di Milano per le nomine è opinabile e poteva essere risparmiato. Le dichiarazioni già rese da Clementina Forleo, il gip milanese rimosso dal Csm, e quelle che sicuramente renderà, gettano ombre non dissolte sulla Procura, sia sul cosiddetto pool che sulla dirigenza. Le frequentazioni dell’ex magistrato D’Ambrosio, ora parlamentare diessino, delineano un pool di partito.
Le ultime due motivazioni si collegano indirettamente anche al disagio di molti ex Dc nel Partito democratico, ritenuto troppo centralista, o ex comunista. La convinzione di Mancino che il capo dello Stato non si opporrà nascerebbe invece dal disagio di Milano. Il flirt della città con la Procura, da qualche tempo indebolito, dopo la kermesse anti-Berlusconi, si è interrotto col procedimento a carico del sindaco per le nomine al Comune. Borrelli, il capo storico dei grandi magistrati napoletani a Milano, ha cercato di rimediare dando ragione a Letizia Moratti. Ma la procedura è ormai avviata, anche se non decisa. La severa critica che D’Ambrosio, altro capo storico dei napoletani, ha rivolto a Borrelli va letta alla luce di questi orientamenti. Con l’effetto più probabile di confermarli invece che, come D’Ambrosio può aver sperato, di bloccarli.

Luttazzi licenziato sul caso Milano

Non sono state le offese a Ferrara a determinare l’allontanamento di Luttazzi da La 7. Il motivo vero è stato il contenuto della trasmissione che doveva andare in onda oggi, e che secondo chi ha collaborato con il comico doveva riguardare anche il caso Milano (le nomine e le consulenze del sindaco Letizia Moratti) e il papa "tedesco". La decisione sarebbe stata presa dopo la comunicazione della scaletta della puntata.
Daniele Luttazzi non parla, tace anche il suo blog, indeciso se non gli convenga uscire ancora una volta da sinistra, sacrificato cioè per pressioni di destra. La 7 ha sospeso”Decameron”, la trasmissione di Luttazzi, e ha rotto il contratto col comico ieri, adducendo le “gravi offese” arrecate nella precedente puntata a Giuliano Ferrara. La precedente puntata era andata in onda una settimana fa, ed era stata replicata sulla stessa rete alle 24 di giovedì, poche ore prima del “licenziamento” di Luttazzi. Con una promozione notevole: la puntata dell'1 dicembre veniva accreditata da La 7 di 2,7 milioni di spettatori, un record storico, per l'ora e per una trasmissione di satira.

giovedì 6 dicembre 2007

Pausa a Trieste, fino a primavera

A una settimana dall’appuntamento, si rinvia la decisione sulla governance di Assicurazioni Generali. I soci francesi di Mediobanca hanno convinto l’amico Geronzi, che a sua volta ha dato indicazioni in tal senso a Vittorio Ripa di Meana, di stemperare le critiche al Leone sulla governance. La questione verrà discussa in privato nelle prossime settimane, e portata di nuovo alla ribalta nelle assemblee di bilancio in primavera.
La questione, solevata dal piccolo fondo Algebris, da null’altro deriva, come si sa, che dal desiderio di Geronzi di finire in bellezza al vertice di Generali. Sostenuto dall’amico Bazoli, che completerebbe la sua napoleonica conquista del grande capitale italiano. Sei mesi di surplace non sono quindi un grande spreco. Lo stesso Geronzi incontra qualche problema: neo presidente del consiglio di sorveglianza di Mediobanca, dovrebbe trovare un adeguato sostituto nel momento in cui approderà a Trieste, e ancora non ce l’ha.

Secondi pensieri (5)

zeulig

Asceta - È tutto corpo, è un fissato.

Ateismo – È un religione – diabolica: è un dogma.

Barbarie – Sempre la barbarie prevale sulla civiltà.
È così ce si abbattono gli imperi – e si ricostituiscono.
È per questo che non c’è progresso lineare, è una sommatoria, per la barbarie insorgente.
La civiltà è un accumulo, ma di residui.

Borghesia - È da sempre in crisi, senza idee, senza principi, senza animo. Da quando ha vinto la Rivoluzione e comanda il mondo. O da quando si fanno i romanzi, all’incirca la stessa data.
Gli autori dei suoi ridicolissimi romanzi, “Bovary”, “Il tempo perduto”, sono però abilissimi. La sua speciale capacità – la sua forza - è il ridicolo?

Chiese – Sono per il turismo, non per la fede. Ma attraverso il turismo – la cultura – la religioe rigurgita, seppure in modo tenue, dissipatorio. Ancora una volta ha torto Freud, “diffondete la cultura e si svuoteranno le chiese”: il turismo reintroduce nella cultura laica le chiese. E cioè, sotto forma di santi, storie, tradizioni e, per quanto ne può risentire un turista affranto, emozioni, la religione.

Classico – S’intende quello che ritorna, un revenant. Anche un rêvenant.

È la più geniale, fortunata, duratura costruzione della storia. Onesta ma imperiale. Culturale ma incisiva, e anzi hard: gli ordini dell’architettura, le proporzioni, la prospettiva, le grammatiche della filosofia, le leggi della politica e dell’economia, tutto questo è stato ed è ben consistente. È l’Occidente, che il classico ha inventato quale misura di se stesso. È due millenni e mezzo – retrospettivamente: classico è anche appropriarsi del passato, seppure con qualche problema (la storia è classico indefinito) – di storia universale. Occultando il semplice incontrovertibile fatto che l’Europa viene dall’Asia, l’Occidente dall’Oriente. Il che a sua volta non vuole dire nulla, è un semplice fatto evolutivo.

Contesto - È contestabile.

Coscienza – È l’altro lato del subconscio. Altrettanto inattendibile.

Deserto - È pieno di se stesso. Mette al centro se stesso e la solitudine cioè, scarnificando le illusioni. È vivo nel senso che scolpisce di ognuno il contorno – il deserto di sabbia come quello figurato..

Dio. È in effetti cosa da teologi, se c’è e come fa. Ma è anche la storia divina di tutti, compreso chi non esprime né merita un briciolo di eternità, il quale altrimenti non sarebbe che un ammasso di gas e d’acqua. È la storia, Napoleone compreso.

Non è buono. È povero, ignorante, stupido, cattivo normalmente – è in questo che la Bibbia ha ragione. È furbo, carrierista, egoista, duro quando è al suo meglio e più ha successo. La religione è un rimedio a Dio.
È umano. È solo umano, Lui stesso lo sa, che nella Bibbia si prospetta uomo, seppure in fieri.

È l’impossibilità.
L’impossibile è qualcosa che si vorrebbe – essere, avere, sapere. Dio è questa tensione, in questo senso è umano.

Sarà fuori dal mondo, ma nessuno che ci crede fa a meno di un suo figlio, un suo profeta, un suo compagno di merende.
Si collega al bene e al male e questo è male: bene e male sono cose tutte umane, incerte, mutevoli, perfino opportunistiche. Lo stesso l'onnimani, è un male. Dio è un derivato - nel senso tecnico, finanziario, della parola – di qualche poeta o lestofante in vena di regalità. Dio è un principio attivo, direbbe un farmacologo.

Ironia – È conservatrice: non rivolta, disinnesca la rivolta.

Media – Sono sempre più parte dell’apparato repressivo e non dell’opinione pubblica.
O l’Opinione è apparato repressivo? Tanto più duro per essere subdolo – avvertito, flessibile.

Opinione pubblica – Ma è la realtà virtuale!
Altro che coscienza vigile della nazione, democrazia, libertà! È finzione. È più spesso sopraffazione, del più dritto (capace) ma anche del più potente e del più ricco.
È il fascismo contemporaneo. Non manesco, ma altrettanto violento e invadente.

Preghiera – S’indirizza in realtà a sé stessi e agli altri, non a Dio. La divinità ne è un punto di forza, m chiedere si può solo a sé e agli altri, individuati e indistinti.
È consolatoria perché è propositiva. È un proponimento.

Scoperta - È riconoscersi. Si fa per immedesimazione. Con un ambiente, una persona, un’opera d’artista.

Tempo - È la paura della morte – è un metronomo, che batte la morte.
In altri orizzonti di passaggio, nelle stelle, nei fiori, nella durata cioè e nell’effimero, lo stesso tempo e lo stesso mondo si caricano di ebrietà. Sicuramente non ci piacerebbe morire in poche ore, e nemmeno durare per un’eternità, come i fiori e le stelle, e tuttavia non ne ricaviamo un’accentuazione della paura che ci incute il tempo terribile. Al contrario, è come se l’effimero e l’eterno si sgravassero di questo sgradevole incumbent. Ci liberano dalla pura della morte, che è scadenza, a tempo.

zeulig@gmail.com

Milano è sempre meno Napoli

C’è un magistrato napoletano, Antonio Patrono, a capo della sezione del Csm che ha allontanato Clementina Forleo da Milano, ma l’impressione è sempre più netta che Milano si vuole distinguere dai “napoletani”. Dai brillanti magistrati della Procura di Borrelli che in questi vent’anni l’hanno rivoltata come un calzino, come si è espresso uno di loro. L’ottimo napoletano D’Ambrosio, che ogni pochi giorni fa delle riunioni riservate con i suoi compagni napoletani, e conviviali con i napoletani simpatizzanti. Le inchieste sulla Moratti e su Penati. La mancata archiviazione delle inchieste su Moratti-Saras e su Telecom-Tronchetti Provera. E più in generale un atteggiamento troppo brillante. Sono tanti i fatti e gli umori che non quadrano più a una Milano solidamente confessionale. La Procura napoletana s’è incuneata nel vuoto di potere tra la Milano laica, di Cuccia, di Greppi, di Aniasi-Craxi, e quella che attorno alla Cariplo e all’Ambrosiano ha ricostruito Giovanni Bazoli. La sua stagione sarebbe quindi conclusa.

Per chi vota Forleo

La giudice Forleo esce dal Csm apparentemente sola. E l’unanimità in effetti c’è stata, contro di lei: instabile, eccetera. Ma più peserà questa unanimità, in un covo smaliziato, per così dire, qual è il Csm, sul futuro del Partito democratico, anche se più su quello di D’Alema e della tecnostruttura dei vecchi Ds che su quello di Veltroni. Perché la Forleo viene cacciata da Milano per le intercettazioni, che sono state e sono patrimonio di certa sinistra ma non si devono applicare ai Ds, e perché lascia a Brescia sei ore di dichiarazioni su cui, malgrado la parola d’ordine del silenzio, non sarà facile non pettegolare.
Il fucile non appare puntato, malgrado lo spirito polemico, dalla stessa Forleo. La quale sembra trovare difficoltà alla discesa in campo politica: molti la vedono in An, ma non è possibile, osta il giudizio positivo sul terrorismo islamico. I suoi argomenti sono però ghiotta materia per gli amici di Veltroni nello stesso Partito democratico. Sui gruppetti politici della Procura di Milano. Sulle inchieste che d’improvviso si fermano, dopo un pranzo con D’Ambrosio, certo casualmente. Sul galantuomo Guido Rossi, che denuncia Unipol per l’affare Bnl e poi difende D’Alema. Sulle pressioni politiche, cioè diessine, sui magistrati. Rivelazioni che, è scommessa facile, sono solo all’inizio. Anche se nella fattispecie non ci sono intercettazioni: i magistrati si abbaiano molto ma non si mordono realmente.

Alfa-Mercedes? Napoli indifferente

Chiudere Pomigliano per due mesi per un corso d’efficienza è il segno più tangibile del degrado di Napoli, che non è tanto materia di droga e di camorra quando di cattiva ideologia e mala amministrazione – la malvivenza c’è dappertutto, diventa regola se è la regola del suo tessuto sociale. L’operaio di Napoli è sempre stato professionale, per molte aziende, pubbliche e private (Ibm), il più professionale: rapido, attivo, produttivo. Finché non è intervenuto un certo sindacalismo, con la cultura politica del “non faticare”, che ha voluttuosamente accompagnato la deindustrializzazione dell’area napoletana e il passaggio al terziario. E la Fiat vi trova oggi la sua maggiore area di sofferenza.
Il gruppo torinese, che ha molto investito su Napoli, spostandovi tutta l’Alfa Romeo, la sua area di produzione medio-alta, raddoppiando l’occupazione in un quindicennio di dimezzamento complessivo del personale, dai poco meno di 4.000 ereditati dall’Alfasud a 7.500, non rinuncia e anzi rilancia. Tenere ferma la produzione per due mesi, per mandare i lavoratori a scuola di efficienza, è un grosso investimento. Da cui evidentemente si attende dei risultati. Che non sono però da considerare scontati. L’obiettivo della ristrutturazione è il raddoppio della produzione e – secondo l’ottima informativa di Salvatore Tropea su “Repubblica” – la produzione di componenti per conto della Mercedes. Dal punto di vista industriale è un forte rilancio, ma non dal punto di vista sindacale. Non necessariamente, non a Napoli: qualsiasi altro territorio farebbe faville per assicurarsi una produzione industriale, in Europa, in un settore maturo, con così forti prospettive di sviluppo, Napoli s’interroga. Cioè non s’interroga, non le interessa, non ci sono capitoli speciali da spendere, appalti, affarucci. Meglio il "Vulcano Buono" di Nola: in un centro commerciale, sotto la bandiera di Renzo piano, ci sono soldi per tutti, quello è un impegno per tutti.

Geronzi apre il salotto a Berlusconi

Direttamente tramite Fininvest, e indirettamente, tramite Mediolanum, Berlusconi diventa socio di Mediobanca. Cesare Geronzi ha già il gradimento degli azionisti storici del gruppo. Fininvest-Mediolanum avrà una quota del 9 per cento messo in vendita da Alessandro Profumo, la partecipazione ereditata da Capitalia. Non una quota di primo piano, attorno al 2,5 per cento complessivo, ma alla pari dei Benetton, altri nuovi entranti.
La decisione di Profumo di ridurre la quota Unicredit all’8 per cento storico ha consentito a Mediobanca di ritornare il salotto della finanza buona che era sempre stata ai tempi di Cuccia. Accanto alle famiglie storiche del capitalismo italiano, e alla miriade di piccoli di cui aveva voluto circondarsi Cuccia per dimostrare che Mediobanca è un’istituzione aperta, entrano finalmente i nuovi entranti del grande capitale – si fa per dire, stanno su piazza da trent’anni buoni.

I tre colpi in uno di Bertinotti

Che l’Unione, il centro-sinistra confuso di Prodi, sia esperienza esaurita Bertinotti non ha fatto che constatarlo. Si sciolgono e si ricostituiscono i vecchi partiti in forma di movimenti, quello di Veltroni, quello di Berlusconi, e Bertinotti ne prende atto. Poteva non farlo, lasciar vivere il governo. Ma questo non è detto, il governo può ancora durare quell’anno-due che comunque sarebbe stato il suo orizzonte. Mentre Bertinotti coglie tre frutti forse insperati: il ritorno al proporzionale, la costituzione di una vera area di sinistra, invece dei trucioli sparsi del Pci e del Psi, la sua personale elezione a statista, il politico che riconosce i dati di fatto e i rapporti di forza. Un vero politico costituzionale, quasi presidenziale. Per questo fa ombra a Lor Signori, anche giornalisticamente, e non è diventato materia di talk-show, fondi, curiosità, pettegolezzi. Ma in politica i fatti pesano, lo scongiuro non può molto.

lunedì 3 dicembre 2007

Primo, non apparire deboli

Prodi e il decalogo andreottiano: come e perché il Proferssore, sempre isolato e sul punto di soccombere, è il più forte di tutti.
La base della politica è non apparire deboli – della politica del mentore Andreotti e non solo (Andreotti che era debole, debolissimo, fu sempre solo, ma fu sempre temutissimo, tuttora lo è). Avviato alla politica da Andreotti, come giovane ministro quasi tecnico per un’estate trent’anni fa, Prodi si attiene alla linea del maestro in almeno dieci punti. Resisterà Prodi, non resisterà, gli scienziati della politica stanno facendo calcoli che non tengono conto dell’essenziale, Prodi non si pone insostenibili traguardi. Dorme bene la notte, sapendo che l’indomani la provvidenza avrà provveduto. L’importante è tenere i malintenzionati al guinzaglio.
Ecco i dieci punti:
profilo basso, sempre la stessa casa, sempre la stessa moglie, qualche passeggiatina (Andreotti andava pure in vacanza dalle suore);
fare partito da solo;
collaboratori di poco conto;
di fedeltà reciproca;
ministri di poco conto;
progetti vaghi: non confidarli, non elaborali;
fare e non dire;
aspettare e non prevenire;
ma reagire fulineamente;
negare l’evidenza: le cose s’aggiustano.
Resta fuori dal decalogo l’abbraccio, quasi adesione, al nemico: i fascisti prima, i comunisti dopo. Tutto questo ora non c’è più, ma resta che il fulcro di questa politica è farsi alleati i nemici, per sconfiggerli nell’abbraccio. Andreotti, che nel 1972 divise i neo fascisti portandone alcuni al governo, fu il primo nel 1974 a legarsi a Berlinguer nel compromesso storico, denunciando alcuni golpe di destra, per poi umiliarlo in ogni modo: governicchi poco rappresentativi, inefficienti, inutili, liberazione di Kappler, l’uomo delle Fosse Ardeatine, sterilizzazione della scala mobile, il ticket sui medicinali… Alla fine Il Pci perse per la prima volta in venticinque anni le elezioni, quattro punti in meno nel 1979.
Oggi l’agguato sarebbe secondo questa scuola, più che a Berlusconi, di cui il Professore non fa che sorridere, all’amico e alleato Veltroni – in termini proverbiali si direbbe: a chi ha più benzina, più fieno in cascina, più tenuta, più…

Pirelli & C. contendibile

Prima il dividendo straordinario esentasse, poi il buy back, e terzo, se necessario, l’apertura del gruppo alla contendibilità. Dissolta nella zavorra Telecom la sua aureola di mago dei soldi, e anzi umiliato da Prodi e De Benedetti che Telecom gli hanno sottratto a vile prezzo, così lui la pensa, Tronchetti Provera tenta di rifare la macchina dei soldi con Pirelli & C. Il business va bene, e il riacquisto di tutte le quote di Pirelli Tyre non è da escludere. Ma non è col business che si fanno scintille. Mtp vuole rinverdire la giovanile baldanza di dieci anni fa, del superaffare Corning, e poi di Telecom, dal suo piccolo scranno a capo del gruppo di famiglia. Dove ha soci di tutta fiducia. Ma è con un altro occhio che ora guarda al gruppo, non più quello del padrone geloso: le banche sono avvertite e i fondi. È attraverso la sua Camfin che Mtp potrebbe allargare le maglie sul gruppo Pirelli. Camfin ne ha il controllo solido: ha il 44 per cento del patto di sindacato, che controlla il gruppo col 46,2 per cento, più un altro 6 per cento in appoggio a questa quota. Una terza quota del 3 per cento sarebbe alienata da Camfin su questa partecipazione extra-patto, in aggiunta a quelle già detenute da Amber Capital e Centaurus Capital, in modo da portare, seppure solo simbolicamente, il controllo Mtp su Pirelli & C. sotto il 50 per cento.

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (9)

Giuseppe Leuzzi

Antimafia. Un gentiluomo di Seminara recita in casa e in macchina, a beneficio delle microspie, la sceneggiata di come, spendendo il nome riverito di suo padre, sia riuscito a mettere pace tra i due clan mafiosi di San Luca in asperrima guerra. Non rischia nulla, solo di essere definito mafioso, ma la collocazione è da tempo acquisita e semmai si tratta di uscirne – ottenerne i benefici - con la collaborazione.
La sceneggiata ha parecchi buchi. Identifica San Luca con Polsi, mentre sono due località distinte e distanti. Propone una mediazione senza capo né coda. A clan ben più potenti, lontani ed estranei. Dei cui convitati, al pranzo della riconciliazione, dà i comunissimi cognomi. Beneficia della meraviglia del figlio, che il tragediatore s’è portato dietro, a tanti “nomi eccellenti”, ma l’ingenuità dell’adolescente non cancella il senso di falso dell’intercettazione. Il summit si celebra con un pranzo, almeno così pare, in cui ognuno paga per sé. Tutti sono contenti, ballano e saltano - "gli Strangio, i Pelle, i Giorgi e i Nirta" - e cantano "la canzone inno della Madonna della Montagna di Polsi". Per il gusto della sociologia, che affascina i pentiti, il superuomo di onore ha sbriciolato dall'inizio ogni sua autorità di mediatore: a San Luca è gente di polso, Seminara invece è "piena di porcherosi che rubano casa per casa”.
Un summit di mafia dove si paga il conto è da ridere. Mentre si sa che la 'ndrangheta purtroppo non è ridicola. L’intercettazione è però servita a mettere fuori causa il parroco di San Luca e il vescovo di Locri, e questo basta: non sentiremo più parlare di don Strangio e monsignor Bregantini. Opportunamente l’intercettato cita i due reverendi come testimoni del summit e della pace mafiosa, benedicenti – dicono pure “shalom!”. I due preti, che pure sono del fronte antimafia, evidentemente stanno sulle scatole a qualcuno dell’apparato repressivo.
È questa la lotta alla mafia in Calabria. È questo che vi fa più forte la mafia, la lotta alla mafia.

Spiegava un anno e mezzo fa al giornalista Peppe Racco del periodico calabrese “La Riviera” il magistrato Roberto Di Palma, Sostituto Procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria: “Sono stato a Palmi nove anni e, per mio puro diletto, ho annotato i nomi dei magistrati che in quei nove anni sono arrivati e poi sono andati via. Circa 103 o 104”. A proposito di certezza della pena il dottor Di Palma portava l’esempio di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti: “Prima udienza a Palmi febbraio ’94. Oggi stiamo ancora celebrando il processo. I fatti sono accaduti nel 1990”.
Il giudice incute timore. Istintivamente, per il rispetto della giustizia. Che è il fondamento dell’umanità, l’ambizione della filosofia, l’oggetto del socialismo. Ma in realtà i giudici sono un’altra cosa: sono funzionari litigiosi. L’orizzonte hanno limitato, alla giurisprudenza e al leguleismo, l’argomentazione per se.

La vera questione morale è la stessa questione morale: per come viene posta cioè, per le sue finalità, peraltro non celate, e per come viene gestita. Sempre selettiva, quasi sempre intimidatoria, e mai risolutiva, tant’è vero che si aggrava.
La militanza non giustifica la discriminazione e la sopraffazione. La questione morale non peggiora per colpa del popolo bue, che non ne è coinvolto e poco ne sa, ma perché è perversa.

“Basta vivere qualche tempo in Sicilia per constatare che i legami di clan possono assorbire completamente i legami statali”. È un inciso in un’opera lutulenta, poco registrata, di Ernst Jünger, “Der Arbeiter”, § 77. Ma lo scrittore, che in Sicilia c’era stato, ha ragione. Lo Stato in Sicilia, fino al Sistema sanitario nazionale, era i carabinieri, scuola compresa. Poi, insieme con l’SSN poco meno di quarant’anni fa, lo Stato è diventato una cosa dovuta: il posto, l’assegno, l’appalto.
Dal Dominio all’Anarchia, direbbe Jünger: non c’è il passaggio intermedio, della Legge. Ma clan è la parola più appropriata della sintesi di Jünger, non si tratta solo di cosche e di mafie: il passaggio intermedio della Legge non c’è nemmeno a palazzo di Giustizia.

Osserva Nazzareno, a torto soprannominato lo Stolto: “C’era onestà, serietà, dignità. Ora anche il tempo è insofferente, le bestie, le piante: non sanno come rigirarsi”.

Sudismi\sadismi. 30 gennaio 2006. Si condannano a pene lievi, con tante scuse, o si assolvono, gli Ali Misbah, combattenti dichiarati di Al Qaeda, con tanto di arsenale in cantina, superconti in banca, batterie telefoniche. Quando non li si dichiarano resistenti. Non c’è verso che il terrorismo entri nel codice dei giudici italiani, perché essi sono “impegnati”, lavorano cioè per la giustizia contro lo sfruttamento. Ma se uno è meridionale basta niente, una semplice lettera anonima, per mandare in carcere, condannare, e comunque distruggere, per concorso esterno in associazione mafiosa in mancanza di meglio: gli stessi giudici giustizieri in questo caso sono inflessibili. Per la ragioni equivoche dell’antimperialismo, certo. Per il misoneismo della giustizia anche – nulla di più incartapecorito di un giudice in Italia: fra cent’anni condanneranno anch’essi i terroristi. Ma anche per un razzismo diffuso. Tra gli stessi giudici di estrazione meridionale: si fa carriera solo con i pregiudizi. La giustizia?

Si sarà processato Andreotti per “dimostrare” che non era colluso con la mafia, via Salvo Lima. Non vedeva e non sentiva. Anzi, non ha mai incontrato un mafioso, nemmeno accidentalmente.
La storia recente si può anche sintetizzare così. Partendo dalla stupida guerra di Palermo a Andreotti, per esempio. Con 120 mila carte. Che, ammettiamo che siano pagine, sono comunque più della Treccani, che nessuno ha mai letto né può leggere. A meno che non volessero erigergli un monumento.
Andreotti, essendo un politico, è andato a caccia di voti. Che sono buoni di chiunque, anche del diavolo. E i voti si trovano soprattutto in Sicilia e a Milano, dove ci sono più elettori. In Sicilia Andreotti ha trovato Lima, il voto già fatto. A Milano si è imbattuto in un fronte compatto, di no. E sì che ci ha tentato: con la chimica dei pareri di conformità, migliaia di miliardi regalati, con Sindona, con Stammati alla Commerciale al posto di Mattioli, con Ciarrapico mediatore. Finché non vi si è sciolta misteriosamente la Dc, con gli ometti di Mani Pulite, quando tutto si è saputo della tangente Enimont. Gestita da Bonifazi, imprenditore andreottiano. Ma pagata dal solito socialista, nella fattispecie uno specialissimo, Craxi, capro espiatorio della cattolicissima tragedia. Da cui il solo Andreotti è andato misteriosamente indenne. Dopo essere stato battuto, dalla Dc e da Craxi, nelle legittime aspirazioni presidenziali.

Pasolini è a Pescasseroli con Ninetto Davoli sedicenne, che per la prima volta vede la neve (“Empirismo eretico”, § “Appunti en poète per una linguistica marxista”). E il divertimento del ragazzo, “il Ninetto di adesso a Pescasseroli”, gli viene da collegare “al Ninetto della Calabria area-marginale e conservatrice della civiltà greca, al Ninetto pre-greco, puramente barbarico, che batte il tallone a terra come adesso i preistorici, nudi Denka del Sudan” - per Pasolini sempre la Calabria è Africa.
Si sa che Pasolini ha la tradizione in grande stima. Ma per gli sfigati, che vedeva primitivi. Pasolini aveva un senso molto vivo dell’altro, e molto riduttivo.

Croce e Giustino Fortunato Gramsci disse “i reazionari più operosi della penisola”. Voleva essere un’ingiuria ed è un complimento. Al confronto col Pci cioè, che al Sud ha portato solo propaganda, per una sorta di “voto di scambio” nazionale, non ha cresciuto nulla.