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sabato 12 settembre 2015

Ombre - 283

Chi aveva aperto le frontiere le chiude. Chi le aveva chiuse le apre. E gli Usa si prenderanno 10 mila siriani. Che gara, farsi la pubblicità con gli immigrati.

Tra i genitori di Marta Russo , che non si accontentano della condanna e perseguitano l’assassino, e l’assasino, uno prova più simpatia per quest’ultimo. Dov’è il male?

Vero è che Scattone è stato condannato probabilmente innocente. Senza testimoni, senza arma, e senza movente. “I testi sono tutti alquanto ballerini”, ricorda un cronista colpevolista, Goffredo Buccini. Idem le perizie, “così contrastanti da lasciar aperta l’ipotesi alternativa di un colpo partito da un’altra finestra”. Il movente è Nietzsche, il, superomismo. Dopo “la pessima incbiesta che, sotto l’enorme pressione dell’opinione pubblica, la Procura di Roma ha messo in piedi”.

Nel processo Marta Russo l’accusa prospetta l’omicidio volontario. L’accusa non regge, ma i giudici non vogliono assolvere, e s’inventano una sentenza “dimezzata”, con lo sparo per errore. L’inventore della sentenza “dimezzata” è Giancarlo De Cataldo, lo scrittore di gialli inventore del “romanzo criminale” di Roma. Chissà dove De Cataldo situerebbe la sua sentenze nella sua opera. 
La superteste Alletto fu sottoposta a tredici interrogatori, finché non fece il nome dei due assistenti universitari, Scattone e il coimputato.

Da Vespa scopriamo che il Casamonica del funerale non era un delinquente. Non è possibile: Marino in prima persona, più innocente che mai, e tutto il Pd insorgono: bisogna cacciare Vespa, che alla tv ha consentito ai figli del defunto di dire la verità.

Abominio su Vespa, che non ha osannato né omaggiato nessun criminale, e lode perpetua, allora a oggi, a Santoro e Biagi che ne celebrarono, sempre alla Rai, “servizio pubblico”.  di incalliti e non pentiti.

Non manca al carnevale dell’assurdo Rosy Bindi, forse la politica più assurda in circolazione. Una che non ha un voto – lo mendica in Calabria.  E come apporto intellettuale ha le vendicatività. Fino a usare la commissione Antimafia per i suoi personali rancori. Incredibile se non fosse vero. Poi dice che la sinistra si astiene dal votarli.

Guido Olimpio fa, con i dati del Pentagono, un quadro autopunitivo dell’ “impegno” occidentale in Siria e Iraq.: 6.600 bombardamenti in un anno, dall’8 agosto 2014, 23 mila bombe e missili, 23 mila missioni di rifornimento in volo - si parte da retrovie lontane, per evitare i pericoli. Per una spesa di quasi 4 miliardi di dollari, 10 milioni al giorni, la metà dei quali in missili, razzi e bombe. Con effetti zero. Non sui luoghi e le popolazioni colpite evidentemente, le bombe fanno male, i missili pure, ma a nessun effetto militare o politico.

Una guerra costosa e inefficace all’Is, dunque. Malgrado il “successo dell’intelligence”, afferma Olimpio, “che ha violato il sistema di sicurezza dell’avversario ed ha contato su buone formazioni”. Che ne sarebbe stato senza, allora?

“La Germania è in grado di assorbire 500 mila profughi l’anno per parecchi anni”, dice il vice-cancelliere socialista della Germania Gabriel. Finora non l’ha fato, e non lo farà. Ma subito l’ipotesi è diventata certezza per i giornali italiani. I giornali italiano non sanno più distinguere tra ipotesi e possibilità? Ma allora perché comprarli?

Cinquecentomila profughi l’anno per venticinque ani, cioè alla seconda generazione, significherebbe una Germania demograficamente non più tedesca. Impensabile e forse non auspicabile, per gli stessi profughi – perché abbandonare il proprio paese per una succursale lontana? L’emigrazione è alla ricerca di integrazione, di assimilazione: si vuole sopravvivere, e possibilmente affermare la propria individualità, assimilandosi. Gabriel vuole fare il bello, in gara con Merkel, capo dei democristiani, o che?

Jennifer Cramblett voleva un figlio bianco, con gli occhi azzurri e i capelli biondi. Non per altro, dice, perché somigliasse al figlio che la sua compagna già aveva. La banca del sene glielo ha garantito, ma poi il figlio è venuto nero – nera, è una figlia. La gentildonna (gentiluomo?) gira le tv Usa, a pagamento, per garantire che ama questa sua figlia, ma vuole un rimborso di 50 mila dollari dalla banca del seme per l’errore. Chi avrebbe mai concepito una storia del genere?

Il giudice ha dato torto a Jennifer Cramblett: la figlia è sana, e tanto basta. Chissà se in America si può fare ricorso fino in Cassazione. La bambina da grande potrebbe avere appigli a cui aggrapparsi per digerire la sua storia. Sua madre dice che, essendo nata nera in un ambiente bianco, sarà destinata a essere infelice. Più di cosi?

“Cantore spara a zero sul Csm: «Un  centro di potere vuoto»”. Come vuoto? È strapieno. E poi lo paghiamo caro.


Corrado Passera spiega, e lo scrive anche, che privatizzare le Poste è un errore e uno spreco – spreco enorme. Soprattutto se la valutazione è quella corrente. E niente: tutti zitti, Consob, Autorità anti-corruzione, governo, giornali.  

Quando non era nato il mito della ‘ndrangheta

Una mancanza è quello che più si nota di questa lunga serie di articoli, inchieste e riflessioni che Berto ha dedicato alla Calabria dal 1948 al 1976, due anni prima della morte: l’assenza delle mafie. Questo lungo atto d’amore per il paese nel quale scelse di vivere è pieno di dubbi e anche invettive. Per una incoercibile inerzia e neghittosità, in aggiunta a un fondo di malinconia, che Berto per trent’anni, si può dire giorno dopo giorno, non si spiega. 
La tristezza del Sud, che lo assedia fin dal suo primo viaggio di scoperta, “appena lasciate indietro Napoli o Salerno”, non lo abbandona più: quegli uomini vestiti di nero con le barbe non rasate “sembrano una viva rappresentazione del dolore e della fatica di vivere”. Un mondo che esclude: “Uno si sente separato da loro, in un modo che esclude perfino la comprensione e la pietà, perché non ha nessuna voglia di entrare nella loro forma di convivenza, che si indovina chiusa, gretta, senza gioia”. Un mondo allora contadino, in realtà, come nel Veneto natale di Berto, che però lo scrittore non conosceva.
C’è anche il proprio del Sud: il sottogoverno diffuso, e l’abuso, edilizio, dei fondi pubblici, dell’ambiente: Di questo soprattutto: un tesoro, Berto insiste pagina dopo pagina, che non c’è calabrese che non si applichi a dilapidare. E c’è la violenza, inattesa, inspiegata. Ma non le mafie. “Il profondo Sud”, una conferenza tenuta a Reggio il 6  gennaio 1968, un lungo elenco di insufficienze, non le cita nemmeno. Quella di Berto è, ancora nel 1976, una Calabria non schiacciata sulla ‘ndrangheta. Non in forma organizzata e nemmeno come violenza spicciola. Non c’è perché non c’era
Berto è il grande dimenticato del Novecento. Di cui scrisse alcuni dei capolavori, “Il male oscuro” certamente – contemporaneo e forse anticipatore del migliore Thomas Bernhard. Ma le mafie in questa sua Calabria, terra di molti abusi, non c’erano.
È la conferma di una verità. La verità che uno trae, seppure per esclusione, da questa lunga testimonianza, dettagliata, insistita, è che le mafie sono nate in Calabria con la degenerazione della Repubblica – tra gli ultimi anni 1960 e i primi 1970. Manovalanza di molta politica, Pci compreso, sotto l’occhio per questo tollerante dei Carabinieri, dappertutto dove c’era un minimo di risorse di cui appropriarsi, terreni agricoli, appalti, commerci, riscatti – e poi, dopo cioè, il malaffare propriamente detto:  azzardo, usura, droga.
Una raccolta affascinante, forse le cose migliori che si siano scritte nel dopoguerra “sul sud”. Anche se è tutta un unico articolo: la Calabria è il mare, il mare è bellezza – utilizzata poco e male, e più per mortificarla o distruggerla. 
Giuseppe Berto, Il mare dove nascono i miti, Monteleone, pp. P. 258 € 13

Secondi pensieri - 230

zeulig

Corpo – Resta ignoto alla filosofia, l’animalità. Dal tempo delle cosmogonie, che la ritualizzano.
L’animalità resta, più o meno volutamente, pitagorica. Da evitare se non da esecrare. Foucault vi si è avventurato, ma circuendola nella giungla dei saperi.

Fede – “Un brancolare nel buio” la scrittrice Flannery O’Connor vuole la fede “veramente cristiana”. Da intendersi dunque nel senso di una ricerca avventurosa, anche se costante. Una spinta e non una meta. Dà anche il senso dell’ateismo professo?

Globalizzazione – È della cultura (linguaggi, comunicazione, tendenze) più che delle armi e del commercio. Questi, gli interessi economici e difensivi, rimangono per l’essenziale diversificati:nazionali e concorrenziali. Globali e uniformi (informi) sono le arti, la scrittura compresa, le ideologie (non le politiche), le paure. 

Irreligione – È in sospetto a Rousseau, più scopertamente nella “Professione di fede del vicario savoiardo” – quindi in occasione della ri-conversione al calvinismo, ma sempre professando la religione naturale: “L’irreligione, e in generale lo spirito ragionatore e filosofico, attacca alla vita, effemina, avvilisce le anime, concentra tutte le passioni nella bassezza dell’interesse particolare, nell’abiezione dell’io umano, e scalza insensibilmente i veri fondamenti di ogni società”.

Lingua – “La lingua è più del sangue”, di Franz Rosenzweig, ribadita da Hannah Arendt nella celebre perorazione della “lingua madre”, è evidentemente un esito storico, di un pensiero tedesco che si riteneva immune al nazionalismo – benché lo praticasse in maniera costitutiva - e ancora di più al razzismo, in teoria sconosciuto alla filosofia. Ripreso dopo la guerra e lo sterminio – Rosenzweig da Klemperer – è un legame che va contro ogni storia. Un legame di sangue? No, l’ebreo non è tedesco, anche l’ebreo tedesco – anche l’anti Gershom Scholem, anche cioè l’assimilato senza riserve. Per quanto, non si può dire: la razza è volubile – a lungo i tedeschi si vollero greci. Ma come il legame culturale può essere più forte del sangue, nella differenza se non nell’esclusione?

Male – Il nodo della “giustificazione di Dio” - perché il male nel mondo? - si scioglie per il fatto semplice che il male ne è l’assenza. Anche se, anzi specie se, i suoi perpetratori si richiamano a Dio.  Il male è l’assenza di Dio. Bene e male non sono l’evocazione del bene e del male, l’uno angelico l’altro luciferino, ma la sostanza della cosa: il rispetto della – l’immedesimazione nella – legge,  dei comandamenti, dei fondamenti etici e umani. In quanto evocazione si può anche avere il bene collerico e cattivo o punitivo,. “luciferino”, e il male sdolcinato. ,

Natura – “Davanti alla furia del mare\ tutti i sogni sono inutili”, dice Neruda. Lo stesso Cioran, quando scoprì le galassie: “Ho saputo stamani che ci sono miliardi di galassie, ho rinunciato a fare toilette”. C’è una riserva nei suoi confronti anche tra i letterati, cui pure si deve la sua magnificazione col romanticismo: in genere non ne sanno nulla, salvo appunto sorprendersene.

“Appartengo alle foreste e alla solitudine” è il messaggio del tenente Glhan, il protagonista di Knut Hamsun, “Pan”. Ma la natura, in sé, non sta meglio sola che con l’amante delle foreste?  Che per il solo fatto di aprirsi un sentiero, costruirsi un riparo, accendere il fuoco, mangiarne le erbe e gli animali, la viola. E tanto più se tutti gli uomini, come si vuole auspicare, appartenessero alle foreste.
La natura vuole temperanza. Il rapporto con la natura – la natura-natura in sé è intemperante, irrispettosa anche delle stagioni.
 
Nomadismo – S’accompagna al canto e al ballo, in tutte le espressioni note - anche in Australia secondo Chatwin, “Le vie dei canti”. I Casamonica, benché stanziali da tempo, hanno lo stesso bisogno?

Originario – È concetto spurio - meno vero – specie nel senso prevalente di integro, mondo, puro: ogni origine è composita. È la creazione originale? Avviene anch’essa in un contesto, sia pure solo divino, e obbedisce a un disegno.
Poiché esiste il concetto, ci sarà un’origine, un fatto originario senza più. Ma è impensabile, impossibile concepirlo. Anche come casualità, accidentalità: è sempre un combinato di più fattori, alcuni (accidentalmente) prevalenti. Il mondo pende più verso l’eterno che verso l’inizio.

Sovranità - Forza, potere e autorità, Passerin d’Entrèves lo spiega, fanno “la dottrina dello Stato”. La mafia, che non ha studiato, lo sa.
O si prenda l’America, gli Usa. Si può violentare la madre, con qualche merito, in America ma non criticare la nazione. È la sovranità, l’Auctoritas, che l’America realizza nel modo più pieno, e anzi in eccesso. Auctoritas che, Alessandro Passerin d’Entrèves insegna, è chiesastica, ed è la base della libertà. Che non è essere Dio, l’uomo è limitato, tanto più un manovale con poco mestiere. L’uomo non è libero alla nascita da questo punto di vista, la libertà è solo condivisa. E viene così la nazione, la famiglia di storia, lingua, modo d’essere.

La patria è la forza, accanto alla religione, Tocqueville va aggiornato. È chiaro che entrambe hanno Dio con  sé. La Provvidenza, si diceva nell’Ottocento, cioè un Dio ancillare, come stabilì il giornalista democratico John O’ Sullivan nel 1845: “Nostro destino manifesto (è) diffonderci nel continente assegnato dalla Provvidenza al libero sviluppo dei nostri milioni di abitanti, che si moltiplicano di anno in anno”, per giustificare l’annessione del Texas e dell’Oregon.

Storia – Inizia con Dio.
Inizia con l’esodo di Abramo da Ur, secondo l’ultimo Eric Voegelin, “Ordine e storia”, in sei volumi ora tradotti ma risalenti a sessant’anni fa. Nel mondo ellenico l’uomo cercava Dio, nel mondo ebraico Dio cercava l’uomo: la storia comincia, dice Voegelin, quando l’uomo accetta Dio come colui che lo cerca – “Senza Israele, non ci sarebbe stata storia, ma solo l’eterno ritorno della società in forma cosmologica”..
Sembra una tesi etnica. Ma non c’è dubbio che la storia comincia con Dio.

Volk È il rivelatore, semplice e netto, del nazionalismo radicale, alla radice e a contorno del nazismo, che ne fece uso generalizzato, come documenta Klemperer in “LTI, la lingua del Terzo Reich”. Volk  come comunità di popolo esclusiva, quello che poi si dirà etnocentrismo. Sempre nondimeno connotazione esclusiva, nella terminologia germanica fino al 1945: festa di popolo, comunità di popolo, popolare, compatriota, con l’esclusione dell’estraneo al Volk. Il frequente ricorso in filosofia, non solo in Heidegger, non ne fa una filosofia nazista, ma nel nazismo trova il suo coronamento. Per l’eccezione Kant, si tende a leggere la filosofia tedesca come astrattamente razionalista e cosmopoliticamente nazionalista, mentre fu all’origine dei primati nazionali e ci ha convissuto con intenzione fino alla fine del Terzo Reich.

zeulig@antiit.eu

La storia bella e inutile

Dedicato a Aby Warburg, per l’abusato concetto delle Pathosformeln, le formule del pathos, le incrostazioni - che si ritrovano qui e là nella trattazione, dentro e fuori contesto, “immagini viaggianti”. Di cui la ricostruzione-definizione è sempre interminata. Delle Ur-formeln si dovrebbe dire, in qualche modo modelli originari, e allora apparirebbero più belle concettualmente , ma di poco aiuto. Magari prive del loro primo (“originario”) significato iconografico, viaggiano come “formule” da riempire di pathos. Campo di esercitazione ermeneutica.
Ginzburg vi si diverte e diverte. Cinque storie raccontando in immagini di terrore o paura. Alcune note (“Guernica” di Picasso, il manifesto di Lord Kitchener che nel 1914 intimava agli inglesi con l’indice di arruolarsi, il “Marat” di David), altri meno (il frontespizio del “Leviatano” di Hobbes, una coppa d’argento del 1534 con scene del Nuovo Mondo). L’editore lo presenta come un libro di immagini. Una guida per capire, imparare a decrittare le immagini da cui siamo assediati (computer, tv, muri, giornali). E anche per difendersi, poiché le immagini sono anch’esse strumento di potere, e aggressivo.Tante cose insomma ma, come sempre, Ginzburg è vero e non vero. Per l’uso libero delle fonti, che in “Rapporti di forza” teorizzava spregiudicato: le fonti non sono finestre, né muri ovviamente, sono vetri, deformanti. A uso dello storico. Quasi pretesti. La coppa di Anversa di orefice fiammingo gli si è rivelata a Monaco, intravista casualmente al museo. La pietra d’inciampo – l’indizio – della raccolta è Hobbes e il verbo to awe, incutere paura, che nel testimone della spietata guerra civile ricorre frequente.
Sono microstorie come è il trademark di Ginzburg. Cioè storie ben raccontate. Dopo una lettura subliminale e naturalmente inventiva – persuasiva sempre ma arbitraria. È il limite dello storico? Non necessariamente, ci sono storie che giudichiamo vere e sostantive, da Tucidide in poi, anzi da Erodoto, che probabilmente le inventava. Mentre le microstorie sono ipotesi, un genere letterario. Di cui il senso o substrato è il racconto, non la conoscenza del dossier, la memoria, la storia quale fu.
Ginzbug è sempre persuasivo. Non contestabile anche, dice la verità. Il paradigma indiziario? E l’indizio sia. Ipotesi su Piero: perché, Piero non è ipotetico?  Ma il paradigma resta sempre suo, d’autore. Di tutt’e cinque i saggi di questa nuova collana di iconologia, il suo paradigma potrebbe essere, e anzi è, avventato. Ma come opporgliene un altro? Cioè sì, bisognerebbe opporgliene un altro.
Storiograficamente questo conduce a poco. Conduce anche a molto. A un rafforzamento della ricostruzione. I paradigmi di Ginzburg non sono la leva di Archimede, risolutiva, però sono nel loro piccolo più che risolutivi, convincenti, amorevoli quasi, oggetto di ammirazione e quasi di deliquio. Nessun dubbio che Sofri sia innocente, almeno al cospetto dei suoi giudici, in “Il giudice e lo storico” La storia della coppa è l’attribuzione, partendo dalle immagini che raffigura, a Stefano Capello, argentiere italiano attivo all’epoca in Germania, anche perché noto a Dürer – l’anno è  anche quello giusto, la coppa raffigurando scene di vita primitiva, quindi delle Americhe appena scoperte, mescolate con le mitologie che da Mantegna avevano preso a popolare l’immaginario europeo. Il dito puntato di Lord Kitchener nel manifesto di guerra britannico del 1914 riportato al Cristo Salvator Mundi del tardo Medio Evo e al “Cristo benedicente” di Antonello da Messina. Jean-Louis David e il suo “Marat all’ultimo repsiro” si seguono meno ma non c’è dubbio che Ginzburg abbia ragione. “Soggezione” e “paura” emergono dal frontespizio del “Leviatano” dai due medici a fronte con la maschera a becco anti-peste, e da un lieve scarto nella traduzione che Hobbes fa di Tucidide. Picasso, l’“anti-Goethe” nella definizione pangermanica di Carl Einstein, viene … con “Guernica” – e qui bisogna sapere tutto il contesto, altrimenti non “si vede” nulla. Dopodiché resta l’esercizio di bravura. La lettura è gradevole.
Carlo Ginzburg, Paura, reverenza, terrore, Adelphi, pp. 311 ill. € 40

giovedì 10 settembre 2015

Problemi di base - 243

spock

Siamo tutti siriani?

Cinquecentomila siriani l’anno, dove trovarli?

E perché la Germania vuole diventare siriana? Anche l’Austria

Dove andranno poi i profughi, se la Germania si fa Siria?

E perché sradicare i siriani dalla Siria, con queste storie di terre promesse?

Se Putin spazza via l’Is – dobbiamo prevenire quest’altra disgrazia?

Meglio non sarebbe spazzare via Putin: cinquecentomila russi l’anno si troveranno per molti anni?

Ma perché la Germania vuol essere un’altra?

spock@antiit.eu

I greci di Calabria fuggivano dai turchi

“Qualsiasi difetto possiamo trovare in questo popolo, di superstizione, d’ignoranza, vi è qualcosa di tanto amabile nel loro carattere al quale io non sono abbastanza utilitarista per resistere”. Non è il solo difetto, ancorché non grave: “Frammista alla sua superstizione vi è molta genuina pietà, e umile sottomissione alle pur gravi calamità permesse dalla Provvidenza”: È molto, è niente? Non c’è altro, non che il viaggiatore abbia visto: questa sua Calabria non è pittoresca e nemmeno romantica.
Un gioiello atteso e deludente della impareggiabile collana “Viaggio in Calabria”. Se non per il personaggio stesso dell’autore, un ventiquattrenne scozzese che, dopo un paio d’anni a Napoli in  qualità di precettore, prima di tornarsene in patria decide nel 1828 di vedere la Magna Grecia. Ma senza  smettere di fare, lui scozzese, l’iperinglese con la puzza al naso. Tutto vede in termini di “noi e loro” (il racconto è scritto in forma di lettere a un amico). Uno che ha l’assillo dei briganti, ora dopo ora, giorno dopo giorno delle cinque o sei settimane delle sue peregrinazioni. E una volta che li incontra, o presume, fa andare al galoppo il suo mulo, per almeno un’ora, con due cavalieri sul groppone… 
Il mulo al galoppo non è male, ma sembra che il giovanotto arda, in segreto, l’incontro. Dal quale peraltro si difende con un ombrello….Un bighellone, che il presunto diario editerà dopo una quarantina danni – sul precedente di Goethe, ma… Parte raccomandato a ogni tappa al locale giudice o sindaco, ma ha soprattutto fretta, non si ferma mai due notti nello stesso posto. Senza dimenticare ogni giorno, a ogni tappa, un riferimento ai suoi amati latini: Orazio, Ovidio, Tibullo, Virgilio, Cicerone, Plauto, Ennio, Giovenale – manca cospicuamente Marziale, ma ci sono Dante, più volte, Teocrito e qualcun altro. Con interlocutori che quasi sempre non sanno nulla di se stessi, molto meno del giovanissimo Ramage, tanto è radicale l’ignoranza, al bordo della stupidità.
Quando l’Austria portò la reazione a Sud
Tre pagine sulla botanica, l’estetica e l’economia del fico non lo riscattano. Un capolavoro se ne potrebbe fare della letteratura di viaggio quando è inutile. Se non per le annotazioni di una cultura storica, oltre che filologica, poi perduta, e per questo sorprendente. La Magna Grecia sbrigativo assesta in otto repubbliche (come non  pensarci?): Locri, Caulonia, Squillace, Crotone, Sibari, Eraclea, Mataponto e Taranto. Potente è l’immagine, quasi una istantanea indovinata, della reazione austriaca negli anni 1820, dopo i primi moti liberali, che preludeva a quelli di un paio d’anni dopo: della cecità totale dei regni, quello napoletano compreso. Con uno schiacciamento Trono-Altare impensabile, tanto è osceno. E un catechismo corrotto come la superstizione cui si oppone: malocchio, miracoli, visioni, stregonerie..
Con l’ipotesi notevolissima che l’area grecanica (Bova) sia di immigrazione recente, del ‘400. Come quella albanese, e per lo stesso motivo: la fuga dai turchi. Poiché vi si parla il dialetto greco della Morea. Non è cioè di epoca classica o bizantina, come la fisserà la querelle tra Gerhard Rohlfs (classica) e i linguisti suoi oppositori (bizantina) un secolo fa. Ramage non spiega i legami linguistici. E del resto la Morea, nome veneziano del Peloponneso, è linguisticamente un riferimento impreciso – il dialetto è jonico. Ma era al tempo del viaggio di Ramage l’avamposto della ribellione ai turchi che porterà all’indipendenza.
Craufurd Tait Ramage, Calabria pittoresca e romantica, Rubbettino, pp.230 ril. € 7,90 

Problemi di base - 243 bis

spock

Ma il papa vuole unire, oppure dividere?

O è un papa giusto, vuole ridare agli uomini quello che le donne gli hanno preso?

E l’effetto alla sommatoria è positivo o negativo: torneranno più uomini in chiesa o più donne se ne allontaneranno?

C’è questa gara tra Stato e Chiesa a chi scioglie prima i matrimoni, ma non è meglio abolirli?

Magari il papa serve meglio la chiesa abolendola?

È l’età dei diritti, ma di chi?

Troppo è troppo, lo dice la parola stessa, ma giusto è quando?

spock@antiit.eu

mercoledì 9 settembre 2015

Unire dividendo

L’annullamento canonico del matrimonio non comporta l’assegno di mantenimento. Molti se ne sono giovati finora per questo semplice motivo – molti giornalisti accreditati alla sala stampa del Vaticano, per esempio.
C’è enfasi sullo snellimento delle procedure di annullamento in diritto canonico  – su questo come su ogni eventi mediatico ben presentato, peraltro. Il papa è più aperto sui problemi di coppia, si dice, il papa Francesco apre l’annullamento ai poveri, la chiesa si aggiorna sui concetti di famiglia e di matrimonio, la chiesa è più vicina alla gente. Ma, se ci sarà un ritorno alla chiesa dei maschi, magari a soli fini di autotutela, non ci sarà un allontanamento delle donne?
Succede che le idee siano confuse.

La contestazione cominciò col Novecento, a destra

“Fummo contestatori cinquant’anni prima che nascesse questa parola”. Per un manifesto conservatore la rivendicazione è strana. Oppure no, la protesta giovanile fu a lungo di destra.
Prezzolini non propone un manifesto politico, Non propone niente. Giusto un riesame critico e autocritico del suo Novecento: l’interventismo, la guerra, il fascismo, la catastrofe. Sempre con lo stampo del grande moralista che lo contraddistingue. Ma qui più versato sulle debolezze proprie, del proprio itinerario, che su quelle nazionali.
“I nostri valori erano intelligenza, ragionamento, cultura, spirito”. Esterni e anzi opposti a quelli famigliari, del decoro e della conservazione, della prudenza. L’esito sembrerebbe dargli torno. Ma noin è detto che, senza, non sarebbe stato peggio.
Giuseppe Prezzolini, Manifesto dei conservatori, Storia e Letteratura, pp. 144 € 18

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (257)

Giuseppe Leuzzi

All’improvviso, è festa in Baviera, e in copia conforme in Austria, per gli immigrati in fuga dalla Siria. Un’organizzazione perfetta, compresi i tempi (i siriani in arrivo sono stati fermati a Budapest e Bolzano fino a che Monaco e Vienna non si sono dette preparate). Ha voglia il governo italiano di sgolarsi, come da anni fa, di fronte alle ecatombi nel canale di Sicilia, che le cose non vanno: le cose esistono e si decidono quando e come esistono a Nord..

Lucia Annunziata, Klaus Davì e altri giornalisti per bene si interrogano sulla libertà per meriti di studio a un Paolo Rosario De Stefano, “considerato un presunto reggente della omonima cosca di ‘ndrangheta”, come scrivono i giornali di Reggio Calabria. I professori dell’università di Reggio, facoltà di Legge, che gli hanno dato 30, devono difendersi. L’antimafia sospende tutto, anche le leggi – l’antimafia di cui Davì s’illustra.

Questo De Stefano capo del’omonima cosca, ancorché presunto, s’è fatto il 41 bis – è lì che ha studiato meglio – ma per una condanna lieve, a otto anni e mezzo. Un anno e mezzo è stato il condono di legge per la laurea. Si può anche dire che il criminale ha istinti vitali più forti. Ma la legge? O De Stefano è il capo, sia pure reggente, o non lo è.

Ma è scommessa facile che i professori che hanno dato 30 a De Stefano saranno prossimamente indagati, e magari rinviati a giudizio. Cos’altro è il concorso esterno in associazione mafiosa?

Feudalità della storia
Si legga una qualsiasi storia, la Calabria sarà detta aver patito storicamente “sotto la pressione di un governo, quello borbonico, che dissanguava il paese con le tasse e non aveva alcun interesse a migliorare le condizioni di vita della popolazione, ma era anche alla mercé di una massa di duchi, principi e baroni, di un’aristocrazia feudale, cioè, che teneva assoggettato il popolo dai suoi castelli con un rigore medievale. A tutto ciò si aggiungevano le decime dovute alla chiesa e ai conventi”. Sintetizziamo la questione con un viaggiatore peraltro onesto e accorto, Josef Viktor Widmann, “Calabria 1903”, p. 31. Senza che ci fossero castelli, né signori medievali, né decime – semmai le questue: i conventi erano per lo più basiliani, che non infeudavano, e neppure gestivano grandi patrimoni.
“Ciononostante”,  l’onesto viaggiatore registra, “i francesi (liberatori) furono combattuti fanaticamente dalla popolazione”. Questa opposizione fanatica viene imputata alla religione, e questo è un secondo stereotipo, gratuitamente punitivo.
Ci sono feudalità nella storia, cliché. È fra le scienze umane la più incrostata.

Africo nera
Sarà il nome, che innesca automatismi razzisti. Sarà un destino. Sarà Zanotti Bianco, che gli africoti fotografò dopo terremoti e alluvioni erranti per la Padania masticando fieno per rifocillarsi. Ora è “Anime nere”, la pietra tombale di Criaco, Munzi e Giancarlo Leone, due autori e un direttore Rai molto buoni, in odore di sacrestia. Ma prima Africo è stata, e ora si annuncia di nuovo, Corrado Stajano. Che la vicenda politica di un prete affarista, o forse soltanto scomodo, tramutò in un’ordalia, per cui gli africoti un tempo poveri sono divenuti mafiosissimi, e anzi spietati.
Fa così senso avvicinarsi ora a Africo, paese “babbo”. Gli stessi africoti ne sono spaventati. Si dicono lusingati delle attenzioni Rai, che promette nuovi film e nuove comparsate.che non fanno male, a cento euro al giorno per stare all’aria. Ma si sono quasi convinti di essere criminali, e non si capacitano come sia successo. Hanno scoperto pure di essere brutti, anche questo contribuirà allo sconcerto.

Le processioni e le offerte
Si discute sempre molto, nei duecento circa paesi – comuni e frazioni – cui il vescovo di Oppido-Palmi ha inibito le processioni, dei possibili motivi. Mai contro il vescovo, bisogna dire – che le ha proibite semplicemente perché le ritiene “riti pagani”, così ha detto: qui sono tutti buoni cattolici, cristiani cioè ligi alla gerarchia. Molti sforzi si fanno per individuare chi potrebbero essere i mafiosi che se le sono assoggettate, le feste e le processioni. Se c’è qualcuno tra i portatori delle Madonne e dei santi. Se qualcuno del comitato dei festeggiamenti s’è fatto lusingare da offerte mirabolanti di denaro. Ma di più si discute dell’avidità dei sacerdoti: della buona pratica cattolica fa parte anche questo, il sospetto, la critica, il pettegolezzo. Contro il potere, di cui il prete è il simbolo primo e più alla mano.
L’avidità avrebbe creato una sorta di faida tra la chiesa e i comitati dei festeggiamenti: chi dà i soldi per la festa non li dà alla Madonna, cioè al “prete”, e viceversa. Prova ne sia, si concludeva questa estate nelle piazze con aria definitiva, che le Madonne trattenute in chiesa si fanno sempre adornare da biglietti da cento e più euro, da appendere su appositi nastri con apposite spille, nonché di ex voto in qualche modo preziosi.
L’uso però si può dire non meridionale né calabrese. Carmine Abate, lo scrittore, ha una Schmukmadonna a Colonia. Proprio al centro della città, nel Duomo. ”Così chiamata per gli ornamenti e i gioielli da cui è abbellita”. Vestita di moiré, “come una montagna innevata”, ma di cui si vede solo la testa, perché alla veste “sono appesi diademi, collanìne di perle, orologi e croci d’oro di tutte le forme, ex voto per le grazie ricevute”. E anche non per ex voto, si può aggiungere per esperienza remota, quando la Schmuckmadonna brillava sontuosa nella città ancora ingrigita dai bombardamenti.
Abate ha anche la processione, sempre in uno dei racconti di “Vivere per addizione”: “un rito pagano, non c’è dubbio”. Di cui ha la nostalgia: “Da giovane, fino agli anni Settanta, mi facevo tutte le processioni”. Il ricordo è di un rito lento, e di una forma di conversazione: “La processione ogni tanto si frantuma, a gruppetti ci si ferma nelle rare lingue d’ombra e si parla fitto fitto nella giuha e zëmëres, la nostra lingua del cuore”, dei calabresi albanesi, gli arbërëshë. Mentre “il programma “civile” prevedeva già “il solito show serale con complessi musicali e ragazze in minigonna” che mimano quello che vedono in tv. Sarà stata le conversazione a disturbare pagana il vescovo Milito.

Il primo teorico dei parchi a Cittanova
Dieci giorni a Cittanova. Tremila ettari dalla Piana fino all’altopiano, di querce sempreverdi, elci, castagni, e opunzie (fichidindia). A perdita d’occhio. Frammisti a innumerevoli specie arboree che l’ispettore forestale della Svizzera Johann Wilhelm Fortunat Coaz cataloga coscienzioso per due pagine. E “i cosiddetti frutti del Sud”, ulivi e agrumi. – anche se, tiene a precisare , “il miglior olio da tavola in Italia si fa a Lucca e nelle colline pisane di Calci e Buti”.
Sulle opunzie si estende molto: a Cittanova ne ha viste di cinque metri di altezza, con circa 110 foglie, e un’apertura irregolare. Con 5-6 e fino a 13 frutti per “foglia”, la pala spinosa. A forma di uovo, lunghi ca 8-10 centimetri. Ma la coltura principale è quella dell’ulivo, con piante che Coaz ha ha misurato fino a 19 metri di altezza. Secondo le ultime statistiche, aggiunge Coaz, la provincia di Reggio Calabria ha 40.321 ettari a uliveto, dove produce 201.655 ettolitri  (quintali?) di olio. L’Italia ha 900.311 ettari a uliveto, e produce 3.385.591 ettolitri (quintali). La Spagna ne produce 1.135.750, la Francia 250.000.
Ein Besuch in Calabria Ulteriore Prima, Provinz Reggio” è una conferenza che Johann Wilhelm Fortunat Coaz, Forstmeister (ispettore forestale) svizzero, diede a Berna nell’ottobre del1876 – poi pubblicata nel 1877, 23 pagine a stampa (si trova in biblioteca a Milano - ma anche online, in tedesco). Calabria ulteriore prima era l‘attuale provincia di Reggio, divisa nei distretti (sottoprefetture) di Reggio, Gerace (Locri) e Palmi. Il titolo di ispettore forestale non è diminutivo: Coaz fu il primo a rivestire l’incarico, e sarà il primo teorico, o uno dei primi, dei parchi nazionali, di interesse collettivo, da proteggere. Era stato in primavera dieci giorni a Cittanova in Calabria, su invito del “duca di Cardinale” – probabilmente Serra di Cardinale, per una consulenza sul miglioramento delle colture, e un possibile utilizzo economico dei suoi sterminati possedimenti montagnosi.
Dell’esito della consulenza non sappiamo, se non indirettamente. Le raccomandazioni di Coaz non ebbero seguito. I pastori distrussero le nuove coltivazioni a mano a mano che il duca le impiantava, volendo conservare il possesso di fatto dei suoi boschi e prati. Né il duca si poté rivalere in giustizia: non trovò nessun giudice per condannare gli imputati. Nella sua conferenza Coaz fa sopratutto un resoconto di viaggio.
Da Reggio, dove è arrivato per nave, a Cittanova, nella carrozza inviata dal duca, Coaz nota, con gli agrumeti, molti granati e molte palme da dattero. Viaggia accompagnato dal professor Kopp, naturalista dell’università di Zurigo. Da Cittanova Coaz e Kopp vengono portati a dorso di mulo fino a un altopiano, probabilmente lo Zomaro. Col solito colore delle doppiette e delle pistole anti briganti (ma in nota l’ispettore avverte: “Il banditismo non si è impiantato nella provincia di Reggio Calabria. Si viaggia in generale sicuri”).
Coaz  fu scalatore, conoscitore delle Alpi, delle quali vantava 21 prime scalate. Fra esse il Bernina, il Kesch, il Lischana. Fu un pioniere dei parchi o riserve naturali – insieme con lo zoologo di Basilea Paul Sarasin. Iniziò come topografo di montagna. Fece carriera nella guerra del Sonderbund, a metà Ottocento, che terminò da segretario del generale Dufour. Dopodiché fu per vent’anni ispettore generale alle foreste dei cantoni di San Gallo e Graubünden. Finendo primo Ispettore confederale, carica che tenne fino al 1914, ai novanta’ani passati. Autore della Dufourcarte, con la quale si creavano gli Ispettorati alle Foreste, alla Caccia e alla Pesca.

leuzzi@antiit.eu

martedì 8 settembre 2015

Il mondo com'è (229)

astolfo

Accoglienza - L’accoglienza sorridente ai profughi s’illustra in Grecia con un inglese, Andrew Davies, “un personaggio straordinario” informano le cronache, uniformi in inglese e in italiano, che fa passare il tempo ai bambini sui fogli da disegno. In Germania è invece il governo federale che ha organizzato a Monaco una festa in mondovisione per l’arrivo dei treni di profughi siriani un certo giorno a una certa ora da Budapest e da Bolzano – dopo aver chiuso la frontiere per alcuni giorni per organizzare l’accoglienza. Soprattutto per i bambini, che “bucano” meglio gli schermi – ce ne sono di “siriani” che parlano un corretto inglese e perfino tedesco:  bambole e altri giocattoli, fiori, dolci.  
La cosa è da apprezzare perché si impongono modelli di comportamento a due popolazioni fra le più insofferenti all’immigrazione forzata. Ma si raffronta amaramente con l’accoglienza spontanea, a Bari e Brindisi, delle carrettate di emigranti-profughi, dall’Albania venticinque anni, e a Lampedusa quindici anni fa con i barconi dei disperati dalla Libia. Senza l’organizzazione, certo. Ma quale organizzazione di accoglienza - vera, non per le telecamere – è stata approntatata in questi venticinque anni, o anche solo negli ultimi quindici?  Salvo quest’ultimo sviluppo, non promettente: dell’accoglienza terreno della partita per l’egemonia, che la Germania alimenta – con la curiosa coda gregaria dell’Austria, che ha fatto le stesse identiche cose della Baviera (l’organizzazione è la stessa?).
Una vera politica dell’accoglienza avrebbe bisogno di ben altri strumenti che il sorriso delle bambine bionde all’arrivo – si spera non retribuite.  Queste sono meglio che le manifestazione di odio dei “neonazisti”, ma una politica dell’immigrazione, che gli Stati del Nord non vogliono, avrebbe bisogno invece di regole applicabili. E che stronchino anzitutto il mercato vile della guera civile e del bisogno.  

Egemonia – Wolfgang Streeck, sociologo non tenero con Angela Merkel e le politiche tedesche
nella - e contro la - crisi del 2008, sostiene sul “Mulino” che l’euro fu imposto alla Germania. E con esso l’egemonia.
Ma questo non è vero, con ogni evidenza: la Germania di Kohl è sempre stata in primo piano nella creazione dell’euro (solo lo voleva più omogeneo, tra economie similari, per politiche fiscali e dell0indebitamento, ma poi ha finito per accettare volentieri anche l’Italia). Il discorso di Streeck è già entro il paradigma dell’egemonia.

Ideologia – È diventata di massa, col mercato e con la democrazia della rete, ubiqua e onnivora.  Tutto vi è soggetto, senza più sistemi o coerenze che la reggano. E più rigida nelle ideologie che si penserebbero meno divisive: l’ambiente, la natura, l’alimentazione, l’abbigliamento, la musica. Serena Danna registra su “La Lettura” un vera e propria guerra delle “correzioni” a dispetto su wikipedia in materia di cambiamento climatico, e di scienze in generale.

Ingerenza – Le reazioni internazionali sono stare rette a lungo sul principio della “non ingerenza” negli affari interni di un altro Stato. Di uno Stato o governo che fosse minimamente “legittimato” – in genere per il consenso di un congruo numero di altri Stati. La “non ingerenza” è stata il cardine della pace, del poco che c’è stata nei secoli. Con l’affermarsi dei diritti civili e umanitari, e in contemporanea col collasso sovietico, una forma nuova di diritto si va configurando, basato al contrario su una sorta di diritto-dovere d’ingerenza. A protezione appunto dei diritti stessi delle popolazioni, anche contro i propri Stati o governi, più o meno legittimi.
Un diritto non codificato, se non per il patronato dell’Onu, cui spetterebbe la decisione ultima. che però decide in base ai rapporti di forza fra i tre grandi, Usa, Cina e Russia. Non è stato nemmeno così per le guerre nella ex Jugoslavia - se non  da ultimo, l’Onu si è fatta viva a cose fatte, per la guerra aerea alla Serbia. La guerra all’Iraq è stata giustificata in parte per la minaccia chimica e\o nucleare, poi rivelatasi falsa, fabbricata dai servizi segreti anglo-americani, del regime iracheno, e in parte per la “liberazione” degli iracheni stessi. Una decisione anglo-americana che poi l’Onu interinò. Una doppia motivazione analoga fu tentata in Libia, ma con minore convinzione  L’Onu anche qui si limitò a interinare una decisione già presa, anglo-francese. Su simili basi ma senza successo Francia, Gran Bretagna e Usa hanno tentato l’intervento in Siria, che è all’origine della ecatombe in corso da un paio d’anni dei più elementari diritti umanitari.

Sarà stata l’ultima eredità avvelenata del Novecento. Che mentre ha esteso la guerra senza limiti intollerabilmente, ha posto anche dei limiti alla guerra stessa. Almeno in diritto. Il patto Briand-Kellogg ha limitato nel 1928 la legalità della guerra alla difesa. I diritti umani dovettero aspettare: le proposte – tedesche, di Weimar – di un diritto internazionale dell’uomo, in aggiunta al divieto della guerra d’aggressione del patto Briand-Kellogg, caddero nel vuoto.
Dopo la guerra una Dichiarazione universale dei diritti umani fu adottata a Parigi, il 10 dicembre 1948: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. Da cui lentamente, nella divisione del mondo tra Est e Ovest, varie organizzazioni, associazioni, piccole Onu dei diritti umanitari sono germinate, compreso il Tribunale internazionale per i crimini di guerra. Ma i principi della Dichiarazione hanno ampliato e non ristretto il ricorso alla guerra. Dal diritto di non intervento, cardine delle relazioni internazionali per millenni, il diritto di ogni paese a non essere aggredito, si è anzi passati a un diritto d’intervento, distinto anche se confuso.
Il diritto di (non) intervento è stato rimodulato nell’“unificazione” del mondo conseguente alla caduta del comunismo sovietico, sulla base dei diritti umani, che sono ora il fondamento etico di ogni politica. Nella prevalenza dell’opinione: tutto è emozione, presto e senza condizioni. L’indignazione e la colpevolezza sostituiscono ogni diplomazia, la cautela cioè e il diritto. Lo stesso iperrealista papa Giovanni Paolo II, che ha abbattuto il comunismo, ha teorizzato l’“ingerenza umanitaria” come “diritto d’intervento” ai diplomatici il 16 gennaio 1993. Ma non c’è criterio per far passare i diritti umani come criterio di giustizia. Oggi Roma direbbe che Cartagine è da distruggere perché immola i bambini, e questa sarebbe la sola novità.

Neo guerra – A fine Novecento, riferendosi alla tante guerre che avevano impegnato gli Usa nell’ultimo decennio, a partire da quella del Golfo, Umberto Eco ha ipotizzato una Neo Guerra: una senza vittime e senza fronte. In cui cioè il nemico può circolare, seppure non in armi, sul fronte interno, mentre le operazioni belliche devono essere mirate a non fare vittime - le armi “intelligenti”. Non ironicamente? 

Selezione – Quella naturale ha avuto delle “spintarelle”? A opera di ambienti o soggetti in qualche modo dominanti. L’essere umano soprattutto.
Si prenda il caso che agita i tribunali americani. Una donna voleva un figlio bianco, con gli occhi azzurri e i capelli biondi, che somigliasse al figlio della sua convivente, e la banca del seme cui si è rivolta le ha garantito un donatore bianco, biondo e con gli occhi azzurri. Poi il figlio – una figlia – è venuto nero, e la donna ha fatto causa e ha chiesto i danni per frode. La giustizia Usa sarebbe orientata a dare torto alla donna, ma solo per salvare i diritti della bambina, che è sana e questo basta. La pretesa della madre è però ritenuta corretta, e forse lo è, nella fecondazione eterologa.
La selezione naturale non è da intendersi spontanea, ma selettiva – come il nome stesso dice ma non del tutto.  

astolfo@antiit.eu

La fantascienza invecchia subito

È triste il quotidiano fantascientifico, quando è passato non realizzato. Oggi siamo forse al di là, come immaginazione, con la comunicazione simultanea e in immagine, di “Cadrà dolce la pioggia”, attesa per il 2026, ma non si è fatta l’automazione domestica che il racconto dà per scontata. Il futuro si è realizzato in altro modo, oppure ha seguito altre strade, e queste “Cronache marziane” di Bradbury, del 1950, proiettate al 2026, sono quello che sembrano: esercizi stucchevoli – non si è andati su Giove e neppure su Marte, si va nello spazio giusto per vedere meglio la Terra.   Il futuro o è distopico,  un brutto presente in maschera, oppure è un mondo parallelo. Quello di Verne, per esempio, che comunque non si potrà incidere o svuotare mai – la luna di Verne non è quella di Armstrong.
Ray Bradbury, Cadrà dolce la pioggia, Il Sole 24 Ore, pp. 78 € 0,50 

lunedì 7 settembre 2015

Tutto quello che non sappiamo dell’Islamic State

Cos’è l’Is, dov’è?
Com’è organizzato, chi lo comanda?
Quanti armati ha l’Is?
Che armamento ha l’Is?
Come fa l’Is a “governare” quattro quinti della Siria e mezzo Iraq, una volta e mezzo l’Italia – oltre a buna parte della Libia, della Nigeria, e forse dell’Afghanistan?
Tanto più se i suoi miliziani sono cattivi soldati e incapaci amministratori.
Perché mille paracadutisti, magari inglesi e francesi, o anche quelli tedeschi di Mogadiscio contro i palestinesi, non hanno liberato Palmyra?
Perché non c’è nessuna strategia militare - e nemmeno di intelligence, non a difesa dell’Europa - contro l’Is?
Perché l’Is è un fenom no così smaccatamente propagandistico (regie, scenografie, eventi), a opera dei media occidentali?
Si fa la pace con onore con l’Iran, protettore di Assad, ma si vuole rimuovere Assad.
Si colpisce Assad per colpire Putin, suo protettore? E perché dobbiamo colpire Putin?
A spese dei dieci o dodici milioni di siriani vittime della guerra, che poi possiamo accogliere con i fiori e le bandierine?
Si vuole dare ragione a Baudrillard, “Simulacri e simulazione”, “Guerra virtuale e guerra reale” – la politica imita la sua interpretazione?
L’Iraq bombarda l’Is oggi: non poteva farlo prima, in questi due anni in cui l’Is lo ha semioccupato?
Hollande dice da tempo che sta bombardando l’Is: dove, come?
Centinaia di mussulmani francesi, forse migliaia, sono arruolati nello Stato islamico: come è potuto accadere, che la Francia non lo sapesse? Con che spirito Hollande bombarda lIs in Siria, o annuncia di volerlo fare: pensa a una scampagnata?
Erdogan dice che bombarda l’Is oltre frontiera e invece bombarda i curdi turchi: è possibile.
L’Egitto ha bombardato l’Is a Derna, pochi minuti, e l’ls è scomparso da Derna: anche questo è possibile.

La Calabria un secolo fa, povera e bella

Il vino è sempre degno di nota, e non meno che “eccellente”, a Paola, a Pizzo, a Tropea, a Palmi – “in fatto di vini la Calabria è messa meglio della Sicilia”: pensare, come si stravolgono l’economia e la storia in un secolo, e come possono andare indietro invece che avanti.Passati i sessanta, il giornalista del “Bund” di Berna, ex pastore evangelico, figlio di un ex monaco cistercense, svizzero italianofilo, com’era allora normale, si concede una vacanza per i paesetti di Calabria e se la gode tutta. Ha avuto una vita piena. Molto, efficacemente, impegnato: contro la punizioni corporali, per il voto e la libertà di professione alle donne, per Dreyfus e un accusato analogo in Svizzera - ha fallito solo la campagna contro l’automobile, veicolo dei privilegiati, che provocava morti, fumi velenosi e rumori molesti. Ma ha ancora voglia d fare.Perché andare in Calabria, “il paese dei briganti”, nel 1903, a 61 anni, in terza classe o a piedi? Widmann è sincero: per “la voglia di sole”. E gli va bene, ci sono le pulci ma pazienza, era scontato. Sopraffatto, oltre che dai vini, dalla bellezza delle donne. Si va dalla Fornarina alla vestale flessuosa, alla dignitosa coefora: non c’è paesino che non trabocchi di Afroditi, Antigoni, Ifigenie. E dall’ospitalità, di “una popolazione bonaria, amabile e gentile”.  
Visita come deve i musei - quelli aperti (anche allora il Museo archeologico di Reggio era chiuso – era chiuso da due anni). La Crotone di Pitagora, il Busento di Alarico, il Pizzo fatale a Murat, la Paola di san Francesco. Si ricrede sulla somatizzazione negativa dei calabresi di cui  ha letto in Duret de Tavel e Paul Louis Courier, i due ufficiali napoleonici che li ebbero nemici. Legge corretto la sìtuazione  sociale come segnata dalla povertà e dall’emigrazione, dei maschi adulti. Ma col taglio giusto, dal di dentro e non censorio: la fatica inutile, senza accumulo, da sopravvivenza, in un’economia intrinsecamente ricca. “Se questi poveracci con tutta la fatica che fanno, che noi non ci immaginiamo nemmeno, continuano a patire la fame in una terra così fertile… la colpa è delle classi che detengono il potere, di cui si servono senza coscienza per sfruttare il popolo laborioso”. Il giudizio di Widmann è senrpe stato pesante sulla classe politica dell’Italia unita: governava un paese, aveva scritto alcuni lustri prima, in cui era naturale essere socialisti, e anche anarchici.Da giornalista curioso ha una vera storia della fine di Murat a Pizzo che è tutta da leggere, dettagliata ora per ora. O di quella di Enrico VII, il re di Germania, suicida contro il proprio padre, l’illuminato Federico II d Svevia – una pagina che si sottace. Della storia ha in genere tranquilla conoscenza. – “anche la Calabria, non diversamente dalla Sicilia, ha avuto la sua epoca saracena”, cosa che pochi sanno, e quasi nessuno in Calabria. Di suo ha anche una lettura meravigliata della natura. Che sembra ovvia ma non è comune. Ha letto “Il gran bosco d’Italia” di Nicola Misasi, ma ha un altro occhio, sorpreso: scopre i pastori solitari, sulla spiagge a perdita d’orizzonte, le “forre scure delle valli, i “prati verdi di erba medica con grandi ombrelle rosso-porpora”, le fiumare in secca, il mare ovunque. E il silenzio, che allora come oggi è ciò che colpisce il viaggiatore non prevenuto. Un silenzio che rompe solo la campana, quella remota del municipio, che chiama alla scuola e invita alla pausa dal lavoro, o della chiesa, Un mondo di campagna deserta, assolata. E di donne, di cui tratteggia fisionomie sorprendenti, tanto più che dopo un secolo s’impone, chissà perché, lo stereotipo negativo - da “Anime nere” della nera Rai.
Si può essere vittima dei viaggiatori che hanno spregiato un territorio ma non, evidentemente, beneficati-privilegiati dalle lodi..Josef Viktor Widmann, Calabria 1903, Rubbettino, pp. 121 € 7,90

domenica 6 settembre 2015

L’egemonia imposta alla Germania

La tesi di un’egemonia imposta a un soggetto riluttante è bizzarra – di un’egemonia attiva, da esercitare e non da subire. E tuttavia.
 “L’egemonia tedesca in Europa è un prodotto dell’Unione monetaria europea e della crisi del 2008. Non fu tuttavia la Germania a volere l’euro: fin dagli anni Settanta, le sue industrie di esportazione avevano convissuto molto bene con le ricorrenti svalutazioni dei partner commerciali europei, in risposta alle quali la produzione manifat­turiera tedesca si spostò da mercati price-sensitive a mercati quality-competitive. A volere una valuta comune europea fu soprattutto la Francia, per superare l’umiliazione della svalutazione del franco rispetto al marco e, dopo il 1989, per vincolare la Germania unifica­ta a un’Europa unita, auspicabilmente a guida francese”. Questo non è vero, né il disegno francese di egemonia, Mitterrand era un realista, né la riluttanza tedesca: il cancelliere Kohl e la stessa Bundesbank furono attivi fautori dell’euro, solo lo volevano tra economie il più possibile simili. Ma questo avrebbe escluso l’Italia, e quindi Kohl scartò le “due velocità” o “due livelli”. Il franco francese non valutò rispetto al marco, semmai navigava al di sotto delle parità. E non poteva altrimenti: la lira, che Ciampi volle irrobustita sul marco, fu duramente punita con l’attacco speculativo del 1992 – è a quel crollo che risale la debolezza cronica dell’economia italiana, fino ad allora una delle più robuste in Europa.
Fin dalla sua concezione, l’euro fu una costruzione contraddittoria. La Francia e altri Paesi europei, come l’Italia, erano stanchi di dover seguire la politica di tassi d’interesse da moneta forte della Bundesbank, che era diventata defacto la banca centrale d’Europa. Sostituendo la Bundesbank con la Banca centrale europea, essi si aspettavano di recuperare almeno una parte della sovranità moneta­ria perduta a favore della Germania”. Questo è vero: meglio un euromarco, si pensava, che un doppio marco.
Oggi è la Germania, insieme a Paesi come l’Olanda, l’Austria o la Finlandia, che sta godendo dei vantaggi dell’Unione monetaria europea. Ma è importante ricordare che è così soltanto dal crollo finanziario del 2008. Durante i primi anni dell’unione monetaria, la Germania era «il malato d’Europa», e l’unione monetaria contribuì parecchio a questo stato. Il tasso d’interesse comune imposto dalla Bce, che doveva tenere conto delle economie di tutti i Paesi mem­bri, era troppo alto per un’economia a bassa inflazione come quella tedesca”.
Che la Germania fosse per i primi anni Duemila il “malato d’Europa” è vero – è vero in parte, la Germania sempre esagera nel piangersi addosso. Mentre è del tutto errato che il denaro costasse (relativamente) caro in Europa contro la volontà della Germania: è la Germania che ha alimentato la paranoia dell’inflazione fino a pochi mesi fa, quando Draghi ha finalmente avuto il coraggio di svelare la deflazione, nei fatti da alcuni anni. 
Streeck fa altri errori di non o sotto valutazione. Valuta poco e male la crisi da cui l’Europa, solo l’Europa, non è ancora uscita, per le politiche restrittive imposte dalla Germania. Più in generale trascura. le politiche fortissimamente tedesche nella prima fase (banche) e nella seconda (debito pubblico) della crisi ormai ottonnale. Trascura la fortissima delocalizzazione tedesca nei paesi dell’Est Europa negli anni 1990. E la contemporanea spinta tedesca , recepita poi da Prodi, all’allargamento immediato dell’Unione Europea a questi Stati, senza regimi transitori. Trascura anche il regime dei doppi salari all’interno della Repubblica Federale – molti milioni sono solo o quai figurativi. E così via. Ma porta finalmente in superficie, con autorevolezza cioè, il dibattito sull’egemonia, cui la Germania finora riluttava, se non per frange sparute.
Wolfgang Streeck, L’egemonia tedesca che la Germania non vuole, Il Mulino, n. 4\2015, free online


La festa non è dell’emigrazione.

Fiori, bandierine e bambolotti a Monaco di Baviera in quantità per accogliere in mondovisione i profughi siriani. Con inni: quello europeo e uno di occasione. Tutto preparato, la Germania è sempre meticolosa. La Baviera ha anche chiesto a Budapest e Bolzano di fermare temporaneamente, tre-quattro giorni, le  partenze dei profughi dopo l’entrate tutti di Amgela Merkel per poter preparare l’accoglienza.
Su questa festa organizzata si è voluto innestare un inno all’accoglienza, come se l’Europa ne avesse preso coscienza e avesse deciso di accogliere tutti. Mentre è solo una mossa politica di Angela Merkel, che ha decisi di accogliere i profughi siriani – non tutti, del resto. E gli afghani, gli iracheni, i curdi di ogni bandiera, gli eritrei, i somali, i sudanesi, i libici, gli ultimi della terra asiatici e africani, le centinaia di migliaia, forse milioni?
Lo spettacolo è riuscito, riuscitissimo. Bene. Merkel ha dato una lezione agli sciovinisti in patria. Ottimo. Si è fatta bella naturalmente – elogia perfino l’Italia – ma questo non disturba, anzi, meglio bella che brutta. Ma non ha dato una soluzione né la dà. Né mostra di voler recepire chi una soluzione in qualche misura ce l’avrebbe, come l’Italia – l’elogio è allo specchio. L’assise straordinaria al Lussemburgo si è conclusa, malgrado la festa, con nessuna decisione.
Prima o poi l’Europa dovrà decidere. Dovrà creare strutture di selezione e accoglienza – i vecchi uffici consolari - dell’emigrazione nei paesi di provenienza, per stroncare la tratta degli esseri umani, a prezzi esosi e vessazioni spaventose. Lo dovrà fare, non c’è altra soluzione. E quanto prima tanto meglio. Ma questo si farà solo se e quando la Germania lo deciderà.
Nell’attesa un vero segno di buona volontà Angela Merkel potrebbe darlo. Potrebbe non lasciare più alle ex potenze Francia e Gran Bretagna il monopolio del Medio Oriente e del Nord Africa, come ha fatto vistosamente finora, che queste potenze refoulées trattano in maniera sempre più schizoide, palesemente folle – la Libia e la Siria sono due sventure create da Parigi e Londra.