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sabato 9 marzo 2013

Problemi di base - 135

spock

Si fa un papa prima che un presidente del consiglio: e se adottassimo il conclave?

Il papa ci abbandona, i ghiacci si sciolgono, il mondo si contrae, e l’Italia vota Grillo: è un segno del cielo o un difetto di vista?

Se le idee si pagano caro, bisogna essere ricchi per averne?

Se Fallisce l’Alitalia, come andiamo a Miami? Da Roma e da Milano?

La navetta con Miami ha sostituito quella con Roma: Milano s’e spostata in Florida? Al sole.

Perché, se tutto è privato, il debito dev’essere pubblico?

Se il mondo non spiega il mondo, che se ne può dire?

Può essere Dio immorale?

spock@antiit.eu

L’Italia edificata sulla paura

L’Italia? “Uno Stato edificato sulla paura” – si capisce che tutti siano sbirri. È una raccolta di articoli di varia umanità, dal 1931 al 1953, ma piena di umori ancora vivi.
“In Italia tutti sono estremisti, per prudenza”, l’aforista è sempre al meglio. Ma molto resta ancora da scoprire, di Longanesi, e dell’Italia che lo rimuove, lui come altri. La storia fatta dalla noia. L’africa triste. L’Unità Europea (“l’Unità Europea si sdraiò sulla poltrona, accanto al caminetto, chiuse gli occhi e pensò”, e pensando s’avvide che tutti quelli che le avevano voluto bene erano stati tiranni: Carlo Magno, Carlo V, Luigi XIV, Napoleone…). La smobilitazione morale. La guerra a Giuliano – la guerra. Milano. Le strade ribattezzate: “Uno Stato edificato sulla paura può combattere solo contro i morti”. Il democristiano. E anche “l’orrore dell’attore”. O “i siciliani in Romagna”. Un altro pezzo del Novecento che si fa mancare.
Leo Longanesi, Fa lo stesso

venerdì 8 marzo 2013

Ombre - 168

Un giudice Morosini dice i carabinieri e il senatore Mancino in combutta con Riina. Senza motivo, dice anche: l’accusa non ha “neppure affrontato il tema delle fonti di prova, limitandosi a generiche affermazioni su finalità e approdi dell’inchiesta”.
Sembra inventato.  Ma il “Corriere della sera” assicura che questo Morosini esiste, anzi è “un giudice particolarmente preparato e rigoroso”. In ubuismo?

Grillo si fida solo dei media  stranieri. Dà quindi un’intervista al “Times”, il giornale di Murdoch, che la adorna online con una sua faccia diabolica. Che Grillo sia un ingenuo? O è una quinta colonnna?

I partiti delle forche, o delle toghe, si sono fermati al 3 per cento, Fini, Di Pietro, “Micromega”, il giovane Ingroia, talmente mediocre che uno si chiede come mai s’è potuto candidare a presidente del consiglio. Ma sono quasi un milione e mezzo.
Martedì la Banca d’Italia comunica che la propensione al risparmio si è dimezzata, e che due famiglie su tre hanno un reddito insufficiente, segnalando “difficoltà” per chi paga l’affitto e per i più giovani. Mercoledì questa è la quinta notizia: prima viene Chávez, con foto lusinghierissime (ci venderanno le magliette di Chávez?), poi Renzi, poi Passera (Passera?), poi De Magistris contro Ingroia. Giornalismo?
L’Istat che dice la crisi la peggiore dagli anni 1930 viene alla pagina 20.

C’è la depressione nei Grandi Giornali in chiave storica – della storia intesa a cadenze: ora fanno ottant’anni. Non c’è, come si sa, fotografabile, raccontabile, in Spagna, in Grecia, in Portogallo. Non nei suicidi in Italia. 

Il pil pro capite in parità di potere d’acquisto (Pps, Purchasing Power Standards) era in Italia nel 2011 pari a 100, in Germania a 121 – è il calcolo di Eurostat. Nel 2000 era di 118 per entrambi i paesi. La Germania ha fatto fruttare l’euro, anche se di poco, l’Italia non ha saputo adattarsi.

I giudici Magi e Guadagnino condannano Berlusconi in una causa nella quale l’accusa aveva chiesto l’archiviazione. Poi dice che Berlusconi vince le elezioni.

La giudice Guadagnino, quella che condanna Berlusconi ovunque a Milano (tre processi in contemporanea), deve condannare la potente Rizzoli-Corriere della sera per le foto rubate nella casa dello stesso Berlusconi. La condanna a 10 mila euro. Per foto pagate 300 mila euro.
In un altro sistema giuridico si condannerebbe la giudice per complicità.

Un organizzatore di concerti a Roma, processato per aver fatto entrare al Palazzo dei Congressi dodicimila persone invece delle cinquemila della capienza collaudata, si discolpa dicendo che ha voluto evitare incidenti, che i dodicimila premevano per entrare. Il concerto era di David Guetta - un dj. Andiamo pazzi anche per un disco.

La disoccupazione al 12 per cento, con 100 mila posti di lavoro perduti nel mese corto di febbraio, non merita la prima pagina su “Repubblica” il “Corriere della sera”, “Il Messaggero”. È una piccola notizia per “Il Sole 24 Ore”.

Viola Tesi, conturbante su Facebook, si propone come grillina. Un giorno. Il giorno dopo come  grillina anti-Grillo. Il terzo come gelataia. Un giochetto da velina facile, ma è riuscita a prendersi tre prime pagine, tre giorni di seguito. Compreso un divertitissimo Tg 3. Sacrestia?

Gli euromissili Urss furono schierati in assenza di reazioni Usa, della presidenza Carter. I  socialisti europei decisero di forzare la mano a Carter chiedendo gli euromissili Nato. I socialisti tedeschi erano però a maggioranza contrari. Furono gli olandesi e Craxi a spingere per gli euromissili. E l’Italia, sulla spinta di Craxi, la prima a deciderne lo schieramento. Sarà la fine dell’Urss.
Sergio Romano riesce a ricostruire la vicenda attorno al tedesco Schmidt e a Cossiga. L’odio si può capire, ma perché imbrogliare le carte?

Catastrofico il viaggio di Napolitano in Germania. A “ballare il tango” con Merkel. Maltrattato dallo “Spiegel” e altri influenti media, e dall’opposizione socialista. Bene accetto giusto agli italiani di Monaco, che non contano nulla. E al presidente Gauck, che non ama la sua Germania. Possibile che non se ne sia accorto? È la diplomazia italiana a livello così scadente?

Si discute della moviola nel calcio come se fosse asettica e giusta. Mentre è manipolabile, per taglio dell’immagine, velocità, luce, anche con facilità. Bisogna pensare ai giornalisti sportivi come a bari?

In Napoli-Juventus Chiellini e Cavani si sbattono reciprocamente a terra o si tirano per i capelli. Si vedeva perfino durante la partita. Il Tg 1 riesce a far vedere solo i capitomboli di Cavani. Con manipolazioni finissime, di centesimi di secondo. È anche vero che Chiellini aveva i capelli corti, le manate di Cavani non erano scenografiche.

Scende in massa il II Gruppo dei VV.UU. di Roma il sabato sera e la domenica dai Parioli al Parco della Musica. Non a smistare il traffico per gli “eventi” del fine settimana – al Parco si può solo andare in macchina. Scende dopo, in massa, a “fare le multe” mentre tutti sono agli “eventi”, pagandosi lo straordinario notturno e festivo. Per arricchire Alemanno? O la minisindaca Sara De Angelis gli vuol fare le scarpe?

Il II Gruppo scende al Parco della Musica, inabitato se non per gli “eventi”, per non fare le multe al Salario-Trieste e ai Parioli, 110 mila residenti, che infatti le sere del week-end sono intasati dal traffico. Per non dispiacere ai negozianti, buoni pagatori. Poi si dice che i Parioli e il Salario-Trieste, i ricchi della città, votano Grillo.

Fisco, appalti, abusi – 26

I contatori modali della luce danno molte cifre di nessuna utilità per l’utente. All’utente danno invece consumi – ammesso che riesca a individuarli - che in nessuna parte della bolletta potrà riscontrare.

Le bollette della luce di Enel, Sorgenia, Acea, Eni cumulano cifre dettagliate e incomprensibili – dettagliate per essere incomprensibili. Solo Sorgenia è chiara sui fondamentali: a che punto era il consumo progressivo nella bolletta precedente, e a che punto è nella presente (ma pretende di farsi pagare la CO2 risparmiata…).

Sui consumi di energia, anche del gas, si va per acconti. Che sono illeciti, e sono anche impossibili da controllare (contabilizzare).
Sotto tutti gli aspetti, la liberalizzazione dell’energia è stata e continua a essere la più esosa e piratesca per gli utenti.

Dovendosi spostare di frequente nella città di Roma s’incontreranno spesso macchine dei Vigili o della Polizia che fanno conversioni a u. Talvolta s’incontreranno perfino contromano. A Trastevere in particolare e a Porta Portese. Senza urgenza (lampeggianti, sirene). Non dei Carabinieri.

“Giuria popolare” al festival di Sanremo. Dove bisogna non solo scomodarsi a fare un numero di telefono ma anche pagare un euro e qualche centesimo per votare una canzone. Mentre si sa che le chiamate sono opera di call center, gli stessi per più di una canzone\cantante.

 I 100 m. della metropolitana di superficie (tram) Argentina-Venezia a Roma sono presi da un cantiere da novi mesi, e ne avranno ancora per tre mesi - ma saranno diciotto. A Città del Messico e al Cairo la metropolitana è stata realizzata a cento metri in media al mese. Da ditte francesi.

Si arresta a Roma il presidente della circoscrizione XVIII (ora Municipio XVIII) perché pretendeva la metà della somma, settemila euro, che aveva fatto elargire a una pittrice per organizzarsi una mostra. Ma non c’è scandalo sulla mostra pagata dalla circoscrizione.

La libertà è debole in Germania

“Viaggio spesso per la Germania e, non di rado, provo la sensazione di far parte di una minoranza”. Non trovandovi la libertà. La voglia o il sentimento diffuso della libertà. Il tedesco, diceva Heine, “ama la libertà come la sua vecchia nonna” – l’inglese come la sposa da difendere, il francese come l’amata da conquistare. Il presidente della Repubblica tedesca lo ricorda per ridere, ma non del tutto.
Gauck opina che ciò sia dovuto alla Guerra dei Trent’anni (1618-1648), dopo la quale solo i príncipi garantirono una certa sicurezza, e un sentimento di sudditanza all’autorità si venne a creare. Ma la radice è in Lutero, che in Italia è sinonimo di libertà, in chiave anticlericale, mentre fu l’opposto di come si rappresenta: non liberò nessuno in Germania, né su piano politico né su quello spirituale o religioso, e anzi fu spregiatore del popolo, che trovò bonaccione e vagabondo e asservì – lo dice il “saggio fondamentale” di Thomas Mann sulla Germania e i tedeschi scritto nel 1945, che la curatrice Tonia Mastrobuoni qui ricorda, e bisogna crederci: il Riformatore, “incarnazione dell’essenza tedesca”, fu un “rivoluzionario conservatore” - pure lui fra i tanti, Thomas Mann compreso - che “ha fondato l’atteggiamento sottomesso dei tedeschi dinnanzi ai príncipi e all’autorità e ha favorito, forse inventato, il dualismo tra audace speculazione spirituale e immaturità politica”.
La libertà la casa editrice degli esclamativi (“Indignatevi!”, “Democrazia!”) affida al teologo e pastore Gauck. Che è il capo dello Stato in carica in Germania, ma anche uno che ci tiene molto alla differenza, a essere luterano. Non in sintonia quindi con Thomas Mann, ma non del tutto. Tonia Mastrobuoni trova che la caduta del Muro nel 1989 fu opera dei berlinesi. Gauck, che dall’Est vi ebbe un certo ruolo, dubita. Il vero tema del presidente della Repubblica tedesco è il senso della libertà in Germania, debole. La libertà tedesca lo lascia perplesso.
Joachim Gauck, Libertà!, add, pp.62 € 6

giovedì 7 marzo 2013

La rivoluzione culturale di Grillo

È l’“indignazione” portata al governo, la disaffezione insorta in Europa negli ultimi anni, generazionale e di massa. Ma c’è di più: c’è molto maoismo nel grillismo, la rivoluzione culturale di Mao del 1966 contro il suo stesso partito. All’insegna del precetto alle masse: “Occupatevi degli affari dello Stato! La rivoluzione è giustificata! Chiedetevi i perché delle cose!”.
Il mezzo è cambiato, è la rete invece della piazza. I presupposti e l’esito sono quelli. Compresa la commistione di fatti politici tradizionalmente di destra, come l’anticulturalismo, con quelli di sinistra, il lavoro, il reddito, la scuola e la sanità pubbliche.
Il richiamo tanto più s’impone per l’eco che questo “programma attivo” riscuote in Europa – invece della protesta solitaria e quasi scherzosa degli Indignati. E per la sorda, ma non cieca, preclusione che i media gli oppongono – i media come establishment della vecchia sinistra, del vecchio partito.

Viva la libertà – dal Pd?

Un’onesta commedia infine. Brillante, anche se sull’idea Usa di “Dave, un presidente per un giorno”. Il soggetto anzi è vetusto, dai “Menecmi” in poi, col repertorio scontato delle dissomiglianze, le rivalità, le gelosie. Ma è ottimamente architettato e sceneggiato da Angelo Pasquini, con la politica che ai suoi vent’anni si fantasticava degli Indiani Metropolitani, poetica (vera) e irriverente. Con qualche trovata che aggiunge profumo di zolfo. Come portare la commedia fino a metà su temi e personaggi berlusconiani, e poi mettere tutto sotto il ritratto di Berlinguer. O Toni Servillo comico, specialmente efficace sulla maschera ormai acquisita di personaggio triste e attonito. Una commedia, come si dice, deliziosa.
Malgrado non lo pretenda, il film di Andò è però dichiarato un capolavoro da “Repubblica” e “Corriere della sera”, e un quasi capolavoro dagli altri (sola riservata è “l’Unità”), e questo è un fatto a sé, che sopravanza l’opera. Andò viene dichiarato, e si lascia dichiarare, l’atteso messia del partito Democratico, quello che morettianamente dice infine “qualcosa di sinistra”. Con enormi richiami, paginate e paginoni doppi, al “qualcosa di sinistra”. Roba da brividi: in che mondo incistato vive questa sinistra?
Vedendolo, com’è possibile a Roma, nel cinema di Moretti, viene pure da pensare che è “un film di Nanni Moretti”, il suo film – il produttore è anche il suo ex, Barbagallo, e lui stesso sarebbe stato perfetto invece di Servillo. Ma forse Nanni Moretti non ha la leggerezza che il film richiede, ce l’aveva e non ce l’ha più – è la sindrome Pd, dei sovietici dopo l’Unione Sovietica.
Roberto Andò, Viva la libertà

Il mondo com'è (129)

astolfo

Borghesia – “Senza una borghesia attiva, un governo borghese non conta nulla”, Giuseppe Berto, “Modesta proposta per prevenire”, p. 174. È il senso della crisi: “Un giorno si arriverà bene al dilemma: il capitale difenderà i beni immobili che possiede nel paese e non può trasportare altrove, oppure pianterà i beni immobili e si accontenterà di quelli mobili già trasferiti all’estero?”. È sempre Berto, p. 175, allora contro la sovietizzazione oggi contro il fisco.

Destra-sinistra – Era il tormentone di Evola, e potrebbe essere quello di Grillo: “Il fascismo non è di destra”. Naturalmente in regime democratico, di libertà di espressione e di voto. E rigettando le nozioni di destra e di sinistra. Su tutti i suoi punti qualificanti, l’euro e l’Europa, la “sovranità monetaria”, le banche, l’ambiente, gli Usa, Israele, l’Iran, Grillo radica in Parlamento le politiche di estrema destra, o destra pulita, finora in Italia senza cittadinanza.
Al tempo del Sessantotto l’obiezione era comune a sinistra e a destra, che le coincidenze tra il “fascismo delle origini” e il movimento studentesco non erano poche. “Una rivoluzione qualunquista”, vedeva Berto alla fine nel 1971 guardandosi attorno (“Modesta proposta per prevenire”. Questo è Beppe Grillo. C’era anche allora, a leggere Berto,  la “condizione di non-speranza totale, quale il mondo non aveva ma conosciuto prima”. Avendo i due sistemi politici d’allora, liberale e marxista, “finoggi lavorato affinché i cittadini fossero più infelici di quanto la natura non abbia a suo modo stabilito”. Che sembra datato, ma non nella sfiducia verso la politica.

Nella sua “Modesta proposta” Berto, passato per uomo d’ordine se non di destra, argomentava oltre quarant’anni fa con Mao e la contestazione, Marcuse, Dutschke, don Milani. Anticlericale, gramsciano in più punti, Berto è antifascista a suo modo – che non si saprebbe dire veritiero, ma certo precorritore: “Il fascismo, non la resistenza”, scrive, “era stato l’unico fenomeno di base nazional-popolare che si fosse verificato in Italia dai tempi di Cesare Augusto”.

Marx e Mazzini – Fanno uno dei grandi misteri della storia: entrambi esuli, entrambi a Londra, con Mazzini famoso e riverito, e Marx sensibile alle società segrete, non si parlano e non si citano. Anche Marx veniva dalle società segrete, non c’è dubbio in proposito, se si legge il formulario di adesione di una qualsiasi carboneria:
“1. Che cosa pensi del governo?
- Che tradisce il popolo e il paese.
2. In nome di quale interesse agisce?
- Quello di un piccolo numero di privilegiati.
3. Chi sono i privilegiati?
- Sono i finanzieri, i banchieri, i sensali, i monopolisti, i grandi proprietari, gli aggiotatori, in una parola gli sfruttatori che si arricchiscono a danno del popolo.
…………………………………………………………………
13. Qual è la sorte dei proletari sotto il governo dei ricchi?
- La sorte del proletario è simile a quella del negro e del servo, la sua vita è un seguito di miserie, fatiche e sofferenze.
14. Qual è il principio di una società giusta?
- L’uguaglianza.
15. Bisogna fare una rivoluzione politica o sociale?
- Bisogna fare una rivoluzione sociale.

Massoneria – Non si vuole segreta, ma del segreto fa il suo dna. Con una predilezione per il complotto. A maggiore ragione quando all’apparenza ne è vittima. Si prenda il “complotto” per eccellenza: perché Garibaldi ha dato mezza Italia a quei citrulli dei Savoia? Sì, Cavour, ma Garibaldi l’Italia la diede ai Savoia, Cavour subito dopo lo cacciarono. Obbedienza massonica. Agli inglesi e a Luigi Napoleone, imperatore per burla. Dei generali borbonici compresi, che alzavano le mani non richiesti. Fino al XX Settembre: si attese l’equinozio d’autunno per sparare una decina di palle ad alzo zero contro il muro di Porta Pia – attenti a non beccare gli svizzeri – ed elevarle a epinicio sulla teocrazia. Ma – è questo il punto - non si può sapere, il riserbo si addice alla cultura laica, inespressa. All’indegna del perinde ac cadaver, l’uniformità gesuita.
La massoneria, in fondo, è istituzione antipapista, un altro nome per ghibellini. Per questo anche Rabelais era massone, o Montaigne, o l’uno e l’altro. E Dante, sempre ante litteram. Ma su Dante la fratellanza è divisa: molti gli appioppano la credenza che la terra fosse piatta, a lui e al Vaticano, e a Tolomeo. Sono un ramo, questi discorsi, della “scienza del complotto”, piace sapersi in mano a forze segrete – la negazione, in realtà, della politica.

Pensioni – La riforma delle pensioni, quella che adesso con difficoltà si tenta di sanare in qualche modo, non potendola smobilitare, così la vedeva Luciano Lama nel 1970, spiegandola all’“Espresso”: “Quando proponiamo di programmare le riforme nel tempo… ci si risponde: non ci sono i soldi. Lo sappiamo anche noi che i soldi non ci sono”, si rispondeva il segretario della Cgil, ma aggiungeva: “Ma non possiamo ammettere che le risorse non dico presenti, ma le future, quando ci saranno, vadano ancora una volta a finire all’estero, o nell’imbuto delle concentrazioni industriali del Nord, o nell’espansione disordinata, o negli investimenti di lusso”. Da qui la riforma lussuosa delle pensioni: “Ecco perché non ci rimane che imporre la pianificazione delle risorse scioperando, come abbiamo fatto con le pensioni, l’unica riforma fin qui realizzata. Il problema delle pensioni non è stato forse risolto impegnando disponibilità future?”
Non si può dire che Lama non ci vedesse giusto.

Raccomandazione – È uno di segni della “inferiorità” dell’Italia – rispetto all’etica puritana, alla Germania, all’Inghilterra, agli Usa, eccetera. Ma il 50 per cento delle assunzioni della Ernst & Young, la maggiore azienda di “cacciatori di teste” si fa per raccomandazione. Su presentazione cioè di qualcuno. C’è quindi la raccomandazione buona e quella cattiva.

Settecento – La “mentalità settecentesca”, quella dei lumi o della ragione, è per Croce quella del complotto: un “indirizzo intellettualistico”, di”semplicismo razionalistico”, la “cultura dei maestri elementari”, avulsa dalla complessità.

astolfo@antiit.eu

mercoledì 6 marzo 2013

La resistenza delle patate

Perec, figlio di ebrei polacchi immigrati, reitera il teatro dell’assurdo orientale, portato a Parigi da Ionesco, dalla Romania quindi, ma che molto deve alle shtetl ebraiche, i villagetti poveri di ebrei orientali tra Russia e Germania. In chiave più drammatica che comica. In originale “La poche Parmentier”, qualcosa di mezzo tra patata e moche, moscio (Parmentier è il benefico trapiantatore della patata alle porte di Parigi), rappresenta cinque personaggi alla deriva, in uno spazio chiuso, forse una prigione, forse un manicomio, comunque abbandonati a loro stessi, da tempo ormai immemorabile, che vivono inalterata la loro routine di spazzapatate, librandosi a volte ai ricordi, le fantasie, le bugie, a volte amichevoli fra di loro a volte cattivi.
Uno dei pochi testi di Perec, il funambolo della parola scritta francese degli anni 1960, che ancora si rappresentano. Rosi Giordano, che già l’aveva montato in video tre anni fa (“Le patate altre”), lo rirappresenta con una scenografia povera, puntando sulla parola, e sulla presenza scenica dei suoi attori, Maria Teresa Di Clemente, Marco Giustini, Monica Maroncelli, Maria Enrica Prignani, Adriano Rosati. Ognuno con un suo modo di essere sula scena, a ulteriore sfaccettatura della tenue trama. Col dettagliamo irreale che fa la cifra di Perec, alchimista della parola che si riascolta e si rilegge ogni volta con sorpresa: venticinque milioni di ettari sono dedicati alla patata, durante la guerra è stata utile, serviva come tampone per i timbri sui documenti falsi….  
Georges Perec, Il posto delle patate, regia Rosi Giordano

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (163)

Giuseppe Leuzzi

Se il Sud non si ribella, male. Se il Sud si ribella, peggio. Antonino De Francesco, “La palla al piede”, ricorda fra i tanti casi la rivolta di Grammichele, che fu occasione alla stampa nazionale per esibirsi “sulla natura ferina delle inconsulte plebi siciliane”. A Grammichele i braccianti, organizzati dalla Camera del lavoro, lamentando l’inasprimento delle tasse comunali, erano entrati nel Municipio e alla fine avevano dato fuoco al sottostante circolo dei notabili. Le forze dell’ordine, intervenute con le armi, ne avevano ucciso quattordici e ferito alcune decine.
I meridionali sono sempre plebe. Se non sono briganti, sono sanfedisti. O mezzo mussulmani, e africani. Da tempo ora mafiosi.

La donna del Sud
Simonetta Agnello Hornby è una che “più che italiana”, dice, “mi sento siciliana”. E ama raccontare che le piace cucinare per gli amici, in numero di otto: “Otto è il numero giusto, altrimenti non si può conversare”. E che raduna ogni anno la famiglia a Natale: i due figli con le nuore e i tre nipoti, e l’ex marito, padre dei figli, con la sua compagna.
La baronessa fa eccezione per Natale al numero otto, per esercitare il suo ruolo di matriarca. Specie sull’ex marito e la sua compagna.

Nadia Crucitti ha mandato il manoscritto del suo romanzo “Casa Valpatri” a 24 editori, prima di mandarlo a “Famiglia Cristiana”, che glielo ha premiato e pubblicato.

L’harem di Tarantini, molto allegro, le allegre amicizie di Patrizia Vendola con molte allegre giudici, o mogli di giudici, le allegre croniste amiche in esclusiva degli inquirenti. Bari deve avere dato un brutto colpo al Nord, le allegre donne di Bari, alla sociologia della donna del Sud. 

Autobio
Abbiamo fornito bande al cardinale Ruffo, contro i francesi di Napoleone, contro i patrioti, contro i piemontesi, contro Garibaldi. Abbiamo resistito a lungo: ogni Vandea  ci trova infiammati, di radicalismo conservatore. Reazionari o sbirri no. Ma il riflesso è condizionato contro l’ipocrisia e l’inettitudine, che passa sopra a ogni, sia pur civile, calcolo di opportunità, di convenienza: per nulla prendiamo le armi.
Si prendono le armi in genere per un buona causa: la libertà, la dignità, la casa, la famiglia. Noi andiamo in guerra per semplice incazzatura, dalla partita a briscola.

Si viaggi ovunque in Germania, il paesaggio è pettinato al pettine fine, non una busta di plastica né una lattina vanno col vento, nemmeno cadute per caso. Anche nelle campagne remote. Il contadino bavarese, svevo, che era greve, e misurava quarant’anni fa la sua agiatezza dalla montagna puzzolente di concime organico alla porta, ora non scorreggia neppure più, probabilmente, e i boccaloni ingurgita senza rigurgiti. Ogni sasso è rimesso al posto, ogni stucco ricostituito e rinverdito, sui toni forti per fare luce, nero nero, bianco bianco, crema crema. Non costa più che il cemento armato con cui si creano in paese gli interminati palazzoni di mille e duemila metri quadrati – interminabili appunto perché costano troppo. Ma quanto benessere, in quell’ordine risparmioso! Basterebbe poco.

Ciccio C. si arrende, che aveva il motto “non affrettarsi, non fermarsi mai”. Ha fatto per sessantacinque anni il barbiere e non ne ha più voglia. Anche se è in buona salute. Dice che dovrebbe rinnovare la bottega, che non è più in regola con l’ufficio d’Igiene ed è vero – non da ora. Dice che ora fare la barba è complicato, sempre per via dell’ufficio d’Igiene – ed è vero: il rasoio a mano libera è proibitissimo, e il pennello per la schiuma, ora ci vogliono acqua calda, crema prebarba, crema da barba speciale da spalmare, rasoio usa-e-getta, dopobarba con massaggio alla cute. “Poi nessuno si fa più un taglio di capelli, ora li vogliono scolpiti, vogliono la cresta, le mèches...”, e anche questo è vero. Ma il barbiere più non ha voglia del cameratismo che lo ha accompagnato nella lunga giornata, monotona, preferisce stare solo.

È morto Michele, guardia privata dei Versace in montagna, vecchio solido comunista, testimone muto della quotidiana lite tra le due altre guardie private dei Versace, Ciccio e Nato. Ciccio fascista, Nato comunista, dopo essere stati entrambi socialisti, ai loro vent’anni. Ciccio beveva senza complessi, anche la birra. Nato dopo essersi schermito: “Una birra, Nato? “No, grazie, il medico me l’ha proibito”. “Un bicchiere di vino, allora?” “Un bicchiere l’accetto volentieri, grazie”. Alla fine Ciccio avrebbe detto: “Ho perso la guerra ma sono stato al potere vent’anni”. Al che Nato avrebbe obiettato: “Se fra cinque anni non siamo al potere, hai ragione tu”.
Tutto questo “potere” aveva creato una simpatia, muta, con Michele. 

Il timpanaro Saverio D. ritorna a ogni concerto di Santa Cecilia, richiamato senza volerlo dal timpanaro dell’orchestra, Enrico Calini. Alto, robusto, solenne. Autorevole e preciso. Serio sempre. Calini sa essere scherzoso, ma anche lui sempre si propone di tre quarti come Saverio D. E la posizione obbligata dall’epa? Dallo strumento?
È curioso ritrovare frammenti di vita, costanti, ricorrenti, di una persona peraltro poco o nulla conosciuta, sebbene vicino di casa, per un’occasione e in un luogo accidentali, quali il concerto settimanale, a Roma, a molti anni di distanza – tanti, potrebbe essere stata un’altra epoca. Memorie cristallizzate, incistate Anche Calini s’immagina taciturno, seppure disponibile al sorriso – non è necessario ma la presenza più incombe se muta.
La memoria è muta? Non necessariamente, La presenza muta è espressiva nel gesto e nel suono, imponenti, decisi. Di un’esistenza ritratta, umile – quanti colpi può dare un timpanaro?
Aveva tre figli, Saverio, benché di madre che mai fu possibile vedere: Alfredo che è andato via presto, si è sposato, ha avuto figli, non è più tornato, e poi è morto, Tina, che si è sposata in paese, anche lei ha avuto figli, e non è mai più tornata, e Maria, la più giovane. Che è rimasta in casa nubile, benché curata, nutrendo chissà appassionate fantasie. E ora muore anch’essa, sola.
Maria è morta beghina, contro se stessa, recitando lunghi rosari il pomeriggio su una banda preregistrata, una sorta di karaoke. Ci sono esistenze sottili, che più s’impongono nell’assenza.

leuzzi@antiit.eu

martedì 5 marzo 2013

Che brutta storia della mafia

Non ci sono due mafie purtroppo, come Sciascia opina, i mafiosi sono solo brutti. Sciascia naturalmente non ne ha colpa, ma inizia con lui, con l’attrazione che esercita in tutti i suoi scritti, anche d’occasione come questo per “Storia illustrata” quarant’anni fa, l’eroicizzazione della mafia, all’epoca impensabile, con l’enorme pubblicistica poi accumulata. Con lo Stato-mafia già allora, nel 1972 - p. 27. Con incredibili forzature della storia – i “picciotti” mandati a Garibaldi dai capimafia è una delle tante (mandati per infeudare l’isola al “Nord commerciale e industriale”, proprio così, alle pp. 29-30).
Il breve scritto è rimpolpato da un incontro di Giancarlo Macaluso con Stefano Vilardo (“A scuola con Leonardo Sciascia”), il grande amico di Sciascia fin dall’infanzia.  Salvatre Ferlita, nella postfazione, dà conto degli equivoci che a Sciascia furono rimproverati, e ricorda come lo scrittore  fosse orgoglioso di aver fatto della mafia per primo materia narrativa, nelle corrispondenze con Calvino e Einaudi. 
Leonardo Sciascia, Storia della mafia Barion pp. 72 € 8

Letture - 129

letterautore

Amore-morte 2 – In Germania, dunque, è di rigore. La “notte germanica” di Furio Jesi è lunga e plurale: quella di Tristano, quella di Novalis, con Hölderlin e Kafka, e quella della Regina di Mozart. L’innamorato di Karoline von Günderode danza sulla tomba dell’amata: così lo immagina la bella inattingibile della poesia tedesca, per avvenenza, grazia, sapienza, giovanissima. Subito dopo la danza, i “Legami dell’amore” saranno per lui sempre quelli con l’amata morta, al solo pensiero di lei nella bara un tripudio di orgasmi lo invade.
O la fonte della poesia sarà in Germania il terrore. Non al modo di Shakespeare, che gioca con folletti e magie: è il terrore del terrore. L’opera meno violenta, quasi delicata, di Wagner, che culmina quarant’anni di lavoro, concepita per prima nel 1845, completata nel 1882, il Parsifal, la ricerca congiunta di molti cicli epici del sacro Graal, richiede notevoli quantità di sangue – il Met di New York calcola, con la solita acribia yankee per i numeri, sessanta ettolitri, un bell’ingombro, anche se di acqua colorata. A lungo i giovani amanti tedeschi, invece di fuggire insieme, si avvelenavano. L’essere è del resto per il tedesco divenire, il verbo e il sostantivo.
Questa necrofilia è maschile, le poetesse l’amante lo vogliono in carne pure in Germania – con eccezioni: la Lenora di Bürger il fidanzato morto torna a prendersela su invito della donna, che infoiata vuole morire: “Il fuoco che mi arde, non c’è sacramento che lo plachi”. È allora da pensare che i maschi tedeschi temano le donne, benché buone mogli? Novalis amava di più Sofia se la pensava morta. Perfino il limpido Heine paga tributo alla morte erotica, belles dames sans merci sono le sue donne dall’inizio alla fine, dai Traumbilder alla Mouche, nel loro vampiristico Kosen, il pettegolìo.
Ma piacciono morti pure i bambini. Non soltanto al Rückert dei Kindertotenlieder di Mahler, che ne scrisse 428, anche Goethe ha un padre che parla al figlio morto. Necrofilia e spregio della libertà, “croce e sacrificio, sangue e morte” il Mann impolitico dice “il segno più certo della germanicità”.

Anticlimax – È la cifra del neo realismo, oggi repulsiva. Rilke l’ha scoperta un  secolo fa, chiamandola la “curva discendente” dello stile, e associandola alla narrazione a al teatro naturalistici (in Italia veristi), come criterio corroborativo della veridicità. Un anticlimax: l’opera tende a un finale non risolutivo, e quasi senza possibilità di novità o mutamento.
Rilke ne parla come del procedimento che al cinema sarà chiamato della dissolvenza, quando gli autori vogliono lasciare ambiguo il finale e il senso della storia. Ma con più determinazione, e anzi volontà di dissoluzione, più che ambiguità. Una chiamata di correo e un’infezione depressiva, si può aggiungere, che priva lettori e spettatori della forza catartica dell’arte, la liberazione. Immedesimandoli e in certo senso corresponsabilizzandoli degli eventi di solito non gradevoli appena narrati o rappresentati.
Rilke ne parla in una lettera sul romanzo “La signora Marie Grubbe” di Jens Peter Jacobsen, lo scrittore-scienziato danese del secondo Ottocento che molto peso ebbe nella sua formazione (a lui deve molto il Malte Laurids Brigge dei “Quaderni”, l’apologo parigino di Rilke sull’amore casto). La “curva discendente” rileva nelle opere di Zola e di Flaubert, “Nanà”, “Bovary”. Quella sulla “Marie Grubbe” è una delle tante lettere in cui Rilke parla di Jacobsen e riconosce i suoi debiti. I due romanzi allora famosi dello scrittore danese, il primo darwinista convinto del suo paese, sono storie di declino, “Fru Marie Grubbe” e “Niels Lyhne”, sono storie di fallimenti a catena, una disgrazia tira l’altra, che aggrediscono e spogliano le idealità  dei personaggi. Non da questo, però, Rilke era attratto dagli esercizi costanti, nell’opera di Jacobsen, sull’erotismo in tutte le sue forme: innamoramenti infelici, talvolta incestuosi, o iniziatici, all’altro come alla natura, possessivi oppure spirituali, compresa la gelosia e non esclusa la sensualità.

Confessione – Barthes lega il diario etimologicamente a diarrea e catarro.

Gelosia – È il tema di tutto Strindberg. Anche di Ibsen. E poi di Proust, le migliaia di pagine delle storie di Swann e Albertine.  In forma alla fine di invidia, anche della felicità degli altri, o di quello che si presume tale.

Sherlock Holmes – “Partendo da tre nozioni date, calcolare l’incognita è facile”, è anche di Strindberg, 1888, “Creditori”. Sherlock Holmes fa la parodia, lieve, indiretta, dello scientismo del secondo Ottocento.

Traduzione – “Agosto”, spiega un poeta russo émigré a Derek Walcott, “in russo è un uomo”. E l’universo del poeta caraibico si rivolta, ripensando al suo emistichio celebre “la domestica, Agosto…”. Sarà agosto “un lavoratore su un manifesto rivoluzionario, con i capelli color grano e un forcone in mano?” O “uno di quegli intellettuali annoiati e indolenti che si incontrano nel teatro di Čechov, con una voce cullante e soporifera”? O non “anche Nina nel «Gabbiano», una ragazza che si appiglia come una cavolaia…?”. Lui aveva visto “Agosto come una domestica, la testa color ebano avvolta in un fazzoletto bianco mentre, in una casa in riva al mare, sbatteva le lenzuola stese ad asciugare…” – bisogna amare i poeti.
Walcott si appoggia allora (“La voce del crepuscolo”) a Brodskij, che avendo acquisito come seconda lingua l’inglese, provvide di molte sue poesie alla “traduzione” dal russo all’inglese. Ma i dubbi, invece di dissolversi, si accumulano: sarà stato il distico delle “Elegia Romane, II”, sulla mosca in agosto, così pieno in russo di sibilanti come lo è in inglese?
Il poeta Nobel caraibico vuole dire la traduzione impossibile. Ma allora tanto vale dire la poesia impossibile, la creazione poetica: quel è il suono giusto, la scansione, la cadenza?

“La maggior parte dei traduttori rovina i propri originali a causa di una falsa ambizione di volerli superare, che li rende infedeli, o a causa di una banale precisione, che li rende più infedeli ancora”. Oppure: “Quando si vuole tradurre, bisogna scegliersi il proprio autore, come si sceglie un amico, di un gusto conforme al nostro”. Entrambi i consigli sono di Voltaire, “De la poésie et de l’éloquence dans la langue française” e “Sottisier”. Pound, nota Riccardo Campi a conclusione del libro “Le conchiglie di Voltaire”, lo prende sul serio, in “Impressions of François-Marie Arouet (de Voltaire)”, rifacendone tre epistole in versi che alla fine non hanno nulla dell’originale, al suo orecchio prolisso e anche vuoto, ma sono nella sostanza (“nell’immagine”, in maschera) ben di Voltaire.

letterautore@antiit.eu

lunedì 4 marzo 2013

L’amore nella morte, su letti di oleandri

È già in offerta per ragioni di marketing – portarlo subito in classifica. Ma è una gran romanzo, ambizioso a ragione. Il titolo “allendiano” – agnelliano? – sta per un racconto diverso, a suspense, a chiave. Anche migliore di altri folklorismi siculi della “Allende italiana”.
La storia è ambientata sotto la necropoli di Pantálica, sul Cava Grande, l’affluente dell’Anapo. Un sito dal fascino impossibile, fra i tanti “impossibili” della Sicilia. E dentro la necropoli stessa. Una storia di amori nella morte, rivissuti, ritrovati, di un fascino anch’esso impossibile. Anche plurimi, incostanti, bisessuali, malati, di aborti imposti, violenze, adulteri, tradimenti, e sempre onesti. Perfino la mostruosità mafiosa lo è a suo modo. Di scrittura rapida, trascinante (con minime smagliature: un maliano che canta in inglese, la flagellazione inglese sui monti Iblei - tra il Racinaro, dove  Atene perse la Sicilia, Alcibiade, e il Cassibile dell’armistizio, non c’era di meglio?).
Il tema è semplice e non è nuovo, della famiglia disfatta che si ritrova ai lutti – di Joyce ma anche, ultimamente, di Banville, “Teoria degli infiniti”: attorno alla morte la vita si ricostituisce, e il senso-nonsenso della vita di ognuno. Col punto di vista rovesciato, la memoria è dei morti, e anche il senso della vita, propria e degli altri. Un racconto privo dell’attesa sicilitudine, alla scrittrice cara, ognuno vi ha un suo destino, anche mignon e micro, anche grigio, quale è nella realtà, dettata dai mezzi di sostentamento, che sempre sono scarsi. Ma molto siciliana in questo: di esistenze magari tristi, ma prive di sensi di colpa.
L’oleandro del titolo, di cui la valle è fiorita, l’oleandro ama le forre pietrose dei fiumi, può far morire, se i rami tagliati infettano una ferita. Ma è profumato, alcune specie lo sono, e ha colori inimitabili.
Simonetta Agnello Hornby, Il veleno dell’oleandro, Feltrinelli, pp. 219 € 17

La crisi è demografica

C’è anche una demografia carente all’origine della crisi finanziaria europea. Specie in Germania e in Italia. Il paese cioè che per primo ha portato l’età della pensione a 67 anni, riducendo di un terzo circa la spesa. E il paese che è stato costretto, pena il salto del banco, a fare lo stesso passo un anno fa. Il tasso di fertilità nei due paesi è da quindici anni dell’1,3-1,4. Dopo essere stato per trent’anni in entrambi i paesi attorno all’1,2, un record negativo mondiale. Insufficiente a rimpiazzare i decessi, che vanno a situarsi su una progressione doppia, comprendendo la popolazione maschile e quella femminile non fertile.
In queste condizioni diminuisce anche la forza lavoro e la produzione del reddito. In assenza di un’immigrazione sostenuta e in parte qualificata. Le politiche malthusiane del laicismo europeo hanno, come si sapeva, un effetto negativo sulla prosperità. Con una curioso rovesciamento in Francia, patria del laicismo, dove invece da quarant’anni, dalla presidenza Pompidou, la politica fiscale e degli ammortizzatori sociali è intesa tutta all’incremento demografico (la Francia veniva da un secolo e mezzo di calo della popolazione): la famiglia modello ha in Francia tre figli. Un saggio eloquente dell’antidemografismo laico suicida è quello di Giuseppe Berto, lo scrittore per tanti altri versi immerso nella realtà e avverso alle false verità, nella sua “Modesta proposta” del 1971: limitare le nascite per dividere più equamente le risorse – che, però, chi le produce?
Di più al Sud
Nelle dinamiche demografiche, la relativa ripresa delle nascita degli ultimi quindici anni rispetto ai trenta precedenti vede un’altra curiosità in Italia: il ribaltamento Nord-Sud. In precedenza il decremento delle nascite era dovuto al Nord, con punte di fertilità inferiori perfino all’unità a Genova, Trieste e nelle città dell’Emilia Romagna. Dal 1995, invece, l’Istat fotografa questa situazione: “L’aumento dei nati continua a registrarsi, infatti, solo per i residenti nelle regioni del Centro e del Nord, mentre al Sud e nelle Isole prosegue il fenomeno della denatalità”. In particolare, dal 1995 “si osserva una riduzione delle nascite compresa tra il 6 per cento della Sardegna e il 22 per cento della Basilicata, meno 21 per la Calabria, un meno 14 per la Sicilia, e un meno 16 per Campania, Puglia e Molise”. Le regioni a reddito ro capite superiore alla emdia nazionale, Abruzzo compreso, hanno un indice di natalità attivo.
Il punto di non ritorno
In Italia il numero delle nascite è inferiore ai decessi da quasi vent’anni, dal 1994. Inoltre, l’Italia è il primo paese al mondo a fare esperienza del cosiddetto “punto di non ritorno”, che si ha quando il numero di persone sopra i sessant’anni eccede il numero di coloro che sono sotto i venti. Un dato irreversibile, secondo i demografi: la probabilità che il numero dei ventenni o meno torni a superare quello dei sessantenni o più è bassissima. Secondo il National Institute on Aging Usa, entro vent’anni il 32,6 per cento della popolazione italiana avrà 65 anni. Trentacinque anni fa, il 9 per cento della popolazione italiana era composta da bambini con meno di cinque anni. Oggi questi bambini formano appena il 4,2 per cento della popolazione. I bambini scompaiono: secondo la Population Division Onu, nel 2050 saranno appena il 2,8 per cento della popolazione italiana.
Eccetto gli immigrati
Un’altra particolarità, che l’Italia condivide con la Germania, la Francia e molti altri paesi europei, è che nella nuova natalità hanno una parte cospicua gli immigrati. Uno su cinque nuovi nati è di genitore\i straniero\i (erano uno su 16 nel 1995, e uno su 8 nel 2008).
Per la Germania la popolazione si calcola che si ridurrebbe a metà secolo da 82 a 69 milioni di abitanti con un saldo immigratorio di 100 mila entrate l’anno – a 74 milioni con u’immigrazion e netta di 200 mila unità l’anno. Giù un quarto della popolazione tedesca è di discendenza straniera o parzialmente straniera. Tra i tedeschi con meno di quindici anni la percentuale è del 35 per cento. Nelle grandi città almeno sei bambini su dieci di età fino ai cinque anni hanno almeno un genitore nato all’estero.
Finisce l’Europa
In Spagna la prospettiva è peggiore, poiché il tasso di fertilità è sceso da tempo e si mantiene attorno a 1,3. Con la tendenza in calo, per effetto delle mutate condizioni sociopsicologiche delle donne, e da tre anni della crisi economica (cinque milioni di disoccupati sui venti attivi): nel 2012 l’Instituto Nacional de Estadìstica calcola un 3,5 per cento di nascite in meno rispetto al 2011. A questo ritmo i 47 milioni di spagnoli di oggi saranno 35 in trent’anni.
Il fenomeno si allarga da qualche anno a tutta l’Europa. Nel 2011 almeno undici paesi della Ue hanno denunciato un tasso di crescita demografica negativo.  Per avere una popolazione stabile sul piano demografico occorre un tasso di fertilità di 2,1 figli per donna. In Grecia il tasso di fertilità 2011 è stato di 1,46, in Portogallo 1,36, in Italia 1,38, in Germania 1,36.
La pensione a 67 anni forse non basta, peraltro, a ridare equilibrio alla previdenza. - alleconomia. La Germania dibatte se non sia necessario portare l’età della pensione a 70 anni – cioè a pochi anni di rendita, considerato che l’opinione tedesca e il sistema sanitario sono a favore di una fine precoce dei vecchi, se non di una vera e propria eutanasia, sull’ambiguo concetto di “accanimento sanitario” - l’aspettativa di vita è in Germania di 82 anni, in Italia di 82 (a San Marino a 83, grazie alle tasse?), benché il reddito emdio sia in Germania superiore a quello italiano di un quarto.

domenica 3 marzo 2013

I popoli fanno ricche le nazioni

Ci voleva un refoulé eccellente, in questa Italia senza politica e senza scienza, per dire l’ovvio: senza popolazione non c’è ricchezza. Una popolazione declinante è fatalmente impoverita. Solo un malthusianesimo grezzo come il laicismo italiano poteva pensare che facendo meno figli si divideva meglio la ricchezza.
Antonio Fazio, Sviluppo e declino demografico in Europa e nel mondo, Marietti, pp. 96 € 10

Un vero governo di unità nazionale

Per Napolitano la ricetta sarebbe già pronta e semplice: un governo di unità nazionale. Uno vero, non quello nefasto di Monti. Un governo solidamente politico, non burocratico (tecnico). Senza paura di quanto si dice, dice che l’elettorato spazzerebbe via i partiti che vi aderissero. Il presidente della Repubblica sarebbe convinto che invece l’elettorato è questo che chiede, che si prendano le decisioni risolutive. La paura di essere spazzati via sarebbe a suo parere della stessa natura della spocchia che ha portato alla sconfitta la vecchia politica: l’incapacità incredibile, perfino assurda, di confrontarsi ai due problemi, quello della politica (costi, funzionamento, debito) e quello della produzione.
L’ipotesi si vuole anche semplice dal punto di vista parlamentare, della fiducia e poi della attività legislativa. E da quello dei partiti: sarebbe lo squalificante inciucio solo se non si facessero i tre-quattro provvedimenti attesi. Mentre i grillini dovrebbero confrontarsi con scelte condivisibili, e comunque in linea con le attese elettorali.
Non ci vuole molto, in effetti, basterebbe un governo che parta dal taglio radicale dei privilegi della politica, e dal taglio del debito. Questo in primo luogo: in un situazione istituzionalmente meglio regolata che in Italia, con un vero governo, da tempo si sarebbe intervenuti, poiché non c’è alternativa. Nonché dalla semplificazione della politica, il tema ormai trentennale delle governabilità. L’Italia è l’unico paese al mondo in cui non si vota per un governo ma per dei partiti.
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La rete di Grillo è la ribellione ai media

All’improvviso il linguaggio politico è diventato grillino: fare presidente del consiglio un ragazzo, una signorina, un gay, possibilmente non professori. Segno dell’indigenza dell’opinione pubblica in Italia, senza mai un richiamo ai fatti. Che sono una recessione grave, la più grave dopo il 1930, con oltre un milione di posti di lavoro perduti, e un debito da consolidare, con misure anche impopolari ma improcrastinabili, non si può andare avanti indefinitamente a pagare più tasse: è insensato e non c’è più da grattare.
Questo mentre Grillo, “il comico”, le cinque stelle originarie le ha messe in un canto – acqua, ambiente, trasporti, connettività, sviluppo. E l’antipolitica pure, il vaffa. Grillo rappresenta, di più in questa fase postelettorale, per compostezza, sobrietà, intelligenza lunga, soprattutto la ribellione degli italiani ai media. Anche in quelli che non lo sanno. Con l’illusione naturalmente che la rete dà della democrazia diretta – e gli equivoci che la nozione comporta, di sudditanza in assenza d’intermediazione.
La rete di Grillo è del resto sostituiva ai media. I new media nel loro senso antagonista, all’opinione pubblica infagottata dei “giornalisti” – per i molti sinonimo di ciarlatani e mestatori. Grillo lo dice da sette o otto anni, e lo ha ribadito col reiterato rifiuto dei media italiani.
Sono sorpresi tutti ma sono gli unici a essere sorpresi da Grillo, i media italiani. E questo è il segno della loro incapacità. Di tale natura, però, costanza e portata che più che incapaci vanno detti perversi: il partito della crisi c’è, e sono i media, i loro padroni, cinici, speculatori, affaristi (non sono molti: Murdoch, De Benedetti, Bazoli – e Berlusconi, ma meno degli altri, eh sì!). A lungo prima, e anche ora dopo il voto, accuratamente al margine delle cose che realmente accadono, imponendo invece false piste.
Il partito della crisi
Veniamo quindi sommersi da richieste perentorie di autocritica di questo o quel politico, anche da parte di mezze calzette senza nessuna autorità, ma senza mai un cento autocritico. Da minutaggi e pagine intere per Grillo che pretende di farsi una passeggiata in spiaggia sabato invece di rispondere all’assedio dei giornalisti. Dalla venditrice di non s’è capito bene che cosa, ex velina, che ha svoltato in tarda età duettando con Berlusconi sul (suo) culo e ora è sul fronte della resistenza. Dalla reginetta in posa di facebook Viola Tesi. Tutto può avere il suo momento di gloria, come i cagnetti della campagna elettorale. Mentre i giornalisti “assediano”, da Avetrana a Grillo, senza ribellarsi, senza vergogna – perché non sanno fare altro?
Sembrerebbe di sognare se non fosse tutto quello che i media sono. Quando se ne farà la storia, sarà solo di una lunga vergogna: superficiali, pettegoli, ritardati. Come se l’ “indignatevi!” di Hessel che si celebra nella scomparsa fosse uno sberleffo e non un richiamo ai fatti. Specialmente agguerriti, insidiosi, traditori, di fronte alla possibilità di un governo vero, la cui esigenza è stata trascinata a vuoto per trent’anni. Trent’anni perduti in chiacchiere, sembra inverosimile, ma questo sono i media italiani, soffocanti. Devianti, non senza scopo.

Che fare? Tagliare il debito

Il programma obbligato del governo è il taglio del debito. Si sa anche come fare: 1) tagli reali alla spesa - che non sono il jugulamento dei dipendenti pubblici, ma gli appalti (uno scandalo a cielo aperto), la sanità (altro scandalo a cielo aperto), i comuni effimeri, le province inutili, e la pletorica catena di comando alle regioni, il governo del malaffare; 2) riduzione del costo di finanziamento del debito, con prestiti di favore rispetto al mercato da qualunque soggetto disponibile, Fmi e Ue; 3) allungamento della vita media del debito e riduzione del costo, con garanzie suppletive che non costano.
Invece di affrontarlo, si fanno da vent’anni “manovre correttive”, cioè aumenti di tasse. Prima annuali, da qualche tempo semestrali. Di cui si sa che saranno insufficienti perché alimentano un circolo vizioso: più tasse oggi sono meno entrare future, e quindi più tasse. L’unica soluzione è ridurre l’indebitamento.
Perché i debito non si taglia, questo è il problema italiano. Contro cui gli italiani si battono da 22 anni ormai. Che sbatte sulle resistenze della politica, ma in quanto incapace di autonomia di fronte agli interessi: il problema italiano è l’affarismo, di cui la politica è corresponsabile. Ciò spiega la difficoltà di ogni riforma, e il ripiegamento dell’elettorato ora su ipotesi estreme, dell’azzeramento. Meglio la povertà, si dice col voto per assurdo, che indebitarsi per pagare gli appalti, l’intrallazzo.