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giovedì 28 agosto 2008

Quanto Napoli si piace

Due ragazzi tedeschi sono violentati sulla spiaggia di Torre Annunziata e sono ricoverati a Castellammare. Dove a lei viene fatto un esame superficiale, delle escoriazioni. Lo scopo è chiaro: evitare le aggravanti per gli aggressori. È chiaro a tutti, ma non all’Asl di Napoli 5, cui Castellammare fa capo. Che ordina un’inchiesta, ma assolve i sanitari: “A quanto mi risulta”, dice il signor D’Auria, manager dell’Azienda sanitaria, “il personale che ha operato quella notte ha seguito le procedure, e ai professionisti dell’ospedale di Castellammare di certo non manca il necessario senso di umanità”. Non è Napoli anema e core?
È possibile che ci sia collusione con gli aggressori. Ma forse no, nessun magistrato s’è mosso, né contro i sanitari né contro D’Auria. È invece certa l’autoindulgenza napoletana, stupefacente. Non eccezionale: girando per la provincia napoletana ogni aggressione, seppure non della gravità di quella incorsa dai giovani tedeschi, è trattata da tutti con la stessa condiscendenza, da carabinieri, poliziotti, vigili urbani, assessori, sindaci, direttori d’albergo. Il napoletano “sa”, il non napoletano si deve giustificare: perché si trovava alla tal ora di tal giorno in tale piazza, perché portava la borsa, o l’orologio al polso, perché, se viaggiava in gruppo, s’è avventurato da solo. E se ha riconosciuto un aggressore nell’albo di foto segnaletiche che gli viene obbligatoriamente mostrato, se non lo conosceva prima e per quale motivo. Col sottinteso, non tanto celato: droga? frode all’assicurazione (il famoso “cavallo”)? guerra di bande?
Gli inni incredibili alla napoletanità delle migliori intelligenze napoletane nella lunga vicenda dell’immondizia sono un’eco evidentemente della ferma superiorità popolana – l’intellettuale non deve essere radicato nel popolo? Che gli avvocati dei ragazzi stupratori di Torre Annunziata confermano trionfali, nella tradizione dei Grandi Principi del Foro, i paglietta. Chiedendo perdono a larghi gesti e grandi parole, di fronte a tutti i microfoni e gli schermi, umilmente, per l’immane tragedia, per la mala erba di questa terra sventurata, per la società che produce mostri, e tutto il repertorio della messinscena. Pregustando la cospicua parcella della derubricazione dei reati del camorrista figlio di camorrista, e fa’ in culo ai tedeschi. Sarà vero che “il mare non bagna Napoli”, dev’essere tutta bava, di soddisfazione.

La spazzatura di Napoli

Un presidente del consiglio non molto autorevole e anzi un po’ ciula ha ordinato agli spazzini napoletani di raccogliere la spazzatura, e la spazzatura di Napoli dopo un anno, o due, è stata infine raccolta. Napoli non ha detto grazie, la Iervolino per esempio, che parla così tanto, e naturalmente non si è fatto un esame di coscienza. Perché Napoli va di fretta, deve escogitarne un’altra.
Non si sono dimessi la Iervolino e Bassolino, che pure tanto male fanno ai rispettivi partiti, e al partito Democratico che li ha riuniti, e il motivo è sempre lo stesso: i napoletani hanno sempre ragione. Né sono stati mai cercati, nemmeno per la forma, i piromani degli accampamenti rom e delle montagne di spazzatura. La magistratura napoletana ha anzi tentato in tutti i modi di fermare la raccolta della spazzatura, fino ad arrestare tutti quelli che la raccoglievano. Ha perso, ma è ancora salda al suo posto, e anzi più iattante che mai – si dice che stia intercettando mezzo governo, oltre a tutta la stampa italiana, nell’eventualità che il governo si arrischi a mettere un freno alle intercettazioni. Dopo aver consolidato in un trentennio, da quando il comunista Valenzi divenne avventuratamente sindaco, ogni sorta d'illecito "popolare", dei disoccupati organizzati, degli irriducibili di Pianura, dei tifosi allo stadio, con distruzioni miliardarie, occupazione di stazioni e strade, ricatti.
Leggendo la stampa napoletana, del resto, è Napoli che fa l’esame al resto d’Italia e del mondo, al governo fascista con i rumeni e gli zingari, agli stranieri che vanno a dormire tra i pastori, agli arabi che invadono l’Italia, a Putin che ha invaso la Georgia, a Israele che tormenta gli arabi, e alla Juventus che si ruba gli scudetti.

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (22)

Giuseppe Leuzzi

Il discorso su
In Calabria e Sicilia non piove da quattro mesi, maggio, giugno, luglio e agosto, dopo un inverno asciutto. E manca l’acqua. Ma a Milano non piove e quindi la siccità non c’è. Non per il parlatore incontenibile Loiero né per lo sfingeo Lombardo, i governatori.

Capita di parlare di mafia con mafiosi cogniti: l’analista della megastruttura convenzionata, il commerciante finanziarizzato, il ristoratore da guida, e quelli del lusso, accanto al loro suv o Mercedes da centomila. In italiano, in genere, atteggiato. È estremamente ridicolo. Come una conversazione di routine tra due attori in scena.

La ministra dell’Istruzione Gelmini, nel mentre che dissolve l’università italiana in favore di quella confessionale, dice una cosa giusta: che la scuola al Sud non è formativa. Per questo è sommersa dalle critiche e deve fare marcia indietro. Prepotenza del Sud? Stupidità? È anche un diversivo: la ministra marcia avanti nel suo programma, tanto del Sud a chi gliene frega?

Niente notabilato nei paesi della Montagna. Consigli sì, aiuti, posti sono dovuti, ma senza riconoscenza, né riconoscimento sociale: tutti sono “più” di ogni altro.

Il meridionale non è niente per voler essere tutto – tutti sono politici, artisti, giornalisti, e vittime.

La ricchezza è la legalità. È un concetto semplice: se l’Ente per il turismo dà cinque stelle a un albergo che al più ne può avere tre, o tre a uno che non ha stelle, può anche darsi che questi alberghi affittino qualche camera, ma per una sola volta. Se può definirsi extra-vergine tutto l’olio d’oliva rettificato che si riesce a mettere assieme, lo si potrà vendere, imbottigliato, una sola volta. Mentre se il vino igt è zucchero e alcool, con una goccia di sciroppo, si può anche andare in prigione (in teoria). Si parla di legalità semplice, non di criminalità organizzata, che è complessa ma è anche marginale.

Non abbiamo soprannome. Un altro paio di famiglie in paese non ne ha. Tutti hanno un soprannome. I borghesi non ne hanno, quelli dell’unità d’Italia.

C’è la realtà, e c’è il discorso su questa stessa realtà, che a volte è preminente.
La realtà del Sud, della Calabria, dell’Aspromonte, è esclusivamente il “discorso su”, ed è disperante. Al Sud c’è solo il peggio: la corruzione, la malasanità, la mafia, le raccomandazioni, l’assenteismo. Qualsiasi discorso sul Sud lo vede soggiacere, condannato, deriso, umiliato.
Non se ne può fare un torto a chi lo agita, a ognuno piace sentire cosa gli altri pensano di lui. E finché i fenomeni deleteri persistono. Si muore di malasanità anche a Torino, ma il calabrese giustamente ingigantisce la malasanità a Vibo Valentia.
Il problema sorge quando il discorso viene introiettato e diventa esclusivo. Quando non c’è altro oltre il discorso. “La rima produce il poema”, Jakobson l’ha accertato. O già Platone, secondo il quale se si recita a lungo la parte del malvagio, o del buono, il ruolo finisce per corrompere l’anima.

Se il racconto fa la realtà. I due best-seller nazionali sono l’estate scorsa e questa estate due libri calabresi sulla ‘ndrangheta. “Fratelli di sangue” di Gratteri dà ogni paese della provincia di Reggio dominato dalla mafia, compresi quelli dove la mafia non c’è mai stata. “Anime nere”, di uno scrittore di Africo, scritto peraltro benissimo, magnifica la vita violenta di un mafioso giovanissimo, pluriomicida eccetera, che poi si pente, e fotte la società e lo stato una seconda volta – la cosa non è detta ma è “scritta”.

L’idea d’Italia è radicalmente cambiata. Sotto i termini anodini, scientifici, burocratici, di devoluzione, federalismo, solidarismo e sussidiarietà, nel fisco, la sanità, la pubblica sicurezza, l'informazione e il diritto all'informazione.
In centocinquant’anni ci sono state tre Italie. L’Italia annessionista, che s’è preso il Sud. L’Italia solidale della Repubblica, dello sviluppo del Mezzogiorno - e purtroppo dello "statalismo", della manmissione politica della vita punnlica. E da un quindicennio l’Italia della Lega. O delle autonomie. Un programma rispettabile, e anzi auspicabile. La cultura cattolica è stata fortemente autonomistica per tutta l’esperienza unitaria e fino al partito Popolare. Ma ora è l’Italia di Milano: chi ha più fieno più s’ingrassa.

Pentito a mare
La duna sul mare è stata mantenuta, o creata. Recintata, ma aperta, lo steccato è basso, in legno, è decorativo. È parte di uno stabilimento balneare, con una fila di cabine provvisorie, su piattaforme di legno, e una cabina di legno fresca, che serve da bar. Il nome dello stabimento è simpatico, “Dal naso al cielo”, e il giovane che lo gestisce legge un volume di novelle di Pirandello dallo stesso titolo, o comunque sta sulla sdraio col volume aperto.
È uno stabilimento di Roccella, sullo Ionio, sotto il castello dei vecchi signori Carafa, napoletani che diedero anche qualche papa, tra essi il sapiente e infausto Paolo IV. Un borgo bene amministrato, che rispetta i regolamenti edilizi, dove sulle colonne di granito rosa recuperate al mare e su quelle in cemento della piazzetta davanti alla chiesa le cicogne sembrano interessate a tornare a nidificare, vecchia tappa nei loro spostamenti tra il Nord Europa e l’Africa. È fine agosto, l’aria limpida, non c’è afa, che lungo lo Ionio è temibile, è solo lunedì, ma sembra un’altra epoca rispetto a sabato, l’ultimo giorno prima del controesodo – la stagione qui dura un paio di settimane.
All’ora di pranzo un giovane troneggia sulla duna, a un tavolo che gli fa anche da balcone sulla spiaggia con gli ombrelloni. Un giovane corpulento e già vecchio. Che a tratti gracchia perentorio con voce sgradevole, gutturale, il napolitano verace. A ogni suo urlo, si sommuove un ombrellone sottostante, il solo occupato in tutto il bagno, dove quattro donne stanno sulle sdraio inquiete, quattro signore in età indefinibile, tutte cotte dal sole, che però non sono le sue puttane: prosperose in bikini ma senza appeal, sciatte e curate insieme, tutte con la borsa in spalla che s’indovina pesante da cui non si separano mai. È la loro irrequietezza, spostarsi, sedersi, alzarsi, sparire, ricomparire, sempre con la borsa a tracolla, che attrae l’attenzione e fa passare il momento, del resto non lungo, del pranzo, con insalate pronte. Il tutto con un senso fastidioso però di già visto. Di cose sapute, sentite o viste, che non si riesce a focalizzare.
Questo avveniva nel 1997, o nel 1996. Oggi, nelle foto di un processo, l’omone prende un nome, e più per l’aria sprezzante, più napolitana della lingua, che per la fisionomia. È il famoso Pasquale Galasso, un capo camorrista pentito. Che lo Stato dunque, con quattro poliziotte in bikini, proteggeva in vacanza. Roccella all’epoca era per questo diventata sede di una compagnia, o battaglione, o semplice reparto, di Pubblica sicurezza. Una sorta di casa di vacanza, a turno, per i poliziotti, in qualità di guardie dei pentiti. In precedenza, tutti i politici locali erano stati arrestati o accusati per complicità mafiose, e lo scagionamento si faceva con lentezza e di malavoglia. Retrospettivamente la scena è più sapida: il capo camorrista servito dalle forze dell’ordine, i solerti amministratori in carcere, indebitati con le banche per pagare costose parcelle agli avvocati contro le forze dell’ordine.
Questo Galasso all’epoca aveva quarant’anni. Nato da buona famiglia, un concessionario Fiat, era al secondo anno di medicina quando aveva ucciso due camorristi, che erano venuti a rapirlo, o a rapire il padre. Aveva rubato l’arma a uno dei due e li aveva sparati. Incarcerato a Poggioreale, vi aveva frequentato i migliori camorristi degli anni 1980, da Raffaele Cutolo in giù. Optando infine per i concorrenti di Cutolo, la Nuova Famiglia di Carmine Alfieri, con la quale fu coinvolto nell’assassinio del luogotenente dello stesso Cutolo, Vincenzo Casillo, fatto saltare con una autobomba. Casillo era confidente dei servizi segreti “deviati”. Galasso si pentì, e diventerà l’accusatore della Dc napoletana di Gava, e di tutta la corrente dorotea della Dc, che Gava, allora broker dei governi, rappresentava. Lo stesso Gava che ora è morto, sfinito anche dalla difficoltà di difendersi, seppure con successo.
Dopo Galasso, anche Alfieri si pentì. Nella primavera del 1993, a Bucarest per un’intervista al presidente Ion Iliescu, che intendeva avviare la lunga marcia della Romania verso l’Unione europea, i suoi uomini alludevano sorridendo a un viaggiatore abbonato alla rotta Roma-Bucarest, Carmine Alfieri. Poiché si capiva che i collaboratori erano dei servizi segreti, e che quindi sapessero di Alfieri come i servizi italiani, mi chiedevo perché questo temibile signore non fosse arrestato. Ma era ignoranza - lo specialista di politica estera non si occupa di cronaca nera: Alfieri era stato arrestato l’11 settembre del 1992, e all’epoca dell’intervista probabilmente era già un pentito. I collaboratori di Iliescu insistevano che da tempo Alfieri viaggiava liberamente a Bucarest. Naturalmente potevano barare. Anzi, senz’altro baravano, per loro scopi reconditi. Ma perché inventarsi proprio Alfieri, che ai più, anche non giornalisti di politica estera, era sconosciuto? Volendone fare un romanzo, Galasso e Alfieri sarebbero camorristi infiltrati dei servizi segreti “buoni”.

Venti o ventuno cantieri nel tratto Padula-Lagonegro sulla Salerno-Reggio Calabria nell’estate del 2008, una quarantina di chilometri. Ma ci saranno due-tre operai al lavoro in media in ogni cantiere, e in alcuni non c’è nessuno, una cinquantina di persone in tutto. Molte delle quali si danno l’aria di controllare e non di fare. Sono cantieri per la revisione prezzi?

Lo studio Fillea-Cgil, 2004, sulla Sa-Rc: l’ammodernamento nel 1999 era previsto in cinque anni, per il 2004. Ma al 2004 solo 49 chilometri erano stati ampliati. Per tutto il percorso, quindi, si va al 2015 - se non sarà il 2025: non si vedono aperti, nemmeno segnati in giallo, i cantieri su due tratte molto difficili e costose dell'arteria, da Lagonegro a Castrovillari-Frascineto, e da Cosenza a Falerna, più alcune diecine di chilometri tra Salerno e Sala Consilina, l'estrema provincia campana che, a quel che si vede, sarà a tre corsie... Almeno cento chilometri, e mezze giornate, di percorsi alternativi (intanto i siciliani si sono fatti un traghetto quotidiano da Messina a Salerno e ritorno).
I costi erano raddoppiati, secondo lo studio: dai 3,5 miliardi di euro calcolati nel 1999 a 5,7 miliardi nel 2004. E ciò per singolare - oppure non? – effetto del miglioramento della legge sugli appalti: gli appalti assegnati con la Legge Merloni erano costati 1.184 milioni per 203 chilometri, gli appalti assegnati successivamente col sistema del general contractor sono costati 4.770 milioni, per 204 km. L’Anas ha replicato che l’autostrada sarebbe stata pronta per il 2008. Ma aveva ragione la Fillea-Cgil.

lunedì 25 agosto 2008

L'Olimpiade del sovietismo

Tra Rai e giornali non c’è stata una critica. Un’insoddisfazione, un capello nell’uovo, niente: l’Olimpiade cinese sarà stata perfetta. Nemmeno una manifestazione dell’insopprimibile complottismo, magari per dire qualche giudice comprato, russo beninteso. Lodi spropositate e tanto entusiasmo per la “organizzazione perfetta”, occhiuta. Perfette anche le accompagnatrici, non nel suolo di sorveglianti naturalmente. E quanti titoli sulla “Cina in lacrime” a ogni medaglia non vinta, di un’ignoranza abissale sulla Cina ma di un servilismo acutissimo.
Sarà stata la vendetta dei falliti della Grande Illusione, e per questo giustificabile. La Cina è pur sempre il comunismo al potere, e l’entusiasmo conseguente. Anche per la forma dell’entusiasmo: un esempio di “centralismo democratico” totalitario, incredibile se non fosse avvenuto, nei migliori giornali italiani. Con tutte quelle sottolineature kruscioviane (desideri, auspici, speranze, voti, scongiuri) della Cina che “supera” gli Stati Uniti.
Ma è peggio. Col senno di poi non c’è paragone, Berlino non è Pechino. Ma un parallelo in contemporanea, se c’è una diacronia della storia, mostra lo stesso disarmo e la stessa soggezione psicologica alla propaganda hitleriana come alla propaganda cinese. Tutto fu perfetto nella Berlino di Hitler nel 1936, malgrado le recenti leggi di Norimberga “per la protezione del sangue e dell’onore tedesco”. La Germania “superava” la perfida Albione. E anzi si candidava a ospitare stabilmente l’Olimpiade, novella Grecia, la classicità che è tutti noi - questa è mancata: fare di Pechino la nuova Olimpia.

L'Europa parkinsoniana, Sarkozy volage

Su richiesta di “vari paesi” Sarkozy convoca un vertice straordinario Ue per dare una lezione alla Russia. Tra i “vari paesi” c’è certamente la Germania di Angela Merkel, cui la politica estera non fu mai insegnata, nella Germania del socialismo reale - la sua Germania non è più di un “vario” paese. E la Polonia pilsudskiana, che vorrebbe mettere qualche missile, per conto della Nato, alla frontiera con l’eterno nemico. Come la Georgia del bello e disimpegnato Saakashvili.
Con la stessa lievità della sua nuova vita sentimentale, il presidente francese vuole condurre l’Europa. È la sua parte migliore. È andato a Mosca a fare non si sa che, e ora minaccia di farle la guerra, ancorché fredda. Così come manda l'ultima moglie Carlà, cantautrice emerita, a sorridere al Dalai Lama, dopo essere andato di persona a Pechino a sorridere a Hu Jingtao. È il mondo di Carlà, delle canzoni che non fanno male a nessuno e a volte fanno piacere.
Ma il volage Sarkò è anche, oggi, l’Europa. Col cagnolino festante tedesco dietro. Nell’assenza di Londra dopo Blair, e nell’imbarazzo di Roma. Storicamente è la vecchia Francia che sostiene il revanscismo polacco antirusso. Ma oggi è un’Europa portata a schierarsi con l’avventurismo dello sbussolato Bush, che vuole la Nato all’assedio del Cremlino, da Ovest, da Sud e, se possibile, dall’Asia. Ma per fare che?
Perché Sarkozy ha convocato il vertice straordinario e che cosa proporrà è anche inutile chiederselo. Cosa può proporre? Di abbaiare tutti insieme? Che vuol dire rivedere le relazioni con la Russia? L’embargo economico? Ridicolo, impossibile, questo lo sa perfino la Merkel: l’Unione è legata a filo doppio con la Russia, anche se, ridicolissima, la tiene fuori della Wto. Vuole l’embargo politico, la condanna morale? Della Russia o della Georgia amerikana? Vuole schierare la Nato, magari come in Afghanistan? Vuole denunciare la Russia all’Onu, dove la stessa Russia ha il veto? Vuole dare uno schiaffo a Putin? Ma l’Europa parkinsoniana a stento arriva a slacciarsi i bottoni, per mettersi a letto. Forse Sarkozy ha solo bisogno di allontanare l’attenzione dei francesi dall’Afghanistan, è di piccolo cabotaggio ogni movimento europeo.
L’Europa s’è avventurata in Afghanistan senza coordinate. Tratta con l’Iran senza sapere su cosa. E ora minaccia, come un qualsiasi sior Todero brontolon, di espellere la Russia - da cosa? - che è la metà del continente. L’avventurismo europeo in Afghanistan, mondo specialissimo di cui sanno tutto anche i ragazzi che abbiano letto Kipling, è da manicomio. Con soldati affardellati di venti chili sopra la pesante tuta mimetica, magari antiproiettile, chiusi in fortini di cemento armato, al comando di generali ignoranti, del terreno, della lingua, dei linguaggi, protetti da supersonici ciechi, che non si sa se sono materia di tragedia o di satira dei costumi .
La guerra con la Russia già c’è stata, anche se l’Europa non lo sa, e l’ha vinta Putin. Senza perdite, ha riacquistato il ruolo che del resto alla Russia compete nel Caucaso e nel Mar Nero. Come può pensare l’Europa, con tutto il suo irenismo, di riportare la storia indietro di tre secoli? Nemmeno il pazzo Hitler, con tutto il suo disprezzo per gli slavi, arrivava a tanto. Si vede che l’imbecillità, sia pure senile, può più della pazzia. L’Europa è in estrema difficoltà, anche se non sa la geografia, in tutto l’arco della crisi nella vicina Asia, dal Libano al Pakistan, con dentro l’Afghanistan, l’Irak e l’Iran, e ben due potenze atomiche, due stati monocratici, dove si vota per finta, governati dall’estremismo islamico.

Il sesso nell'amore, l'impresa resta ardua

Despentes prosegue al livello più letterario il tentativo d’introdurre il sesso nelle storie d’amore. Un tentativo bizzarramente tutto femminile, in Francia della Millet, la Reyes, la Dugas, la Wittig, in Spagna della Grandes (d’altra parte, l’esclusione del sesso dalle scene d’amore è bizzarria ben maggiore). Ma di proposito, e si vede.
In questo romanzo ci mette tutto, l’omoerotismo giovanile, l’irritazione della prima volta, l’erotismo come dipendenza, la complicità fraterna, il rovesciamento dei ruoli (fatale è l’uomo). E l’amitié amoureuse, la passione, la gelosia, l’odio. Tra la droga, i peepshow, le puttane, le mafie, perfino gli snuff movies, con desquamazione – a opera degli innocenti. In una Lione copiata da Marsiglia.
Il progetto si copre pudico con la forma del noir. Ma è meccanico e inerte. La cosa più interessante, la nota di traduzione di Maria Teresa Carbone (spiega “beur”, “érémiste”, “verlan”, etc., anche se sono sorprese di prima di Wikipedia), mostra una scrittrice interessata soprattutto alla scrittura. Dopo la nota simpatetica di Simona Vinci che spiega: “L’intrigo non esiste”. Alla fine il romanzo di Despentes (sia questo che “Scopami”) è “Thelma e Louise”, le americane che vanno allegre alla morte uccidendo. Una forma di revulsione. La storia è sempre “sfalsata” (“sfalsamento”, p.188, per il brechtiano straniamento, è invenzione preziosa), cioè costruita a freddo. Ma l’esperimento si risolve nuovamente nella scrittura del porno al femminile, un po’ di fregola in più.
Virginie Despentes, Le dotte puttane

Bianciardi falso Vian, Milano falsa Parigi

È la prima celebrazione di Milano capitale, la Parigi o Londra dell’Italia.
Bianciardi è il Boris Vian italiano. Ironico, reattivo, “localistico”. Avrebbe potuto essere, con meno impegno e più malinconia. Con meno provincialismo (milanesismo). Da immigrato, condizione che sempre sottolinea, con gli aneddoti e la lingua. Questa è la nota che stride: l’indulgenza è la maniera milanese di vivere (celebrare) la città, stonata in qualsiasi osservatore esterno.
Luciano Bianciardi, La vita agra